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Autore: Alexia93    01/10/2014    0 recensioni
Siete in una piazza e, davanti a voi, seduto su una panchina, c'è un uomo vestito di nero che vi fissa. Avete talmente tanta paura, da non riuscire ad avere la forza per andarci a parlare, così, chiedete in giro ma, nessuno, sembra vedere quell'uomo. Chi è? Perché nessuno riesce a vederlo? E soprattutto, chi è la bambina che ogni volta gli sussurra all'orecchio?
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccolo lì, sempre lo stesso uomo che siede sempre sulla stessa panchina malandata, fermo e immobile, sembra semplicemente aspettare qualcosa: un gesto, una persona, un avvenimento, forse neanche lui sa bene cosa, ma aspetta… e osserva tutto. Nulla sembra sfuggire al suo sguardo attento che, seppur lentamente, si muove per seguire questo, o quell’altro bambino, come un muto osservatore. Sembra stare lì da una vita ormai e non importa l’orario, non mangia, non beve e non sembra neanche respirare, sta immobile su quella panchina e, solo ogni tanto, pare interessarsi a qualcosa voltando il suo sguardo con incredibile lentezza ma, per la maggior parte del tempo, non accenna a muoversi. È vestito con una vecchia e logora tunica nera, talmente lunga da oscurargli il volto e coprirgli le mani. Tutto, accanto a lui, sembra aver perso la propria “lucentezza”, a partire dalla panchina; traballante e troppo vecchia per reggere il peso di due persone, piena di buchi e con il ferro ormai arrugginito, per arrivare addirittura all’albero vicino a lui; sempre costantemente privo di foglie, come se avesse perso la voglia di vivere. L’uomo si trova lì ormai dai innumerevoli anni, se non secoli e il tempo pare non averlo scalfino neanche un po’. L’unica differenza, forse, è che ogni anno che passa sembra diventare sempre più stanco e sempre più lento. Un’altra cosa strana è che, pur stando sempre nello stesso posto già da parecchi secoli nessuno è mai andato a parlarci, anzi, nessuno lo ha mai notato, sembra come invisibile. Solo i bambini sembrano riuscire a vederlo, forse per la loro innocenza.
Ma ecco arrivare nella piazza un bambino nuovo, probabilmente si sarà trasferito lì da poco e, subito, sembra notare l’uomo seduto sulla panchina. Il bambino decide inizialmente di ignorarlo e prova a chiedere ai suoi nuovi amici chi sia quell’uomo ma, tutti, gli rispondo sempre allo stesso modo
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Il bambino si volta in direzione dell’uomo, non riesce a vedergli il volto ma c’è qualcosa che lo attira a lui quindi decide di chiedere alla madre delle spiegazioni, ma lei, molto stupita, si guardò intorno dicendo:
<< Tesoro, ma su quella panchina non c’è nessuno! >>
Il bambino, ancora più stranito, non osò obbiettare e si diresse verso i suoi nuovi amici continuando a giocare tutti insieme.
In lontananza, intanto, vicino all’uomo, arriva saltellando una bambina con un bellissimo vestito color nero e un orsetto di pezza in braccio. Il vestito è composto da un corpetto e una gonna abbastanza amplia. Il corpetto è molto semplice con soltanto dei ricami d’orati e un piccolo fiocco nero poco più sopra dell’attaccamento della gonna. La sua pelle, poi, bianca, quasi esangue fa risaltare ancora di più il vestito, così nero, che forma un bellissimo contrasto. La piccola (o chi per lei) rendendosi conto del colore della sua pelle ha ben pensato di mettere del fard e un po’ di rossetto ma, forse, un po’ troppo perché l’effetto finale lascia molto a desiderare. Probabilmente l’autore voleva farla sembrare una piccola principessa dark ma, con quel trucco e quella pelle, piuttosto che una principessa, la bambina, somiglia moltissimo a un bambola gotica, perfetta come una di loro e con una bellezza glaciale, uno sguardo freddo e crudele e dei capelli lunghi fino alla vita. La bambina, con il suo fare esuberante, si avvicina all’uomo che pare conoscere come un vecchio amico poi, molto attenta, apre la zip dietro all’orsetto e ne estrae un piccolo foglio spiegazzato della grandezza di due dita. La piccola rimane un attimo a guardare il foglio come imbambolata da ciò che c’è scritto poi, scuote la testa e si avvicina all’uomo passandogli il bigliettino e, mentre gli sussurra qualcosa, indica davanti a sé, in un punto non ben preciso. L’uomo, però, sembra capire perché le fa un cenno di consenso con il viso e, con molta lentezza, si alza dalla panchina. Le uniche volte, infatti, dove l’uomo si sposta è proprio quando arriva lei, sempre la solita bambina, vestita sempre nello stesso modo e con lo stesso orsetto che, ogni volta, gli fa vedere un biglietto e gli indica un punto diverso dalla volta precedente. Il tempo, anche a lei, sembra non scalfirla, sono passati ormai diversi decenni ma lei continua ad