Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Aishia    01/10/2014    2 recensioni
La vita non è sempre rose e fiori. A volte è difficile altre è impossibile.
Lo sa bene Bris, una ragazza con il mondo davanti agli occhi che è costretta a fare i conti con il suo passato, a lottare con il suo presente per un futuro più colorato.
Bris deve lottare contro il mondo per riavere la sua vita e riuscirà a farlo grazie a qualcuno che diventerà molto speciale...
*tratto dalla storia*
Gabriel, mi fai male», mi lagnai inutilmente, dimenandomi finché non diminuì la tenuta.
Dovevo cercare di rimanere calma e non metterlo in agitazione. Gabriel si agitava soprattutto quando si sentiva in pericolo oppure quando si rendeva conto di non avere la situazione in pugno! Questo più che altro lo faceva andare in bestia.
In silenzio si avvicinò a me e potei sentire i battiti scalpitanti del suo cuore quando mi strinse tra le sue braccia, avvolgendo le mani intorno la schiena e appoggiando il viso sulla mia spalla.
« dimmi che mi ami!! », sussurrò a denti stretti, guardandomi poi negli occhi e mettendomi le mani sul viso in modo che potessi guardalo senza alcun ostacolo « dimmelo! »
« ti amo »
Genere: Generale, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
  Image and video hosting by TinyPic

Vita malata



‘’Non importa quanto una cosa faccia male,certe volte,
rinunciare a quella cosa, fa ancora più male.’’
Meredith Grey

« tu sei mia!», pronunciò a denti stretti, stringendomi il braccio con la sua mano forte e muscolosa,facendomi quasi male. I suoi occhi brillavano e sembravano sputare lingue di fuoco incandescenti,mentre la sua stretta diventava sempre più forte e la mia possibilità di sfuggirgli diveniva sempre più distante.
Sapevo di non avere alcuna possibilità, lo avevo constatato più volte e avevo anche imparato che fuggendo mi sarei fatta ancora più male. Non potevo far nulla per cambiare il presente, mi ero cacciata in un guaio più grande di me e adesso ne dovevo pagare le conseguenze. Era sempre così: se non ubbidivo ai suoi ordini, se non mi sottomettevo ai suoi voleri finivo sempre con un occhio nero o probabilmente con un coltello puntato alla gola.
Cercai di divincolarmi dalla sua presa ferrea,già avvertivo le vene della mano pulsarmi così forte da sembrare che potessero scoppiarmi da un momento all’altro e non ne sentii più la mobilità.
« Gabriel, mi fai male», mi lagnai inutilmente, dimenandomi finché non diminuì la tenuta.
Dovevo cercare di rimanere calma e non metterlo in agitazione. Gabriel si agitava soprattutto quando si sentiva in pericolo oppure quando si rendeva conto di non avere la situazione in pugno! Questo più che altro lo faceva andare in bestia.
Mi faceva male vederlo in quel modo, il viso paonazzo e gli occhi spiritati e fuoriusciti dalle orbite. Rischiavo continuamente la vita ogni talvolta vi entravo in contatto ma non potevo lasciarlo solo a combattere i demoni che dimoravano nella sua mente. Avevamo bisogno entrambi l’una dell’altra.
In silenzio si avvicinò a me e potei sentire i battiti scalpitanti del suo cuore quando mi strinse tra le sue braccia, avvolgendo le mani intorno la schiena e appoggiando il viso sulla mia spalla.
« dimmi che mi ami!! », sussurrò a denti stretti, guardandomi poi negli occhi e mettendomi le mani sul viso in modo che potessi guardalo senza alcun ostacolo « dimmelo! ».
« ti amo »

