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Autore: Afaneia    03/10/2014    3 recensioni
Il ragazzo che ha commesso l'errore di trascorrere una notte nella Torre Pokémon non esiste più. Da quella Torre è uscito un uomo adulto e privo di nome e di ricordi, cui non è rimasto che un obiettivo nella vita: vendicarsi degli Spettri che abitano il cimitero di Lavandonia. (Sequel de La Spettrosonda).
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Giovanni
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ultor'
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Eccomi di nuovo qua!

Questa storia nasce come un sequel, inizialmente non previsto, de La Spettrosonda. A differenza di quest'ultima però, che almeno nella mia mente era concepita come una sorta di Poképasta, questa ha più le caratteristiche di un vero e proprio racconto breve, forse un po' noir, per così dire. Devo segnalare anche un linguaggio leggermente più volgare rispetto al mio solito, niente di sconvolgente, comunque.

Anche stavolta non mi aspetto acclamazioni, sono consapevole che la storia potrebbe non piacere a tutti, ma io mi ci sono appassionata tantissimo fin dal primo momento, a tal punto da girare per giorni con il mio quaderno ovunque andassi per continuare a scrivere. Quindi ho deciso di postarla nella speranza, forse vana, che sia un prodotto gradevole per i lettori anche solo un quarto di quanto lo è stato per me.

Non posso esimermi dal ringraziare profondamente e sentitamente Sky98, senza il cui prezioso suggerimento questa storia non sarebbe mai venuta alla luce.

Detto questo, vi lascio alla lettura.

Enjoy!

Afaneia





La rovina della Torre Pokémon


«Ebbene, i francesi non si sono vendicati del traditore; gli spagnoli non hanno fucilato il traditore; Alì, sepolto nella sua tomba, ha lasciato impunito il traditore; ma io, tradito, assassinato, gettato vivo in una tomba, da cui sono uscito per miracolo, io debbo vendicarmi, ed il cielo, giusto punitore dei malvagi, mi ha inviato a punire, ed eccomi qui.»


Alexandre Dumas, Il Conte di Montecristo.


Capitolo I – Università degli Studi di Azzurropoli.


Sua madre lo guardava con una tristezza che con l'amnesia non aveva niente a che fare. Lo guardava studiare gli enormi manuali che si era procurato, manuali di fisica della materia, atomica e subatomica, ma anche libri più dimessi e vecchi, testi di scienze occulte, esoteriche, sovrannaturali. Non diceva nulla, ma egli, Sakaki – aveva ormai accettato l'idea di chiamarsi così – sapeva che era preoccupata e infelice. Talora, quando sollevava gli occhi stanchi e arrossati dalle sue letture, la sorprendeva a osservarlo, con occhi ancora più stanchi e cerchiati dei suoi – ma per una stanchezza che proveniva dall'interno, come per una qualche melanconica rassegnazione. In quei momenti, quando i loro occhi s'incontravano da una parte all'altra del tavolo, al di sopra di quella muraglia invalicabile che i suoi libri e il loro silenzio costituivano tra di loro, Sakaki avrebbe voluto chiederle perché fosse tanto triste. Ma poi non trovava il coraggio, un paragrafo, il titolo di un capitolo lo attraevano e lui riprendeva a studiare, vagamente imbarazzato, e lei riprendeva a osservarlo in silenzio.

Finalmente, una sera, quando da una finestra aperta provenivano le voci concitate di sua sorella e di un'amichetta che giocavano in giardino, un sussurro timidamente divertito, ma appena accennato, infranse quella barriera invisibile tra di loro: «Neppure a scuola hai mai studiato così tanto.»

Sakaki levò gli occhi su di lei, cercando di non mostrarsi troppo stupito, e si scontrò col suo sguardo incerto, implorante. Voleva disperatamente parlare con lui, stabilire un contatto, cercare di ritrovare, in quel giovane uomo che studiava forsennatamente dall'altro lato del tavolo, il proprio figlio. Si domandò da quante sere quella donna stesse riflettendo su quella frase, ne stesse misurando il suono nella bocca chiusa, accordasse tra loro le parole...

