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Autore: Tati Saetre    01/10/2014    5 recensioni
Edward ha 30 anni, capo della Cullen Media Group, è un uomo presuntuoso, egoista e viziato.
Isabella ha 28 anni, direttrice di una delle Gallerie d'arte più famose di New York, è in cerca dell'uomo della sua vita.
Che cosa li accomunerà per il resto delle loro vite?
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Venerdì – 16 Novembre 2001

Dodicesimo capitolo  – Tutto fuori

         16 Novembre 2001

 

“Volvo?” Vide Rosalie dal basso all’alto, allungando un po’ la testa per rivolgerle un sorriso.

“Non è mia.” Rispose, scendendo e chiudendo la macchina. Erano le nove, aveva appena portato le bambine a scuola ed ora era fuori al MoMa.

“Lo so.” Le disse, accennando una mezza risata.

Era da un po’ che non  andavano d’accordo, cioè da quando il suo Capo aveva visto Edward accompagnare la sua dipendente a lavoro, una mattina.

Da lì c’erano state molte frecciatine in direzione della bruna, con altrettante allusioni e battute sarcastiche, che effettivamente erano sarcastiche soltanto per Rosalie.

Bella non le rispose, ed insieme entrarono dentro l’edificio.

Hanna aveva già aperto da un po’, occupandosi di accendere le luci e di sistemare ogni piccola imprecisione.

Il Capo non arrivava mai puntuale, invece Bella aveva un permesso che le permetteva di poter accompagnare prima Emma e Mia a scuola.

“Hanna, alle dieci ho una visita, manda direttamente nel mio ufficio. Bella, tu occupati delle ultime spedizioni.” Con passo felino e tacco dodici si diresse verso la porta bianca del suo ufficio, senza nemmeno preoccuparsi di chiuderla con cautela.

Giornata no?” Chiese la segretaria.

“E’ sempre una giornata no per lei.”

Peccato che per Bella non era una giornata No, e non se la sarebbe fatta rovinare da nessuno.

Ormai andava quasi tutto nel verso giusto: aveva un lavoro che le piaceva e ben retribuito, le bambine erano sempre più felici ed in splendida forma, i suoi migliori amici stavano benissimo, specialmente Angela che era guarita del tutto.

E poi, c’era Edward. Quel Dio greco che poteva vedere tutte le mattine nel suo letto, appena sveglia.

Tutto andava nel verso giusto. Tutto. O quasi.

“Buongiorno. Dovrei vedere Rosalie Hale.”

“Lei è?” Domandò Hannah, mentre Bella seguiva la conversazione da lontano.

Tanya. Tanya Denali.”

 

 

“Sono stanca morta.”

“Lo ripeti tutti i giorni.” Disse Edward, continuando a massaggiare le spalle di Bella.

“Mi fanno male i piedi.”

“Anche questo, lo ripeti tutti i giorni. E come tutti i giorni, io ti dico che non devi indossare quelle scarpe.

“Non capisci niente.” Sbadigliò, girandosi verso di lui. “Devo per forza indossare ‘queste’ scarpe, Edward. Dovevi vedere l’amica di Rosalie, oggi. Una bionda alta almeno due metri, con gambe chilometriche.”

“Oh, invidi una bionda ora?”

Mmh.” Edward le stampò un bacio sulle labbra, staccandosi poco dopo. C’erano le bambine in giro per casa, Emma al piano di sopra e Mia a giocare sul suo tappeto dei giochi.

“Non possiamo andare avanti così.”

“Avremo mai un momento di pace? Un giorno, quando mi dirai ‘Edward, adoro stare così. Facciamo sesso sfrenato.’”

“Spiritoso.” Bella fece un sorriso di circostanza, dandogli una leggera spinta per spostarlo. Dopo si alzò, per controllare il pollo che era nel forno.

Infatti sono serio, Isabella.” Disse, alzando le mani al cielo, ormai arreso.

“Dobbiamo dire qualcosa alle bambine. Dobbiamo per forza dire qualcosa ai tuoi genitori.

“I miei ormai sanno tutto.” Rubò una patata dal forno aperto, portandosela alla bocca. Poco dopo, diventò tutto rosso.

