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Autore: Aru_chan98    02/10/2014    0 recensioni
Quale prezzo si è disposti a pagare per diventare padre? Arthur è solo un giovane universitario che sogna di diventare padre in una società distopica in cui anche una cosa bella come un figlio è negata a chi non possiede un particolare DNA. Ma un incontro cambierà la sua vita e il suo destino per sempre.
Tratto dal testo:
"Adoravo le storie che tuo nonno raccontava sulla sua infanzia. Tutte quelle storie sul correre nei prati, giocare con gli animali e gli altri bambini. Per non parlare poi del poter avere una famiglia come e quando si voleva. Sarebbe stato bellissimo se tutto questo fosse durato fino ad oggi..." disse Francis, passando da un tono sognante ad uno che non tradiva una nota di amarezza. Ormai, nella loro società bisognava avere una dote speciale a livello genetico per avere una prole.
Genere: Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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“Ma… Ma tu sei un ragazzo!!” esclamò di colpo Arthur, allontanandosi leggermente. L’altro abbassò la testa con fare triste e annuì. Arthur era scioccato: la sua Amelia in realtà era un uomo! Il ragazzo che credeva Amelia fece leva sui gomiti e si mise seduto,  ma la cosa che stordì Arthur fu che l’altro era sul punto di piangere. “Tu… chi sei veramente?” chiese titubante l’inglese, mettendosi seduto a sua volta. “I-il mio n-nome è Alfred Jones” rispose il ragazzo con un tono di voce che doveva essere quello vero poiché più profondo rispetto a quando parlava come Amelia. Balbettava per lo sforzo di non far cadere quelle grosse lacrime che gli si erano radunate agli angoli degli occhi, ma in cui si rifletteva un chiaro cuore infranto. “Ma… Ma perché?” cominciò a chiedere Arthur, ma s’interrupe nel sentire l’altro ragazzo mormorare “I’m sorry Arthur. I’m so sorry. Non era mia intenzione ingannarti. Non volevo… io… io volevo dirti tutto, ma avevo paura” ma dicendo così scoppiò a piangere. Arthur era davvero confuso: perché mai quel ragazzo avrebbe dovuto mentirgli? Ma oltre ai suoi pensieri anche il suo cuore era confuso, soprattutto perché, anche dopo quella rivelazione, non aveva smesso la sua corsa impazzita, come se fosse indifferente a quell’evento. Poi, arrivò alla risposta di tutta quella tempesta che quell’americano gli aveva portato dentro. La risposta alle sue preoccupazioni, al suo trovarlo carino, all’euforia quando veniva a trovarlo anche la sera, agli imbarazzi che lo assalivano, al volerlo baciare e al perché il suo cuore non aveva battuto ciglio: era semplicemente innamorato. Appena ne prese consapevolezza un sorriso dolce si disegnò sulle sue labbra, ma Alfred aveva gli occhi offuscati dalle troppe lacrime e il petto pieno di rimorsi e pezzi del suo cuore ormai  infranto, per notarlo, così, i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa non appena l’amico lo abbracciò forte. Alfred seppellì la faccia nella spalla nuda di Arthur, mentre quest’ultimo gli cingeva le spalle con un braccio e con l’altro gli accarezzava i capelli biondi. “Non piangere” cominciò l’inglese con la voce più calma e dolce possibile “Ti credo. Non mi avresti mai ingannato e se eri travestito da donna ci sarà stato un buon motivo. Credo che tu sia davvero una brava persona, quindi non vedo perché dovrei dubitare di te”. “Ma Arthur” replicò l’americano “Sono passate quasi più di due settimane dal nostro primo incontro. Che razza di amico cerca di fregare i propri amici? E se…” s’interruppe per tirare su col naso e perché una nuova ondata di singhiozzi gli aveva bloccato le parole in gola. “E se scoprendo chi io fossi in realtà mi avessi abbandonato? Però, sarebbe stato meglio se te lo avessi detto prima di stasera. Prima che tutto questo casino aggredisse la mia testa. Prima che… prima