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Autore: Chaotic Alaska    02/10/2014    4 recensioni
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Dato che non voglio correre il rischio di cadere in frasi banali, ecco un fatto.
La memoria di un pesce rosso dura appena pochi secondi, sai?
Immagina due pesci rossi che finiscono nella stessa boccia e decidono di presentarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come pesci rossi in una boccia di vetro



17 febbraio 2013, Roma

Cara Elettra,
ti guardavo dormire e ho pensato che sarebbe stato bello scriverti una lettera.
Mi tranquillizza l’idea che avrai con te qualcosa di mio, quando partirai. Non credo di essere in grado di scrivere una lettera decente, ma ci proverò.
Del resto, quella intellettuale sei tu.
Posso già sentire la tua risata, ed il commento ironico che seguirà — “Ma cooome, Mister cervellone informatico ha abbandonato la posta elettronica per darsi a carta e penna?” — mentre alzi lo sguardo da questa lettera, con quel tuo sorriso immenso, una mezzaluna incastrata nel tuo viso pallido.
Dato che non voglio correre il rischio di cadere in frasi banali, ecco un fatto.
La memoria di un pesce rosso dura appena pochi secondi, sai? Beh, ovviamente non ne possiamo essere sicuri, nessuno di noi è mai stato un pesce rosso.
Immagina due pesci rossi che finiscono nella stessa boccia e decidono di presentarsi.
«Ehi, amico! Piacere di conoscerti, sono Blu.»
«Piacere mio, carissimo. Io sono Blo.»
«Salve, che piacevole incontro. Mi presento, sono Blu!»
«Che bel nome, amico mio! Piacere, mi chiamo Blo.»
E così via, all’infinito. Non so se sia triste o esilarante.
Ti pregherei di non commentare la scelta dei nomi, faccio parte di quella triste fetta di bambini che non ha mai avuto un pesce rosso, quindi non mi sono mai dovuto confrontare con la responsabilità di dar loro un nome decente.
Insomma, tornando a Blu e Blo, per un attimo ho pensato quasi che sarebbe stato bello. No, non chiamarsi così. Avere la memoria di un pesce rosso e dimenticare tutto.
Il tuo sorriso a mezzaluna, per esempio. Le tue mani perennemente macchiate d’inchiostro. Quando afferri un pezzo di carta, ululando “Gesù, ho avuto un’idea epica per il finale del mio racconto!”, e inizi a scrivere con foga.
In quei momenti, io restavo lì, in silenzio, non respiravo neanche per la paura di distrarti.
Perché i primi tempi ci avevo provato, a risvegliarti dalla trance in cui piombi quando ti viene un’idea. Non ero ancora abituato a te, ai tuoi sbalzi d’umore che neanche il cielo di marzo, e quindi ti avevo interrotta mentre scrivevi.
Da quel momento in poi, mi sono guardato bene dal farlo.
Quindi, se fossi Blu, in questo momento non avrei alcun ricordo di te, di noi.
Tipo della prima volta che ti ho vista. Ti ricordi, il primo giorno di liceo?
Avevi provato a tingerti i capelli di blu senza dirlo ai tuoi, col risultato che sembravi il risultato di un errore genetico.
Ti sono scoppiato a ridere in faccia e tu mi hai tirato un calcio nelle palle. E in quel momento ho capito, con incontestabile certezza, che saremmo stati amici.
Tu eri quella strana, coi capelli macchiati di blu e l’eye-liner sbavato, da panda, che quando leggevi ti isolavi dal resto del mondo, una roba impressionante.
Ti facevano interi discorsi e tu non coglievi neanche mezza parola. E infatti, a un certo punto, l’intero mondo si rassegnò all’evidenza che a te non importava niente di nessuno.
Ti lasciarono in pace nella tua boccia di vetro, mia piccola Blo.
Finché la mano grassoccia di un bimbo non gettò anche Blu, che poi in questa stupida metafora sarei io, nella stessa boccia.
Non chiedermi perché ci sto paragonando a due pesci rossi, non ne ho idea.
Siamo partiti dal fatto che vorrei dimenticare, perché fa meno male, come Blu avrebbe dimenticato il tuo nome nell’arco di tre secondi.
Provo a pensare a ricordi formato tascabile di tre secondi ciascuno, come delle istantanee.
Ti ricordi di quando volevamo passare la notte in spiaggia?
Che ci siamo ubriacati, hai provato a rimorchiare una sdraio e volevamo arrostire marshmallows come in un telefilm, ma non sapevamo accendere il fuoco?
E la mia teoria secondo la quale i marshmallows sono figli di Satana?
Ti giuro, non è normale che dei morbidi dolcetti zuccherosi tentino di soffocarti incollandoti le vie respiratorie.
Ecco, Blu l’avrebbe già dimenticato. Sarebbe lì a boccheggiare, in attesa del cibo.
Ai pesci rossi piaceranno i marshmallows?
Penso che mi mancherai, quando sarai partita. Mancheranno i colori.
Penso ai nostri pomeriggi, io che gioco ai videogames buttato sul divano sfondato di casa tua, e fumo e getto la cenere in una tazzina da caffè, mentre tu inventi storie sui mostri che stermino. Perché, secondo te, non è giusto nei loro confronti venire massacrati così, senza un nome, senza una storia.
