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Autore: Smaugslayer    05/10/2014    4 recensioni
Sono passati due anni da quando Sherlock ha lasciato la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts tra urla di dolore.
Di lui, John Watson conserva solo tre libri e un ricordo che si sbiadisce ogni giorno che passa. Non ha più notizie del suo migliore amico da quando è stato rinchiuso all'Ospedale di San Mungo.
Finché non se lo ritrova davanti alla prima partita di Quidditch della stagione.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era morto nel 1989.
 
 
 
 
 
Una volta girato l’angolo, Jim Moriarty lo avrebbe visto e disarmato.
 
Era la sua unica speranza.
 
La mano che stringeva la bacchetta stava tremando, ma la sua mente era lucida: sapeva cosa fare; sapeva perché doveva farlo. Non c’era spazio per nient’altro.
Mosse un passo, entrando nel raggio di luce alimentata da Moriarty, e pochi istanti dopo una forza invisibile gli strappò la bacchetta. Moriarty la raccolse con un incantesimo d’appello pronunciato in silenzio. Se avesse provato ad usarla, tutti i suoi piani sarebbero andati in fumo, ma fortunatamente si limitò a tenerla in mano.
 
Lui infilò le mani in tasca con falsa noncuranza… sperando che la situazione non ne richiedesse l’uso.
 
“Sei venuto” disse Moriarty, quasi sorpreso. “Sei in ritardo. Stavo per dare l’ordine.”
 
Il Serpeverde indossava lo stesso completo grigio della scorsa volta, uno sforzo penoso di sembrare più adulto dei suoi diciassette anni, poiché il ciuffo che gli ricadeva scompostamente sulla fronte vanificava qualunque tentativo. I suoi occhi erano cerchiati di viola e marcati da tristi linee premature.
 
“Ordine?” ripeté lui con aria assente.
 
“Ordine di uccidere il tuo amico.”
 
“Ucciderlo?” Sapeva di irritarlo con quel comportamento: era ciò che desiderava. Almeno la conversazione si sarebbe conclusa più in fretta.
 
“Ma quanto sei noioso!” si lamentò Moriarty con esagerata esasperazione. “Tappetto, capelli biondi, girate sempre assieme, ce lo hai presente o vuoi una foto? Ha cercato di salire due minuti fa, e i miei ragazzi l’hanno bloccato. È proprio qui sotto, adesso.”
 
“Perché non l’hai lasciato restare qui?” La sua voce non tradiva alcuna emozione.
 
“Chi sa a quali atti disperati potrebbe arrivare? No, Sherlock, devi prendere la sua assenza come un piccolo incentivo: o fai come io ti dico, o lui morirà.”
 
 
 
 
 
Era stato ucciso da un ragazzo di nome Jim Moriarty.
 
 
 
 
 
“Perché mi hai convocato?” Doveva fare in modo che tutto sembrasse veritiero.
 
“Perché ti avevo detto di lasciarmi in pace, e tu non l’hai fatto. Avrei dovuto essere insospettabile, e invece Irene Adler ha compatito il tuo sentimentalismo ed è stata troppo debole per mantenere il mio segreto…”
 
“Tu l’hai condannata alla reclusione” obiettò lui senza particolare trasporto.
 
“Credevo che vedere John Watson minacciato di morte ti avrebbe fatto desistere, e invece hai continuato ad indagare.” Moriarty sospirò con teatralità. Per essere così giovane, aveva sicuramente talento come attore drammatico. Se quel completo grigio non fosse stato così ridicolo, avrebbe potuto addirittura sembrare pericoloso.
 
“Suppongo che tu sappia che ho trovato il Marchio Nero in camera tua.”
 
“Credevi davvero che non avrei preso le mie precauzioni? Lascio sempre dei sensori di rilevamento quando esco.” Il Serpeverde scosse la testa. “Ma sai che ti dico? Va bene. Va bene così. Sarà molto più facile.”
 
“Che cosa significava il Marchio Nero?”
 
“Non l’hai dedotto? Ti credevo più intelligente.” Moriarty sembrava deluso, e questo non faceva che renderlo più sprezzante.
 
“Che – cosa – significava.”
 
Per tutta risposta, Moriarty volse lo sguardo al cielo.
 
La notte era limpida come lo era stata la giornata, e in quel luogo sperduto la volta celeste era spettacolare. Dalla sommità della torre più alta di Hogwarts, sembrava che nulla li separasse dalle stelle.
 
