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Autore: _Riri_Sunflower_    30/09/2014    5 recensioni
Quando nevica, il mondo sembra cambiare: l'atmosfera diventa più romantica e si può fantasticare a occhi aperti... Questo è quello che accade a Eleonora, immaginandosi cosa potrebbe succedere con Riccardo dopo avergli restituito il portafogli.
STORIA PARTECIPANTE AL CONTEST: IMPOSSIBLE LOVE STORIES
TERZA CLASSIFICATA AL CONTEST "IMPOSSIBLE LOVE STORIES"
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Contest: Impossible love stories
Titolo: Sguardi sotto la neve
Rating: Giallo
Genere: Romantico, introspettivo
Avvertimenti: nessuno
Contesto: generale/vago

 
* * *

Sguardi sotto la neve

* * *

Frequentavo il bar in centro da diversi mesi, più o meno da quando avevo cominciato a lavorare come segretaria presso uno studio di avvocati lì vicino.
Nonostante avesse iniziato a nevicare, mi sedetti al solito tavolino sotto il portico in modo da poter vedere la gente che si stringeva nei cappotti per il gran freddo. Iniziai a sbirciare sul menù le torte del giorno; il mio stomaco quella mattina aveva deciso di brontolare più del solito.

Aspettavo tranquillamente il cameriere quando, alzando lo sguardo, trovai un uomo a seduto sulla neve che si massaggiava la schiena. Mi alzai rapidamente per dargli una mano, ma un signore fu più veloce di me e lo aiutò a rialzarsi. Proprio mentre si sistemava il cappotto e si toglieva la neve di dosso, fui catturata dal suo sguardo: le guance imporporate per il freddo, un naso talmente perfetto che avrebbe fatto invidia a chiunque. La sua bocca era una linea sottile per via del freddo, ma appena il signore che lo aveva aiutato gli domandò se stesse bene, notai come le labbra sembravano scolpite. Per i miei occhi, quello spettacolo di bellezza umana era qualcosa di impossibile, non poteva esistere realmente un uomo con un viso perfetto, senza imperfezioni, con un fisico che poteva essere di marmo, nonostante l’abbia visto con diversi strati di vestiti addosso.

«Buongiorno signorina, cosa ordina oggi?» la voce del cameriere mi distrasse e dopo avergli detto cosa avrei voluto prendere per colazione, si allontanò silenziosamente facendomi tornare con lo sguardo sull’uomo che era scivolato su della neve probabilmente ghiacciata. Notai che si era seduto qualche tavolino più in là del mio, con lo sguardo concentrato sul menù plastificato del bar. Lo vedevo bene dalla mia posizione: con questo tempo e il freddo che entrava nelle ossa, nessuno si sarebbe mai seduto sotto il portico pieno di tavolini di vimini per ordinare qualcosa di caldo. Poteva sembrare che fossimo seduti agli antipodi di una tavola lunghissima, come si usava fare nelle case aristocratiche qualche secolo fa.

Mi sentivo una stupida a fissarlo, ma non riuscivo a distogliere gli occhi da lui e, proprio in quel momento, alzò lo sguardo incrociando il mio: due meravigliosi occhi verdi che somigliavano a delle colline durante la primavera fissarono il mio viso. Imbarazzata dalla situazione, distolsi lo sguardo facendo finta di cercare qualcosa nella borsa. Lo stesso cameriere che aveva preso la mia ordinazione andò da lui per sapere se aveva deciso cosa mangiare o se avesse ancora bisogno di tempo per decidere.
«No, sono pronto. Prendo un cappuccio e la torta della casa.» disse porgendo il menù al giovane che tentava di scrivere sul blocchetto delle prenotazioni con le dita congelate. Eravamo di nuovo soli, lui intento a rispondere a delle mail dal suo telefonino di ultima generazione, io estasiata dall’uomo che scivola sulla neve. Mi portarono l’ordinazione e diedi immediatamente al cameriere i soldi per pagare il conto. Bevvi con calma il mio tè bollente dando sollievo alla mia gola con dei pezzi di brioche alla marmellata. Nel frattempo venne servito anche il signore di fronte a me, così decisi di ammirarlo nuovamente da lontano. Si era tolto i guanti per poter maneggiare meglio la tazza, cercando di non scottarsi e anche di non avere freddo. Notai con estremo piacere che non portava alcuna fede all’anulare, segno che non era sposato quell’uomo così bello. “Magari è fidanzato!” mi disse il mio cervello: certe volte non sapeva proprio stare zitto…

