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Autore: MyLandOfDreams    05/10/2014    1 recensioni
Sono settimane che vengo qui per scappare da loro. Loro che non capiscono il mio dolore.
Loro che non fanno altro che provare pena per me.
Loro che pretendono di sapere ciò che provo.
Loro non sanno nulla.
Non sanno cosa significa perdere l'unica tua ragione di vita. Non sanno cosa significa perdere parte di sé.
Non sanno cosa significa perdere ciò per cui hai sacrificato parte della tua vita.
Non lo sanno.
Loro non sanno nulla.
E io non voglio spiegarglielo, non capirebbero.
Come possono comprendere un dolore così grande da ucciderti lentamente, giorno per giorno?
Certi dolori possono essere compresi solo vivendoli sulla propria pelle.
No, non possono comprenderlo.
One shot scritta con Iaele Santin
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ritrovare la speranza


  Il cielo limpido ospita un sole caldo e splendente, quasi come se mi stesse deridendo, come se si stesse prendendo gioco di me.
  Come se non gli importasse niente della tempesta che si sta agitando dentro di me.
  Una tempesta che mi sommerge e mi spinge alla deriva senza alcun controllo.
  Io non sono altro che una piccola zattera, sballottata da una parte all'altra, senza sosta, senza più le forze per cercare di mettermi in salvo.
  Non voglio mettermi in salvo.
  Che senso ha cercare una via di salvezza se non si ha nulla per cui vivere?
 
  «Ciao, io vado! Ci vediamo stasera» Mi sorride contento di essere guarito dall'influenza e di poter, quindi, uscire con gli amici che ha trascurato, sia per trascorrere del tempo con me, sia a causa del suo malessere.
  «Divertiti e non fare tardi» replico anch'io sorridendo. La sua felicità è contagiosa.
  Cogliendomi di sorpresa mi si avvicina stampandomi un bacio sulla guancia, quasi all'angolo della bocca. «Ti voglio bene».
  Queste sono le sue ultime parole pronunciate prima di varcare la porta per raggiungere gli amici.
 
  Il rumore di un ramoscello spezzatosi sotto il peso di qualcuno mi risveglia dalle mie elucubrazioni facendomi vagare con lo sguardo per tutta la spiaggia. Potrebbe anche essere un serial killer con l'intenzione di pugnalarmi. Non mi importerebbe più di tanto.
  Sono settimane che mi ritrovo qui, nello stesso punto alla stessa ora.
  Sono settimane che vengo qui per scappare da loro. Loro che non capiscono il mio dolore.
  Loro che non fanno altro che provare pena per me.
  Loro che pretendono di sapere ciò che provo.
  Loro non sanno nulla.
  Non sanno cosa significa perdere l'unica tua ragione di vita. Non sanno cosa significa perdere parte di sé.
  Non sanno cosa significa perdere ciò per cui hai sacrificato parte della tua vita.
  Non lo sanno.
  Loro non sanno nulla.
  E io non voglio spiegarglielo, non capirebbero.
  Come possono comprendere un dolore così grande da ucciderti lentamente, giorno per giorno?
  Certi dolori possono essere compresi solo vivendoli sulla propria pelle.
  No, non possono comprenderlo.
 
  Sono le dieci di sera e Marco non è ancora tornato. È normale farsi prendere leggermente dall'ansia, giusto?
  Allora perché, nonostante la consapevolezza della mia tendenza a ingigntire  sempre tutto, non riesco a scacciare questo senso di inquietudine?
  L'improvviso squillo del telefono mi fa trasalire.
  Senza pensarci più di tanto afferro la cornetta. «Pronto? Marco, amore, sei tu?».
  «Signora Bianchi?» chiede la voce dall'altra parte del dispositivo.
  «Si, sono io. Chi parla?» Rispondo titubante.
  «La chiamo dall'ospedale. Il signor Marco Valenti è stato coinvolto in un incidente. Dovrebbe venire qui..»
 
