Anime & Manga > Magi: The Labyrinth of Magic
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Autore: whitemushroom    04/10/2014    7 recensioni
Una principessa sta per lasciare il suo palazzo, pronta a diventare la regina di un uomo di cui nemmeno conosce il nome. Pensieri di Kougyoku all'ombra dei ciliegi, quando le ombre iniziano a scivolare sulla sua famiglia senza che appaia una via d'uscita; come tutti i Ren, l'unica speranza sembra essere la propria famiglia.
Una semplice one-shot dedicata non solo a Kougyoku ma a tutti i Ren, che superano ogni ostacolo stringendosi l'uno all'altro inseguendo il sogno di un unico impero.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kōgyoku Ren, Kouen Ren
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Ma è fantastico, principessa, assolutamente fantastico!”
Koubun Ka erutta come il vulcano Fei-Tze, i suoi lapilli di gioia incendiano tutta la stanza mentre rovescia il contenuto degli armadi, dei cassetti, delle panche, tutto quello che riesce a trovare finisce sul mio letto tra i suoi gridolini isterici. “Era una vita che aspettavo … cioè, che aspettavamo questo momento, no?”
“Immagino … immagino di sì” mormoro, cercando di calmare il cuore che mi sta martellando in petto, che grida e strepita così forte che lo staranno sentendo a Balbadd, potente e chiaro come i tamburi che annunceranno il mio arrivo tra meno di tre giorni. Sempre che riescano a sentirlo sotto le urla di Koubun Ka, che è schizzato oltre la porta per ordinare qualcosa ad una guardia ed è ritornato alla carica alla mia destra. Ormai tutto il palazzo saprà della mia partenza.
“Mi dicono che il clima di Balbadd sia secchissimo ed inadeguato per la pelle, principessa! Ma non si preoccupi, raschierò tutte le creme dell’Impero prima della partenza. Se solo Sua Altezza mi avesse avvisato prima avrei ordinato ai sarti di prepararle qualche abito adatto, quindi mi raccomando, al minimo accenno di calore mi avvisi, per carità!”. Estrae un portagioie da chissà dove ed inizia a riempirlo di anelli, fermandosi di tanto in tanto per intonarli con i vestiti. Ho provato a spiegargli che possiedo soltanto dieci dita, ma questo non sembra un argomento valido, men che mai quando cerco di fargli notare che quei gioielli sono soltanto d’impaccio quando si deve impugnare una spada. Forse è anche per questo che ne sta portando più del necessario. “Il vestito nuziale, quello sì che è una tragedia! Non c’è tempo!”
Sospira sconsolato, come se la cinque pile di abiti alte fino al baldacchino non fossero sufficienti. “Ma stia tranquilla, il suo Koubun Ka penserà a tut-to! Cercherò qualche cavillo per ritardare le nozze di un giorno o due, così ci faremo mandare da casa un abito degno di una principessa di Kou! La farò scintillare, parola mia! E quando saremo lì ricordate: per quanto lei sia solo l’ottava principessa imperiale …”
“ … sono purtuttavia una principessa. Lo so.”
“Eccellente, questo è lo spirito giusto!”
Quante volte ho sentito questa cantilena?
Non lo so… davvero non lo so.
Fuori il clangore metallico si ferma, le spade smettono di danzare. La voce di Kouha arriva fin qui, energica come se avesse trascorso le ultime tre ore a poltrire e non ad allenarsi. Ormai non c’è nessuno in grado di tenergli testa con la spada.
Sporgermi alla finestra sarebbe una sciocchezza. Guardare in basso, respirare la sabbia del cortile, guardare Kouha … sarebbe tutto una sciocchezza. Tra tre giorni questo luogo non tornerà più. Koubun Ka sarà felice: i miei vestiti non saranno più laceri e sporchi, non dovrà più trascinarmi in bagno per rendermi presentabile.