*


« hai una sigaretta?» mi sollevai leggermente,coprendo con un lenzuolo il mio seno abbandonante e portando la testa all’indietro, gemendo quando i miei capelli umidi sfiorarono la mia pelle nuda.
Cercai con lo sguardo i miei indumenti, dimenticati dall’altra parte del letto disfatto e mi alzai,recuperando il pacco di sigarette dalla tasca dei miei pantaloni stracciati.
La pioggia batteva incessantemente,picchiettando sul vetro della grande finestra da dove si intravedevano dei grossi nuvoloni grigi che non presagivano nulla di buono e ricoprivano l’intera città come un lungo lenzuolo scuro.
Dall’apertura si poteva vedere tutta la città. New York era una grandissima metropoli dalle mille sfaccettature e dalle tante classi sociali che si contrapponevano l’una con l’altra. C’erano i ricchi che vivevano beatamente nelle loro villette, tracannando tutto il cibo e il vino che il loro stomaco poteva sopportare. La classe media che si limitava a vivere negli enormi grattacieli che sembravano sfiorare la maestosità del cielo stesso e poi c’eravamo noi: poveri disgraziati che non avevamo nemmeno la fortuna di avere un tetto sopra la testa o quantomeno un modo per ripararci dalle intemperie della società.
Non era sempre così! Dovevo considerarmi fortunata quando riuscivo ad accalappiare una notte al caldo, quando riuscivo a toccare delle sontuose coperte di lino e mangiare anche un piccolo pezzo di pane,ammaliando un vecchio riccone che magari non si concedeva una notte da ‘’leoni’’ dai tempi della prima guerra mondiale.
Mi fermai quando sentii il suo sguardo perforarmi la schiena seguito da un movimento e dal rumore delle lenzuola. Mi sentii ancora più nuda, spogliata di me stessa e della mia dignità di donna, ma quello era l’unico modo che avevo di sopravvivere …
Questa vita non potevo considerarla un regalo del destino, soprattutto perché dovevo lottare con le unghie e con i denti per accaparrarmi un posto nel mondo. Non andavo fiera di ciò che facevo , a volte il peso della vergogna era così forte da non farmi dormire la notte, ma stavo morendo di fame o stavo morendo davvero.
Sussultai quando delle mani mi cinsero il ventre e le sue labbra si poggiarono sulla mia schiena, spostando i miei capelli con le sue mani fredde e iniziò a baciarmi avidamente, per poi risalire piano piano sul mio collo.
« come hai detto di chiamarti?», sussurrò con fiato corto,soffiandomi nell’orecchio « Briseide? ».
« Bris, chiamami Bris », risposi con stizza, allontanandomi da lui e scendendo dal letto per recuperare quel che rimaneva dei miei vestiti, così da andarmene il più in fretta possibile prima che Gabriel mi venisse a tirare per i capelli a causa del mio enorme ritardo.
Non voleva che ritornassi troppo tardi, aveva il terrore che scappassi con i soldi e lo lasciassi solo,abbandonato al suo destino, ma sapevo che se lo avessi fatto mi avrebbe inseguito fino in capo al mondo solo per tagliarmi la gola.
«dove credi di andare, bambina? », sbiascicò l’uomo con tono di voce autoritario, prendendomi per la schiena e trascinandomi nuovamente su quel letto dove poco prima avevamo consumato una notte di passione, sdraiandosi sopra di me e schiacciando il mio seno con il peso del suo torace.
Era un uomo sulla sessantina, i suoi capelli erano bianchi e brizzolati e qualche rughetta faceva capolino ai lati dei suoi piccoli occhi fini e da un colore azzurro ghiaccio.
Iniziò a baciarmi il collo e a toccare con le sue mani rugose la mia pelle abbronzata per via delle lunghe giornate passate sotto la luce del sole. Non ne avevo abbastanza?
« lasciami! », mi lagnai cercando di trovare una scappatoia « mi dispiace mio caro! Il servizio è finito, quindi dammi i soldi e vattene a quel paese! »
Il tizio probabilmente aveva problemi di udito a causa dell’età avanzata e non mi ascoltò nemmeno per sbaglio, continuando a baciarmi avidamente il collo e facendosi spazio tra le mie gambe.
« il servizio finisce quando IO deciderò di farlo finire »,ringhiò a denti stretti, prendendo i miei polsi con foga e immobilizzandomi in modo da non farmi scappare.
Strizzai gli occhi quando iniziò a spingere violentemente, reggendo tutto il suo peso sulle mie braccia e facendomi urlare da dolore. Mi fece un male atroce ma agli uomini come lui interessava soltanto salvaguardare il suo rendiconto, fregandosene della vita umana. Sapevo già che era abituato a violentare le ragazze ma non avevo altra scelta: avevo bisogno di denaro e questa era la strada più facile per procurarsene e non passare un’altra notte senza cibo, acqua o un luogo dove dormire.
Mi baciò avidamente le labbra, infilandomi la lingua e in bocca e io, prendendo la palla al balzo, gliela morsi restituendogli il dolore che mi aveva provocato un attimo prima.
«puttana! », disse alzandosi violentemente, portandosi le mani in bocca.
Scesi dal letto di corsa, prendendo il resto dei miei vestiti per andarmene a gambe levate « devi capire che non hai più l’età per certe cose ».