“Ti sta bene, idiota.”

“Idiota?” Edward unì entrambe le sopracciglia, ma il suo sguardo era divertito. E lei sapeva benissimo che gliel’avrebbe fatta pagare, quella sera stessa.

“Mia ci ha sputtanati in quattro e quattr’otto.”

“Che tignifica stuppanati?”

Entrambi si voltarono, guardando la bambina ferma sullo stipite della porta che dondolava da un piedi all’altro.

“Niente, tesoro. Non significa niente.”

Allola pecché tio Edward lo dice, se non significa nente?”

Giusta osservazione, tesoro.

“Perché zio Edward dice tante cose che hanno significato, amore.” Edward le diede un pizzicoto sul fianco, facendola saltare.

“Ripeto: idiota.” Sussurrò, alzando gli occhi al cielo.

“Ho tame.”

“La cena è quasi pronta, tesoro. Dov’è Emma?”

“Non mangia.”

“Perché?” Domandò Edward, iniziando ad apparecchiare la tavola.

“Non scende. Si lagna in camera tua.” Disse con naturalezza, sedendosi al suo posto. Mentre Edward lasciava gli ultimi piatti in mano a Bella, per dirigersi al piano superiore e vedere perché Emma si lagnava.

 

 

“Non ti stai lagnando. Sei disperata.” Annunciò Edward, entrando nella camera di sua nipote e trovandola seduta per terra, con i suoi pupazzi preferiti sparsi intorno ed un libro sulle sue gambe.

“Che succede, tesoro?” Domandò, sedendosi accanto a lei, e sopra a due orsetti di peluche.

Quello che aveva in mano non era un libro, ma era un album fotografico.

Hey.” Edward le accarezzò i capelli dolcemente, per poi farle posare la testa sulla sua spalla.

“Domenica è il mio compleanno.” Singhiozzò, nascondendo il capo nella maglia bianca di lui.

“Lo so, tesoro. Faremo una bellissima festa dai nonni, no?

“Mi portavano a Disneyland!” Sbruffò arrabbiata, ancora tra le lacrime. “Mamma e papà. Hanno detto che mi portavano a Disneyland, per il mio ottavo compleanno!” Questa volta si alzò in piedi, e nella sua mini-statura ora raggiungeva la testa di Edward, che era seduto per terra. “L’hanno promesso! E ora non ci sono più! Se ne sono andati! E no, zio Edward, non mi dire che sono in un posto migliore, e che stanno meglio. Mi hanno lasciata qui, da sola!”

Hey.” Sussurrò appena Edward, prendendola tra le braccia. “Non lo so dove sono, tesoro. E non ti dirò che sono in paradiso. Però ora mamma e papà sono insieme, e sono anche sicuro al cento per cento che sono felici.

E io? Io non sono felice! Chi ci pensa a me?”

“Ci penso io a te, tesoro. Ci pensa zia Bella, i nonni, James e Laurent, Leah, Jake e i gemellini. Tutti pensiamo a te. E tu, ovviamente, devi pensare a noi.”

“Io ci penso a voi.” Sussurrò appena, tirando su col naso. “Però mi hanno fatto una promessa. E mantengono sempre le promesse.” Disse, deglutendo rumorosamente e posando di nuovo la testa sulla spalla di Edward.

“Non possiamo andarci domenica, ma ti ci porto io, a Disneyland. Ti prometto che ci andiamo insieme.”

Io e te da soli?”

“Zia Bella e Mia?”

“Oh, ma lasciamole a casa per una buona volta!” Disse, facendo spuntare un sorriso a suo zio.

“Aggiudicato. Ci andremo da soli, tesoro. Ora, perché non andiamo a lavare questo bel faccino, che la cena è pronta?

“Io non ho fame.”

“Zia Bella ha fatto il pollo con le patate al forno.”

“Forse un po’ di fame.” Disse, con un’espressione da birbante sul viso. “Me lo lavo da sola, sono grande.”

“Ti aspetto giù?”

“Sì.” Disse, scendendo dalle gambe di Edward e dirigendosi verso il bagno. Mentre lui richiuse l’album, per riportarlo al piano inferiore.

“Ah, Zio Edward?”

“Sì?”