L'uomo misterioso si stava ancora sorseggiando il cappuccino quando decisi di andarmene. Per arrivare allo studio in cui lavoravo dovevo attraversare la piazza e, mentre ero in procinto di farlo, notai a terra nascosto dalla neve un portafogli: lo raccolsi, stupita del fatto che nessuno l'avesse rubato ancora. Ero decisa a portarlo al bar ma, contrariamente al mio comportamento, lo aprii per vedere di chi fosse: mi si parò davanti agli occhi una patente e riconobbi immediatamente la persona nella foto. Lessi il nome, anche se non ero del tutto sicura che una persona come Riccardo Mistretta potesse considerare me, Eleonora, semplice segretaria in uno studio di avvocati.

Mi girai, inizialmente dell'idea che dovessi consegnare l'oggetto tra le mie mani al cameriere poi, però, decisi di restituirlo personalmente. Mi avvicinai al tavolo con passo malfermo mentre pensavo a cosa dirgli. "Prova con 'Ciao, questo è il tuo portafogli e tu mi attiri in una maniera indescrivibile'." Diedi al mio cervello dell'idiota e, appena fui sicura che non guardava me, lo posai sul tavolo sussurrando appena «Credo che questo sia suo.» prima di precipitarmi nella piazza per non fare tardi a lavoro.

La mattinata trascorse lenta e noiosa, fatta tutta di telefonate e clienti dei miei capi che si susseguivano l'un l'altro. Verso l'ora di pranzo suonò il citofono e fui sorpresa nel trovare un giovane corriere dai folti capelli ricci che aveva tra le mani un mazzo di margherite bianche.
«La segretaria degli avvocati?» domandò in modo professionale. Chi mai avrebbe potuto mandarmi dei fiori?
«Sì, sono io.»
«Ottimo. Questi sono per lei.» disse mettendomi tra le mani una dozzina di fiori colorati e molto profumati.
«Deve esserci un errore, non credo siano per me...»
«Lei stamattina ha restituito il portafogli a un signore?» Che cosa? Quei fiori me li mandava quel meraviglioso uomo a cui non avevo smesso di pensare per un solo attimo? Annuii, anche se mi sembrava molto surreale la cosa. Come faceva a sapere dove lavoravo? Sapeva anche il mio nome? Mille domande iniziarono a formarsi nella mia mente, tutte senza risposta.

Dal momento in cui avevo ricevuto i fiori, continuavo a pensare a un possibile incontro tra me e il gran bel signore che mi manda regali solo per il fatto che gli avevo restituito il portafogli. Appena sarei uscita da lavoro sarei andare al solito bar a chiedere informazioni. L'avrei fatto, se solo fossi uscita a un orario decente, ma avevo pratiche da sbrigare per il tribunale e uscii dall'ufficio parecchio tardi.
Come se non bastasse, d'inverno il giorno durava meno, infatti quando mi ritrovai nella piazza principale della città era così buio che sembrava essere notte fonda, anziché le dieci di sera... Dovevo raggiungere l'ingresso della metropolitana il più in fretta possibile, stare in giro con quel buio e freddo non mi faceva impazzire.

