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Autore: emilychan    30/09/2014    1 recensioni
MakoHaru di quasi 1700 parole, ispirata agli ultimi episodi, quindi Spoilerino! per chi non ha ancora finito.
Il primo litigio, il primo bacio, un sogno.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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E alla fine ci scrivo pure io. Maledetti


Maledetti tutti


Aiuto allora le prime due battute sono prese dell’ultimo (o penultimo non ricordo) episodio, poi per il resto c’ho dato sfogo io. Non so come sentirmi a riguardo. Non so se ho esagerato nel descrivere la situazione, ma in ogni caso, quando si tratta di queste cose, lascio spazio alla drama queen che c’è in me, e questo è il risultato. Per un attimo avevo anche pensato di fare una cosa a tre capitoli: uno Makoharu, uno Reigisa e uno Sourin, post fine stagione /tears streaming down my face/ /great nostalgia starts playing loudly/ /whispering/ no – ma non so, per ora metto ‘completa’, anche se la cosa potrebbe mutare. Non so, posso dire di esserne contenta??? Altre note a fine roba.


 


 


 


-Era il nostro primo litigio- la voce di Haru è quasi un sussurro trasportato dal vento. Rin sa già cosa risponderebbe; cosa penserebbe, più che altro, ma sentirlo così abbattuto, sentirlo esplicare il suo disagio, si potrebbe dire quasi in cerca di un conforto, lo angoscia e lo rende compiaciuto allo stesso tempo.


-Io e Sousuke litighiamo sempre!- Rin sorride e guarda altrove, verso l’oceano. –Sai, prima o poi doveva succedere. Capita-


Haru stringe a sé le ginocchia, circondandole con le braccia, e vi immerge il mento. Se potesse, se solo fosse una tartaruga, si rannicchierebbe all’interno della sua casetta per non uscirne prima di qualche anno.


La vista dell’oceano e di Rin, tuttavia, riesce a placare leggermente il suo animo tormentato.


 


E’ stato terribile.


Quegli istanti sono stati i peggiori della sua esistenza.


Ha detto delle cose tremende, ha avuto un modo orribile di parlargli. Ha urlato in faccia a Makoto.


Non sa se riuscirà mai a perdonarselo.


Makoto non si merita questo. Makoto non si merita neanche il minimo sprazzo di male presente su questa Terra. Makoto merita la felicità assoluta e, a questo punto, Haruka non sa se sarà mai in grado di dargliela.


 


Se ci ripensa, vede solo attimi di orrore.


 


Makoto inizialmente impacciato e insicuro, tenta di dirgli qualcosa. Poi parla, e


Oh no, anche lui.


Lo lascia parlare, lascia che dica un minimo di ciò che deve, ma non sa se questa volta potrà reggere. Haru tenta di controllarsi, prova a lasciare che il nervosismo gli scorra dalla testa fino ai piedi, ma è davvero, davvero, troppo.  


Da lì in poi, i ricordi sono confusi e sbiaditi. Sa solo di aver urlato, di aver sicuramente detto cose orribili in un modo ancora più tremendo.


Anche se  dopo, per un istante, ha la sensazione di sentirsi meglio, questa impressione svanisce immediatamente, sostituita da un senso di colpa vorace. Si sente divorare lo sterno,  trascinare verso l’interno del suo stomaco, risucchiato verso il nulla.


Makoto lo guarda, i suoi splendidi occhi verdi inumiditi dalle lacrime sono confusi e terribilmente tristi. Haru può vedere la delusione nei suoi occhi.


Tenta di andarsene, ma Makoto gli afferra un polso per trattenerlo. La sua stretta è inaspettatamente stabile, anche se sente la pressione rilasciarsi dolcemente.


Scappare, da tutto, da tutti. In quel momento, è l’unica cosa che vorrebbe fare per evitare di farsi vedere da Makoto in uno stato così confusionale. Pietoso.


E’ sconvolto.


