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Autore: Kary91    01/10/2014    8 recensioni
[Sebastian Odair (figlio di Finnick)|Post-Mockingjay|Mini Long]
Lo era anche in quel momento, pensò il ragazzo, mettendo a confronto se stesso e il padre. Entrambi indossavano solo i jeans e sembravano perfino avere una postura simile, nonostante lui fosse a braccia conserte, mentre Finnick aveva le mani nelle tasche. Si somigliavano; non eccessivamente, ma in maniera comunque evidente.
Erano come Peter Pan e la sua ombra.
***
“Avrebbe scelto di crescere, per me?” mormorò infine. Non ebbe bisogno di specificare di chi stesse parlando: sapeva che Lyla avrebbe capito. “Mi avrebbe amato, come amava mia madre?”
“Forse anche di più” rispose la ragazza, facendo scivolare le dita fino a sfiorare il collo. “Probabilmente ha incominciato a volerti bene ancor prima che esistessi. E te ne vuole ancora.”
“Come?” replicò il ragazzo tornando a chiudere gli occhi, sentendosi improvvisamente stanco. “Mio padre è morto.”
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Bimbo Cresta-Odair, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Peter Pan del Distretto 4.'
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«Sai, quel luogo che sta tra il sonno e la veglia, dove ti ricordi ancora che stavi sognando? Quello è il luogo dove io ti amerò sempre.»

― Hook Capitan Uncino. 1991

 

Il figlio di Peter Pan

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Act 1 - Lost boy

1| Chi è Peter Pan?

Le onde, quella sera, erano insolitamente calme; Sebastian se ne accorse non appena arrivò alla baia, camminando a passo svelto per raggiungere la riva. Si guardò indietro un paio di volte, preoccupato dal pensiero che sua madre potesse vederlo. Non sapeva che ora fosse – aveva solo sei anni, in fondo – ma era sicuro che, di notte, i bambini non potessero uscire di nascosto per andare in spiaggia. Non ne aveva mai visto nessuno da solo, durante i suoi peregrinaggi serali: erano sempre in compagnia di qualche adulto o di un fratello più grande.

Usciva lo stesso, però. Non poteva farne a meno: la spiaggia, la sera, aveva qualcosa che lo affascinava. Gli piaceva il fatto di poter avere il mare tutto per sé, perché erano poche le persone che visitavano la baia a quell’ora. E poi, di notte, il vento era sempre più forte e le onde si agitavano parecchio, libere di giocare indisturbate; e quello a Sebastian piaceva da matti, così come adorava l’aria fresca che gli faceva il solletico sul collo, facendo spuntare tanti piccoli puntini sul suo torace: si chiamava pelle d’oca, quella sensazione. L’unico tocco più bello di quello del vento erano le carezze che gli dava la mamma, le rare volte in cui, guardandolo negli occhi, metteva da parte il suo primo nome per chiamarlo Sebastian. Soltanto Sebastian.

Quella sera, tuttavia, non provò la solita sensazione di solletico sulla pelle: faceva caldo e le onde si dondolavano lente, invece di giocare alla cavallina tutte assieme. Il ragazzino si sedette sulla sabbia, cercando un po’ goffamente di risvoltarsi i jeans. Si guardò attorno alla ricerca di Adrian, il signore dai capelli così biondi da sembrare bianchi che passeggiava per la baia ogni giorno. Spesso gli teneva compagnia, mentre sedevano assieme sugli scogli. Voleva molto bene ad Adrian, anche se non rideva mai e i suoi occhi erano così tristi da sembrare fatti di mare, tanto erano pieni di lacrime. Lacrime che ogni tanto gli scivolavano sulle guance, soprattutto mentre l’uomo raccontava una delle sue storie. Ne conosceva moltissime ed erano talmente belle che Sebastian non poteva fare a meno di ascoltarlo incantato, disegnando nella mente ogni immagine evocata dalle sue parole, in maniera da poterle poi descrivere a sua madre.

Adrian, però, quella sera non c’era: di notte lavorava e il suo mestiere era ciò che Sebastian sognava di poter fare una volta cresciuto. Il ragazzino si schermò gli occhi con la mano e si voltò verso il faro, la cui luce danzava sul mare a intermittenza: dentro a quella torre Adrian sorvegliava il mare, così come prima di lui aveva fatto suo fratello Killian. E il loro nonno, Jeremiah, prima ancora.