Anche io ero in quel cortile meno di due ore fa. Kouha mi stava insegnando a fintare, impettito ed in punta di piedi per arrivare alla mia altezza, offeso perché dopo il decimo tentativo ancora non riuscivo a deflettere a terra il suo attacco. All’undicesimo ci sarei riuscita sicuramente, ma poi mio padre mi ha fatta chiamare. Anche se non credo di averlo ascoltato sul serio.
Forse è uno scherzo, o un mio sogno malsano. Dopotutto ieri sera al banchetto ho mangiato più di tre fette di torta, quindi forse è solo uno sciocco incubo, uno di quelli che riflettono le proprie preoccupazioni e ti sembrano così reali da farti piangere, proprio come sta succedendo a me in questo istante; perché immagino che stavolta aprire gli occhi non mi servirà a nulla.
Il ventaglio è a portata di mano, spalancato sul comodino. Non voglio che Koubun Ka mi veda in questo stato. Non voglio che nessuno mi guardi.
“Non riuscirò a caricare tutto su venti tappeti, non si alzeranno in volo nemmeno pregando! Devo as-so-lu-ta-men-te …”
Il suono della sua voce si perde. O forse dovrei dire si interrompe, svanisce in un flebile lamento al frusciare di vestiti alle mie spalle. Non ho bisogno di voltarmi: due persone in tutto l’impero sono in grado di fermare l’arte oratoria di Koubun Ka, e soltanto una di queste emana calore al proprio passaggio, riempiendo l’aria del proprio profumo. Il mio attendente balbetta qualcosa, e a giudicare dal rumore che mandano i suoi passi affrettati nel corridoio, la persona che ha appena messo piede nella stanza deve avergli regalato una delle sue occhiate che farebbero nascondere persino Judal.
Ed è qui per me.
Il ventaglio non è una protezione sufficiente, ma per quanto cerchi di ricacciare velocemente le lacrime da dove sono venute quelle non fanno altro che premere contro le ciglia, spingono e gridano di essere lasciate libere. Sono delle maledette traditrici, delle ipocrite, perché sanno che Kouen detesta vederci piangere ed invece non fanno altro che scivolare lungo le guance facendo a gara a raggiungere il pavimento. L’ultimo tentativo di fermarle si trasforma in un singhiozzo strozzato, che produrrebbe un suono increscioso se non fosse che qualcosa di caldo lo stronca, qualcosa di soffice e caldo che mi preme contro il viso. La stoffa bianca raccoglie il mio urlo di rabbia. Non voglio andarmene. Non voglio.
Mi stringe contro il suo petto senza dire nulla, cinque dita perse nei miei capelli, le stesse che hanno strappato il cuore al generale Ryosai alla notizia del suo tradimento; mi tiene a sé lasciandomi piangere e affondare dentro di lui. So che gli dispiace, so che odia la debolezza, ed è solo colpa mia se non riesco a fermarmi, a smettere, ad essere una vera principessa, una conquistatrice di dungeon, una regina, vorrei essere qualunque cosa e non una ragazza in lacrime. Vorrei che mi urlasse.
E non lo fa.
“Mi dispiace, Kougyoku”
Mi dispiace non è una parola che si sente spesso dalle sue labbra. E Kouen non è una persona da frasi di circostanza. Una mano mi strofina la guancia, strofinandomi l’angolo degli occhi dove ormai il perfetto trucco disegnato da Koubun Ka si sarà trasformato in un rivolo rosso, bianco e viola; quando accompagna i miei occhi verso l’alto, le sue iridi color sangue rivelano soltanto tristezza. “Mi dispiace non essere riuscito ad impedirlo”.
“Non è colpa tua” mormoro. Davvero pensa che …?
“Sì che lo è. Ho giurato che vi avrei protetto tutti”.
La sua mano libera si stringe in un pugno, che si rilassa solo quando lo prendo tra le mie. Il tendine del polso è rigido, come se tutte le fiamme di Astaroth fossero pronte ad incendiare la stanza, il palazzo, il mondo intero fino a raggiungere Balbadd. Kouen detesta perdere. Specie quando si tratta di noi. Quando si accorge di come le nostre mani sono intrecciate ritorna immediatamente serio, il Rubino Infuocato che conosco. “Usciamo di qui. Credo che dobbiamo entrambi schiarirci le idee”.