«Io... non mi ricordo la scuola» disse seccamente, impacciato, attirando a sé con una mano un libro di fisica teorica da cui voleva confrontare una nozione. Era vero: non ricordava di aver mai frequentato la scuola, sebbene fosse evidente che l'aveva fatto, dal momento che sapeva leggere e scrivere e capiva un po' di fisica. Tuttavia, quando tornò a concentrare la propria attenzione su sua madre, vide sul suo viso una tale quantità di delusione per quella secca, imbarazzata risposta, che chiuse bruscamente il libro, pur lasciandovi due dita come segno, e si schiarì la voce. «Ero bravo?»

Era un tentativo di conversazione che sarebbe stato patetico anche tra due estranei, Sakaki se ne rendeva conto persino dall'abisso della propria ignoranza in fatto di convenzioni sociali. Ma purtroppo, questo era quello che erano ora lui e sua madre: due estranei. Ed egli si rendeva conto anche troppo bene che avrebbe dovuto essere grato per quel patetico tentativo, in quanto era molto di più di ciò che avrebbe mai più potuto avere con suo padre. Probabilmente anche sua madre condivideva la sua stessa consapevolezza, visto che il suo volto s'illuminò di un timido sorriso radioso.

«Piuttosto bravo, direi. Insomma... normale.»

«Normale?» Sakaki cominciava già a trovare assai difficile portare avanti quella conversazione. «Che voti prendevo?»

«Oh... sempre la sufficienza» garantì la donna con convinzione. Poi, dopo un attimo di silenzio, nel disperato tentativo di non lasciar morire quella conversazione, per quanto patetica e imbarazzante essa fosse, soggiunse guardando i suoi libri: «Non andavi matto per la fisica.»

«Suppongo di no» mormorò Sakaki, profondamente tentato di chinare nuovamente lo sguardo sui propri studi. Entrambi si guardarono imbarazzati per qualche momento, dopodiché la donna riprese la conversazione: «Come mai questo interesse per la fisica?»

Sakaki considerò per un momento se doveva dirle la verità: osservò per un momento, senza realmente vederli, i titoli dei suoi libri. Poi, schiarendosi la voce: «Penso che possa aiutarmi a capire cosa mi è successo nella Torre.»

I sorriso di sua madre scomparve subitaneamente: ella lo guardò confusa, disarmata, prima di distogliere lo sguardo da lui, come se non sapesse come prendere la sua affermazione. Sakaki esitò alla sua reazione. «Ho... detto qualcosa che non va?»

«No... no, certo che no. Non me l'aspettavo.»

Sakaki la scrutò senza capire. Che cosa esattamente non si aspettava? Che lui avrebbe fatto tutto quanto di possibile vi fosse al mondo per sapere qualcosa di più riguardo a quanto gli era accaduto durante quella terribile notte? O semplicemente che dopo tutto ciò avrebbe ancora osato pronunciare il nome di quel luogo?

Sua madre intrecciò le mani in grembo e puntò lo sguardo fuori dalla finestra. Sentendosi in qualche modo sollevato da quell'interruzione, e contemporaneamente sentendosi un mostro per provare sollievo, Sakaki riaprì il suo manuale di fisica dei quanti.

«Hai sempre detto che avresti voluto studiare storia, se fossi andato all'Università» proruppe infine la donna, come buttando fuori quelle parole tutte d'un fiato. Sakaki alzò immediatamente lo sguardo: sua madre si torceva le mani in grembo fin quasi a graffiarsene i dorsi, con lo sguardo ostinatamente infisso su quella finestra e gli occhi colmi di lacrime.

«Come?»

«È così» proseguì la donna senza guardarlo. Aveva la voce incrinata dal pianto. «Tu odiavi la fisica. Ti ho mandato anche a ripetizione. Volevi fare storia. Amavi la storia, con tutti i nomi e le date e le battaglie e tutto il resto. E ora... e ora non mi guardi più neppure in faccia, per studiare tutti questi libri di fisica, per tutto il giorno. E tutti i tuoi manuali di storia, tutti questi anni di studio... inutili, ormai, e solo per quella Torre!»

Sakaki non ricordava di aver mai visto sua madre così disperata e ferita. Certo, non che ricordasse di aver visto molto spesso sua madre in qualsiasi circostanza.

«Mamma...» balbettò confuso. «Ti prego, non ti arrabbiare. Ricordo ancora qualche nome, qualche data...» Era vero: se frugava attentamente nella propria memoria, rinveniva qualche grande condottiero, qualche data fondamentale per la fondazione di Kanto... tutto quello che probabilmente faceva parte del sostrato conoscitivo fondamentale di ogni persona sulla regione, che anche non avesse compiuti studi particolareggiati. «Ma non sono più il ragazzo che è entrato in quella Torre e tu lo sai meglio di me. Ti prego, non ti arrabbiare.»

