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Autore: Iridium    01/10/2014    5 recensioni
'D’improvviso mi resi conto di quanto la famiglia, il nostro legame come fratelli e come Figli del Diavolo, mi avesse oscurato la mente. Ero sempre stata così fedele alla nostra missione da non prendere nemmeno in considerazione l’idea che qualcuno dei miei compagni si allontanasse da essa o addirittura la tradisse. Ma ciò che più mi gelava il sangue nelle vene era il fatto che fosse stato Taygher. Lui era il mio gemello, la mia faccia speculare per natura, c’eravamo sempre stati l’una per l’altro più che con qualsiasi altro del gruppo. Eravamo indistruttibili, insieme.'
[Dal capitolo II ]
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 : Città dormiente. 

La città dormiva ai miei piedi, avvolta dall’oscurità. Poche luci ancora erano accese nei palazzi più vicini. Mi trovavo su una collina, da cui riuscivo a scorgere gran parte di New York. Quest’ultima continuava a vivere giorno per giorno ignorando i pericoli che lei stessa ospitava. Era un paradosso ma ero certa che la città fosse al sicuro più nelle tenebre che alla luce del sole, secondo me molto sopravvalutata. Muoversi di notte era molto più semplice, veloce e pratico. Non c’erano occhi indiscreti e i quartieri dove i Morder potessero mietere vittime si concentravano nella parte dimenticata e povera, facile da localizzare quindi.
Quella notte però c’era una calma irreale. Stava accadendo qualcosa di grosso, me lo sentivo e il mio istinto non sbagliava spesso. Quello che più odiavo era il senso di impotenza che provavo in quel momento. Avevo voglia di andare a caccia, di uccidere e vedere negli occhi dei miei nemici la paura e la rassegnazione il momento prima in cui la vita, inietta e schifosa di cui si erano appropriati indebitamente, lasciava il loro corpo. Solo così si poteva ristabilire l’ordine preciso delle cose.
Accanto a me, seduto come una sfinge, Keiden si mosse e si voltò a fissarmi. Alzai una mano e gli accarezzai il pelo dietro al collo, era morbido e folto. I suoi occhi cambiarono improvvisamente colore, diventando di un nero profondo, totale. Anche lui percepiva che qualcosa non andava. Di certo quella variazione di colore non era una dote tipica del lupo cecoslovacco per cui lo spacciavo con gli umani. Keiden era un lupo a tutti gli effetti, una creatura antica venuta con me dagli inferi. Era la mia guida ed io ero la sua, ci completavamo come squadra e ci capivamo al volo, al solo guardarci. Inoltre lui aveva un ottimo fiuto per i Morder, le creature a cui davo la caccia e che uccidevo, quasi sempre senza pietà. Ero un soldato in una guerra silenziosa che si svolgeva ogni notte a New York. I Morder erano demoni, traditori. Avevano rinnegato la loro stessa natura ed erano fuggiti dall’inferno per sventare all’ira del diavolo. Avevano invaso la città da circa sette anni e ogni notte mietevano vittime umane e non. Viveva tra loro infatti un altro tipo di popolo, silenzioso e cauto quanto me e i miei fratelli, quello dei Guardiani. Questi ultimi avevano un aspetto del tutto simile al resto della gente se non fosse stato per una scintilla dentro di loro. Un’inezia. Il resto di una luce proveniente da un'altra realtà che li rendeva forti e consapevoli dell’esistenza delle creature oscure. Molti umani, se avessero saputo della loro esistenza, li avrebbero chiamati angeli ma non lo erano poiché parte di questi ultimi era stata distrutta dal clima del pianeta all’inizio dei tempi, per questo avevano finito di interessarsi agli umani e li avevano probabilmente scordati completamente. I Guardiani discendevano dai figli che questi primi angeli avevano avuto con donne umane ma non avveno più niente di celestiale o di caritatevole. Durante tutta la storia si erano tramandati di generazione in generazione la loro missione senza poterla portare a termine poiché non c’era un vero nemico da combattere. Ma la loro essenza più profonda si era finalmente risvegliata con l’arrivo dei Mordor, il male che aveva invaso la Terra. Erano guerrieri quanto me e i miei simili ma, mentre loro combattevano per proteggere gli umani io combattevo per uccidere i Mordor. Il nostro fine poteva sembrare lo stesso ma partivamo da posizioni opposte. A me degli umani importava poco mentre i Guardiani  li proteggevano a mo’ di ringraziamento, poiché li avevano accolti in principio tra loro come loro simili. Gli umani odierni questo non potevano saperlo, però, perché la loro memoria era molto più debole di quella delle altre stirpi.