La giornata si rivelò più tetra di come ricordassi. Il cielo era terso e la pioggia si dibatteva incessantemente sul mio viso provocandomi degli scossoni lungo la spina dorsale, penetrandomi fin dentro le ossa o quel che ne rimaneva.
Ritornare da Gabriel con quel tempo si sarebbe rivelato una condanna a morte e quindi optai per il parco abbandonato dietro l’enorme centro commerciale a pochi isolati da qui, dove si trovava un piccolo capanno disabitato dal legno logoro e rovinato ma che si sarebbe rivelato un ottimo giaciglio per ripararsi dalla tempesta.
Non avrebbe retto a lungo, soprattutto ora che l’inverno era alle porte portando con sé le conseguenze pari ad un cataclisma tropicale ma almeno sarebbe stata la soluzione migliore, soprattutto rispetto al piccolo ponte che ormai consideravo il mio rifugio quotidiano.
Mi sentii più intorpidita di quel che sperassi, con le ossa doloranti per via di quella notte in cui il nonnetto si era dato alla pazza gioia, dando sfogo alle sue voglie represse e trovando un rimedio per le sue artrosi.
Ero stanca di sentirmi di continuo una marionetta nelle mani del suo burattinaio, un oggetto utilizzato solo per il divertimento degli altri. Non avevo altra scelta e questa era la cosa che mi faceva sentire peggio: non avere soluzioni per cambiare la mia vita e renderla migliore. Arrivai alla soglia del piccolo capannone e restai all’ingresso, guardando sbalordita il luogo che avevo considerato per così a lungo la mia casa, ripensando a come un tempo era stato florido e rigoglioso mentre adesso non era rimasto che un aggrego di pezzi di legno logoro e dalle assi rovinate che a malapena si reggevano in piedi.
Salii gli scalini scricchiolanti e mi adagiai sul pavimento con le gambe strette al ventre, aspettando che la pioggia cessasse così da darmi la possibilità di ritornare a casa.
Mi ricordai quando non molto tempo fa mi arrampicavo sul tetto, facendo finta di trovarmi nella fortezza di un grande castello, mentre adesso quello stesso tetto a spiovente era pieno di buchi e fessure dove subentravano goccioline d’acqua che battevano sul pavimento ligneo, generando una piccola pozzanghera che si andava estendendo ogni talvolta una minuscola goccia lo colpiva.
Era passato un bel po’ di tempo da allora, da quando Gabriel mi aveva trovata vagare senza meta e mi aveva presa con sé, dicendomi che insieme avremmo edificato la nostra fortezza e trasformato quella piccola casa di legno nel nostro punto di riferimento, nell’epicentro del nostro amore: come l’ossigeno per un essere umano o come la stella polare per il suo marinaio.
Saremmo stati una cosa sola, in simbiosi per sempre.
Non osai minimamente immaginare al suo stato d’animo, alla preoccupazione nel non vedermi arrivare. Era sempre stato possessivo nei miei confronti ma non per egoismo ma per il semplice fatto che mi amava troppo. Mi amava più di quanto amasse se stesso e questo potevo considerarlo il suo tallone di Achille. Questo affetto nei miei confronti avrebbe provocato la distruzione di entrambi.
Non avevo idea del tempo passato ad aspettare che la pioggia cessasse e mi sembrò passata un’eternità da quando avevo messo piede in quell’album dei ricordi. Il freddo sembrava aver messo radici e dal cielo cominciò a discendere una flebile sostanza bianca che si posò delicatamente sul terriccio inumidito dalla pioggia, scomparendo subito dopo come se non fosse mai esistita.
«dov’eri finita?», sbiascicò una voce alle mie spalle, facendo scricchiolare le assi del pavimento con il suo tenue passo.