Il giardino è coperto da un tappeto di petali. Sono arrivati fin qui, sulle scale; a nessun servitore è permesso avvicinarsi a questo chiostro, e soltanto il vento di stanotte solleverà questa coltre rosa rispolverando il dedalo di vialetti che lo attraversa da un lato all’altro. Mancano ancora diverse ore al tramonto, ma il profumo dei ciliegi è già intenso, pungente e dolce allo stesso tempo, proprio come le carezze di un amante; l’unico segno di vita sono i corvi che si poggiano sullo scrittoio all’ombra della pagoda lungo il lato est del giardino, il santuario inviolabile di Koumei dove anche Kouen entra in rispettoso silenzio. Ma Koumei non c’è, e non verrà fino a domani. Non c’è nemmeno il suo calamaio ad attenderlo.
Da un’altra ala qualcuno canta. Forse è Jinjin.
Ci sediamo, appoggiandoci lentamente sui gradini di legno che collegano tutto il resto del palazzo a quel piccolo mondo congelato nella sua primavera; non mancano le panchine o i massi, ma Kouen preferisce questo posto, l’unico da cui riesce a dominare tutto il panorama fino all’angolo più remoto del canneto che protegge il laghetto come un muro di cinta. Da quel punto riesce a sporgere una mano oltre la ringhiera, affondandola tra i rami più bassi della magnolia imperiale; stacca un fiore dall’albero e me lo poggia in grembo.
Ho asciugato quasi tutte le lacrime. Le ultime che rimangono vengono stuzzicate dal vento che si sta alzando e che increspa lo specchio d’acqua; non c’è nessuno in questo angolo di paradiso. Soltanto noi.
Vorrei chiedergli tante cose. Vorrei parlare, ridere, rincorrerlo come facevo da bambina quando volevo fargli vedere quanto ero brava con gli ideogrammi, tirando il suo mantello finché non cedeva e veniva a riempirmi di complimenti e baci. Quando ancora sorrideva.
“Perché non Hakuei?” mormoro, quasi stupita di quale sia la domanda con cui ho interrotto quella strana sensazione di pace. “Dopotutto è la prima principessa, mandassero lei a …”
“Sai benissimo perché tua cugina non può andare a Balbadd, Kougyoku” risponde. I suoi occhi sono fissi sulla gigantesca magnolia che mi ha regalato, ipnotizzati dai petali candidi in cui le mani sprofondano, perdendo lentamente la furia che le aveva possedute qualche minuto prima. La superficie liscia dei petali si corruga appena al suo tocco caldo, ma resta perfetta come il giorno in cui è sbocciata. “Hakuei è stata promessa sin dal giorno dell’incidente. Se Hakuyuu fosse ancora il primo principe le cose sarebbero molto diverse …”
“Ma non lo sono”.
“Già”.
Ho imparato a nuotare in quel laghetto. Era difficile, l’acqua era sempre fredda, ma Hakuyuu e Hakuren tendevano le braccia verso di me e le afferravo, e quando riuscivo a raggiungerli uno di loro nuotava fino a riva e staccava una ninfea per regalarmi una corona. Hakuyuu e Kouen non facevano altro che gareggiare per le cose più stupide, e persino Koumei lasciava i libri per qualche ora. Il sole aveva un altro colore. Le ancelle dicevano che se fossi diventata bellissima avrei potuto sposare Hakuren.
Sulla superficie di quel lago adesso ci sono soltanto i petali.
C’erano anche il giorno dell’incidente, quando Kouen strinse al petto Hakuei e Hakuryuu per tutta la notte su quelle scale, il viso del mio cuginetto sfregiato per sempre. Koumei aveva portato me e Kouha a letto cercando di mostrarsi forte, di dirci che andava tutto bene, ma quando chiesi dov’erano i nostri cugini maggiori esplose in lacrime senza nemmeno sforzarsi di nascondersi dietro al suo ventaglio nero. I giorni successivi rimanemmo tutti in quel chiostro cercando di scacciare la paura, di fingere che nulla fosse successo, di scappare a coloro che si congratulavano con noi per essere la nuova famiglia imperiale; il nostro mondo si stava riempiendo di gente, e forse fu in quel momento che Kouen divenne davvero Entei fatto carne.
