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Autore: stellinasple    03/10/2014    1 recensioni
Non c’è cosa più brutta che essere dipendente da qualcosa. Sapere di non riuscire a sopravvivere senza, non riuscire a pensare ad un futuro se non con lei, la mia unica sola ragione di vita, la mia ossessione, la mia droga.
Esatto, droga! Per quanto possa far male, ti possa prosciugare la vita senza che tu te ne accorga poiché troppo occupato a procurartene altra, quello che è iniziato come uno scherzo, adesso è finito per diventare l’essenza della mia vita.
Ne ero dipendente, dipendente fino al midollo. Ero, perché pian piano quest’ossessione è stata sostituita, inconsapevolmente, da un nome: Liam.
Tratto dalla storia:
La sua voce calda e rassicurante che penetrava la mia anima, rinforzando le mie fragilità, dando vigore alle mie debolezze, colmando i vuoti lasciati dalle incertezze e abbattendo gli ostacoli delle mie paure. Non potevo chiedere di meglio.
Ero io il problema. Lui era perfetto, io un disastro a piede libero capace di provare emozioni solo attraverso le deformate e distorte vie della droga. Sì, era così, ma prima che incontrassi lui. Solo allora realizzai che quello era stato il primo giorno da anni che mi sentivo viva, capace di provare sentimenti ed emozioni senza drogarmi.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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One way or another

Mai visto niente di più bello. Uno scenario sublime. Uno spettacolo per gli occhi e per l’anima.
Il mare increspato, le onde che si infrangevano contro gli scogli per poi fondersi nuovamente con le acque, rifluendo in quel mare cristallino e tornando al punto di partenza. Il tutto incorniciato dal rosso sole riflesso sul mare all’ora del tramonto.
Un leggero sottofondo musicale accompagnò quello scenario mozzafiato. Dondolata da quelle dolci note mi abbandonai a quelle sensazioni. La musica divenne sempre più forte ed assordante, spazzando via la calma che prima incombeva beata.
Quando aprii gli occhi tutto quel mondo che mi circondava sparì di colpo lasciandomi nella più completa oscurità. Mi guardai intorno e solo allora realizzai che si trattava di un sogno e che quella musica non era altro che la sveglia del mio cellulare, così scesi dal letto ancora un po’intontita.
Un’abbondante colazione ed una doccia fredda erano quello che mi ci voleva per ritornare con i piedi per terra. Appena finii di prepararmi, presi la cartella ed il solito pacchetto che mi portavo sempre dietro ovunque andassi e mi diressi verso scuola.
Oltrepassai il cancello principale e vidi una grande moto nel parcheggio della scuola. Quel veicolo attirò subito la mia attenzione poiché esprimeva forza e potenza. Pensai che le stesse sensazioni le dovesse esprimere il suo proprietario se tra tante aveva scelto proprio quella. Infatti, le mie supposizioni si rivelarono fondate, quando in direzione della moto si avvicinò un ragazzo. E che ragazzo!
Sfoggiava un taglio di capelli corto e ben curato, degli accenni di barba gli contornavano il viso e, anche se indossava degli occhiali da sole, avrei giurato che i suoi occhi fossero profondi e dello stesso colore dei capelli castani. Mi colpii il suo look sportivo che gli conferiva un’aria di durezza e tenebrosità.  Si appoggiò sul fianco della moto, intento nel maneggiare un grande casco nelle mani.
Persa in quella splendida visione, solo dopo alcuni istanti mi accorsi che il ragazzo aveva spostato lo sguardo sulla mia figura, ricambiando la meraviglia facilmente percepibile nei miei occhi con un piccolo ghigno compiaciuto sulle labbra. Forse aveva capito che quello che stavo guardando mi piaceva, che lui mi piaceva. Qualcosa dentro di me scattò come una molla facendomi ritornare al mondo terreno e riacquistare un briciolo di dignità, persa in quegli attimi. Un riflesso incondizionato mi fece automaticamente indietreggiare e proseguire per la mia strada. Non potei però evitare di voltarmi un’ultima volta e vederlo infilarsi il casco scuro che destreggiava nelle mani che rese poi impossibile vedere (ammirare) il suo volto. Montò prontamente sulla moto, seguì un rombo tuonante, della polvere si alzò zampillando dal terreno sotto la potenza delle ruote, dandomi la certezza che si stava allontanando. Il penetrante rumore del bolide si fece sempre più lontano fino scomparire.  La giornata era iniziata alla grande.
 
