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Autore: Sbasby    04/10/2014    0 recensioni
Un bordello, situato nel piccolo quartiere di Passo Stretto, alla periferia della capitale, sarà teatro di una rivelazione sconvolgente. Una svolta che cambierà per sempre il destino di Varrel
Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima.
Loro erano anime riflesse negli occhi dell’altra,
due figure simmetriche, uguali ed opposte,
pronte a fondersi come oro ed argento,
per forgiare una corona macchiata di sangue
- Seconda classificata al contest "Ispirazione in musica" di CherryBomb_ sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Anime riflesse'
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Anime riflesse
 




 
Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima.
Loro erano anime riflesse negli occhi dell’altra,
due figure simmetriche, uguali ed opposte,
pronte a fondersi come oro ed argento,
per forgiare una corona macchiata di sangue




 
 
Si affacciò alla finestra e, come a ogni sorgere della luna nell’ultimo anno, aprì le imposte guardando circospetta i piatti tetti di pietra. La notte era calata come una nera coperta sulla città, oscurando le già fosche trame delle vie, macchiate di sangue e tradimenti. L’aria gelida dell’inverno incombente le pungeva il viso e gli sbuffi che sfuggivano alle sue labbra schiuse si addensavano in nuvolette di chiaro vapore. Non azzardò un solo sussurro: sapeva da tempo che, in quei vicoli, nemmeno la nera dea Sera poteva tenere i segreti al sicuro. Un fruscio alla sua destra la fece voltare di scatto e il suo sguardo s’imbatté in due iridi argentate. Un viso pallido, contornato da ciocche più scure del buio stesso, le sorrideva complice nel silenzio della notte. Indietreggiò di qualche passo, lasciando lo spazio alla ragazza davanti a lei di scavalcare agilmente il davanzale ed entrare con un salto nella stanza. La sua figura, coperta di nero dagli stivali in cuoio al pesante cappuccio calato sul viso, si stagliava nella piccola e squallida camera come quella di una dea guerriera pronta alla battaglia. Le mani bianche corsero alla chiusura del mantello che, dopo una rapida mossa, cadde a terra con un tonfo sordo.
“Ti trovo bene”
Un sussurro, appena udibile, quasi avesse paura che il mondo esterno si fosse concentrato attorno a quella stanza per ascoltare le loro parole. La squadrò da capo a piedi, sondando ogni centimetro di pelle scoperta. Si sentiva a disagio nell’attuare, ogni volta, quella specie d’ispezione, come se non si fidasse di lei, ma doveva sapere. Doveva essere certa che non avrebbe trovato ferite sul suo corpo che le raccontassero l’orrore che aveva vissuto anche quella notte o macchie di sangue a impregnare i suoi vestiti.
Sangue innocente
Questo si diceva tutte le volte: Niamh veniva da lei ogni notte dopo aver versato del sangue innocente. Talvolta la guardava e, nei suoi occhi grigi, le sembrava di scorgere l’ombra del malcapitato che aveva sgozzato durante la serata. Certe notti il pensiero le aveva impedito di dormire.
Se qualcuno li vuole morti, non devono essere poi così innocenti.
Questa era l’amara risposta, ogni volta che si avvicinava all’argomento, accompagnata ogni volta da uno sguardo strano, intriso di quella che Delyth aveva imparato a riconoscere come vergogna. Lo sapeva ormai da tempo che strappare una vita faceva soffrire anche lei, ma che non poteva permettersi di pensarla così: era il suo lavoro. Era stata cresciuta e addestrata per questo. Lei era questo.
“Infatti, è stata una serata tranquilla” la voce di Niamh, come sempre d’altro canto, risuonò tranquilla e determinata al tempo stesso. Però, quello sguardo che rifiutava di posarsi su di lei …
Delyth storse il naso davanti alla menzogna della ragazza.
No, non menzogna
Omissione, depistaggio.
Forse lo detestava ancora di più, quel suo modo di proteggerla da una verità che non le piaceva per nulla, minimizzando le cose o cambiando discorso. Era furba Niamh, ma lei aveva imparato a esserlo altrettanto.
“Quanti?”
Una sola, secca domanda e un milione di significati.
Quante vite hai strappato?
Quanti cuori hai fermato?
Quante famiglie hai distrutto?
Quanti futuri hai oscurato?
A quante anime hai tolto la possibilità di scegliere?

