Kellie mi posa una mano
sulla spalla con aria
preoccupata.
- Tutto ok? -
Annuisco, un po' distratta. Dimitri mi guarda incuriosito, ma io
esibisco il
mio miglior sorriso forzato. - Cosa ne dite se iniziamo a dipingere? -.
Kellie
batte le mani, nuovamente entusiasta, e mi dà una pacca
sulla spalla come a
dire "Forza e coraggio!"; Dimitri invece sbuffa, deluso nella sua
speranza che quella giornalista-corvo ci avesse distratte dal programma
della
giornata. Assolutamente no, cicci!
Gli faccio un sorrisetto malizioso per fargli capire che so esattamente quello
che sta pensando, al che lui alza gli occhi al cielo con una smorfia
tra il
divertito e il colpevole. Beccato!
Kellie lo colpisce da dietro col rullo della vernice. - Tieni,
furbacchione! Tu
che sei un gigante fai il soffitto -.
Dimitri sobbalza, colto di sorpresa,
ma poi unisce i talloni, si raddrizza tutto come se avesse
preso la scossa, e porta una mano alla fronte da bravo soldato
sull'attenti. -
Agli ordini! -.
Mentre siamo presi dalla pittura, dico sovrappensiero - Sapete, la cosa
strana
è che, anche secondo la legge, il mio cognome non
è più O'Donnelly. A diciotto
anni ho adottato legalmente il cognome Finch, quindi non riesco proprio
a
capire come quella donna possa sapere quello dei miei genitori. Non
è che
possa averlo letto sui documenti che ho firmato -.
Pensierosa, ripasso il rullo sulla vernice dorata, per livellare le
gocce che
hanno iniziato a rigare la parete come lacrime.
Ricordo ancora le conversazioni che avevo con Mary Margaret al calduccio della
biblioteca, le nostre voci
attutite dall’imponente quantità di libri
circostanti, quando le chiedevo
consigli sul cognome che avrei dovuto scegliere. Avevo già
chiaro in mente, fin
da giovane, che non volevo conservare per tutta la vita quello dei
genitori
che mi avevano abbandonato; sapevo che avrei potuto cambiarlo, non
appena
maggiorenne, ma prima dovevo capire in cosa
volevo cambiarlo.
Mary Margaret mi aveva fatto notare che avevo infinite
possibilità di fronte; per
restringere il campo, diceva, intanto
avrei potuto decidere cosa volevo
significasse quel cognome. Se “O’Donnelly”
mi riportava alla
mente i miei genitori,
cosa avrei voluto che mi ricordasse il mio nuovo cognome?
Allora, con un sorriso furbo, le avevo chiesto qual era il suo, di
cognome.
Strano a dirsi, ma fino a quel momento non aveva mai avuto
l’occasione per rivelarmelo,
e fu strano venirlo a sapere per la prima volta dopo tutti quegli anni
che ci
conoscevamo.
“Finch”, aveva risposto con un sorriso.
E Finch era perfetto come cognome. Mi ricordava lei: la mia adorabile
guida nei
lunghi anni dell’infanzia, ma anche Atticus Finch, il padre
di Scout, la protagonista
di Il buio
oltre la siepe: un uomo giusto e buono, come avrei voluto
fosse
stato il mio.
Scegliendo Finch come cognome, avevo anche scelto il tipo di famiglia
che
volevo ricordare: una donna affettuosa, che si era presa cura di me
finché
aveva potuto, non perché costretta da legami famigliari, ma
semplicemente per
il suo buon cuore, e uno dei personaggi dei libri che mi avevano
aiutato a
crescere. Era perfetto.
- Genitori biologici? - domanda Kellie con cautela dopo qualche
secondo,
riscuotendomi dai ricordi.
E' solo in quel momento che, finalmente, mi decido a raccontare loro la
mia
storia per intero. La racconto con voce ferma e controllata mentre
continuo a
dipingere, senza farne un dramma, e così fanno Kellie e
Dimitri, ascoltandomi
in silenzio mentre spennellano con attenzione le pareti del colore del
sole.
Percepisco di tanto in tanto le loro occhiate curiose scivolarmi sulle
spalle
mentre parlo, ma continuo, imperterrita, finché la mia
storia non è terminata.