  Lo sguardo continua a vagare fin quando non lo vedo.
  È lì, dietro di me, intento ad osservarmi con il suo solito sguardo comprensivo che stona leggermente con i suoi tratti fanciulleschi e innocenti.
  Ha i suoi stessi occhi. Occhi di ghiaccio ardente.
  Ha i suoi stessi lineamenti.
  Sono questi particolari a spingermi a distogliere lo sguardo.
  Non riesco a reggere lo sguardo di quegli occhi così simili ai suoi.
  Non ci riesco.
  «Non puoi continuare così» dice in un sussurro.
  Lo ignoro.
  «Dovresti tornare a casa». Continua.
  Lo ignoro di nuovo.
  «Come credi si sentirebbe a vederti ridotta così? È forse questo ciò che vorrebbe?».
  È la goccia che fa traboccare il vaso. Senza pensarci mi alzo di scatto per saltargli addosso con le mani chiuse a pugno nel tentativo di colpirlo.
  Cosa può saperne lui di come mi sento?!
  Cosa vuole saperne lui del mio dolore?!
  Cosa vuole saperne di come mi sento ogni mattina quando mi alzo sapendo che Marco non tornerà mai più?
  Cosa?!
  I miei tentativi non vanno a buon fine e, stizzita, mi allontano di scatto dal suo corpo. «Non può sentirsi in nessuno modo! Non può volere nulla! È MORTO!».
 
  «Marco, amore mio, ti prego svegliati. Non mi lasciare» singhiozzo al suo capezzale.
  Sono passati cinque giorni dalla chiamata che mi informava dell'incidente.
  Cinque giorni che vivo in ospedale.
  Cinque giorni che continuo a pregare e sperare che si risvegli.
  Cinque giorni trascorsi con il suono della macchina che misura i suoi battiti cardiaci come unica speranza che possa riprendersi.
  All'improvviso il bip regolare che mi ha accompagnato in questi giorni, diventa un unico suono continuo.
 
  Credevo di aver finito le lacrime.
  Allora perché il vento che ha iniziato a soffiare impetuoso mi fa sentire gli occhi freddi?
  Il viso gli si incupisce.
  «Torniamo a casa per favore. Non posso lasciarti un altro secondo di più da sola con il rischio di vederti perdere vita giorno per giorno. Continua a vivere. Fallo per me. Fallo per lui.» sussurra con tono sommesso, come in una preghiera.
  «Torna tu a casa. Casa tua non è casa mia. Casa mia non è casa tua. Tra l’altro neanche vivi più in questa città. Non devo fare nulla per te. Non da quando hai varcato quella maledetta porta definendomi solo un peso. Non sei più nessuno nella mia vita, e lo sai. Hai deciso tu di uscire dalla mia vita» dico senza scompormi più di tanto e voltandomi ad osservare il mare.
  Il vento impetuoso mi riporta alla mente ricordi dolorosi.
  Ricordi che credevo di aver sepolto, ma che tornano prepotenti alimentando la tempesta che mi si agita dentro.
 
  «Che stai facendo?». Chiedo terrorizzata dalla scena che mi si para davanti.
  «Mi sembra ovvio».  Risponde freddamente senza neanche degnarmi di uno sguardo «Sto facendo le valigie».
  «Perché?».  Chiedo in un sussurro, timorosa della risposta.
  «Non voglio questa vita. Voglio poter realizzare il mio sogno rimasto in un cassetto polveroso per colpa tua e di Marco. Non ho mai voluto questa vita. »
 
  «Smettila! Smettila di pensare di essere l'unica a soffrire! Anch'io sto soffrendo! Anch'io ci tenevo a lui. Era una parte anche di me». Urla.
  Improvvisamente sento le sue braccia avvolgermi la vita e attirarmi a sé.
  «Era anche mio figlio». Prosegue angosciato in un sussurro sommesso.
 
  «Papà» un lieve sussurro tremolante richiama la nostra attenzione.
  «Tu non mi vuoi più?». Più che evidenti sono le lacrime che il mio bambino cerca di trattenere nel tentativo di sembrare il bimbo forte e coraggioso che suo padre desidera.
  «No. Questa vita non va bene per me. Io me ne vado».  Risponde senza neanche osservarlo.
  Detto ciò chiude la valigia e ci abbandona.
 