Mi alzai rassegnata a non affrontare nessun combattimento quella notte e mi incamminai con Keiden affianco verso l’uscita del parco di cui faceva parte la collina. In città non girava anima viva, incontrai solo un paio di drogati strafatti e una prostituta che in un angolo contava i soldi dell’ultima scopata. Non alzarono nemmeno gli occhi al nostro passaggio, quella parte malfamata di New York era un covo di umanità dolente che aveva il solo scopo di vivere alla giornata. Raggiunsi la fermata della metropolitana più vicina. Prima di entrare dovetti infilare al mio amico peloso un collare attaccato ad un guinzaglio, era sempre meglio non dare nell’occhio. Dovetti aspettare solo un paio di minuti prima di prendere il primo treno in direzione Manhattan. Mi sedetti in un posto in un angolo, fissando il pavimento e tirandomi su il cappuccio della felpa nera che indossavo. Dovetti chiudere gli occhi non appena le porte della vettura si chiusero, per sopportare il caos che invadeva la mia mente. Era uno strazio ogni volta ma ogni volta riuscivo a superarlo. Odiavo la metro per quel motivo. La mia mente si riempiva di parole e di urla. Grida di terrore e di sofferenza. Erano gli incubi delle persone che si trovavano a viaggiare con me. Colpivano la mia testa come lame taglienti, avrei potuto distinguere ogni voce ma avevo imparato a mie spese che il trambusto indistinguibile era meglio di un unico suono alla volta. Non avevo bisogno di guardare la gente per sapere a chi appartenesse un incubo o una paura che leggevo nella mia mente. Vedevo ogni persona nel mio cervello. Mio padre lo aveva definito un dono inimmaginabile ma per lo più io lo consideravo una condanna e una maledizione. Non ero mai veramente sola. L’unica cosa positiva era che con i Mordor  questa mia qualità funzionava alla grande e loro per me non avevano segreti. Sapevo esattamente come ucciderli nel peggiore dei modi. Ero spietata e senza scrupoli ma questo mi rendeva un’ottima cacciatrice di demoni.
Il mio supplizio finì con l’arrivo nella stazione prescelta dove corsi fuori dalla vettura in un secondo, solo fuori potei riprendere a ragionare. Camminai con Keiden qualche isolato raggiungendo l’entrata posteriore di un enorme grattacelo. Mi tolsi il cappuccio e raggiunsi l’ascensore nell’ala opposta. Una volta salita su di esso spinsi il tasto del sessantatreesimo piano, l’ultimo. L’intero palazzo e l’intero mondo credeva che quel piano fosse adibito ad uffici privati della Golden Ward Corporation, un’azienda di fama internazionale che si occupava di telecomunicazioni. In effetti non era del tutto inesatto visto che quella era l’azienda di Percival Ward, che possedeva l’intero edificio, usata come copertura da me e dagli altri. Percival era mio fratello, il maggiore tra noi.
Varcai la soglia del piano che ospitava la nostra base operativa e aprii una porta a vetri infrangibili facendomi visionare dallo scanner del sistema di sicurezza che aveva installato mio fratello, un altro, Azar. Lui era il genio informatico del gruppo mentre Percival, con il suo charme e la sua capacità di stare in società, serviva come immagine dell’azienda. Era un piano ben oliato e collaudato ormai da tempo. Nessuno aveva mai sospettato che ai piani alti di quell’edificio si nascondesse il covo dei Figli del Diavolo. Era così che i Guardiani ci chiamavano ed era stranamente esatto. Eravamo giunti lì dagli inferi per punire i demoni che avevano tradito nostro padre. Eravamo i suoi occhi e le sue mani in un mondo dove lui non poteva giungere direttamente.
-Ci si rivede!- Mi accolse giocoso Samil, altro membro della famiglia. Se ne stava in un angolo della stanza stravaccato su un divano di pelle nera a leggere una rivista.
-Gli altri non sono ancora tornati?- Chiesi insospettita.
-Percy non si è mai mosso di qui e Azar si è rinchiuso in laboratorio da quando è rientrato. Ha trovato solo un paio di Mordor, comprendilo, deve sfogarsi con qualcosa. Meglio che lo faccia con la tecnologia.-
-Ha avuto comunque più fortuna di me, nemmeno uno.- Si tirò su a sedere e mi rivolse uno sguardo divertito.
-Non ti abbattere, sorellina. Domani andrà meglio.- Era frustrante tornare senza una storia da raccontare, soprattutto perché loro ogni volta che succedeva riempivano le ore successive a raccontare le loro imprese, convinti che avessero compiuto una grande opera. Mi avvicinai alla parete di vetri da cui si scorgeva un’altra parte della città, quella curata e viva anche di notte.