Sebastian sbadigliò, stropicciandosi un occhio con una mano. Stava per alzarsi, deciso a raggiungere gli scogli, quando si accorse della presenza di qualcuno alle sue spalle. Sobbalzò, colto alla sprovvista, ma i suoi occhi si fecero d’un tratto incuriositi nell’incrociare quelli di una bambina: la ragazzina lo stava fissando da lontano; i lunghi capelli finissimi di un colore biondo-biancastro, che ricordava la sabbia, le nascondevano parte del volto. Aveva un’aria furtiva e sembrava indecisa se avvicinarsi o meno.

“Mi stai spiando” osservò a quel punto Sebastian, inclinando appena il capo verso destra. La bambina fece un passo indietro e il coetaneo si morse il labbro inferiore: non voleva che andasse via. Era la prima volta che gli capitava di trovare una bambina alla baia la sera tardi e avrebbe solo voluto giocare con lei. Di solito non era molto bravo a stare con gli altri ragazzini. Gli piaceva guardarli, questo sì, perché li trovava buffi. Un po’ li invidiava, perché li sentiva ridere e piangere spesso e quelle erano due cose che a lui riuscivano sempre parecchio difficili. Sorrideva molto, Sebastian, e altrettanto di sovente aveva gli occhi tristi. Ma le lacrime scivolavano giù a fatica oltre le sue palpebre ed erano poche le volte in cui gli capitava di ridacchiare a lungo, come invece facevano molti ragazzini che conosceva.

“Come ti chiami?” chiese a quel punto Sebastian, muovendo qualche passo verso la bambina. La piccola esitò, rivolgendogli l’ennesima occhiata diffidente. Com’è bella, pensò Sebastian, osservandola meglio: con quei capelli biondo chiaro e gli occhi grigi così grandi, sembrava quasi una fata.

“Non ti spiavo, guardavo solo” ribatté a quel punto la ragazzina, facendo spallucce. “È che il papà ha detto che gli somigli, ma secondo me non è vero” specificò poi, sfilandosi una ciocca di capelli dal volto.

“Che vuoi dire?” chiese Sebastian, aggrottando le sopracciglia. “A chi assomiglio?”

Si stropicciò i capelli, ponendosi la stessa domanda: a chi assomigliava lui?

A mio papà, pensò istintivamente, fasciandosi il torace nudo con le braccia: incominciava a fare un po’ freddo. Dapprima gonfiò il petto con orgoglio, ma poi gli tornarono in mente gli occhi tristi che trasformavano il volto di sua madre, le volte in cui la donna si rabbuiava dopo averlo chiamato Finnick. La fierezza nel suo sguardo si smorzò: non voleva assomigliare a suo papà; non lo conosceva nemmeno.

La bambina storse appena le labbra con espressione impensierita.

“A Peter Pan” rispose dopo un po’, giocherellando con il braccialetto di nodi che portava al polso. “Papà dice che sei il figlio di Peter Pan.”

Sebastian le rivolse un’occhiata perplessa: lui non conosceva nessun Peter Pan. Sapeva che ogni tanto veniva additato dai ragazzini della zona perché era un po’ strano, ma quella bambina aveva tutta l’aria di essere più bizzarra di lui.

“Ma non è vero” obiettò in fine in tono di voce pacato, perché non voleva sembrarle arrabbiato. “Mio padre si chiamava Finnick, non Peter Pan. Finnick come me” si sentì poi in dovere di aggiungere, nonostante nessuno, a parte sua madre, utilizzasse più il suo primo nome da tempo.

La bambina aprì la bocca per rispondergli, ma venne distratta dai movimenti di qualcuno che si stava affannando per raggiungere la baia. Sebastian lo riconobbe subito, per via dei capelli chiarissimi che gli incorniciavano il volto magro.

“Lyla!” esclamò Adrian prima di fermarsi per riprendere fiato: doveva aver corso dal faro fino a lì. Solo in quel momento Sebastian si rese conto della forte somiglianza fra l’uomo e la ragazzina che aveva di fronte.

“È lui tuo padre?” chiese, grattandosi perplesso la testa.

La bambina – Lyla– gli rivolse un’ultima occhiata attenta, prima di correre via, per raggiungere l’uomo dai capelli chiari. Adrian, adesso, non sembrava più così agitato; sorrise a Sebastian e gli rivolse un cenno di saluto, prima di prendere per mano la bambina e incamminarsi con lei verso il faro. Forse anche Lyla, si disse il bambino, era scappata di nascosto per andare alla baia e il padre era venuto a recuperarla.