Non c’era alcun bisogno di voltarmi, conoscevo quella voce come le mie tasche e avevo imparato a riconoscere ogni sua minima sfaccettatura. Era sicuramente entrato dal retro, dove le termiti avevano avuto modo di divorare le pareti della baracca, provocando un enorme buco nel legno rovinato. Sospirai, consapevole che sarebbe stata una lunga notte all’insegna della sopravvivenza e io non avevo la forza per sopportare un altro litigio, un’altra violenza o una lotta tra me e il resto del mondo.
Desideravo solo avere pace, non vivere più quell’esistenza che mi aveva condannata ad una vita malata piena di sofferenza e di vergogna. A volte ero anche arrivata a desiderare di non vivere affatto, ma avevo promesso ad una persona che lo avrei ritrovato e riportato da me e avremmo vissuto insieme per sempre, vivendo quella vita che non ci aveva dato l’opportunità di essere vissuta.
Mi voltai lentamente, vedendo Gabriel fermo e immobile come una statua di marmo, con le braccia stese lungo i fianchi e le mani chiuse in un pugno che stringeva così forte da avere le nocche bianche e in contrasto con la sua carnagione scura. I suoi capelli neri erano scompigliati e bagnati dalla pioggia e delle piccole goccioline scivolavano dalla punta dei suoi capelli umettando il suo viso dai lineamenti ben delineati. Dalla sua bocca fuoriuscivano nuvolette di fumo causate dal freddo al contatto con l’aria gelata, mentre le sue spalle si alzavano e si abbassavano come se avesse percorso una maratona per mille miglia.
I suoi occhi verde smeraldo mi guardarono con stizza, lasciando trapelare tutto quelle emozioni che lo avevano travolto in quel tangente. Era come un libro aperto ed ero a conoscenza della rabbia che gli ribolliva dentro. Gabriel era sempre abituato ad avere ogni cosa sotto mano e odiava quando gli altri non rispettavano le sue regole.
Mi sollevai lentamente, barcollando due o tre volte e iniziai a torturarmi le mani così da non doverlo guardare negli occhi, sapendo che mi sarebbe potuto essere fatale.
« E` iniziato a piovere e ho preferito cercare riparo», parlottolai con voce tremante dicendo la prima cosa che mi fosse passata per la mente , anche se corrispondeva alla verità.
Gabriel sorrise e agli angoli della sua bocca comparvero delle piccole fossette che lo resero quasi tenero, prima che iniziasse a ridere grossolanamente e che la sua voce potesse rimbombare nell’aria.
Si avvicinò a me velocemente e con un rapido scatto fulmineo mi sferrò uno schiaffo in pieno volto, facendomi scivolare e cadere a terra, causando un rumore sordo.
«quante volte ti ho detto che devi tornare subito da me? Non me ne importa un fico secco della pioggia! », sbiascicò con stizza avvicinandosi e sferrandomi un calcio in pieno stomaco.
Mi misi le mani davanti la faccia,evitando che mi colpisse in pieno volto e cercando di ripararmi il più possibile «scusa! », lo implorai vedendolo fare qualche passo indietro per poi avvicinarsi nuovamente per afferrarmi il colletto della camicia ,issandomi con tutta la forza che aveva in corpo. «hai i soldi?! »
Il male che provavo non era comparabile con la morsa alla stomaco che sembrava quasi soffocarmi. Schiusi gli occhi,sentendo già le lacrime comparire dai miei occhi e rigarmi il viso « mi dispiace …», sussurrai con voce tremante « non mi ha voluto pagare, voleva che rimanessi ancora con lui ma non ce l’ho fatta»
«Quante cazzo di volte ti avrò detto che mi servono quei soldi? », strizzò a denti stretti, lasciando la presa per poi spingermi, facendomi finire sul terriccio infangato « Io ti do da mangiare,ti do un buon lavoro e ti aiuto a cercare tuo fratello e in cambio? Mi ripaghi così? Non dandomi nulla ? », strinsi i pugni e abbassai il viso guardando di sottecchi il suo diventare paonazzo e ancora più adirato.
Mi sentii un verme,una nullità,una buona a nulla.
