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Autore: Sam_gnammy_    02/10/2014    0 recensioni
Una ragazza come tante, una passione e una vita perfetta. Giustamente doveva esserci qualcosa a "rovinarla", ma d'altronde quando si chiude una porta, si apre un portone.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Camminavo da ore per una strada senza inizio né fine e senza nemmeno un principale scopo, non ricordavo chi fossi, né da dove venissi, so solo che stavo camminando completamente nel buio, alla cieca, voci che sussurravano il mio nome, che si spostavano con me nel mio percorso, facevo un passo alla volta per assicurarmi che il terreno ci fosse ancora, non vedevo nulla, solo e soltanto le tenebre oscure, poi la vidi, una luce in lontananza che si faceva sempre più vicina, arrivai alla fine, entrai nella luce sperando fosse l’uscita ma, non appena lasciai appoggiare il piede, sprofondai nel buio più immenso e poi… Stop, nient’altro. Mattina presto, l’odore di caffè caldo mi attraversava completamente, occhi chiusi e un cattivo sogno alle spalle. Tutto come al solito. Stessa ragazza come le altre, niente di speciale, occhi grandi e marroni, capelli lunghi fino alla schiena mossi, color cioccolato e visino piccolo e grazioso (parola di mamma), la pelle chiara ma non troppo, sedici anni da compiere quest’inverno, alta un metro e sessantacinque circa e il peso sotto “l’andatura media”. Restai nel letto ancora per un po’, alla ricerca del sonno perduto da ormai parecchi minuti, alla fine mi arresi, mi alzai dal letto ed aprii le persiane della finestra. Andai in cucina a prendermi una tazza fumante di latte caldo, anche se con quel caldo non mi andava poi tanto. Era il ventiquattro agosto, so che non sarete affatto d’accordo con il pensiero che sto per dirvi, ma non vedevo l’ora di tornare a scuola, sono sempre stata molto studiosa e poi mi mancava la mia classe, tutti migliori amici in classe mia ed io non facevo eccezione per nessuno, poi però, c’era ovviamente la mia migliore amica in assoluto, nonché mia compagna di banco fin dalla seconda elementare: Sara, capelli corti fino alle spalle biondi scuri, occhi marroni e bassina, quasi l’opposto di me in pratica fisicamente, ma se c’era una cosa che amavamo più di tutte, era il pattinaggio artistico e poi veniva la musica, immaginate quando pattinavamo con la musica… Non potevo davvero desiderare un’amica migliore, lei c’era sempre per me e io lo stesso, fin da piccole era sempre stato così, era come la sorella che non ho mai avuto, anzi, meglio, le sorelle per un motivo o per un altro finiscono sempre per litigare, noi, che mi ricordo, non abbiamo mai litigato seriamente, insomma, sì, lo ammetto, qualche piccola “incomprensione” c’è stata, ma è sempre finita per rafforzare il nostro rapporto. Poi c’era la mia famiglia: mio padre, mia madre ed io, che vivevamo in perfetta armonia. Insomma, una vita che tutti avrebbero desiderato, soprattutto in una fase così critica come quella dell’adolescenza, dove molti si chiedono chi sono, si pongono domande sul loro futuro eccetera, ma io mi considero abbastanza fortunata in questo perché io so sia chi sono, sia chi voglio diventare. Poggiai la tazza nel lavandino della cucina e andai a prepararmi per uscire con Sara. Estate: tutto così tranquillo e rilassante, non hai il pensiero di alzarti presto la mattina, né che per il giorno dopo hai due compiti in classe e tre interrogazioni, solo e soltanto armonia, pace e calma, tutto questo raccolto in tre mesi, senza dimenticare ovviamente i quarantacinque gradi all’ombra e quelle maledettissime zanzare che anche se sei coperta fino alla radice dei capelli, troveranno sempre un posto, a volte odioso, in cui pungerti. Bene, era così, ventiquattro agosto e se la mattina ti trovavi per caso fuori casa dopo le undici e mezza… beh, a quel punto eri fottuto. Uscii con Sara, le mattinate con lei passavano velocemente, il tempo scorreva e si avvicinava sempre di più l’inizio di quello che poi avrebbe dovuto essere un lungo e troppo faticoso anno di scuola, parlavamo spesso del pattinaggio, la mia era una città molto piccola, quasi un paesino, non c’erano scuole di pattinaggio, eh già, avete capito bene, neanche una, solo qualche due o tre piste, una al coperto e le altre all’aperto. Non c’erano possibilità di fare gare nazionali ne nient’altro, questo Sara l’aveva capito bene, è per questo che ha lasciato perdere ed ha iniziato a fare pallavolo, certo, andavamo sempre due volte a settimana in pista a pattinare, ma non era come fare una vera e propria scuola, se volevi imparavi da sola e questo è quanto. Per quanto riguarda me non vi nascondo che ho sempre sperato di fare pattinaggio come un vero e proprio sport, di conseguenza non ho mai provato a iniziare uno sport diverso. Passarono i giorni, e si fece subito il primo di settembre, l’inizio della scuola era ormai alle porte, mancava davvero poco, qualcosa come due settimane, aiutavo Sara con gli ultimi compiti e cercavo di uscire il più possibile, mi vedevo con i miei compagni e con tutti i miei amici che non vedevo da una vita, in quella piccola città ci conoscevamo tutti, o almeno quasi… eravamo cresciuti insieme, giocato per strada col pallone, a nascondino e via dicendo, e tutti eravamo rimasti amici, chi più, chi meno, ma sia io che gli altri non abbiamo mai smesso di contattarci, adoravo la mia città. Beh, che dire? Tutto perfetto come ho detto prima, tranne da quel giorno in poi… quel pomeriggio, una settimana prima che iniziasse la scuola, quando mamma mi disse “ci trasferiamo.”
  
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