-Qualcosa non va lì fuori, non credi?-
-Non più di ieri e non più di domani.- Mi rispose sarcastico. Nonostante Samil cercasse di rassicurarmi io non ero tranquilla, il mio sangue ribolliva insieme alle voci che sentivo ormai attenuate nella mia testa. Non riuscivo a percepire quelle dei miei fratelli anche se le loro paure per me non erano un segreto, anche senza usare la mia capacità. La porta da cui ero entrata poco prima scorse, mi voltai pronta ad accogliere l’ultimo dei miei fratelli. Lo spettacolo che mi trovai davanti agli occhi mi sorprese e mi atterrò. Taygher entrò portando tra le braccia la sagoma piccola e piena di sangue di una ragazza mora. Gli cadeva tra gli arti con troppa arrendevolezza, era evidentemente incosciente o morta. La cosa che però più mi colpì fu che dietro di lui lo seguirono due sagome alte e scure. Erano Guardiani.
-Aiutatemi, per favore!- Gridò mio fratello, con una tonalità che non gli avevo mai sentito. Samil era saltato in piedi e si dirigeva verso il tavolo  ellittico al centro della sala, con un gesto scaraventò a terra tutti gli oggetti che vi erano poggiati sopra e fece posto per la ragazza. Taygher la appoggiò cautamente sulla superficie di cristallo.
-E’.. Una Guardiana anche lei.- Riconobbe Samil. Tay gli lanciò un’occhiata che bastò a non fargli fare più affermazioni ovvie. Nel frattempo mi avviai verso il telefono più vicino e composi il codice di allerta così che anche gli altri ci raggiungessero. Fatto ciò mi avvicinai al resto del gruppo nella stanza.
-Potete salvarla? Vi prego..- Disse con una voce piena di dolore uno dei due sconosciuti, il più vecchio. Aveva i capelli ingrigiti ma per il resto dimostrava non più di una sessantina d’anni. I miei due fratelli cominciarono a toglierle i vestiti per valutare le sue ferite. Non mi avvicinai troppo al tavolo, non volevo avere a che fare  con una Guardiana, tanto meno toccarne una ferita a morte. Azar e Percival furono dei nostri un secondo dopo. Il primo si preoccupò di sigillare con un codice la porta d’ingresso. Solo il più giovane dei Guardiani lo seguì con lo sguardo. Questo era alto e aveva i capelli corvini, pose una mano sulla spalla del più anziano e gliela strinse.
-Padre, vieni, spostiamoci di qui.- Samil era il migliore tra noi in campo medico e per creare sostanze e medicine, la sua specialità erano i veleni però. Cominciò a dare ordini agli altri per cercare di salvare la ragazza. Io diedi le spalle a tutti loro e non lasciai mai con lo sguardo i due sconosciuti.
-Provate a fare un passo e siete morti prima di poter vedere la Guardina nell’oltretomba.-
-Non siamo venuti per cercare guerra con voi. Per favore, aiutate mia figlia. E’ l’unica cosa che vi chiedo.-
-Non avresti il diritto nemmeno di avanzare una tale affermazione!- Tuonai decisa. Il giovane mi fissava in silenzio, aveva una manica della giacca in pelle nera stracciata.
-No, invece ce l’ha. Sua figlia sta morendo per colpa mia. – Esclamò Taygher alle mie spalle. Lo guardai trafiggendolo con lo sguardo. Aveva attaccato un Guardiano? Eravamo cinque, noi, Figli del Diavolo, mentre i guardiani erano centinaia su tutta la Terra. Avevamo già un altro nemico e non potevamo permetterci una seconda guerra. Che mio fratello fosse stato così stupido da non capirlo? Portare i Guardiani all’interno del nostro covo gli era parso un modo per fare ammenda? Probabilmente lui lesse la delusione che provavo direttamente dai miei occhi perché abbassò lo sguardo e tornò ad eseguire gli ordini di Samil. I Guardiani erano nostri nemici ma per la prima volta cominciai a sperare che una di loro vivesse invece di morire. 

[Angolo d'autore]
Questa è la prima storia soprannaturale che scrivo qui, ne ho altre immagazzinate nella memoria ma questa ho finalmente deciso di metterla su carta, o meglio su word. Spero vi piaccia e spero vorrete lasciare un vostro pensiero, le recensioni sono sempre utili, soprattutto per migliorare! Cercherò di aggiornare la storia ogni settimana, in caso contrario avvertirò. 
Iridium.

 
   
 
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