Pronunciando quelle parole, chiamando mamma quella donna che che per lui era poco meno di un'estranea, Sakaki non poteva non sentirsi orrendamente in colpa: sentiva come di stare usurpando la madre di qualcun'altro, parlandole come se lui fosse davvero il figlio che lei aveva perduto dentro quella Torre. Ma no, Sakaki non era quel figlio, né mai lo era stato o sarebbe potuto esserlo: l'uomo che era uscito dalla Torre, nudo e congestionato dal freddo, non era lo stesso ragazzo che vi era entrato. No, quel ragazzo era morto, perduto per empre, gli spiriti l'avevano ucciso: Sakaki era nato quando aveva aperto gli occhi su quel nero buio imperscrutabile e quando una voce gli aveva chiesto qual era il suo nome. No, Sakaki era un uomo nuovo, non votato che alla vendetta, per quanto si ostinasse a restare in quella casa, illudendo, in modo forse crudele, quella buona, dolce, infelice donna che in lui cercava suo figlio.

Alle sue parole, ella ricadde quasi immobile sulla sedia, senza protestare, forse pentita di aver infierito su di lui per qualcosa di cui realmente non aveva colpa: solo i suoi occhi resistettero per un istante, ma poi, lentamente, si chinarono.

Sakaki non aveva più voglia di studiare. Chiuse il libro, imprimendogli un colpo forse un po' troppo violento rispetto alle sue intenzioni, perché vide sua madre sobbalzare sulla sedia, e uscì in giardino, all'aria aperta.

A pochi metri da lui, sua sorella giocava con la sua amichetta, ma Sakaki non le degnò di uno sguardo. In quella notte chiara e senza vento, illuminata da un'ancora corposa falce di luna calante, come ignorare l'ingombrante presenza della Torre Pokémon?

Rimase a lungo immobile, quasi spossato, a inspirare profondamente l'aria della notte. La cima della Torre brillava di luna. Sakaki la guardò con dolorosa attenzione.

«Mio Dio, perché?» mormorò, come se davvero sperasse di ricevere una risposta da quell'edificio silente. «So che cosa mi avete fatto, ma perché tutta questa crudeltà? Questo ancora non riesco a capirlo.»

Ma i minuti trascorsero su di lui silenti come soffi di vento, taciti come segreti, mentre lui cercava invano le sue risposte dentro quelle finestre, nere come orbite vuote.


Sua madre era stata contraria fin dal primo momento all'idea dell'Università.

Innanzitutto, la retta per l'Ateneo di Azzurropoli era molto costosa: altre città, come Zafferanopoli o Aranciopoli, erano assai più economiche. Ma Sakaki era inflessibile: solo Azzurropoli aveva un corso di laurea specifico per l'Elettronica quantistica*, che era, almeno secondo le sue supposizioni, la materia più utile ai suoi scopi. Inoltre, sua madre era perplessa anche circa le sue capacità. Non che glielo avesse detto chiaramente. Si era limitata a obiettare timidamente: «Sakaki, la fisica è una materia molto difficile. Anche ragazzi molto brillanti l'abbandonano, ragazzi che non...» Non aveva terminato la frase, ma non ve n'era bisogno: Sakaki sapeva cosa intendeva dire. Ragazzi che non avevano perduto la memoria, ragazzi che si ricordavano almeno di aver frequentato una scuola, di aver odiato la fisica...

Dopo lunghe sere di discussione, avevano raggiunto un compromesso: dal momento che mancavano ancora sei mesi all'inizio del nuovo anno accademico, Sakaki sarebbe andato ad Azzurropoli ad assistere almeno a qualche lezione, per accertarsi di quale fosse effettivaente la realtà universitaria.

Per quel motivo quel lunedì mattina Sakaki, che aveva attraversato il modernissimo sotterraneo costruito per collegare Lavandonia e Azzurropoli evitando il traffico di Zafferanopoli, prese posto in un'aula poco affollata della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali per seguire la sua prima lezione di elettronica quantistica. Si sentiva eccitato, eccitato e nervoso, all'idea di poter finalmente avvicinarsi anche di un solo, ridicolo passo al raggiungimento del suo obiettivo.