Lui attese con pazienza i tempi esagerati dell’altro ragazzo, che con esacerbante lentezza levò la bacchetta magica e la puntò verso il firmamento; dopo una pausa drammatica, esclamò: “Morsmordre!”
 
Il cielo si tinse di verde. Un verde acido, malsano, dannoso.
 
Il simbolo, fumoso e contorto, degli uomini che avevano giurato di piegare ed annientare gli impuri si stagliava ora contro le stelle, proprio sopra la torre: il Marchio Nero, il teschio e il serpente di Lord Voldemort.
 
“Vedi, Sherlock, il fatto è questo: tu e ogni altro ragazzino di questa scuola uscirete da qui e vi troverete un impiego banale e poco stimolante, e lo occuperete per i prossimi cinquemila anni, trascinando avanti per inerzia le vostre inutili vite ordinarie. Io, a differenza di tutti voi, non ho intenzione di entrare nella fossa che mi è stata scavata.”
 
“Credi di essere migliore degli altri? Più intelligente? Più dotato? È questo che i Mangiamorte pensano di te?” ringhiò lui.
 
“Precisamente. Vedi, Voldemort –oh, sì, io pronuncio il suo nome, non mi fa paura- sarà anche morto, ma almeno metà dei suoi seguaci è ancora a piede libero: si riuniscono, discutono, tramano, e sono ancora pronti a combattere per la causa in cui credevano fermamente otto anni fa. L’unica cosa di cui hanno bisogno, ora, è di un leader come Tom Riddle era stato.”
 
“Tu vuoi…”
 
“Sì, io voglio. Ho provato loro che posso far entrare una qualsiasi creatura all’interno di un confine iper-protetto e farla uscire con la stessa facilità; ho provato loro che so maneggiare le pozioni meglio di chiunque altro.”
 
“E lo ammetti così?”
 
“Cos’hai bevuto, una pozione rimbecillente? È ora del test rosso, Sherlock. Devo provare di saper uccidere.”
 
“Hai intenzione di farmi fuori così? Disarmato?”
 
“Oh, no! Cosa vai a pensare… ho intenzione di convincerti ad ucciderti. Non ti ho convocato sulla torre più alta del castello solo perché mi andava, altrimenti ti avrei chiesto di raggiungermi nel bagno dei Prefetti del quinto piano, in cui la temperatura è decisamente più sopportabile.”
 
“Vuoi che io mi butti giù” dichiarò lui. Certo, era ovvio. Fortunatamente, questo non modificava i suoi progetti. “E perché dovrei farlo? Sarai anche un bravo oratore, ma ci vuole più di un bel discorso per portare qualcuno al suicidio… o pensi di stregarmi con una Maledizione Senza Perdono? Non mi sembra molto corretto.” Stava solo blaterando a vuoto, ovviamente: sapeva benissimo perché avrebbe dovuto buttarsi… o piuttosto per chi.
 
“Hai questa pessima abitudine di costatare l’ovvio… ma la seconda parte del discorso è tutta sbagliata. Sul serio, mi deludi, pensavo che fossi più intelligente. Sì, voglio che ti butti, certo che lo voglio. Ma non ti costringerò a farlo con la forza. Che gusto ci sarebbe? No no – no. Alla fine, tu desidererai farlo, Sherlock. Dopotutto, non è neanche poi così difficile, no? Insomma, non deve essere poi così doloroso uccidersi se la morte è l’alternativa migliore. Lo spero per te, sul serio.”
 
“Se hai scambiato la mia sociopatia per depressione, sei fuori strada” lo interruppe lui.
 
Accantonando le burle e i giri di parole, Moriarty venne al dunque: “Non appena i miei ragazzi ti vedranno precipitare, libereranno il tuo amico John Watson.”
 
Lui affondò le mani nelle tasche e si accostò al parapetto.
 
“Come faccio a non sapere che non stai bluffando?” Sapeva benissimo che non lo stava facendo, ma doveva fingere di aggrapparsi con tutte le sue forze a quell’esile speranza.
 
“Ti piacerebbe, ma lo sai benissimo, perché conosci John Watson, e sai che è proprio nel suo stile cercare di proteggerti.”
 
“Saresti davvero capace di ucciderlo?”
 
“Solo perché ho diciassette anni –come te, del resto- non significa che io non sia abbastanza maturo da compiere un simile atto. Il punto è che non mi importa assolutamente nulla se John Watson vive o muore, ma il mio ordine è quello di uccidere qualcuno. E la mia prima scelta sei tu. È tutta una questione di convenienza, sai. Cioè, se ti butti perdi la vita, ma se non ti butti perdi molto di più.”
 