Dovette fermarsi. Si costrinse a scacciare quelle domande, sebbene queste rimbombassero con un’eco assordante nella sua testa.
Niamh abbassò il capo con un’espressione rassegnata.
“Uno. Stavolta solo uno.”
L’altra sbuffò sonoramente, serrando i pugni e irrigidendo le spalle.
Solo uno?”
La ragazza distolse lo sguardo e si concentrò sul togliersi di dosso tutte le armi che la appesantivano: la spada portata sulle spalle, il pugnale infilato nello stivale, le fasce che teneva sui gomiti e da cui spuntavano acuminati uncini d’acciaio …
Delyth seguì ogni sua mossa con attenzione, mentre continuava a ripetersi di non biasimarla per quello che faceva.
Per quello che era
“Solo uno” ripeté con quel suo solito sguardo che, in un primo momento, sembrava sprigionare solo sicurezza, ma che, nel profondo, celava tutta la sua vergogna.
Nei suoi occhi color del ghiaccio poteva leggere il dispiacere, più per la consapevolezza d’averla contrariata che per il reale rimorso d’aver troncato una vita.
Si avvicinò a Niamh con passi leggeri e calcolati, quasi avesse voluto avvicinare una fiera senza farla scattare. La vestaglia velata bianca le ondeggiava sensualmente sui fianchi ad ogni passo e i piedi scalzi si posavano sul pavimento ligneo facendolo scricchiolare. Si fermò a meno di mezzo metro da lei e allungò una mano verso le ciocche corvine tagliate di sbieco dalla lama di un coltello. Un dolce sorriso le si aprì sul viso pallido, mentre l’altra le posava i palmi aperti sui fianchi e la spingeva lentamente verso il consunto materasso alle sue spalle.
Il letto era sfatto e le lenzuola erano accartocciate su loro stesse in fondo ai piedi. Un odore pungente di sudore, d’uomo e di sesso impregnava la stanza e costringeva Niamh a storcere il naso. Ogni volta che andava a trovarla tentava disperatamente di ignorare quel fetore, prova tangibile e monito straziante di ciò che accadeva lì dentro. Cercava sempre di scacciare quel pensiero, perché sapeva che avrebbe portato con sé l’inevitabile rimprovero e il disgusto per Delyth. Certo, quello era il suo lavoro. Era stata cresciuta e istruita per questo. Lei era questo.
Eppure, la sola idea di quei corpi sudati, di quegli uomini senza onore che osavano toccarla e sentirsi padroni di lei solo per aver sborsato qualche moneta accendeva in lei una collera smisurata. La stretta delle sue mani si accentuò, strappando all’altra un mugolio di fastidio.
Niamh sgranò gli occhi e ritirò le braccia come scottata.
Dannazione! Non voleva farle male!
Gli occhi dorati di Delyth presero a fissarla intensamente. La sua mano era ancora affondata nella chioma scura e tutto il suo corpo minuto si protendeva verso di lei, esprimendo lo spasmodico bisogno che entrambe avevano di un contatto con l’altra. I capelli incredibilmente biondi, quasi bianchi, le ricadevano lisci sulla schiena, in una morbida cascata di fili argentei.
Lentamente, la ragazza si stese sul letto, trascinando con sé la mora, che si ritrovò carponi sul materasso logoro.
Niamh le lanciò un’occhiata penetrante che sembrò scavarle nell’anima. Sembrava così piccola, così fragile in quella corta camicia da notte che poco lasciava all’immaginazione e che le ricordava solamente tutto ciò che quella ragazza, quella bellissima giovane donna, poteva aver subito durante la giornata. Quasi distaccata dalla sua volontà, la mano destra corse al suo viso, sfiorandolo in una carezza leggera, scendendo poi lungo il collo, le spalle, il seno, la pancia… In ogni punto che le sue dita lambivano, Niamh sentiva i muscoli tendersi, come attraversati da una scarica elettrica. La mano sinistra di Delyth, intanto, stringeva convulsamente alcune ciocche corte sulla sua nuca e la destra si era precipitata ai nastri che chiudevano il suo corsetto nero.
Le loro bocche si cercarono d’istinto, guidate da un bisogno primordiale, quasi ne fosse dipesa la loro stessa vita. Fu un bacio irruento, carico di passione e di desiderio. Sembrava quasi che, con il loro amarsi, volessero soffocare tutto il resto, eclissare l’intero mondo che le circondava, dimenticare, anche solo per pochi istanti, l’orrore delle loro vite. Dovettero separarsi entrambe con il fiato corto e in cerca di aria. Gli sguardi, incatenati l’un l’altro, erano scuriti dalla brama e le loro iridi parevano metallo fuso, in uno scontro d’oro e d’argento che ardevano.