Non voglio le loro parole impetosite. La mia non è stata una
brutta infanzia,
grazie a Mary Margaret: non merito compatimenti di sorta.
Quando finisco di parlare, è anche il momento in cui
termino di dipingere
la seconda parete di marrone.
Osservo il rotolo che mi sgocciola
sulla mano,
confusa. Per quanto accidenti ho parlato? Ho la voce roca e le spalle
indolenzite, e il salotto è interamente ricoperto di vernice
fresca dai toni
caldi.
All'improvviso, qualcosa mi stringe da dietro. Sobbalzo a quel
contatto, poi
riconosco le braccia magre di Kellie. Dimitri si aggiunge dopo qualche
secondo,
un po' impacciato, ed è allora che, con grande imbarazzo, mi
deciso a scacciare
via tutti e due. - Cosa state facendo?! - borbotto, staccandomi da
Kellie.
- Ti coccoliamo - risponde lei, con voce da pulcina.
- Non ho bisogno di essere coccolata - ribatto,
burbera. - Davvero, ci
sono passata sopra. Tutto dimenticato -, garantisco, fingendo di
scacciare una
fastidiosa farfalla-ricordo dalla fronte.
Kellie mi guarda scettica. Allora, per cambiare discorso, indico i
barattoli di
vernice che abbiamo appena usato, i quali contengono ancora un bel po'
di
vernice. - Con quella cosa ci facciamo? -.
A Dimitri si illuminano gli occhi. - Be' io avrei un'idea... -.
A quanto pare, Dimitri, oltre a un temibile buttafuori, è
anche un artista,
perché inizia a spiegarci quest'idea che gli è
venuta in mente non appena
Kellie gli ha parlato di quello che pensavamo di fare, e sia Kellie che
io ne
siamo entusiaste. Ok, il fatto che piaccia a lei non è
questa gran cosa, visto
che Dimitri è, be', il suo fidanzato! Ma devo ammetterlo: mi
ha sorpreso che la
sua idea abbia conquistato anche me.
In breve, riforniamo il nostro artista di pennelli, scotch di carta e
sedia (va
bene che è alto, ma persino lui ha dei problemi ad
avvicinarsi al soffitto tanto
da farci dei lavori di precisione!) e, in meno di mezz'ora, il nostro
Michelangelo dipinge un sole stilizzato all'angolo formato dalle due
pareti
dorate, che sono anche quelle sulle quali si aprono le finestre.
Il piccolo sole è dipinto in un oro più opaco
rispetto a quello che abbiamo
usato per le pareti, visto che Dimitri ha usato un po' del marrone
avanzato per
scurirlo, e con i suoi sottili raggi dipinti sul soffitto e sulla parte
più
alta delle pareti, sembra indicare la strada agli ultimi, tenui, raggi
del sole
che entrano dalle finestre ora libere dalla carta di giornale.
- Accidenti, è magnifico - mormoro, sincera. Mi siedo di
fianco a Dimitri e
Kellie, che si sono accoccolati contro la parete in un tenero groviglio
di
braccia e gambe, per ammirare lo spettacolo del tramonto che si
riflette nel
nostro salotto.
Rimaniamo tutti e tre lì, immobili, finché il
sole non scompare del tutto
dietro l'orizzonte.
E' stato bellissimo. Quasi come rivivere la prima volta che ho visto il
film di
Un Ponte per Terabithia
e ho visto le parole del libro della mia infanzia
prendere forma sotto i miei occhi.
Mi volto verso Kellie, che sorride con gli occhi lucidi come se si
fosse appena
svegliata da un sogno magnifico, e le rivolgo il più grande
dei miei sorrisi.
- Grazie - sussurro piano, non sapendo nemmeno bene a chi. Anche
Dimitri sembra
vagamente impressionato dalla cosa, ma non tanto da trattenersi dal
domandare,
come se nulla fosse, - Be', mangiamo? -.
Facciamo tutti e tre per alzarci, ma qualcosa ci trattiene.