che…” cominciò a dire, ma i singhiozzi erano così forti che le parole gli uscirono solo in un soffio basso: “…prima che m’innamorassi di te”. Dal forte calore proveniente dalla sua spalla, Arthur poté dedurre che l’amico era nel più completo imbarazzo, ma in fondo, non provava anche lui le sue stesse identiche emozioni? Staccò leggermente Alfred dalla sua spalla e gli rubò un tenero bacio quasi a fior di labbra, come a volerlo rassicurare. L’americano in un primo momento rimase basito, poi, un timido “perché?” gli scappò. Arthur lo costrinse a guardarlo negli occhi: “Perché? Perché anch’io ti amo, idiot. Non importa chi tu sia o perché fai certe cose. Sei e rimani la stupenda persona che mi ha aiutato ad uscire da quel periodaccio che si è abbattuto sulla mia vita due settimane fa. Che faceva finta di odiare la mia cucina mentre non vedeva l’ora di assaggiarla. Che mi ha accudito mentre avevo la febbre alta. Che mi faceva esasperare. Tu sei tu, non importa come”. “Anche…” disse Alfred, abbassando lo sguardo “Anche se ammettessi che mi sei piaciuto dal momento in cui ti ho visto sotto la pioggia? Anche se ti ho mentito per tutto questo tempo? Anche se… non sono una ragazza?”. “Non importa chi tu sia, l’amore è e sarà sempre amore, indipendentemente dal sesso dei due innamorati. Tu mi ami?” chiese l’inglese, “Certo che si” rispose con convinzione Alfred. “E allora non c’è nient’altro di cui dobbiamo discutere per il momento. Se hai delle cose che devi tenermi segrete aspetterò finché non ti sentirai pronto a dirmele. Quanto a tutto il resto…” disse Arthur, alzandosi dal divano diretto verso la sua camera da letto, seguito dallo sguardo incredulo ma finalmente asciutto del suo giovane amore. L’inglese si girò sullo stipite della porta e gli disse “Togliti qualsiasi cosa non ti appartenga fin dalla nascita e vieni qui. È con te che voglio fare l’amore, non con altri” per poi sparire nella stanza. Alfred si levò con una velocità incredibile tutto quello che aveva di femminile addosso e raggiunse l’altro ragazzo. Per il resto della notte solo versi di piacere uscirono da quella stanza, che diventò più calda della notte estiva, mentre accoglieva due giovani cuori che cominciavano la loro danza per unirsi ed infine diventare uno solo, proprio come i due proprietari che fremevano per unire i loro corpi nell’amore più selvaggio e dolce. Solo al sorgere dell’alba la stanchezza li assalì, facendoli addormentare uno nelle braccia dell’altro con un sorriso sereno sulle labbra consumate dai troppi baci e un senso di appagamento, pura felicità e completezza nei loro cuori.

Nel tardo pomeriggio Arthur si svegliò. La prima cosa che i suoi occhi smeraldo videro, aprendosi, fu il viso addormentato del suo giovane amore. Sembrava così sereno e maturo e il giovane inglese non poté fare a meno di sorridere: non riusciva a credere a quello che avevano fatto, ma era felice che fosse accaduto. Accarezzò dolcemente la guancia dell’americano che lentamente aprì gli occhi. “Buongiorno” gli disse Alfred, quasi sussurrandolo, con un sorriso pieno d’amore che faticava a trattenere, ma che era davvero il sorriso più bello che Arthur gli avesse mai visto fare. “Buongiorno” gli rispose l’inglese, arrossendo quando il compagno gli prese la mano e ne baciò il palmo. Erano entrambi in chiaro imbarazzo, ma la felicità la superava di gran lunga, tanto che entrambi non riuscivano a smettere di sorridere. Il momento però fu spezzato dallo stomaco di Alfred, che di punto in bianco brontolò, facendo ridere Arthur, che si offrì di preparargli la colazione. “Ti prego, non un’altra arma di distruzione di massa” disse l’americano, al quale l’inglese rispose con un ben recitato tono oltraggiato “You bloody git!”