Makoto dice ancora qualcosa; il suo volto così angosciato e rigato dalle lacrime è quasi insopportabile.


Lo è, lo è definitivamente.


Haruka si slaccia dalla presa ormai debole di Makoto, e corre via.


Non sa se è più sconvolto dalla sua reazione, da tutta la confusione che in questo periodo sembra sovrastarlo,  o dal volto di Makoto, così angustiato e orribilmente mosso da smorfie di preoccupazione e, lo sa, di delusione.


Gli incubi notturni, gli incubi in piscina, gli incubi nella vita reale.


Haruka non è più sé stesso. La pressione esercitata su di lui è insostenibile.


 


Corre.


Corre, perché se si fermasse, sicuramente morirebbe.


Corre fino a casa.


Arrivato sulla soglia, si ferma e cerca di riprendere fiato.


E’ quasi certo di svenire, stremato dalla corsa e da tutto il resto.


Si lascia scivolare contro la porta, per poi appoggiare la fronte al liscio legno tiepido.


Piange.


Piange come se non avesse mai pianto in vita sua.


Piange perché se non lo facesse si soffocherebbe.


Piange perché ha rovinato tutto.


Tutto.


Tutto ciò che aveva pensato di avere, ora era finito.


Non era mai esistito.


Era rimasto solo lui.


Solo Haruka e i suoi demoni.


 


 


 


*


 


 


 


 


Makoto era rimasto su quell’alto spiazzo.


La vista era così incredibile.


Mille luci, mille colori e sfumature, mille meraviglie.


Se non si fossero trovati in una situazione così spiacevole, l’avrebbe baciato.


Oh sì che l’avrebbe baciato.


L’avrebbe baciato in ogni caso.


Effettivamente l’incontro aveva preso una piega troppo strana, e Makoto aveva involontariamente lasciato perdere il suo desiderio.


L’aveva guardato andare via, per un attimo, e poi le ginocchia gli eran cedute, ed era crollato tutto.


Accasciato al suolo, il mento poggiato al petto, Makoto piangeva. Gli occhi chiusi arricciati per lo sforzo, i palmi delle mani a terra, con le braccia che minacciavano di cedere.


 


Più tardi un Makoto piangente suonava al campanello della casa di Nagisa, e si vedeva correre incontro sia che lui che Rei, preoccupati.


L’avevano accompagnato in casa, fatto sedere e, mentre Rei preparava del tè caldo, Nagisa gli carezzava il ginocchio dicendogli di calmarsi con tono rassicurante.


Quella sera era rimasto a dormire a casa di Nagisa, accartocciato sopra le coperte.


La mattina seguente, Makoto si era svegliato e, con un’altra tazza di tè in mano, si era seduto fuori casa di Nagisa a guardare il cielo e a prendere aria. Ogni tanto, si permetteva di ascoltare Joni Mitchell, che aveva sia un effetto confortante che angosciante sul suo cuore un po’ stravolto.


 


Era successo davvero, alla fine.


Haruka si era stufato e gli aveva urlato in faccia tutto quello che si era  tenuto dentro.


Eppure lui voleva solo esserci, voleva essere parte della vita di Haru, voleva stargli accanto in ogni istante. Essere un punto fisso della sua esistenza.
Gli sarebbe bastato anche solo poterlo guardare, poggiato alla ringhiera, con quei meravigliosi occhi azzurri colorati dalle luci della città, i capelli mossi quasi impercettibilmente dalla brezza serale.


Eppure aveva rovinato tutto.


Aveva insistito, aveva tentato di parlargli e capire cosa lo turbasse, e così  facendo aveva invaso definitivamente una parte di Haru che, evidentemente, non doveva essere violata.


Ma lui lo amava.


Non poteva farci nulla.


Voleva curare ogni suo turbamento, ogni suo incubo, anche solo ogni suo brutto pensiero.


Non poteva sopportare di vederlo così pensieroso. E poi, c’erano state ripercussioni anche nel nuoto.