Uhm, no, non capite male: non qualcosa nel senso
della meraviglia di
quel momento che non vogliamo interrompere, ma un qualcosa di fisico e
nemmeno
troppo forte che ci trattiene all'indietro per qualche frazione di
secondo in
più di quanto sarebbe normale.
Ci giriamo tutti e tre, stupiti, e ci troviamo di fronte le impronte
fresche
delle nostre sagome sulla vernice, apparentemente non asciutta quanto
sembrava... per non parlare della traccia di marrone di cui
è intriso il retro
delle nostre magliette!
- Per Diana - esclamo, addolorata - Le mie adorate magliette da casa! -.
***
Il giorno seguente, è il
turno del bagno-nella-foresta (ovvero il bagno
che abbiamo dipinto di verde) e del piano di sopra.
Mentre Dimitri si dedica -
tutto appassionato, ora che ha liberato il suo lato artistico - alla
creazione di
un motivo di foglioline verde scuro accanto ad un armadietto del bagno,
Kellie
e io saliamo di corsa le scale, ognuna armata del proprio secchiello di
vernice
(ancora chiuso, perché non vorremmo mai inciampare sulle
scale e chiazzarle di
azzurro e giallo zucca) e di rulli e pennelli per dipingere.
Visto che abbiamo le camere piccole, abbiamo deciso che ognuna
dipingerà la
propria e poi ci dedicheremo assieme - sperando che Dimitri ci
raggiunga - al
corridoio e all'altro bagno.
Come prima cosa, usciamo tutte e due col sedere all'aria dalle
rispettive
stanze, spingendo a fatica le nostre valigie sul pavimento, in modo che
non si sporchino durante il processo di pittura dei muri. Perdiamo
qualche
momento a giocare agli autoscontri, facendo scontrare i miei scatoloni
di libri
con i suoi di trucchi e vestiti fuori stagione; in presa alle risate,
ci
fermiamo appena in tempo, prima di sfasciare i nostri scatoloni e
rimanere
senza niente in cui raccogliere le nostre cose.
Il nostro baccano, però, ha richiamato l'attenzione di
Dimitri, che sale circospetto
le scale per vedere cosa stiamo combinando, con in mano un pennellino
macchiato
di verde a mo' di pugnale, pronto all'autodifesa. - Mi chiedevo se non
aveste
bisogno anche voi di qualche fogliolina - minaccia, con in volto un
sogghigno
da artista folle.
- Nooo! Kellie, distrailo! - urlo tra le risate, scappando in camera a
recuperare rullo e pennello. Devo litigare con P.T., tutto intento a
mordicchiare il pennello più grosso, per poterne tornare in
possesso, e quando esco trafelata dalla porta, trovo Kellie
che strilla e ride appesa al collo di Dimitri, a cavalcioni sulla sua
schiena
come quei cow-boy pazzi sui tori meccanici.
- Kellie! Dicevo qualcosa di più funzionale - protesto -
Tipo strangolarlo
col tuo turbante! -.
Oh, sì. In caso aveste dubbi: Kellie ha insistito anche oggi
per
avere il suo turbante protettivo, specie dopo l'incidente di ieri con
la vernice
del salotto. Oh, e ovviamente,
visto che è una persona altruista, ha insistito per metterlo
anche a me.
- Non posso! - esclama lei in risposta, con un gridolino divertito di
accompagnamento. - Lo amo troppo! -. Tutta presa dalla battaglia, ride,
senza nemmeno accorgersi
dell'importanza di quello che ha appena detto.
Dimitri strabuzza gli occhi, sorpreso, e per un attimo perde la presa
sulle
gambe chilometriche di Kellie. Per fortuna, riesce a riacchiapparla al
volo e a
farsela scivolare di fronte in quella che sembra una mossa di ballo
rock&roll. - Ti amo anche io, baby - annuncia, con voce roca e
occhi
languidi. E poi non c'è davvero bisogno che vi dica cosa
fanno, vero? Potete
benissimo indovinarlo da soli.
- Ah, voi due siete una maledizione! - ruggisco. Come se non fosse
già
abbastanza triste sapere che Josh è lontano chilometri e
chilometri senza avere
due polpi che ti amoreggiano di fronte ogni giorno, accidenti.