. Alfred ridacchiò e bloccò il compagno dal dirigersi verso la cucina, afferrandolo per un braccio, e lo attirò a sé per baciarlo. Arthur accettò quel bacio e poi si diresse velocemente in cucina. Alfred se la prese comoda per uscire dal letto: a rallentarlo c’erano tutti i suoi pensieri. Dopo la precedente notte doveva ad Arthur delle spiegazioni chiare su tutta la faccenda, in fondo, era o non era diventato il suo compagno oramai? Entrò in cucina e si sedette al tavolo, le gambe che si agitavano sotto la sedia mentre osservava il suo Arthur che bruciava l’ennesimo piatto, indossando solo un paio di boxer con la bandiera americana che riconobbe come suoi. “Ma quando se li è messi?” si chiese Alfred, che era assolutamente sicuro che l’altro fosse entrato in cucina senza nulla addosso. Dal canto suo, Arthur a momenti fece cadere in terra la colazione alla vista dell’americano, che se ne stava seduto completamente nudo e con le gambe a penzoloni. “Qualcosa non va?” gli chiese Alfred, con tono dispettoso, ma invece di arrabbiarsi, l’inglese ebbe una reazione che l’altro trovò davvero adorabile: s’imbarazzò a tal punto che le sue orecchie erano diventate tutte rosse e si guardò in giro. “Come se ieri notte fossi stato tanto innocente” pensò Alfred, con un tono ironico che se l’avesse sentito Arthur, lo avrebbe insultato per un bel po’. Consumarono la colazione tra sguardi rubati e parole che finalmente uscivano in totale onestà. Ormai si era fatta sera, ma i due non volevano ancora separarsi, così decisero di passare anche il resto della giornata assieme. Alfred riuscì a modificare leggermente il televisore del compagno per collegarci una console. Si sedette per terra, con la schiena appoggiata al divano e si mise a giocare ad un videogioco che gli era stato prestato, a detta sua, da un amico sul lavoro. Arthur, invece, prese il suo ultimo ricamo e si sedette tra le invitanti gambe di Alfred, appoggiando la schiena al petto del ragazzo, ammorbidito dalla felpa rossa che portava. “ahi!” esclamò l’americano quando il compagno cercò di mettersi comodo contro di lui. “I’m sorry! Non è che ti ho fatto troppo male ieri sera vero?” chiese dispiaciuto Arthur.  “No, don’t worry, ma cerca di fare attenzione ok?” si affrettò a dire l’altro. Passarono gran parte della serata così, uno giocando ai videogiochi, l’altro finendo di ricamare dei fiori. La quiete della serata fu disturbata da un punto del gioco che Alfred ritenne noioso, ma che sfruttò per baciare il collo candido di Arthur, lasciandogli un vistoso succhiotto, mentre alcuni brividi attraversarono la spina dorsale dell’inglese. “Ma che cavolo fai?!” esclamò l’inglese, toccandosi con la mano il punto in cui il compagno gli aveva lasciato il segno. “Beh, così chiunque potrà capire che sei mio” gli rispose Alfred, con occhi maliziosi. “Sarei tuo anche senza, idiot” borbottò l’inglese, abbassando lo sguardo. Il suo amore, dopo aver messo in pausa il gioco e posato il controller, gli cinse le anche con le braccia, facendolo girare verso di sé e piantò i suoi occhi zaffiro nei suoi sfuggenti. A quel punto, poco dopo che l’americano ebbe ripreso a provocarlo, cogliendolo alla sprovvista gli rubò un bacio, al quale egli rispose con gran vigore, per poi staccarsi e guardarlo, come per chiedere il permesso di proseguire. Arthur non poté resistere e, leccandogli il labbro inferiore per fargli capire che aveva il suo permesso, lasciò che la sua lingua incontrasse quella del suo giovane amato. Pochi attimi dopo si ritrovò seduto contro il divano con Alfred a cavalcioni sulle sue anche, che lo trascinava in mulinelli d’emozioni ad ogni singolo bacio. “Sei sicuro di volerlo fare qui? In questo modo vestirsi un paio d’ore fa diventerà inutile” cercò di protestare debolmente l’inglese, che non voleva far stancare il suo amato ragazzo, ma lui replicò “Non importa” togliendosi gli occhiali e ritrascinando l’inglese verso gli stessi sentimenti che li avevano travolti la sera precedente.