Mi stringevo il cappotto addosso, cercando di scaldarmi il più possibile quando all'improvviso qualcosa catturò la mia attenzione. In un vicolo lì vicino c'erano delle persone, ne sentivo le voci, ma non mi sembrava un dialogo tra amici. Mi avvicinai piano cercando di non farmi vedere e sbirciai nella strada: un gruppo di uomini ne stavano minacciando un altro. Inizialmente non vidi bene chi fossero e, pochi attimi dopo, lo sbatterono contro un palo della luce, illuminando così il suo volto. Il mio corpo ebbe un tremito di paura: l'uomo che era minacciato era il signore che era scivolato stamattina sul ghiaccio, colui che mi aveva mandato i fiori come ringraziamento per avergli restituito un oggetto personale, l'uomo che avevo immaginato per tutta la mattina...
Non riuscii a sentire esattamente cosa gli stavano dicendo, ma a un certo punto vidi chiaramente sotto la fioca luce del lampione che lo stavano riempiendo di calci e pugni nello stomaco. Riuscì a girare per un momento la testa nella mia direzione, lo sguardo che implorava aiuto. Recuperai dalla borsa il mio cellulare e composi il numero delle emergenze; le dita mi tremavano per la paura di essere vista, i calci continuavano a essere dati, le sue urla di dolore mi stringevano lo stomaco.

La mia mente mi presentò davanti un immagine di quell'uomo perfetto pieno di lividi in ogni parte del corpo, vedevo lo zigomo ferito, il labbro perfetto spaccato, gli occhi verdi cerchiati di nero... No! Lui era perfetto così, non potevano ridurlo uno straccio, pieno di ferite in quel modo...
Mi allontanai di qualche passo per non farmi sentire e avvertii la polizia, spiegai cosa avevo visto e quel poco che avevo sentito. Diedi l'indirizzo e aspettai che arrivassero, nascosta in un angolo. A casa non c'era nessuno ad aspettarmi e, se solo fossi stata più coraggiosa, magari il signor Riccardo avrebbe aspettato che uscissi da lavoro e mi avrebbe accompagnato a casa, o a cena, evitando così di essere pestato.

Arrivarono due volanti della polizia, arrestarono gli aggressori e avvertirono un'ambulanza per portare l'uomo all'ospedale. Un agente mi vide e mi chiese se stavo bene, se avevo subito percosse o altro.
«No... No, sono stata io a chiamarvi.» "Chiedigli in che ospedale lo portano!" mi suggerì il cervello e, per una volta, gli diedi ascolto. «Dove lo porterà l'ambulanza?» Ripensandoci bene, non seppi perché gli diedi ascolto, quell'uomo neanche mi conosceva, mi aveva solo visto al tavolino di un bar. Una volta saputo il nome andai a casa, bisognosa di relax dopo una giornata piena di incontri, sguardi sotto la neve ed emozioni pure.

Mi alzai presto il mattino seguente, decisa ad andare a trovare Riccardo in ospedale, o almeno sapere come stava... Avevo già controllato quali mezzi prendere, feci tutto il percorso pensando come presentarmi e appena arrivai all'accettazione del pronto soccorso, domandai di lui.
L'infermiera, zitella, grossa e con la ricrescita mi domandò senza degnarmi di uno sguardo se ero una parente. Ovviamente non lo ero, ma io volevo sapere come stava l'uomo di cui mi ero innamorata.
«Niente da fare, signorina. È la regola dell'ospedale!» disse fissando lo schermo del suo computer.
«Ieri sera gli ho salvato la vita, il minimo che possa fare è sapere come sta!» Mi stavo alterando, io avevo bisogno di sapere, di vederlo...
«Dottore, la signorina vuole sapere come sta il paziente ricoverato stanotte» annunciò annoiata sempre guardando lo schermo del computer.
«Ieri ho avvertito la polizia, volevo sapere solo se stava bene» precisai immediatamente, nel tentativo di essere più convincente possibile.
«Venga, signorina. Glielo faccio vedere.» il primario del pronto soccorso mi portò lungo un corridoio e si fermò davanti a una camera di terapia intensiva: vicino alla porta della camera c'era una targhetta con il nome, le tendine erano aperte e lasciavano vedere a chi passava di lì Riccardo. Sentivo un lieve bip delle macchine provenire dalla stanza.
«Non è in fin di vita. Se vuole aspettare che si svegli, può entrare...»
«No!» urlai a voce un po' troppo alta. Un paziente che passava accanto a noi mi guardò un attimo prima di riprendere a camminare con il suo girello. «No, grazie. Mi basta sapere che sta bene.»
«Se vuole, appena si sveglia, gli dico che è passata a trovarlo.»
Mi rilassai appena il primario pronunciò quella frase, tanto che acconsentii immediatamente. Si stava facendo tardi e rischiavo di fare tardi a lavoro. Una volta uscita di lì, promisi a me stessa che almeno una volta al giorno, prima o dopo il lavoro, sarei andata da lui per vedere se stava bene.

