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Autore: Maya98    03/10/2014    2 recensioni
John è sfiancato dal constatare che è disperatamente elegante anche nel farsi del male.
(Implied-Johnlock)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Elegance of hurtin'


L’appartamento è un caos. Non esiste definizione più accurata per la disordinata collocazione che ogni oggetto precisamente ha. Una sequenza idecifrabile per una mente comune – pensiero amaro, pungente – e fin troppo rivelatrice nei confronti di una mente superiore. La pecca del geni non è il pubblico: è il caos ammaestrato.
Non mette più piede lì da tempo: ogni cosa è dolorosamente familiare ai suoi occhi; ogni dettaglio una ferita aperta. Per ogni ricordo legato ad un oggetto familiare, John sente una scossa profonda vibrare nel suo animo e disperdersi, e poi un punteruolo affondare senza pietà nella sua carne.
Immagina sia questa, la nostalgia.
L’occasione di sperimentarla gli è sempre mancata. Non perché la evitasse, chiaro; sono state chance perdute, sfuggite, scivolategli via dalle dita. In guerra non aveva una casa della quale sentire la mancanza. Dopo il lutto per la morte del suo amico, a mancargli era stato il lusso di percepire sentimenti leggeri come la malinconia. Due anni di bianco e nero: rabbia accecante mista ai picchi di dolore più profondo. Senza neanche un attimo di tregua.
Per quello se ne è andato dall’appartamento. Camminare per le stanze buie era come nuotare sott’acqua senza respirare.
Adesso non è tanto diverso. Forse c’è un po’ meno polvere. E la poltrona nera ha tornato ad essere utilizzata dal suo proprietario.
Anche il divano, in effetti, è occupato al momento. Il suo proprietario è raggomitolato come un gatto sonnacchioso, le ginocchia piegate al petto, i piedi nudi e in vestaglia. John si avvicina di un passo solo per accertarsi che sotto i riccioli ribelli che danzano con le correnti d’aria, i suoi occhi siano davvero chiusi.
È curioso come non si accorga, sul momento, che quel passo è il primo passo falso. In una lunga fila.
Avvicinandosi, infatti, il volto che alla prima luce era sembrato semplicemente pallido come usuale appare improvvisamente smorto e consumato. La pelle è tirata e secca, la fronte coperta da un velo di sudore. Le labbra sono contratte, strette l’una all’altra in una severa linea bianca, e le sopracciglia corrugate increspano la fronte con una lunga fila di rughe di espressione. Abbassando lo sguardo, John sente un tuffo al cuore. Il braccio sinistro, scheletrico come mai l’ha visto prima, ciondola inerte. Su di esso, come una lunga fila di fioriture decorative, cicatrici bianche e sottili e, per un occhio esperto, recenti. La siringa vuota abbandonata sul tavolo accanto al laccio emostatico è prova più definitiva di qualunque altra.
-Sherlock.-dice John, e il suo è un tono preoccupato. Accosta al viso dell’altro una mano, proprio sotto il naso, per sentire se respira:-Sherlock,-ripete, questa volta con una inconfondibile nota di allarme nella voce.
Poi Sherlock dà un colpo di tosse. Improvviso, perfettamente calcolato. I suoi occhi si aprono, e John è abbastanza vicino da intravedere i capillari rossi e gonfi ai margini delle iridi. Perfettamente. Lucidi.
Stava trattenendo il respiro di proposito.
-Tu!-esclama, accorgendosi troppo tardi che il volume della sua voce è già oltre la soglia massima, fuori controllo. Non riesce ad impedire che le parole si riversino fuori dalla sua bocca:-Dannato idiota, tu…!
-Non sono in overdose, se è quello che temi.-l’intonazione della voce è tagliente come un rasoio. Facendo perno sui gomiti, spostando il baricentro in modo da recuperare l’equilibrio, Sherlock tira lentamente indietro i piedi e prende una posizione seduta.