Tre colpi secchi contro la porta le fecero voltare di scatto.
Con uno sbuffo, Delyth scivolò da sotto il corpo dell’altra e corse ad aprire, decisa a liberarsi il più in fretta possibile di chiunque fosse dall’altra parte dell’uscio. Lanciò un’occhiata di avvertimento a Niamh, intimandole il silenzio e di non muoversi per alcuna ragione da dov’era.
Abbassò piano la maniglia e mise fuori giusto la testa, per capire quale disgraziato avesse bussato a quell’ora improponibile della notte. Nel corridoio, fermo davanti all’entrata della sua stanza, stava Arkell, il figlio bastardo della proprietaria. Squadrò la sua figura allampanata dal naso adunco alle gambe lievemente storte e un moto d’odio e diffidenza le crebbe dentro. Solo perché la madre aveva fondato dal nulla quella casa del piacere, lui si sentiva spesso e volentieri in diritto di usufruire di quella che lui amava chiamare “la sua eredità”. Aveva visto più volte quel ragazzo dall’aspetto discutibile sfondare a spallate le porte delle sue colleghe in piena notte e, ogni volta, le era sorto il bisogno impellente di sputargli in faccia. Non aveva mai osato presentarsi alla sua porta, ma l’unica cosa che lo fermava era il volere della madre, ne era consapevole. La signora non permetteva a nessuno di toccarla al di fuori dei clienti e, anche in quel caso, aveva posto per lei un prezzo talmente alto che pochissimi uomini lì a Passo Stretto potevano permettersi di averla. Aveva sempre trovato strano il suo essere messa su un gradino più alto rispetto alle altre ragazze: non era certo più bella o più esperta di loro. Però, si sa, l’amore di una madre è ineguagliabile e lei era stata cresciuta da quella donna come fosse stata lei stessa a metterla al mondo. Viveva in quella casa da quando aveva tre anni e i ricordi della sua vita precedente e della sua famiglia erano sprofondati nell’oblio.
Per questo, la presenza di Arkell fuori dalla sua stanza la turbava ancora di più. Le sopracciglia aggrottate e le profonde occhiaie che facevano risaltare il suo pallore malaticcio non presagivano nulla di buono. Emise un profondo respiro che, per un attimo, gli si spezzò in gola e le puntò addosso i suoi occhi castani e lucidi.
Aveva pianto.
Un semplice dettaglio che chiariva un’ancor più semplice situazione: la signora era morta quella notte. Le sue condizioni di salute erano peggiorate rapidamente nell’ultima settimana e Arkell non si era allontanato dal suo capezzale per giorni. Una malattia l’aveva colpita e se l’era portata via tra atroci sofferenze.
Le gambe di Delyth vacillarono per un attimo e un solo, forte singhiozzo di dolore sfuggì dalle sue labbra. Nonostante sapesse da giorni che quella era una sorte inevitabile, non riusciva a capacitarsi che la donna che l’aveva allevata avesse lasciato quel mondo.
“Ha detto di darti questa” proferì allungandole un rotolo di pergamena chiuso da un sigillo di ceralacca.
La ragazza sbarrò gli occhi, stupita, e passò più volte lo sguardo dalla pergamena al ragazzo.
“Ch… Che cos’è?” chiese con voce spezzata.
Arkell scosse lievemente la testa e le lanciò un’occhiata di puro disprezzo: l’amore che la madre aveva sempre provato per lei lo irritava.
“Ha detto che è una questione di sangue. Non ho idea di cosa significhi.” affermò con gli occhi bassi.
Delyth prese il rotolo e se lo rigirò più volte fra le mani, guardò nuovamente il ragazzo e le si strinse il cuore: entrambi avevano perso la madre quella notte.
“Arkell, mi dispiace moltissimo per tua…”
Il ragazzo, con uno scatto fulmineo, le serrò le mani attorno al collo, il suo viso era una maschera stravolta dall’odio e gli occhi talmente sgranati che parevano saltar fuori dalle orbite.
“Non osare dire una sola parola su mia madre, Sgualdrina!”