“O io, o John.” Sherlock guardò in basso senza riuscire a scorgere il fondo.
 
“Lo so, avevo promesso che prima di ammazzarti ti avrei fatto soffrire… ma non sono tanto arrogante da sottovalutarti: tu sei l’unico che potrebbe fermarmi, e non ho intenzione di vederlo accadere solo perché non sono stato abbastanza… spiccio.”
 
“Mi prometti che a John non sarà torto un capello?”
 
Moriarty sorrise bonariamente. “Devo ucciderne uno solo” ripeté.
 
Lui si posizionò sul bordo del perimetro. “È per salvarlo” mormorò a se stesso. “Non c’è alternativa.” Si concesse un microscopico sorriso.
 
E si lasciò cadere.
 
 
 
 
 
Sfruttando la disattenzione di Moriarty, era riuscito ad afferrarlo per i vestiti e a trascinarlo con sé.
 
La caduta era stata troppo rapida per permettere ad almeno uno di loro di utilizzare la bacchetta per salvarsi. Si erano sfracellati al suolo insieme.
Nel frattempo, Mary Morstan stava combattendo contro i giovani Serpeverde che tenevano John Watson in ostaggio per liberarlo. Quando i due fidanzati avevano raggiunto la torre, era ormai troppo tardi: Sherlock e il suo nemico giacevano diversi metri più in basso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Jim Moriarty, con una bacchetta per mano, stava ridacchiando sommessamente quando Mary Morstan raggiunse la sommità torre. Lui ignorò totalmente la ragazza, che corse dal lato opposto della torre per osservare con orrore il corpo morto, ma lanciò un urlo soffocato nel vedere chi la seguiva a ruota.
 
“Tu! Com’è… com’è possibile?”
 
Indietreggiando, si accostò al bordo e guardò giù.
 
 
 
Proprio in quel momento, sotto gli occhi di Mary e di un attonito Jim Moriarty, il corpo distrutto di Sherlock Holmes si tramutò in quello di John Watson.
 
 
 
 
Moriarty si voltò verso Sherlock, il vero Sherlock.
 
“Come fai ad essere qui?” sputacchiò, in preda allo sgomento e all’ira.
 
“Hai ucciso John” disse Mary.
 
“È quello che mi chiedo anche io” rispose Sherlock. Se stava soffrendo, non lo dava a vedere. Non davanti al suo nemico.
 
“Hai ucciso John” ripeté Mary.
 
Come puoi essere qui?”
 
“Pare che nell’ultima ora io abbia avuto le sembianze di John Watson, mentre lui aveva preso le mie. Non era poi così difficile sbagliarsi.”
 
La rabbia di Moriarty lasciò spazio all’incredulità. “Hai davvero permesso che il tuo amico morisse, dopotutto? Be’, questa non me l’aspettavo sul serio, devo ammetterlo.”
 
Io non ho permesso un accidente!” latrò Sherlock, scagliandosi in avanti. “Sono stato ingannato tanto quanto te, e ora tu…”
 
“Hai ucciso John.”
 
 
 
Accadde tutto molto velocemente: Mary spinse Moriarty oltre il bordo, cercando al contempo di strappargli di mano le bacchette; lui agitò le braccia per mantenere l’equilibrio, e per una frazione di secondo sembrò che potesse restare in piedi.
 
Quest’impressione non durò che un attimo.
 
Non riuscì a salvare la propria bacchetta, ma ne tenne comunque stretta una, quella che aveva preso a John. Cadendo la agitò, pronunciando un incantesimo per la vita, ma quella si trasformò immediatamente in un’inutile, piccola paperella di gomma gialla.
 
Mary distolse lo sguardo per non vederlo schiantarsi.
 
Aveva le guance rigate di lacrime, ma la sua voce era ferma quando ripeté le stesse parole di poco prima: “Ha ucciso John.”
 
“Mary, che hai fatto…” gemette Sherlock.
 
“Oh, non fingere che non meritasse di morire” ribatté lei aspramente. “Era un assassino.”
 
La ragazza levò lo sguardo verso il Marchio Nero, che si stagliava esattamente sopra i due cadaveri, e si coprì il volto con le mani.
 
 
 
Sherlock si lasciò sfuggire un singhiozzo. Sembrava soprattutto spaesato, come se non comprendesse bene gli ultimi eventi; mentalmente non aveva ancora accettato la morte del suo migliore amico, ma il suo corpo lo stava già tradendo.
 