Spazientita, faccio per andarmene a pitturare in camera, lasciandoli a
bisbigliarsi
chissà quali porcherie nelle orecchie, quando li becco a
lanciarmi un'occhiata
che non promette altro che guai.
- NO! -.
Faccio appena in tempo a girarmi per tentare di correre via, che
Dimitri mi
placca. - Vieni, Kel, vieni a scarabocchiare la faccia di questa
gelosona! -
chiama, tenendomi ferma. Appena Kellie si avvicina e inizia a
scarabocchiarmi quelli che devono essere fiorellini sulle guance,
però, alzo i
pennelli che tenevo in mano e inizio a schizzarle la faccia di azzurro,
cercando senza risultato di risparmiare la povera maglietta da casa che
le ho
prestato anche oggi.
- Sporchi, meschini traditori! Trattate così una povera
ragazza indifesa?
JOOOOOOSH! - ululo infine, tutta tragedia e disperazione (come i
protagonisti
dei film quando si trovano in situazioni particolarmente tragiche)
quando Dimitri propone di
spandermi addosso la vernice gialla e di usarmi poi come rullo gigante
per
dipingere le pareti.
Dopo qualche minuto, riusciamo tutti a darci un contegno e a tirarci su
dal
pavimento su cui ci eravamo accasciati, sfiniti dalle risate. Io torno
alla mia
camera con i pennelli ancora stretti nelle mani ricoperte di vernice
blu
rinsecchita e cerco di dipingere senza inciampare su P.T., che continua
a fare lo slalom tra le mie gambe, mentre Dimitri segue Kellie nella
sua camera per aiutarla... o
distrarla, secondo me. Per fortuna, oltre a pomiciare, quei due
riescono anche
a lavorare un po', e prima di pranzo abbiamo finito.
La mia camera è interamente dipinta di un bell'azzurro
intenso e sul soffitto
ha dei puntini dorati che vorrebbero assomigliare a delle stelle, ma
sembrano
più degli schizzi fatti per sbaglio; alcuni sono finiti -
chissà come - anche sulla pelliccia di Piccolo Terrier.
Kellie, invece, ha fatto le pareti della
sua stanza di quello strano arancio che le piaceva, ma poi ha usato
l'azzurro
che mi era avanzato per dipingersi il soffitto, tanto che adesso in
camera sua
sembra di guardare il cielo dall'interno di una zucca. E pensate quello
che volete, ma l'impressione finale della zucca cava è
piuttosto carina, anche
se adesso ogni volta che penso a Kellie mi viene in mente Cenerentola.
Mentre le stanze si asciugano, noi intrepidi pittori scendiamo a
mangiare,
costretti a trattenere le risate ogni volta che ci guardiamo le facce
ricoperte
di vernice, simili a quelle degli indiani.
Dopo pranzo, dipingiamo il corridoio al piano di sopra per
metà azzurro e per
metà giallo zucca, poi usiamo per il bagno che rimane il
marrone rimasto dal
salotto, stemperato con un po' d'oro.
Dopo aver aperto tutte le finestre della casa per far svaporare l'odore
pungente della pittura, decidiamo di concederci un po' di riposo;
riposo
quantomai meritato, specie per il povero Dimitri, che domani
tornerà a
lavorare.
"Riposo" per lui e Kellie consiste, ovviamente, nell'accaparrarsi il
divano al piano di sotto per pomiciare, così io mi faccio
prestare il portatile
di Kellie per guardare uno dei film in cui recita Josh e, presa dalla
nostalgia, finisce che mi faccio una maratona di tutti i suoi film,
abbracciando stretto stretto P.T. Verso sera,
non resisto più e gli telefono.
- Sai che hai una faccia buffissima quando fai finta di essere
sorpreso? -
attacco non appena sento il suo "Pronto?", riferendomi
all'espressione a bocca aperta, con quei suoi occhietti adorabilmente
spalancati e la mascellona ben sporgente che fa sempre nei film nelle
scene in cui si trova
di fronte a qualcosa di sorprendente.
- Cosa? - domanda lui, confuso.
- Nei film, fai sempre la stessa espressione quando sei sorpreso - gli
spiego
pazientemente, incrociando le gambe per mettermi in una posizione
più comoda
sul letto.
