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Autore: Megan Alomon    30/09/2014    3 recensioni
"Ho conosciuto davvero un ragazzo che si chiamava Catullo, e per un po’ ha vissuto con me. Scriveva poesie, le scriveva sul serio, e me le faceva leggere quando ero ubriaca così che mi sembrassero tutte bellissime.
Una volta mi ha guardato con i suoi occhi selvaggi e mi ha detto: “Mi sono innamorato.” Io ho scosso la testa, ho riso. “Catullo! Pure tu? E allora siamo nella merda entrambi!”
Ha riso anche lui e poi ha ripreso a leggere il suo libro."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Provai l'impulso di spingerlo via e di gridargli conto la mia rabbia ma mi limitai a stringerlo più forte contro il mio petto per non farlo sentire stupido, o solo, o sbagliato."
 
 
 
CATULLO
 
 
 
Ho conosciuto davvero un ragazzo che si chiamava Catullo, e per un po’ ha vissuto con me.  Scriveva poesie, le scriveva sul serio,  e me le faceva leggere quando ero ubriaca così che mi sembrassero tutte bellissime.
Una volta mi ha guardato con i suoi occhi selvaggi e mi ha detto: “Mi sono innamorato.” Io ho scosso la testa, ho riso.  “Catullo! Pure tu? E allora siamo nella merda entrambi!”
Ha riso anche lui e poi ha ripreso a leggere il suo libro. L’ho guardato e per la prima volta ho pensato a come doveva essere fortunata la ragazza che lo aveva fatto innamorare. Catullo era bellissimo.
 
“Oggi viene Euridice. È così che si chiama la mia ragazza.” Mi ha detto due mesi dopo.
“Allora l’hai conquistata!” ho esclamato felice.
“Spero di si!” Mi ha abbracciata.
Ed Euridice è arrivata, bellissima come l’aveva descritta Catullo. Bionda, alta, due occhi di mare stupendi.  Portava un vestito bianco e aveva fatto un dolce per me.  Mi aveva fatto sentire piccola e stupida. Sembrava che Euridice mi giudicasse.
Non mi fece una bella impressione ma non avevo mai visto Catullo così felice. Dopo cena si erano chiusi in camera del ragazzo e io ero uscita ad ubriacarmi.
Ero tornata alle tre, avevo vomitato nel vaso di azalee e poi mi ero accorta che la porta della camera di Catullo era chiusa. Euridice era ancora lì. Avevo vomitato ancora e poi ero andata a letto vestita.
La mattina dopo Catullo mi aveva svegliato saltandomi in fianco.
“Sveglia! Su!”
“Lasciami dormire.”
Catullo non m’aveva ascoltata così mi ero sorbita il suo racconto. Mi faceva sentire inutile, alle volte, Catullo.  Puzzavo di alcol quella mattina e lui me lo fece notare.  Lo mandai al diavolo.
Poi un giorno, tornando dal lavoro, avevo trovato Catullo ad attendermi sulla soglia.
“Oggi è venuta di nuovo Euridice.”
“Bene.”
“Ecco, camera mia era un disastro, quindi abbiamo usato la tua.”
“Fai schifo Catullo.”
C’era stata una pausa. Forse un po' troppo lunga, nella quale avevo intravisto qualcosa di oscuro negli occhi selvaggi di Catullo: forse un presentimento.
“Ho scritto una nuova poesia.”
“Vuoi che la legga?”
“No, non sei abbastanza ubriaca per dirmi che è bella.”
 
Era passato ancora del tempo. Euridice era venuta altre volte. Poi non si era più fatta vedere. “Non ti amo più.” Aveva detto a Catullo e lui l'aveva guardata e le aveva risposto “Va bene.”
Poi però aveva smesso di mangiare.
Scriveva a e basta, non mi faceva più leggere nulla. Cercavo di farlo ragionare, ma non ci riuscivo.
Una volta gli avevo messo un piatto di fusilli di fianco mentre scriveva.
“Devi mangiare qualcosa…”
“Dopo.”
“No, ora.”
“Ho detto dopo.”
 Catullo aveva preso il piatto e lo aveva scaraventato contro la parete. Tre fusilli erano rimasti attaccati al muro e mi erano caduti addosso mentre io raccoglievo i cocci del piatto.
Non mangiava nulla, diventava sempre più magro e aveva sempre le dita sporche d’inchiostro.  Una volta mi si era seduto in fianco mentre stavo leggendo una rivista e mi aveva detto “In realtà, in realtà non mi va bene che Euridice non mi ami più. Anche se a lei ho detto ‘va bene’, in realtà non mi va bene affatto.”
Aveva iniziato a piangere e mi si era accoccolato in grembo. Incredibile come fosse diventato leggero.
 
“Ho scritto… una… poesia” aveva detto la settimana dopo, mentre vomitava anche l’anima nel water: si era ubriacato con il liquore che mi aveva portato mia zia Giada.
“Posso leggerla?”
 “Sono… troppo ubriaco per dirti di no.”
L’avevo letta e avevo pianto per molto tempo. Non avevo capito quanto Euridice fosse importante per Catullo.
Poi ero andata in camera del ragazzo e mi ero stesa in fianco a lui. Avevamo preso sonno abbracciati;  eravamo entrambi innamorati di qualcuno che non era lì. Abbracciarci e condividere un po’ del nostro dolore era l’unica maniera per sopravvivere.
Tre giorni dopo, tornando a casa, l’avevo trovata vuota. Catullo se ne era andato via.
Sopra la tavola in cucina c’era un biglietto:
 
"Devo andare, amica mia. Così non ce la faccio. Perdonami del poco preavviso: i soldi dell'affitto per questo mese sono sopra la cassapanca in corridoio.Ti voglio bene.
Tuo per sempre, Catullo."

 
Corsi in camera di Catullo: il letto era stato rifatto, tutto era in ordine. Catullo se ne era andato sul serio.
Sul comodino c’era un libretto giallo. Lo presi in mano: dentro c’erano tutte le poesie di Catullo.
Le lessi.
Non ero ubriaca  ed erano comunque bellissime
  
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