“Come immagini il tuo futuro marito?”
Le sue parole tornano come una doccia d’acqua gelida, sollevando quella fitta nel petto che stavo cercando di annegare sotto la fioritura dei ciliegi, fingendo di ignorare il fatto che tutto il tramestio fuori da questo piccolo regno stia aspettando proprio me. Me e quell’uomo sconosciuto lontano da qui, di cui nessuno sembra sapere nulla a parte che con questo matrimonio diventerà una pedina nelle mani dell’impero; il banchiere di corte non fa che sogghignare, ed il fatto che Kouen non lo abbia mai incontrato di persona basta a rendersi conto della considerazione in cui è tenuto. So benissimo che Kouha lo considera solo un povero idiota, ma che io sappia nessun essere umano è in grado di sfuggire alle trappole della banca di Kou e ai piani di conquista della nostra famiglia. “Sai … forse sarò una sciocca, ma …”
Improvvisamente vorrei non dire nulla, perché non … “Parla”.
“Io … mi accontenterei se fosse … se fosse bello. E anche gentile”.
“Ci mancherebbe altro che non sia gentile!” replica lui, con un tono quasi divertito. “In caso contrario potremmo sempre chiuderlo una giornata negli archivi con Koumei a riordinare i suoi preziosissimi libri contabili. Non mi viene in mente una punizione peggiore!”
È sempre bello quando ride, quando cerca di riportare indietro le lancette del tempo. Una cosa che nessuno può fare a meno di tentare, anche solo per qualche istante, come a ricordarsi dei colori del cielo, dell’acqua e dei fiori, delle risate che adesso non sono altro che campanelli d’argento in questo giardino vuoto.
Poi mi prende la mano, costringendomi a guardarlo negli occhi che ritornano immediatamente seri. “Ricordati una cosa: tu non sei solo l’ottava principessa imperiale. Sei la padrona di Vinea e la prescelta di un Magi. E per quanti abiti eleganti Koubun Ka ti metterà addosso ricordati che sei una candidata regina ed una guerriera. Fai in modo che chiunque ti sposi abbia ben chiaro questo concetto e ti tratti con il rispetto e l’obbedienza che meriti. In caso contrario …” la sua voce si riduce ad un sussurro infuocato mentre avvicina le labbra al mio orecchio “… ho mai avuto bisogno di un pretesto per dare alle fiamme una nazione o due?”
Non posso ignorare il fuoco liquido che corre lungo la mia schiena mentre mi abbraccia, le fiamme di Astaroth e l’acqua di Vinea, una stretta così forte che suona come un addio che nessuno dei due ha la forza di pronunciare; una dolcezza che credevo fosse svanita per sempre, incenerita da tutto ciò che abbiamo dovuto affrontare. “Quando sarò imperatore le cose cambieranno, te lo prometto. La nostra famiglia tornerà unita come un tempo, e non esisteranno altre nazioni con cui allearci o da temere. Fino a quel momento … non dimenticare mai chi sei, Kougyoku”.
Certo che non lo dimenticherò. Perché voglio tornare.
Voglio tornare a vedere i ciliegi in fiore, a nuotare e giocare. Ad ascoltare le poesie di Koumei fino ad addormentarmi, a farmi insultare da Kouha perché la mia tecnica di spada non migliora mai. A mangiare le prelibatezze di Hakuryuu e a discutere di ragazzi con Hakuei dopo una festa danzante. Voglio tornare a combattere in un dungeon, il vento nei capelli e la spada alzata, con il vessillo dell’impero in mano.
Quanto vorrei che tu fossi già imperatore, fratello mio.
Quanto vorrei poter sposare te.
  
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