La mattina seguente dovettero separarsi: Arthur doveva andare in università, mentre Alfred aveva il lavoro. “Aspetta Al” gli disse Arthur, prima che il suo amato si rimettesse il suo travestimento da ragazza. Il ragazzo si girò, ma rimase dolcemente sorpreso quando il compagno lo baciò sulla guancia. “Buon lavoro eh” gli disse gentilmente l’inglese. “Grazie. A te buono studio” gli rispose Alfred con uno dei suoi soliti sorrisi a trentadue denti, ma prima di uscire dalla porta di casa si fece serio e, girandosi, disse ad Arthur di aspettarlo quella sera, perché doveva dirgli delle cose importanti. L’inglese annuì con determinazione. Dopodiché, l’americano sparì dalla vista, lasciando Arthur in una marea di pensieri diversi. Anche quando si sedette al suo solito posto in università la sua mente era completamente altrove, tanto, che non si accorse della presenza di Francis, il che lo fece sobbalzare non appena il francese lo salutò. “Allora, come mai ieri sei sparito? Il professore era alquanto arrabbiato sai?”  gli disse con aria curiosa il francese, ma s’insospettì quando Arthur arrossì vistosamente e rispose velocemente che si era solo alzato più tardi del solito. “Ma chi vuoi prendere in giro? Scommetto che te la sei spassata con Amélie. Honhonhonhon adesso si che ne ho la conferma” disse Francis, vedendo Arthur avvampare nuovamente “Dai dai, raccontami tutto”. “Non c’è niente da raccontare, è solo venuta a trovarmi due sere fa, per guardare un film insieme, n-niente di che” gli rispose Arthur, cercando di essere convincente, “Ah ah! Beccato. E bravo il mio inglesino. Allora, com’è stato caro ex-verginello?” gli chiese immediatamente il francese, pieno di curiosità fino alla punta dei capelli. Il ragazzo s’imbarazzò, ma con occhi sognanti disse “È stata l’esperienza più bella del mondo. Ti giuro, old chap, non ho mai provato niente di simile prima d’ora. Ho davvero sperato che la notte non finisse mai”. Francis ridacchiò per poi rispondergli “Capisco la sensazione. A quanto pare il fratellone è riuscito a prevedere un’altra relazione alla grande” “di che stai parlando?” chiese l’inglese, “Parlo che avrei potuto scommetterci che quella sarebbe diventata la tua compagna. Si vedeva nel modo in cui ti guardava, come se volesse mangiarti con gli occhi. In più, qualche giorno fa mi sono accorto che anche tu stavi coltivando un certo interesse per lei. È stato come fare due più due” gli rispose pacatamente il biondo. “Sarà…” gli rispose Arthur, per poi tornare a prestare più attenzione ai suoi pensieri che all’amico, sperando che il tempo passasse il più in fretta possibile. Verso sera, finalmente l’americano suonò alla porta: doveva essere per forza passato da casa sua, perché non era travestito da donna. I suoi occhi seri, ma che esprimevano anche felicità, erano velati dagli occhiali che piacevano al suo ragazzo. Arthur sorrise quasi involontariamente appena lo vide. Dopo essere entrato e aver salutato con un caloroso abbraccio l’inglese, i due si sedettero al tavolo della cucina. Alfred aveva un’aria davvero stanca, così Arthur gli chiese se gli andava del the. “Caffè per favore” gli rispose l’americano, con un sorriso che lasciava trapelare un po’ di stanchezza.

Alla fine si ritrovarono seduti uno davanti all’altro, ognuno con una tazza fumante tra le mani, contenenti rispettivamente caffè e the nero. Dopo un attimo di silenzio, Alfred inspirò e infine disse “Penso sia giusto metterti al corrente di alcune cose su me stesso e vorrei che tu mi ascoltassi”. “Devi sapere che c’è un motivo se devo travestirmi da donna. Ma prima devo dirti altre cose oppure non ne capirai appieno il motivo” cominciò Alfred “ Devi sapere che mio padre lavorava per il governo. Era uno dei migliori scienziati, così gli fu assegnato un progetto molto importante dal ministro della demografia. Secondo te, perché il governo ci costringe a chiedere il permesso al Centro di fecondazione e approvazione prole per poi concederci una famiglia solo se abbiamo un DNA con qualche particolarità?” gli chiese e Arthur gli rispose “Per contenere la crescita demografica”. “Questo è quello che ci hanno sempre detto” replicò l’americano “Ma la verità è un’altra: in realtà loro sono alla ricerca dell’umano perfetto” “L’umano perfetto?” chiese Arthur con tono incredulo. “Si. Per loro “l’umano perfetto” sarebbe un tipo di persona dal DNA mutevole, ossia, un tipo di DNA che, anche se modificato, cambia anche radicalmente senza provocare danni di alcun tipo. Per esempio, se si prendesse una ciocca di capelli di questo soggetto e ne modificassimo il colore, dal biondo al nero diciamo, quella ciocca diventerebbe nera a vita senza provocare tumori o un disgregamento del DNA restante. Per questo ci è permesso riprodurci solo con persone dal DNA particolare. È tutta una ricerca del governo per ottenere questo soggetto attraverso