assomigliare a una bambina di appena 7 anni. L’uomo, finalmente, si alza, e sembra visibilmente già stanco, come se non vedesse l’ora di ritornare per sedersi di nuovo dopo aver fatto una lunga passeggiata. La bambina accanto, invece, sembra non vedere l’ora di arrivare alla loro meta e saltella a destra e a manca con il suo orsetto ridacchiando ogni tanto. Non una di quelle risate belle e calorose da bambina ma una di quelle che ti fanno celare il sangue nelle vene. Una risata così agghiacciante e così maligna che, anche al sol sentirla, ti verrebbe da scappare il più lontano possibile pur non avendo una vera ragione per farlo. Appena l’uomo si alza, la bambina, le porge subito la sua mano e, insieme, mano nella mano, si dirigono verso la loro meta. Giusto il tempo di arrivare all’orizzonte e sembrano come sparire nel nulla. Solo pochi minuti più tardi si vedono tornare: l’uomo cammina sempre molto lentamente e la bambina, sempre molto contenta, con il suo terrificante sorriso e il suo peluche. Stavolta, però, l’uomo regge nella sua mano destra, una falce sporca di sangue. La bambina, però, continua allegramente a saltellare come se non avesse notato l’arma accanto all’uomo, anzi, sembra addirittura più contenta di qualche minuto prima, come se, la presenza di quell’arma, la rendesse ancora più felice. La piccola, continuando a saltare, arriva per prima davanti alla panchina dell’uomo e, decide di aspettarlo ma per l’euforia, alzando le braccia al cielo, fa cadere l’orsetto che finisce a pochi passi da un bambino. La piccola guarda spaventata davanti a sé e osserva il bambino prendere il suo peluche e portarlo alla madre. La bambina lancia un urlò straziante e pieno di rabbia cominciando a battere i piedi, non sembra parlare, ma le sue intenzioni sembrano chiare: vuole vendicarsi del bambino.
<< Mamma! Mamma! Guarda cos’ho trovato! >>
Disse il bambino andando dalla madre e portandole un orsetto di peluche.
<< Amore, dove l’hai trovato? >> rispose perplessa la madre
<< Era lì, prima non c’era sembra come apparso dal nulla >>
<< Non dire sciocchezze i peluche non appaiono dal nulla. Ok, non importa, vai a giocare, lascia l’orsetto a me, lo tengo io, tu vai >> disse guardando il figlio che si allontana per raggiungere i suoi amici.
La madre se lo passò più volte nelle mani: sembra un peluche di pezza come tanti, solo molto pieno di polvere, con il pelo marrone scuro e senza niente di particolare. Quasi all’ultimo la donna nota una piccola zip, proprio dietro all’orso, nascosta da tutta la polvere e dal pelo arruffato dell’animale. Aprì la cerniera ma scoprì, con un misto di delusione, essere completamente vuota. Cercò ancora di ispezionarlo bene ma sembra proprio un peluche come tanti. La donna, poi, si sofferma ad osservare le cuciture sembravano veramente perfette, ben ché lei non se ne intendesse molto, questo sembrava proprio uno di quei peluche creati per durare decenni. “Chissà dove è stato comprato” pensò rigirando il pupazzetto tra le mani e trovando finalmente l’etichetta. Su quest’ultima, però, trovò solo una semplice scritta fatta con un pennarello indelebile nero che dice: “Destiny”. La donna si avvicinò al primo secchio della spazzatura e, sta per buttare il peluche quando, proprio prima di buttarlo, sente cadere qualcosa dalla zip che aveva lasciato aperta. Poggiò il peluche per terra e si concentrò su ciò che era caduto dall’orsetto: un semplice bigliettino. La madre rimase molto sorpresa, era convinta che non c’era niente nel peluche e aveva controllato molto scrupolosamente, com’è possibile? “Che sia apparso anche il biglietto? Proprio come quest’ orso?” pensò rivolgendo il suo sguardo verso il peluche che, però, sembra essere sparito nel nulla senza che lei si rendesse conto di niente. Mise il foglio in tasca e chiamò il figlio:
<< Hai preso tu l’orsetto che mi hai dato? >> gli disse << Non mentire per favore, lo sai, se lo vuoi basta dirmelo e lo portiamo a casa >> aggiunse in un secondo momento
<< No, mamma perché? >>
La madre liquidò il bambino dicendo di tornare a giocare e si concentrò di nuovo sulla faccenda. La donna, sempre più stranita e incredula, decise di vedere finalmente il bigliettino e, ciò che lesse la lasciò impietrita. Su quel biglietto, scritto con la grafia di un bambino e con una penna, il cui rosso, era così intenso da sembrare scritto con il sangue, c’era il nome di suo figlio: Max.

Quella notte, probabilmente, la ricorderanno in pochi ma, proprio durante le prime ore notturne, il pianto straziante di una madre riecheggiò nell’aria, seguito, qualche istante dopo, da una risata fragorosa di una bambina mentre, l’uomo in nero, tornava con la sua falce sporca di sangue alla sua panchina per attendere il prossimo nome.
   
 
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