“Bene, bene!” esclamò una terza voce.
 
Magnussen?”
 
Professor Magnussen” lo corresse il suddetto professore. “Bene, bene. Sono di ronda nei corridoi quando d’un tratto vedo il mio caro amico Holmes e la dolce figlia dei Morstan che corrono come dei disperati verso la Torre di Astronomia. Decido di seguirli, e cosa trovo? La signorina Morstan che uccide uno dei miei studenti! Da una figlia di Mangiamorte non mi aspettavo altro, ma da lei, signor Holmes! da lei non l’avrei creduto possibile. I giornali avranno di che parlare, non c’è che dire…”
 
“Non… John… io non…” balbettava Mary, molto più disperata di quanto non fosse prima. Sherlock vedeva chiaramente che il mondo le stava rapidamente crollando addosso: il suo fidanzato era morto, lei aveva ucciso un ragazzo, e ora avrebbe pagato per la vita per questo impulso.
 
“Quello che ho visto io” proseguì Magnussen. “È stata una ragazza che scagliava un povero studente giù da una torre con la complicità di un compagno di classe. Sono un testimone oculare, non c’è nulla da fare. Certo, potrei sempre mettere a tacere l’intera faccenda…”
 
Sherlock, che fino ad ora era rimasto come pietrificato, si mosse per mettere le mani sulle spalle di Mary, dando la schiena al suo vecchio, ripugnante nemico.
 
“Gliel’ho promesso, capisci?” bisbigliò. “Lui è morto per me, e mi ha chiesto di promettere.”
 
 
 
“Promettimi che, qualunque cosa accada, Mary sarà sempre al sicuro.”
 
 
 
“Non fare niente” lo pregò lei, che doveva avere in parte intuito ciò che lui stava per fare. “Non agire in modo avventato, io l’ho fatto e guarda adesso dove ci troviamo…”
 
“Ho promesso di proteggerti a qualunque costo” disse lui, risoluto.
 
 
Mary avrebbe voluto fermarlo, ma sapeva di non esserne in grado. C’era rabbia negli occhi di Sherlock, e dolore, un immenso, infinito dolore. La sua anima era appena andata in frantumi, e presto anche lui si sarebbe sbriciolato, e non sarebbe rimasta che polvere. Non gli importava più nulla del futuro, perché era cosciente di non averne uno.
 
John Watson era morto, e nulla l’avrebbe riportato indietro, e ormai contava solo una cosa: quella promessa che lui aveva giurato di mantenere. Avrebbe compiuto le ultime volontà del suo migliore amico e poi avrebbe accettato il destino, quale che fosse: potevano rinchiuderlo ad Azkaban, se volevano, lui non se ne sarebbe neanche accorto. John lo aveva fatto promettere, e John era morto.
 
Non era trascorso più di un secondo da quando Mary aveva parlato.
 
 
 
 
 
Curiosamente, il professore di Difesa Contro le Arti Oscure, Charles Augustus Magnussen, era scomparso quella notte, e non era più stato ritrovato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Smaug’s cave
I came in like a Reeeeeichenba…” *si accorge degli sguardi carichi d’odio, dei coltelli e delle mannaie* woha, calm down, guys, era solo Miley Cyrus… lo so, quel video non… ohhh, i coltelli e le mannaie sono per il capitolo, giusto.
Ehm. Ma non è mica finito così! Manca l’epilogo. Cioè, lo so che non ci avete capito un accidente… “perché la parte scritta normale e quella in corsivo dicono cose diverse?” “Perché in una Moriarty muore prima e nell’altra muore dopo?” “Che fine ha fatto Magnussen?”
Comunque, vi assicuro che anche io sono molto delusa da una cosa. Ieri era l’anniversario (?) dei sei mesi di questa fanfiction, e avrei dovuto pubblicarlo ieri questo capitolo, e invece avevo l’influenza e guardare uno schermo luminoso per più di cinque secondi mi bruciava le palle degli occhi. Ma fingerò di aver pubblicato ieri, perché così potrò inserire l’epilogo sabato prossimo, come stabilito dalla mia agenda sul cellulare (non mi piace contraddire la mia agenda). E la settimana successiva, teoricamente (potrebbe sempre capitare un cataclisma o cose del genere) partirò con il seguito! Ho già un titolo più o meno definito, ma non sono ancora convinta al 100%, quindi magari ve lo dico la volta prossima xD
Con questo vi lascio…
No gente sul serio mettete via quei coltelli, mi state spaventando.
  
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