In quel momento Sebastian provò una fitta d’invidia nei confronti della coetanea: lui usciva di casa quasi tutte le sere, d’estate, ma nessuno era mai sceso in spiaggia a cercarlo. Sua mamma non si era mai accorta dei suoi vagabondaggi notturni; le uniche volte in cui sembrava sempre coglierlo sul fatto erano quelle in cui il bambino sgattaiolava in mansarda per giocare con il tridente del padre: in quelle occasioni Annie lo trovava sempre e lo sgridava, a tratti ridendo delle sue monellerie, a tratti piangendo per l’apprensione al pensiero che il figlio avrebbe potuto farsi male. Tutte le altre cose che Sebastian faceva si confondevano con i rumori che li circondavano e la donna non le sentiva; le sue orecchie erano sempre troppo occupate a cercare di captare una vecchia ninna nanna: quella che Finnick – il vero Finnick - le canticchiava di tanto intanto, quando era ancora vivo.

Sebastian affondò l’alluce nella sabbia umida e tracciò una riga, che venne subito cancellata da un’onda. Avrebbe voluto seguire Adrian e sua figlia al faro, ma stava incominciando a farsi troppo buio. Se da un lato desiderava che sua madre si accorgesse della sua assenza più di ogni altra cosa al mondo, dall’altro lo turbava l’idea di impensierirla e farla stare male. Così diede le spalle al mare e s’incamminò a passo svelto verso l’ingresso della baia. Per un attimo gli tornarono in mente le parole di Lyla e non poté fare a meno di aggrottare un’ultima volta le sopracciglia.

“Chi è Peter Pan?” mormorò fra sé, prima di stringersi nelle braccia e attraversare di corsa la stradina che l’avrebbe condotto a casa.

 

Nota dell’autrice.

Questa storia è nata principalmente per essere una sorta di tributo a Hook Capitan Uncino - complice forse la recente morte di Robin Williams - , che è da sempre uno dei miei film preferiti. Era da un po’ che sognavo di tornare a scrivere sul faro del Distretto 4 e i suoi “guardiani”, perché Killian, fra i vari OC creati per le interattive assieme a Giraffetta, è quel personaggio che ho sempre portato nel cuoricino.

Fin da quando scrissi “un bimbo sperduto” ho sempre associato Finnick al personaggio di Peter Pan e riguardando un paio di clip su Hook, dove Peter è cresciuto e ha avuto dei figli, ho pensato istintivamente a Sebastian. La ninna nanna della figlia di Peter, Maggie, mi ha fatto tornare in mente Sebastian ascolta con gli occhi e il resto è venuto da sé. 

 

Come sempre la storia era nata per essere una one-shot, ma si è pian piano trasformata in qualcosa di più lungo, così ho pensato di dividerla. Per accentuare il parallelismo fra il racconto e il film di Hook, ho suddiviso la trama nei tre atti che, nella maggior parte dei casi, compongono una sceneggiatura. Ogni atto sarà composto da due capitoli, e al terzo atto seguirà poi solo più l’epilogo. Quindi, in sostanza, siamo già a metà del primo atto xD

Come già accennato, questa storia riprende in parte degli avvenimenti raccontati in una precedente one-shot intitolata “Un Bimbo Sperduto”. Ho cercato di mantenere soprattutto lo stile e la struttura di quella, quindi i toni sono un po’ surreali e ci sarà qualche mini flashback, nonché dei passaggi che riprenderanno un paio di scene del film Hook.  Killian Harbor, il ragazzino co-protagonista di Finnick in quel racconto è lo stesso Killian che viene menzionato qui (il fratello di Adrian) e verrà nominato spesso nel corso della storia. Il personaggio di Adrian, così come la baia dove si svolge la vicenda di Sebastian, dovrebbero fare comparsa in un’altra mia storia che però non c’entra molto con gli Odair (la famosa “storia dell’ancora” che qualcuno già conosce XDD), ed è anche per questo che ho deciso di tornare a scrivere qualcosa sulla famiglia Harbor e sullo stesso Sebastian.

 

Ringrazio chiunque abbia letto questo primo capitolo.

 

Un abbraccio e a presto!

Laura

 

 

 

   
 
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