John è paonazzo.
-Chiamo Mycroft.
-Chiamalo pure. Non farà differenza.-risponde l’altro, e il suo viso è immobile come uno stagno ghiacciato. Una lucida, solida superficie liscia sulla quale abbattere i pugni provoca dolore solo all’aggressore e non all’assediato.
-Perché? Perché di nuovo? Hai detto che era per un caso! Ma per quale motivo cerchi così disperatamente di ucciderti?-John ha appena iniziato ad urlare, e già si sente sfiancato. Sfinito. Il suo tono è duro come quello di un genitore deluso. Sherlock lo degna a mala pena di uno sguardo, e volta il suo viso pallido in modo da non incontrare i suoi occhi. È più facile così.
-Non essere sciocco: morire è oltre ogni mia intenzione.
-E allora perché?-sbotta John, all’improvviso. La sua esasperazione, dipinta a regola d’arte sul suo viso espressivo, si frantuma in contingente frustrazione:-Perché ti fai del male in questo modo?
-Perché?-ripete Sherlock, scandendo lentamente:-Perché?-ripete retoricamente, il viso contratto in una maschera di disprezzo. Si sporge oltre il divano, il suo corpo teso in una lunga figura di equilibrio precario. Una volta alla sua portata, lascia che la sua mano afferri nuovamente la siringa e il laccio emostatico. Sistema con dita esperte il secondo, lasciando che le sue vene emergano con facilità in superficie.
John è sfiancato dal constatare che è disperatamente elegante anche nel farsi del male.
-Vattene.-è il duro ordine impartitogli da Sherlock. Gelido, efficiente. Efficace:-Vattene e non provare a tornare a fare le tue visite di cortesia. Vieni quando ti chiamo per un caso, e basta. Punto.
John rimane lì, la rabbia che ribolle a fior di pelle pronta ad affiorare in superficie ed esplodere. Apre le mani, e poi le serra in pugni stretti, ripetendo il movimento per un paio di volte. La sua mascella è stretta e rigida, la sua postura un largo piano di tensione concentrata. Apre la bocca per dire qualcosa, poi la richiude. Se ne va sbattendo la porta.
Torna quando Sherlock lo messaggia per un triplice omicidio. Spende una sola parola sull’argomento, che viene accuratamente ignorata dall’interessato. La terza volta che riscopre la sua dipendenza nelle occhiaie violacee che gli deformano gli occhi, stringe solamente le labbra. Forse il vecchio John Watson avrebbe reagito, avrebbe litigato ancora, lo avrebbe fatto ragionare a costo di fargli sputare i denti. Ma lui non è più quel John Watson.
Per cui, quando torna la terza volta e lo trova accasciato sul divano, intento a farsi una dose, non fa assolutamente nulla. Distoglie lo sguardo e impara a fare finta di niente, come tutti gli altri.
 
 
 
Angolino della Skizzata:
Bé, avete presente il mio precedente esperimento su Irene? Ho deciso di farne una serie. Uno studio nei caratteri dei personaggi alle prese con uno Sherlock che si autodistrugge (sì, finalmente ho voglia di trattare il discorso della droga. Yupphy). Quindi, Irene era la prima, adesso John, seguiranno Mycroft, Billy, Mary, Greg, Molly, Mrs Hudson, Victor e Jim, non necessariamente in quest’ordine. E poi, ovviamente, dulcis in fundo: Sherlock. Una serie di flashfic (www.efpfanfic.net/viewseries.php?ssid=12423&i=1) che pubblicherò ogni tanto, appena avrò tempo, niente che vada ad interferire con le mie long. Un puro svago nato da una lezione su Empedocle.
 Era da tanto che non utilizzavo il punto di vista di John: non mi ci sono mai trovata. Non riesco ad assimilare il cambiamento tra la s2 e la s3. Quindi, gradirei molto se mi deste pareri su come ho tentato di gestirlo questa volta.
Grazie a tutti quelli che hanno letto <3
  
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