- Ah sì? - chiede, sgomento. - Sempre la stessa? -.
Scaccio l'argomento con un gesto spazientito della mano. - Non importa,
è una
bella faccia -. La frase esce con un tono dolce che sorprende anche me.
Non ottengo risposta.
- Joshu-a...? -. Ti pareva che una delle poche volte che dico qualcosa
di carino lui scompare! Rimango in ascolto, e mi affretto a chiudere
con un colpo
secco il portatile, che ha iniziato a surriscaldarsi e ha rumorosamente
messo
in azione la ventola per il raffreddamento.
- ... Stavo pensando che ogni volta che ti vedo proverò a
fare un'espressione
sorpresa diversa - risponde Josh all'improvviso, tutto convinto - E poi
tu mi dirai
qual è la migliore! -.
Soffoco una risata. - Non osare cambiare la tua faccia stupita! - mi
infiammo.
- E' il tuo marchio di fabbrica: le tue fan non ti riconoscerebbero
più senza. Kellie
non ti riconoscerebbe più! -.
- E' un rischio che devo correre, per crescere professionalmente -
replica lui,
col tono di un James Bond che sta per buttarsi da un grattacielo con
una bomba
in mano per salvare il mondo.
Per tutta risposta, sbuffo forte nel microfono del cellulare, per
essere ben
sicura che senta tutta la mia disapprovazione. Lui, però,
sembra fraintendere,
perché si limita a rispondere educatamente -Hey, salute! -.
Alzo gli occhi al cielo, ma lo ringrazio lo stesso, affrettandomi a
rassicurarlo sul fatto che non mi sto ammalando e che qui il clima non
è ancora
troppo freddo, nonostante si stia avvicinando l'inverno.
Non so se parlargli della giornalista di ieri. Vorrei chiedergli un
parere, ma
allo stesso tempo non voglio che si preoccupi mentre è
impegnato a lavorare
(non vorrei mai che la sua faccia sorpresa venga fuori un po'
crucciata!);
inoltre, ho lo stupido timore che il sapere di avere una giornalista
col flash
facile nei paraggi di casa sua lo spinga ad aspettare a tornare,
dirottandolo magari verso la sua bat-caverna a Los Angeles.
- Avete finito di dipingere la casa, allora? -. La sua voce mi riscuote
dalle
pare mentali, e mi rianimo al pensiero della casa colorata,
affrettandomi a
spiegargli tutti gli ultimi particolari. Sono tutta infervorata, presa
a
narrargli il malefico attacco a mie spese da parte di Kellie e Dimitri,
quando
suona il campanello.
- Aspetta un secondo - dico ad alta voce, cercando di farmi sentire
oltre il
suono delle sue risate dall'altra parte del telefono. Entro in camera
di
Kellie, visto che è lei ad avere la vista sull'entrata, e mi
avvicino
circospetta alla finestra, preceduta da un agitato Piccolo Terrier.
Purtroppo, chi ha suonato è nascosto dalla tettoia,
però davanti a casa noto subito la presenza di altre due
macchine, oltre alla
mia e a quella di Kellie. E una è una cinquecento color
bianco sporco.
La giornalista è tornata.
Ciao a tutti!
Lo ammetto, ci ho riprovato col finale ad effetto!
Scusatemi, scusatemi e scusatemi per il ritardo D: Non so davvero come fare per obbligarmi a muovere il culo (per dirlo con finezza v.v)!
Come sono andate le vacanze? Quanto brutto/bello è stato il ritorno a scuola? Raccontatemi *w*
E spero che l'intermezzo artistico di Grace, Kellie e Dimitri vi sia piaciuto :D!
Non ho ancora avuto l'occasione di inserire il cognome di Kellie e il nome della malefica giornalista, quindi se avete proposte last-minute scrivete pure :D
Intanto ringrazio un sacco ESTI, Katniss01 e _andr_ per le loro bellissime proposte <3 Sarà dura scegliere! E ringuazio anche tutti i vecchi e nuovi lettori e recensori :D!
Uhmmm... non ho altro da dire, se non che spero di sentirvi presto :)
Bacioni!
Liz