Lei continuava a tenere le braccia stese lungo i fianchi, nonostante la pressione delle dita sulla gola le stesse bloccando il respiro. Alle sue spalle, dietro la porta, poteva quasi vedere Niamh che con passo felino balzava giù dal letto e si precipitava a recuperare il suo pugnale. Le sembrava di scorgere il riflesso della luce sulla lama d’acciaio e un brivido le corse lungo la spina dorsale.
Solo uno.
Non avrebbe assolutamente permesso che uccidesse di nuovo a causa sua. Portò le mani alla gola, tentando di allentare la presa del ragazzo, e portò lo sguardo alle sue spalle scontrandosi con uno argenteo. Gli occhi di Niamh erano improvvisamente freddi come il ghiaccio e, per la prima volta, li vedeva davvero per come erano: letali.
“Puoi anche uccidermi, ma questo … questo non te la riporterà indietro.” Esalò con l’ultimo residuo di fiato che le era rimasto nei polmoni.
Una lacrima solitaria rigò la guancia di Arkell e una smorfia di sofferenza gli si dipinse sul viso, mentre scioglieva la morsa attorno al collo di lei. Un forte tremore cominciò a scuotere tutto il suo corpo e con passo malfermo, senza più rivolgerle né uno sguardo né una parola, se ne andò.
Delyth rientrò nella stanza e si lasciò scivolare lungo la porta, fino a ritrovarsi rannicchiata sul pavimento sudicio con le ginocchia accostate al petto. Un tintinnio metallico la avvertì che Niamh aveva appena gettato a terra il pugnale. Prima che potesse accorgersene, una zazzera corvina aveva invaso il suo campo visivo e due braccia forti le circondavano le spalle e la vita.
“Per un attimo… ho pensato… ho pensato che avrebbe davvero…” la mora balbettava frasi sconnesse, lasciandole a metà e stringendo convulsamente l’altra a sé.
“Sto bene, Niamh. Calmati. Sto bene.” Continuava a ripeterle in un sussurro.
Rimasero per qualche minuto in quella posizione, strette l’una all’altra sul pavimento polveroso, poi Delyth si scostò appena e puntò lo sguardo sul rotolo di pergamena che stringeva tra le dita. Anche l’altra prese ad osservarlo e, notato il sigillo impresso sulla ceralacca rossa, l’afferrò, si alzò in piedi e indietreggiò di un passo, scuotendo nervosamente la testa.
“Cosa diavolo fai?” chiese sconvolta la bionda
Portò le dita al sigillo e tentò in tutti i modi di romperlo, senza riuscire a smuoverlo di un millimetro. Chiuse gli occhi e soffiò forte dal naso. Il ragazzo l’aveva chiamata questione di sangue, lei l’avrebbe chiamata in un altro modo.
Magia di sangue
Una delle più potenti ed oscure, se era stata usata perché solo Delyth potesse rompere il sigillo, quel rotolo doveva contenere informazioni più che vitali. Per un attimo si chiese come la signora avesse potuto permettersi di assumere uno stregone in grado di fare questo, poi si ricordò che in quel posto il lavoro non doveva mancare mai, e nemmeno il denaro.
Solo un’informazione in tutta Varrel poteva valere quella somma. Lei stessa aveva ucciso per questo.
Puntò lo sguardo in quello dorato e disorientato della compagna e venne invasa da profondo terrore.
“Niamh!” la richiamò innervosita
Seppur reticente, le restituì il rotolo e si lasciò cadere senza grazia sul letto.
La bionda la guardò, perplessa, per poi riportare l’attenzione sul sigillo: una rosa racchiusa in un cerchio di rovi.
Fece pressione e spezzò la ceralacca, srotolò la pergamena e cominciò a leggere. Davanti ai suoi occhi, la grafia oblunga della donna che l’aveva cresciuta si snodava nel racconto di una storia, la sua e quella della sua famiglia. Seduta sul letto, Niamh poté vedere la sua espressione cambiare ad ogni parola, mentre il mostro nero del terrore scavava una voragine al centro del suo petto.
Quand’ebbe finito di leggere, Delyth abbandonò le braccia lungo i fianchi e puntò lo sguardo su di lei.
“Tu sai. Non è vero? Lo sai da tempo.” La sua voce era spaventosa, così distante e lontana che sembrava non fosse stata nemmeno lei a parlare.
Il silenzio era la risposta peggiore,lo sapeva, ma come poteva dire la verità? Ricambiò lo sguardo con espressione colpevole e nelle iridi dorate della compagna vide una profonda rabbia.