  «Tu non lo volevi. Così come non volevi più me. Come osi definirti suo padre dopo averlo abbandonato? Dopo averci abbandonato.» le lacrime iniziano a rigarmi il viso.
  Sono anni che non piango per Lucas, per il suo abbandono.
  Anni trascorsi reprimendo la necessità di sfogarmi nel tentativo di non far notare a mio figlio quanto l’abbandono di suo padre mi abbia distrutta, anni trascorsi tra un sacrificio e l'altro pur di dare a Marco tutto ciò di cui aveva bisogno.
  Ma ora Marco non c'è più.
  Non ho più nessun motivo per trattenere tutto ciò che provo pur di non apparire debole agli occhi altrui.
  Mi lascio andare. Lascio che le lacrime di rabbia e delusione verso Lucas si mischino a quelle di dolore per la perdita del mio bambino.
  Lascio che le braccia di Lucas continuino a stringermi a sé. Nonostante il dolore che mi ha causato, l'abbandono, la rabbia e il rancore che provo nei suoi confronti, mi lascio cullare dal suo caldo e leggero respiro, dal suo profumo, dal suono delle onde del mare, del vento che sembra spingerci a non lasciare l'altro.
  Mi è mancato poter stare così.
  Tra le sue braccia.
  Il suo odore ad avvolgermi.
  Il suo sospiro a solleticarmi la nuca.
  «Non è vero, ho mentito.» Dice facendomi voltare per poterlo guardare negli occhi. «Non è vero che non vi volevo più nella mia vita, eravate la cosa più importante di tutte. Non è vero che eravate dei pesi, eravate voi a sostenermi, pur non sapendolo, in momento di tristezza. Non è vero che vi ho abbandonati perché la vostra presenza mi impediva di realizzare il mio sogno, voi eravate tutto ciò che potessi desiderare» conclude con la fronte aggrottata posata sulla mia.
  Stizzita mi allontano di scatto colpendo lo al petto con i pugni. «E allora perché cavolo te ne sei andato?! Perchè ci hai abbandonati? Se eravamo davvero tutto ciò di cui potevi aver bisogno, perché te ne sei andato? Perché hai lasciato che IO mi facessi in quattro per MIO figlio? Perché tu non sei suo padre. Io ho dovuto fargli sia da madre che da padre in questi dieci anni. Dov'eri quando non dormiva la notte per settimane perché in ansia per gli esami di terza media? Dov'eri quando aveva bisogno di consigli per il primo appuntamento con una ragazza? Dov'eri quando è rimasto per giorni in un letto d'ospedale in coma? Non ci sei mai stato, perché eri a inseguire il tuo sogno!» gli sputo addosso tutto il rancore accumulato in questi anni urlando.
  «Avevo paura!» risponde urlando anche lui «Avevo paura di perdervi. Paura che prima o poi avrei distrutto tutto come ho sempre fatto. Paura che avrei potuto distruggere la vostra vita.»
   Che cavolo di ragionamento è? «Mi stai prendendo in giro?! È per questo che te ne sei andato? Hai distrutto la nostra vita andandotene! Mi hai lasciata che avevo appena 31 anni, un lavoro che mi permetteva a mala pena di pagare l'affitto, le bollette, le tasse scolastiche, cibo e vestiti. Ho dovuto trovare un altro lavoro con cui potermi permettere anche i giocattoli, le gite scolastiche, le lezioni di pianoforte di MIO figlio. E tu invece sei scomparso! Non ho neanche potuto avviare le pratiche per il divorzio perché non sapevo dove potessi essere! Mi hai reso la vita un inferno!». Il dolore è scomparso lasciando che la rabbia e il rancore abbiano il sopravvento.
  Quando finalmente ho buttato fuori tutto quello che mi ero tenuta dentro fino ad adesso, mi sento vuota, fragile, sola, con un dolore ancora troppo grande, ma anche un po' più leggera di prima.
  Lui tace.
  Non ha parole per controbattere.