Aveva ragione, non valevo niente! Ero solo un piccolo moscerino che non riuscivo a trovare un posto nel mondo.
Mi alzai, con gli occhi gonfi, assaggiando le mie lacrime amare « mi dispiace … ma avevo paura che ti saresti arrabbiato del ritardo e …» « devi stare zitta! », sbottò facendosi avanti « tu non sai niente!! » si avventò su di me,avvolgendomi il collo con le sue grosse mani forti e callose, avvicinando il suo viso al mio,stringendo i denti così forte da farsi scoppiare a sangue il labbro inferiore.
Nonostante tutto quello che mi stava facendo non riuscivo ad odiarlo né a provare il minimo rancore. Cercai di fargli allentare la presa ma non sentivo più niente, solo il cuore battere più veloce del solito e il mondo volteggiare intorno a me senza freni.
« così l’ammazzi! », assaltò una voce come un fulmine al ciel sereno. Non riconobbi quel timbro di voce e mi sembrò provenire da lontano e in sottofondo distinsi una figura sfocata correre a perdifiato verso la nostra direzione. Avrei voluto urlare, chiedere aiuto ma le parole sembravano essermi rimaste in gola, finché non sentii allentare la presa sul collo e spalancai gli occhi quando vidi il viso di Gabriel diventare pallido e i suoi occhi sgranati, come se avesse visto un fantasma. Gabriel si staccò definitivamente da me,cadendo a terra come un peso morto. Aprii la bocca per poi richiuderla poco dopo, sbattendo le palpebre, cercando di capire quel che era successo.
Alzai lo sguardo,scorgendo un ragazzo con un pezzo di legno in mano e capii immediatamente, sentendomi quasi rincuorata e quasi in colpa per quel senso di benessere che mi aveva travolta.
Mi sentivo strana e confusa e crollai sulle ginocchia, guardando Gabriel ad occhi chiusi respirare convulsamente.
Come poteva essersi ridotto così? Molte volte era arrivato a picchiarmi violentemente ma non fino al tal punto da rischiare di soffocarmi. Alzai lo sguardo verso quello del ragazzo dagli enormi occhi azzurri. Lui sorrise dolcemente come a volermi rassicurare e si avvicinò flebilmente, chinandomi e stringendomi tra le sue braccia. Non replicai, anche se il cuore mi batteva incessantemente dentro al petto ma volevo solo andarmene, scappare da quella realtà che mi stava diventando stretta, abbandonandomi al torpore del suo corpo caldo e del suo profumo aromatico.
Non mi incuteva terrore, al contrario, mi infondeva una strano senso di pace che non sentivo da tanto. Era come se ci fossimo conosciuti tanto tempo fa, in un’altra vita e che fossimo destinati a rincontrarci.
«… ora mi occupo io di te …»,sussurrò portandomi via con sé.

… Forse finalmente avevo trovato la pace che cercavo …



‘’Non importa quanto una cosa faccia male,certe volte,
rinunciare a quella cosa, fa ancora più male.’’
Meredith Grey



Salve a tutte e benvenute nel mio piccolo mondo!
Ringrazio tutti coloro che hanno letto la storia o che stanno ancora a metà pregando di finire in tempo per svoltare pagina e andare in un'altra storia che faccia sognare ancora. Perchè questo è il nostro compito: far sognare chiunque ad occhi aperti, anche solo per qualche minuto! :)
Vi dico subito che ci saranno spesso queste mie piccole note, perché mi piacerebbe instaurare un bel rapporto con i lettori e sapere i loro pensieri e le loro riflessioni.
prima di andare però vorrei dedicare questo capitolo ad una persona che ho conosciuto in questo sito e che ora è diventata una delle persone più importanti, la mia quotidianità e la mia migliore amica :)
grazie a Princess of Dark per avermi supportato in questa mia avventura e per sopportarmi ogni giorno, continuando ad essere sempre una persona stupenda e bella dentro! Grazie d'esistere <3
Un kiss forte :*
Aishia
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Aishia