“Rispondimi, Niamh! Tu sapevi chi ero fin dall’inizio?”
Un altro silenzio parve scavare una voragine al centro della stanza, un buco nero che le separava irrimediabilmente.
Niamh annuì colpevole, senza nemmeno avere il coraggio di guardarla negli occhi. La paura di leggervi un odio profondo era troppa.
“Delyth, figlia di Deliot, discendente della casata Roaster e legittima erede al trono di Varrel.”
Si strinse nelle spalle fino a farsi piccola piccola, in un patetico e disperato tentativo di sparire.
“Ero l’ennesima voce nella tua lista, giusto? La tua prossima missione.”
Non una domanda, un’affermazione chiara e semplice, intrisa dell’orrenda sicurezza di non star sbagliando.
Come poteva ribattere a questo? Se anche avesse provato a spiegarle che il compito di trovarla ed ucciderla le era stato assegnato dopo che si erano conosciute, non le avrebbe mai creduto.
“Sì”
Un silenzio di tomba cadde sulla stanza, Niamh fissò per minuti interminabili le coperte sfatte ai piedi del letto, incapace di reggere lo sguardo d’accusa dell’altra.
Tap. Tap. Tap.
Delyth si era diretta a lunghi passi verso il centro della stanza, dove il cumulo di armi giaceva abbandonato sul pavimento. Si chinò sulle ginocchia ed estrasse la spada dal fodero, impugnandola con decisione.
“Ah! Stai per uccidermi?” chiese con una risata nervosa.
“Credi forse che non ne sia capace?”
Niamh sorrise e scosse debolmente la testa, mentre una lacrima le rigava il viso pallido.
“Oh, no. So bene che ne saresti in grado. Tu sei forte, non come me. È per questo che sei ancora viva.”
L’espressione determinata di Delyth vacillò un momento e il braccio che impugnava la spada tremò visibilmente.
“Di c… di cosa stai parlando?”
La voce le si spezzò in un singhiozzo, ricacciato indietro a stento.
“Delyth, so da settimane qual è il mio compito. Mi ha ordinato di trovarti e toglierti di mezzo … sarà stato forse tre mesi fa. Io non avevo idea che quella ragazza fossi tu, quando l’ho scoperto …”
“Chi?”
A quella secca domanda, la bionda ottenne in risposta solo uno sguardo interrogativo.
“Chi ti ha ordinato di farmi fuori, Niamh?”
“Thorn Roaster. Tuo zio. Il re.”
La ragazza si lasciò andare ad una risata sarcastica e carica di rancore.
“Certo che lavori per i pezzi grossi. Beh, certo, devi essere una delle migliori nel tuo campo. Te la sei presa con comodo, però. Hai preferito divertirti un po’ con me prima di ammazzarmi!”
Ad ogni parola la sua voce si era alzata di tono, portandola a strillare l’ultima frase con una furia cieca. Niamh, a quel punto, non poté più sopportare di restarsene lì seduta a subire, si alzò in piedi di scatto e si parò davanti a Delyth. Le afferrò entrambi i polsi, costringendola a guardarla dritto negli occhi. Per ennesima volta l’oro e l’argento dei loro occhi si scontrarono, non fondendosi però, bensì contrastandosi con il clangore di due lame in lotta.
“Delyth, ti supplico, basta! Non ho intenzione di farti fuori, non ho mai voluto farlo! Quando ho scoperto che la principessa scomparsa era viva e che eri tu … mi è stato chiaro che non sarei stata in grado di ucciderti. Perché … perché io ti amo!”
Lasciò la presa sui suoi polsi, le circondò il viso coi palmi e le diede un bacio leggero.
“Ti amo” le soffiò di nuovo sulle labbra.
Gli occhi dorati della bionda si stavano riempiendo di lacrime che, a breve avrebbero rotto le barriere e sarebbero colate copiose lungo le sue guance.
“Ti amo anch’io, ma come posso fidarmi di te? Come faccio a sapere che non stai mentendo?”
Niamh le sorrise dolcemente.
“Non puoi.”
Con un sospiro, Delyth si lasciò prendere per mano, per essere condotta verso il letto. La mora le accarezzò dolcemente  la guancia e le depositò due baci sulle palpebre chiuse.
“Niamh, cosa dirai al tuo capo?” disse in un sospiro.
L’altra fece un sorriso sornione e le diede un pizzicotto sul fianco.
“Gli dirò che ho scelto quale regina seguire.”
  
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