  Vedo un luccichio di comprensione nei suoi occhi.
  Non dice niente, semplicemente fa dietrofront e se ne va.
  Ad un tratto si ferma, si volta per un secondo e mi sussurra qualcosa. «Ho sbagliato, lo so. Ma se vorrai darmi un'altra occasione sai dove trovarmi. Non cerco il tuo perdono, sarebbe inutile. Ti chiedo solo di dividere il tuo dolore con me. Marco era anche mio figlio in fondo».
  Detto ciò torna da dov'è venuto in silenzio.
  Lo guardo allontanarsi senza dire nulla.
  Una volta che scomparso dalla mia vista torno a fissare il mare e ad ascoltare il soffiare del vento.
  Marco mi manca così tanto! Era tutto ciò che avevo, tutto ciò per cui vivevo.
  Ora che è morto, cosa ne sarà di me?
  Il vento soffia imperterrito portandomi l'odore di salsedine fino alle narici.
  Che cosa ne sarà di me adesso?
  Come posso andare avanti se mio figlio è morto?
  Come?!
  Il dolore, la solitudine, il senso di vuoto che mi porto dentro sembrano avere la stessa vastità del mare che mi sta davanti.
  Come posso sopportare tutto questo?
  Vorrei tanto perdermi in quella vastità infinita, lasciarmi sommergere e andare alla deriva, così da trovare finalmente la pace.
  Ma, come un soffio di vento troppo forte, è tornato Lucas.
  Lucas che torna troppo tardi.
  Lucas che soffre, ma che non riesce a capire il mio dolore.
  Lucas che è come questo vento.
  Sta con il mare quanto vuole e poi se ne va.
  Torna quando vuole e, qualche volta, torna troppo tardi per quelli che stanno navigando condannandoli.
  Vento che urla, soffre e strepita, ma indifferente a quello che provoca al mare.
  Ecco. Io e Lucas siamo come il vento e il mare.
  Ma, io, posso tornare a fidarmi di lui come il mare continua a fidarsi del vento?
  Posso farcela? O finirò di nuovo in frantumi?
  Posso davvero riuscirci?
  Al momento non lo so.
  Il dolore è ancora troppo grande.
  Il vento che soffia mi porta sussurri lontani che non riesco a decifrare.
  Guardo ancora per qualche secondo il mare e poi me ne vado.
  Non so nemmeno dove sto andando di preciso. Le mie gambe si muovono da sole.
  Raggiungo l'albergo più vicino e chiedo in quale camera si trova quello che ancora, nonostante tutto, è mio marito.
  Cosa ci faccio qui?
  Perchè sono qui?
  Titubante busso alla porta.
  Mi apre e pare sorpreso nel vedermi.
  Chissà cosa avrà pensato fino ad adesso.
  Prova a dire qualcosa, ma lo fermo.
  «Non dire nulla. Non dire nulla. Dimostrami solo che sei sincero. Dimostrami che a me ci tieni davvero. » gli dico cercando di non ricominciare a piangere.
  Mi fissa negli occhi cercando di capire quello che voglio dire con quelle parole. Non dice nulla, ma dopo qualche secondo si fa da parte per farmi entrare.
  Non so se ho fatto la scelta giusta, non so nemmeno perchè ho fatto questa scelta.
  Però, mi era sembrato che il vento, in spiaggia, mi stesse sussurrando qualcosa con la voce di Marco.
  Sembrava così tanto un «Mamma, vi voglio bene».

 
Note autrice
Salve a tutti. Intanto se siete arrivati fin qui vi ringrazio per aver speso del tempo per leggere la mia prima OS. Volevo ribadire che questa storia non l'ho scritta totamente io, ma sono stata spronata ed aiutata da Iaele Santin per un concorso a quattro mani di cui non si è più saputo nulla. Avevamo deciso di pubblicare la storia una volta saputi i risultati del contest ma sono ormai trascorsi sette lunghi mesi di silenzio da chi doveva giudicare le varie OS. Per cui eccomi qui. Spero che lasciate un commento per dirmi cosa ne pensate.
  
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