Stranamente arrivai dieci minuti prima che la campanella suonasse, giusto il tempo di darmi un po’ di carica necessaria a sopportare la giornata. Mi infilai in un bagno di soppiatto e controllai con estrema attenzione che non ci fosse nessun disturbatore. Accertatami d’essere sola aprii l’immancabile sacchetto che mi portavo dietro, cacciai il contenuto posizionandolo con cura su un davanzale e preparai ciò che era la chiave per la felicità.
Mi godetti ogni boccata di quella canna, gustandomi il forte sapore intrinseco, annebbiandomi nella colonna di fumo bianco che si innalzava e adorando ogni singola sensazione di benessere che provocava in me. Il fumo che si annidava e aleggiava nei miei polmoni liberava il mio corpo da ogni pensiero e preoccupazione.
Tutto ad un tratto mi sentivo libera e spensierata, la mente vuota, l’esilarante effetto della mia adorata amica che si faceva spazio in me occupando ogni negatività  e rimpiazzandola con leggerezza dell’anima e del corpo. Amavo quelle sensazioni, mi permettevano di iniziare con il piede giusto ogni giornata e aggiungere un pizzico di esaltazione alla mia ordinaria vita, caratteristica sin troppo affine alle mie giornate quanto distaccata dal mio essere.
 Sì, ero una drogata dalle vane speranze. Ora questa è una parolona, come potevo mai definirmi drogata se mi concedevo il lusso, direi più diritto/dovere, di svagarmi un po’ e fuoriuscire dalla monotonia della mia piatta esistenza?  Mi andava bene così, ma che dico, lo adoravo. Non dico che era una cosa di cui andavo fiera, ma neanche di cui vergognarmi e sentirmi un essere infame privo di amor proprio.
Di solito fumavo prima di andare a scuola per non far sentire l’odore intriso nei vestiti, ma quella mattina volevo riprovare le sensazioni provocate dal sogno.
 
Stavo per godermi l’ultimo tiro quando sentii una voce altisonante provenire da fuori.
“Ma cos’è questo odore?”
“Cazzo!”
 Mi hanno disturbato proprio nel momento migliore, merda!
Spensi il più in fretta possibile la canna sotto all’acqua e cercai di dissolvere quel pesante odore aprendo una finestra.
Mi nascosi in un bagno quando dei passi pesanti si fecero sempre più vicini. Era la Stevens, la mia vecchia cara prof di inglese, la più ficcanaso e rompipalle di tutte. Aprii leggermente la porta vedendola accostata alla finestra nell’intento di associare un’immagine, una spiegazione, all’odore intenso insinuatosi nell’ambiente.
Scappai di soppiatto per non essere vista, ma il mio tentativo risultò vano.
“Signorina Prime!” esclamò sorpresa. “Si fermi”.
Non mi voltai nemmeno che incominciai a correre. Raggiunti i corridoi, mi voltai furtivamente a destra e a sinistra per cercare una via di fuga. Fu allora che vidi la porta che dava accesso alla scala di sicurezza. Percorsi velocemente quella rampa, senza mai voltarmi indietro, fiondata come un razzo, rischiando anche di cadere. Una volta sbucata sul parcheggio, imboccai il vicolo che dava alla strada, sapendo che una volta arrivata lì, sarei stata salva.
Mi fermai un attimo sentendo la stanchezza sopraggiungere, le gambe abbandonarmi da un momento all’altro. Fu proprio in quel momento che mi voltai e vidi rincorrermi da degli uomini in divisa, sicuramente inservienti scolastici.
Riuscii a riprendere solo poco fiato, non sufficiente per continuare ancora a lungo e riprendere a correre. Quegli uomini mi avevano quasi raggiunta, così decisi di non opporre più resistenza e fermarmi ormai stremata.
In quel preciso istante sentii il rombo di un bolide. Non lo vidi avvicinarsi, ma percepivo la sua presenza, lo sentivo vicino.
“Salta su” una voce sconosciuta mi raggiunse alle spalle. Mi girai e il guidatore mi fece cenno di salire.
Indossava un casco scuro che mi rendeva impossibile vedere il suo viso.                                                      
“Non ho bisogno di qualcuno che mi salvi” gli dissi sgarbata.
“Non fare la bambina e sali” mi rispose a tono.
Mi voltai e la quasi nulla distanza che mi separava da quegli uomini mi spaventò.
“Magari per oggi posso fare un’eccezione.”
Una mano mi cinse il fianco caricandomi di peso sulla moto e partendo subito a gran velocità.
 
   
 
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