generazioni di DNA raffinati.” spiegò Alfred. “Ma… e tutto questo come potrebbe avere a che fare con te?” gli chiese l’inglese, che stava faticando a credere alle parole del suo amato. “Beh, mio padre era l’incaricato di fare le previsioni di quando sarebbe nato questo soggetto e con esso controllare tutte le discendenze genetiche. Così, gli venne un colpo quando, secondo i suoi calcoli, questo individuo in cui non credeva, sarebbe nato il 4 Luglio di 19 anni fa” “Aspetta, intendi che…” cominciò l’inglese, ma Alfred lo interruppe subito dicendo “Si, sono io il soggetto in questione. Mio padre quasi si disperò quando lo scoprì”. Arthur a momenti non lasciò cadere la tazza per la sorpresa: sentiva che Alfred era speciale, ma non avrebbe mai immaginato lo fosse fino a questo punto. “Purtroppo uno dei colleghi di mio padre trovò un pezzo del documento di mio padre, in cui era scritto sia il sesso che i dati genetici del futuro nascituro e lo consegnò al ministro. Quando nacqui, mio padre avvertì subito mia madre del pericolo e mi fecero dichiarare femmina col falso nome di Amelia Jones, anche se in famiglia mi hanno sempre chiamato Alfred. Fin dai miei primi ricordi mio padre mi costringeva a vestirmi da ragazza, dicendomi che da grande avrei capito. Una sera, dopo i miei 17 anni, mi spiegò tutto, sia del progetto sia chi io fossi e del perché fossi costretto a celare il mio vero sesso. Temeva che se mi avessero trovato mi avrebbero portato via da lui, o peggio, mi avrebbero rinchiuso in un laboratorio a vita per farmi continui esperimenti. Mi resi conto solo in quel momento di quanto papà avesse rischiato pur di salvarmi. Venne ucciso per questo. Sia lui che mia madre, accusati di aver rivelato segreti di stato e di aver rubato un progetto di vitale importanza. Io feci in tempo a scappare e grazie al mio travestimento, riuscii a condurre una vita normale. Le ragazze non vengono mai sottoposte a controlli del DNA o a doverlo fornire per essere riconosciuti al lavoro. Per quello e tutto il resto basta il sangue” finì il ragazzo, che finalmente si sentì come se un peso gli si fosse sollevato dal cuore. Ad Arthur servì un po’ di tempo per metabolizzare il tutto, erano davvero tante informazioni. “Alla fine volevo scoprire di più sul luogo in cui lavorava mio padre e riuscire a trovare qualche pezzo del suo lavoro, se ancora era da qualche parte. Essendo donna per loro, il primo lavoro che mi offrirono fu come portatrice di bambini per conto di chi non aveva una compagna, ma mi classificarono come portatrice sterile ed erano un po’ riluttanti ad assumermi per i lavori di burocrazia. Solo di recente si sono fidati abbastanza da lasciarmi presiedere il reparto maternità e lì ho scoperto un’ala dell’edificio che non conoscevo. In una di quelle stanze c’erano un sacco di bambini, così cercai di capire lo scopo di quel luogo: lì vengono portati tutti i bambini che sembrano avere un’affinità col DNA e l’aspetto descritto da mio padre. Sembra che abbiano creduto che nei suoi calcoli abbia calcolato male la data di nascita, così trattengono tutti i bambini che corrispondono alle altre descrizioni. Devo ammettere che uno di essi mi ha incuriosito particolarmente. Era quasi identico a me quando ero piccolo e anche il suo quadro genetico era quasi identico al mio, salvo per alcuni punti. Il nome del piccolo era qualcosa tipo Mathias Bonequa credo” continuò Alfred. A sentire quel nome Arthur quasi scattò in piedi e disse in fretta “Matthew Bonnefois? Il nome del piccolo era Matthew Bonnefois?” “Si, esatto. Perché tutto questo interesse?” chiese l’americano, leggermente disorientato. “Quello è il figlio di Francis!” esclamò l’inglese, che era sul punto di prendere il telefono per dirglielo, ma fu bloccato dal suo ragazzo. “Fermo. Lo so che vuoi dirglielo subito, ma se ti scoprissero… se scoprissero che tu sai questi segreti di stato, ti uccideranno. E… e io non potrei farcela se tu morissi” disse con aria allarmata Alfred, a cui lacrimarono leggermente gli occhi. Arthur mise via il telefono, calmandosi grazie alla preoccupazione del giovane compagno. Si sporse verso di lui per accarezzargli una guancia dicendo “Please don’t cry, my darling” con tono dolce e rassicurante “Troveremo una soluzione a tutto questo, va bene?” “Me lo prometti?” chiese Alfred con tono infantile, “Si, te lo prometto” gli rispose Arthur con occhi decisi.

Piccolo Angolo dell'Autrice:
Eccomi di nuovo. Vorrei scusarmi per il ritardo, ma questa settimana è stata piena di turbolenze tra scuola e uscite con gli amici. anche l'ispirazione si è fatta pregare per una volta... Per quanto riguarda questo capitolo, la scena iniziale me la covavo da un sacco di tempo e sono felice di averla finalmente scritta. Spero possa piacere come i precedenti capitoli :) 
           
   
 
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