Perché, secondo te, ognuno di noi merita una storia, che sia triste o felice.
Come quell’alieno con dieci braccia che in realtà voleva fare l’attore e amava la cioccolata calda e i tramonti.
Penso a quando mi chiamavi agli orari più improbabili, e sentivo la luce che brillava nei tuoi occhi senza vederla, e mi raccontavi qualcosa di splendidamente inutile, ma che sapevi rendere interessante in modo unico.
Blu continua a dimenticare, Elettra. Io no.
Non ho scelto te perché siamo due asociali che possono star bene solo insieme, come a volte dicevi tu, ridendo.
Ho scelto te perché non c’era nessun altro che volessi, accanto a me.
Perché non è facile da spiegare, ma sei come quelle luci che ti guidano nel bosco, quando sei certo di esserti smarrito e non sai più come tornare a casa.
Io un po’ smarrito lo ero, nei miei pensieri troppo grandi per me, a rincorrere sogni e chimere. Tu mi hai preso per mano, come si fa coi bambini piccoli al centro commerciale, quelle tue dita sottili macchiate di colori e d’inchiostro, e mi hai portata con te, nella tua boccia di vetro.
Mi avevi giurato che saremmo rimasti amici per sempre, Elettra.
Sei ancora disposta a mantenere la tua promessa, nonostante tutto?
Da parte mia, accetto di non dimenticare, di portarmi dietro il dolore per l’averti persa.
Siamo due pesci rossi con la memoria di un elefante, dopotutto. I tre secondi sono passati da secoli, e noi siamo ancora lì, a nuotare e fare bolle.
Ti guardo dormire, Elettra.
Lo sai che la parola coma viene dal greco κῶμα e significa proprio sonno? E allora, è facile immaginare che tu stia dormendo, che tra poco spalancherai gli occhi, mi vedrai scrivere questa lettera e scoppierai a ridere.
Mi prenderesti in giro perché, in una lettera d’addio, sono riuscito a mettere in mezzo persino “quello stramaledettissimo greco”. Diresti che il discorso dei pesci rossi è buffo, e che esistono dei pesci di un azzurro spettacolare, come l’oceano, che si confondono con l’acqua. E che li pescano gettando la vernice bianca in mare, in modo da poterli vedere, ma quest’ultima sarebbe una delle tue solite cazzate, lo capirei subito.
I medici hanno detto che manca poco, ormai, e poi smetterai di soffrire.
A quel punto, toccherà a me cominciare a soffrire sul serio.
Realizzare la tua assenza e fare i conti con essa, giorno dopo giorno.
Sono come un bambino, abituato a colorare i suoi disegni coi pennarelli. Ogni giorno, mi mettevo lì e coloravo, la faccia sporca, un pasticcio di colori sul foglio. E c’era tanto di quel sole che avrebbe potuto riscaldare un migliaio di mondi.
E poi, all’improvviso, arriva qualcuno a portarsi via i pennarelli. Senza spiegazioni, senza avvertimenti. Se li porta via tutti, e mi lascia il grigio ed il nero. “Colora con questi, adesso” mi dice, e va via. Ed io ci provo, ma le nuvole hanno inghiottito il mio unico Sole, e quei migliaia di pianeti sono rimasti al buio.
Quindi, finisco per pensare ai pesci rossi e alla loro memoria.
E, per un attimo, è tranquillizzante la prospettiva di sprofondare nell’oblio, dimenticare te e ciò che abbiamo passato insieme. Dimenticare tutto come in un dopoguerra, come le parole di quella canzone che tanto ti piace, di quel tizio dal nome improponibile.
Poi penso che perdere il ricordo di te farebbe più male di quanto lo farà il perdere te.
Ho deciso, Elettra. Resterò io a mantenere la nostra promessa, fino alla fine.
Saremo amici per sempre, perché ci penserò io a ricordare anche per te, che non potrai più farlo. Porterò con me un carico uguale di gioia e di dolore, di speranza e di rimpianto.
Ti guardo dormire, Elettra, e penso a tutto ciò che avrei voluto dirti prima che tu ti addormentassi. Penso che, quella sera, avrei dovuto ripeterti che ti voglio bene come un disco rotto, all’infinito. Avrei dovuto abbracciarti come prima di un’apocalisse, che infatti è arrivata. E invece no, ci siamo salutati con uno dei nostri soliti discorsi idioti.
Fuori nevica, Elettra, ed è tutto così bello.
Tu ami la neve, ti riporta bambina. Ti vedo già a correre sotto il cielo che cade giù in fiocchi di neve, a cercare di prenderli e a ridere fino a perdere il fiato.
Vorrei che ti svegliassi, in questo momento.
Vorrei prenderti per mano, come hai sempre fatto tu, e portarti fuori, a vedere la neve.
Ma se mi dirai che sei ancora troppo stanca, che stai dormendo così bene e non vuoi svegliarti per nessuna ragione, allora ti racconterò della neve, di quanto sia splendida a Febbraio.
Di quanto sia pura, bianca e morbida.
Di quanto gli manchi e perciò cade, cade, come una soffice coperta con cui proteggersi dalla malinconia.

Il tuo migliore amico, Leo
   
 
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