“Ti mancano mamma e papà?” Domandò innocentemente, senza tracce di lacrime negli occhi.

Da morire, tesoro. Mi mancano tantissimo.”

Quando si voltò per uscire, trovò Bella appoggiata su lo stipite della porta con gli occhi lucidi, e Mia con la testa posata nell’incavo del suo collo, con le guancette rosse e il labbro inferiore all’infuori.

 

 

“Va bene se restiamo qui?”

Mmh. Certo.”

“Vuoi che vada a prendere i tuoi cuscini?”

“No.”

“Vai tu o vado io a dare la buonanotte alle bambine?”

“Io.”

“Ho vinto un milione di dollari alla lotteria.”

Cosa?” Bella alzò finalmente lo sguardo, puntandolo su Edward.

“Oh, finalmente ricevo qualcosa di più di semplici versi e monosillabi. Vai avanti così da quando è iniziata la cena. Mi spieghi che c’è che non va?”

“Niente.”

“Non dirmi cazzate, Isabella.” Disse, infilandosi la maglia blu che usava per dormire.

Avevano deciso di dormire in camera di Edward da una settimana. Perché lui non si spostava dal suo amato materasso, ma voleva avere Bella accanto. Non era un problema per le bambine, che ormai da tempo non si alzavano più durante la notte.

“Sono una stronza.” Annunciò infine Bella, passandosi le mani fra i capelli e fermandosi prima di aprire la porta ed uscire.

“Cosa?”

“Sono una stronza, Edward. Sono una delle persone più egoiste di questo mondo. Penso solo a me stessa.”

“Fermati. Fermati adesso, e siediti qui con me.” Non era una semplice richiesta, e lo sapevano entrambi. Bella si sedette, e aspettò. “Che succede, ora?”

“Alice era la mia migliore amica. Ed anche Jasper. Ma cazzo, Edward! Alice era tua sorella. Sangue del tuo sangue! Ci sei cresciuto insieme, era tua sorella! Ed io mi sono presentata in questa casa con pretese alte, mi sono incazzata con te ogni santo giorno, ti ho pianto addosso. Per la mia migliore amica. E tu, non hai fatto nulla. Non ti sei incazzato, non hai sbattuto la porcellana per terra, e non ci hai lasciate. Non ti ho dato la possibilità di arrabbiarti, di sfogarti. Non me ne è fregato niente Edward, se non di me stessa.”

Edward allungò una mano, accarezzandole la testa lentamente.

Tesoro, io sto b-”

“No, cazzo! Non dirmi che stai bene, Edward. Non dirlo.”

Cosa vuoi sentirti dire, Isabella? Che Alice era una rompipalle di prima categoria, e che mi manca ogni giorno di più? Che mi manca anche vedere Jasper la mattina al Bar, prima di andare a lavoro? Vuoi sentirti dire questo? E’ ovvio, Isabella. E’ ovvio che mia sorella mi manchi, e così anche mio cognato. Che ogni volta che vedo Mia ed Emma rivedo loro due, ogni santo giorno.” Sussurrò fra i denti, indicando la porta chiusa a pochi metri da loro, dove le bambine stavano ormai dormendo.

“Volevo che buttassi tutto fuori. Non stai bene, Edward. Non stai bene, quando ti tieni tutto dentro. E devi sapere una cosa: puoi dirmi tutto, qualsiasi cosa. Possiamo parlare, dobbiamo parlare. Dei nostri problemi, e di quello che è successo. Perché è stato pochi mesi fa, ed è ancora una ferita aperta. Promettimi che d’ora in poi tireremo fuori tutto.

“Devo addirittura promettertelo?” Ormai Edward non la guardava più negli occhi, ma un punto indefinito dietro a lei. Troppo colpevole di non stare affatto bene, nascondendo gli occhi lucidi dalla vista di Isabella.

“Promettimelo.” Allungò una mano, e lentamente tirò su il suo viso dal mento. Gli accarezzò una guancia ormai resa ruvida dalla barba, e poi vi posò un bacio sopra. Un bacio casto, che diceva molto di più di tutte le notti che avevano passato insieme.

“Te lo prometto. Giuro. Niente più segreti, tesoro.”

 

 

 

   
 
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