Tentava di convincersi di aver fatto la cosa giusta ma, forse, avrebbe dovuto evitare e lasciare che le cose facessero il suo corso.


Si era buttato, e aveva peggiorato vertiginosamente le cose.


Makoto era terribilmente spaventato.


Non voleva che il loro rapporto si danneggiasse, anche se minimamente.


Non poteva permettere che la loro relazione, così speciale, preziosa, unica, si scalfisse.


Tutto ciò che era stato retto da un equilibrio armonico fino a quel momento, era crollato, esploso. Come un bicchiere che si frantuma al suolo.  Il suono che aveva prodotto era freddo, distante, eppure terribilmente vicino.


Makoto avrebbe raccolto i pezzi, si sarebbe ferito le mani pur di riattaccare ogni parte.


Avrebbe fatto finta di nulla, se Haruka avesse preferito. Oppure, se necessario, avrebbe sacrificato ogni cosa, pur di ritrovare quell’idilliaco equilibrio che li reggeva entrambi al di là delle stelle.


E sott’acqua.


 


 


 


* 


 


 


 


E poi Haru era tornato dall’Australia.


Erano stati giorni incredibili.


Aveva trovato il suo vero sogno, la sua motivazione e, soprattutto, la pace.


 


Ma quello che più aveva fatto sobbalzare il suo cuore, arrossare le guance e inumidire gli occhi, era stato vedere Makoto all’aeroporto. Sicuramente il momento più intenso delle ultime giornate, dopo quella fatidica sera.


Makoto era lì, bello come non mai, con il suo incantevole sorriso, e questo era abbastanza per far sentire Haru nel posto giusto.


Makoto restava sempre lo stesso.


Makoto non cambiava mai.


Makoto rimaneva la sua unica, sola, insostituibile, splendida costante.


Pulsava dolcemente e instancabilmente energia positiva, dolce conforto, splendido profumo.


Perché Makoto profumava di fiori, e vederlo era come essere sfiorati dalla soffice, tiepida brezza estiva. Non soffocante, non invadente, ma sempre presente.


E in quel momento, tutto gli sembrò vano.  La ricerca del sogno, l’ansia di non farcela, la pressione, dopotutto, futile dell’ultimo periodo.


Era come tornare a casa. Come infilarsi sotto le coperte, su un materasso caldo e morbido.


Era tutto ciò di cui aveva bisogno.


 


 




 *


 


 


 La vita a Tokyo scorreva splendida e serena.


Avevano preso un bell’appartamento, conciliante con i bisogni di entrambi; a metà strada tra la piscina di Haru e la scuola di Makoto. Inoltre, era davvero carino.


Makoto aveva subito provveduto  a sistemarlo e abbellirlo, rendendolo molto più accogliente. Aveva anche messo dei coloratissimi fiori sul balcone.


 


Non passava giorno senza che Haruka si ricordasse del loro primo bacio.


Quel leggero imbarazzo sulle guance di Makoto, quel piccolo, trattenuto sorriso. E poi le sue labbra delicate, morbide; la stretta di lui alla sua maglietta.


La loro vicinanza, il suo profumo avvolgente, un posto dove vivere per sempre.


 


Da quel giorno, ogni sera si addormentavano l’uno accanto all’altro, e ogni mattina si svegliavano guardandosi negli occhi.


Ogni pasto assieme, ogni momento condiviso, ogni abbraccio stampati nel cuore.


Era la vita che Haruka avrebbe sempre dovuto vivere.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


SCUSATE piango anche se è puro trash


La scena di Makoto  che va a casa di Nagisa per cercare in qualche modo un conforto mi ha uccisa e l’ho scritta combattendo un dolore interiore.


E poi secondo me Makoto è il il tipo da Joni Mitchell, totalmente. Lasciatemi stare che mi sento male


E poi Haruka che ha tutti queste sensazioni iO—non lo reggo proprio ma che è


Niente, spero di portare a termine davvero il progetto scritto sopra nelle note introduttive, e scusate i tempi verbali cià belli


 

  
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