I primi giorni era un continuo guardarlo dalla finestra della sua camera, lui che dormiva beato. Aveva un'espressione serena sul viso, quasi angelica. Le ferite erano sparite e i lividi stavano diventando sempre più piccoli, lasciando così posto a quel viso perfetto che sognavo ogni notte. Tutto procedeva bene, Riccardo non sapeva che io ero lì a guardarlo, almeno finché non aprì gli occhi e mi fissò, sbalordito. Imponevo ai miei piedi di andarmene da lì, ma i suoi occhi verdi avevano catturato i miei nocciola e non volevano saperne di lasciarmi andare. Sarei rimasta lì tutta la notte a guardarlo, forse avrei mosso qualche passo all'interno della sua stanza per presentarmi, conoscerlo, amarlo...

Quando tornai la sera successiva, trovai il suo letto vuoto, completamente rifatto e i macchinari spenti. Non vedendo il primario in giro per i corridoi bloccati un medico e gli chiesi dove fosse finito Riccardo Mistretta "il mio amore".
«È stato dimesso questa mattina, signorina. Non avevamo più motivo per tenerlo qua.» e dicendo quelle parole, se ne andò. Uscii dalla struttura e mi incamminai verso il centro della città, passando vicino al bar in cui ero solita fermarmi. Mi fermai di botto, sorpresa di vederlo lì. Appena Riccardo mi vide si alzò, mi venne incontro e mi guardò con quegli occhi seri e gioiosi che mi attanagliavano lo stomaco.
«Mi hai salvato la vita» disse con la voce profonda, sussurrando al mio orecchio in modo che potessi sentirlo solo io.

Tremavo, ma non per paura o freddo, tremavo per la felicità. Riccardo mi stava rivolgendo la parola e io non riuscivo a dire neanche il mio nome. Dovevo almeno dirgli grazie per i fiori che mi aveva mandato una settimana prima in ufficio, senza successo.
Posò le sue possenti mani sulle mie braccia e mi baciò; non esitai un secondo a ricambiare. Non conoscevo quell'uomo, non sapevo nulla di lui, solo il nome. Eppure mi stava baciando. Ero in paradiso e non lo sapevo. Non mi importava di cosa avrebbero potuto dire i passanti nel vederci così, io ero tra le sue braccia e mi bastava questo. Quando ci separammo riuscii finalmente a dirgli come mi chiamavo e, appena stavo per dirgli grazie per il mazzo di margherite, per quel meraviglioso bacio come lui, ecco che qualcuno schioccò le dita davanti ai miei occhi.

«Ti ho portato l'ordinazione.» il cameriere accanto a me aveva un ghigno divertito sulla bocca e io capii solo allora che tutto quello che era accaduto tra me e il signore scivolato sul ghiaccio, era un fottuto sogno ad occhi aperti.
   
 
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