Ma per le successive due ore di lezione egli non poté fare altro che rimanere seduto a bocca aperta di fronte a un panciuto professore di mezza età che spiegava un qualche argomento di cui lui non aveva compreso neppure il nome, alleggerendo di tanto in tanto la spiegazione con battute amichevoli a sfondo scientifico di cui lui neppure riusciva a cogliere il senso. Sakaki ascoltava basito: era vero che le lezioni erano cominciate da svariati mesi, ma quello era un corso del primo anno. Era davvero così difficile?

Al primo quarto d'ora accademico se la svignò dalla porta in fondo all'aula, agitato e tremante, con le mani gelide e ciononostante sudate, ben deciso a non rimanere lì per un minuto di più. Mentre i corridoi attorno a lui si affollavano di studenti, con le loro tracolle e le loro borse di pelle, i loro libri e i loro appunti, Sakaki si appoggiò a una parete per riprendere fiato: il cuore gli batteva all'impazzata. Si sentiva umiliato, confuso, ma soprattutto si sentiva messo alle strette: no, sua madre aveva ragione, quella materia era troppo difficile per le sue capacità. Avrebbe impiegato anni anche solo per padroneggiarla decentemente, e non avrebbe comunque mai raggiunto un livello di conoscenze teoriche e pratiche tale da permettergli di...

Ma allora che fare? Abbandonare il suo progetto? No, impossibile, impensabile. Nulla gli era rimasto che non fosse la sua vendetta: aveva perduto sua madre e sua sorella, per quanto esse fossero lì per lui e pronte ad amarlo, poiché egli non ricordava di averle mai amate a sua volta in vita propria. Egli era dunque orfano e senza amici. Aveva perduto tutte le conoscenze che aveva accumulato nei suoi diciotto anni di vita: dei suoi giovanili studi di storia, non ricordava niente che non fossero risibili conoscenze superficiali e particolari. Più che mai a quel pensiero si sentì solo al mondo. No, per essere nato dentro la Torre Pokémon, ora la vendetta era l'unica ragione della sua esistenza e a essa doveva aggrapparsi a qualsiasi costo, non vi poteva rinunciare, soprattutto, non prima ancora di iniziare...

Si passò le mani fredde sul viso accaldato, col cuore che ancora gli martellava dolorosamente il petto. Aveva bisogno di una toilette, voleva sciacquarsi la faccia, rallentare la corsa furiosa dei propri pensieri. Ma quando si staccò dalla parete, si rese conto di non essersi appoggiato semplicemente contro il muro: alle sue spalle c'era una bacheca per gli avvisi in sughero. Li scorse distrattamente con gli occhi, sperando di distogliere per un attimo l'attenzione dai propri pensieri.

E poi, ecco. Si sentì stupido, tardo e sciocco per non avervi pensato prima. A pochi metri da lui c'era una sala studio deserta: vi corse dentro, prelevò un foglio bianco dal cassetto di una stampante e con un pennarello nero, nella grafia più grande che gli riuscì di produrre, scrisse: Cercasi neolaureato/a in Elettronica quantistica per importante ricerca applicata. Astenersi perditempo. Dopo un attimo di esitazione, aggiunse: Possibilità di ritorno economico e il proprio numero di telefono e tornò ad affiggere il suo annuncio sulla bacheca, sovrastando senza ritegno annunci di stanze in affitto e offerte di ripetizioni.

Quel pomeriggio, Sakaki tornò a Lavandonia con la piacevole sensazione di aver concluso qualcosa. Non era certo che qualcuno avrebbe risposto al suo annuncio, e anche se così fosse stato, che questo qualcuno avesse le conoscenze tecniche per poterlo aiutare. Tuttavia sentiva di averlo compiuto davvero, un passo in avanti sulla sua strada verso la vendetta.

Nel frattempo, pensò compiaciuto, poteva dedicarsi alla ricerca dei fondi.


*Il mio amore per la fisica è stato intenso, ma purtroppo era destinato a finire e ho mollato quel corso di studi molto tempo prima di poter anche solo concepire l'Elettronica quantistica. Tuttavia, guardando un po' di vecchi documenti, ho pensato che potesse essere la materia più adatta per quello che vuole realizzare Sakaki... se aveste idee migliori, fatemelo sapere!



   
 
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