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Autore: Alaska__    05/10/2014    1 recensioni
{ Queste storie partecipano all'iniziativa Drabble Meme, indetta dal gruppo facebook The Capitol}
O6 ~ Keith (OC)/Blight (friendship • tribute/mentor) ~ OS (1.914 parole) ~ during 69th Hunger Games ~ prompt: « Gatti »
«Io…» indugiò un istante sulle parole da pronunciare, «… vado in giro. Di notte, nei boschi. Ho un buon senso dell’orientamento. E so muovermi furtivamente» abbassò lo sguardo sul muffin mangiucchiato che giaceva sul piatto, «… come un gatto» aggiunse quasi senza rendersene conto, e un sorrisetto malinconico incurvò le sue labbra.
«Un gatto?» Blight aggrottò la fronte, ma sorrideva.
«Un gatto» confermò Keith. «È il mio soprannome». Non sapeva perché gli stesse raccontando quell’aneddoto – di solito, lui non amava molto parlare della sua vita – ma sentiva il bisogno di sfogarsi e liberarsi, per non aver più sullo stomaco il peso della malinconia.

[...]
«Gatto» sussurrò Blight, come se stesse parlando tra sé e sé. «Quindi, i tuoi talenti nascosti sono infrangere la legge e fare il gatto. Sei anche bravo a miagolare?»
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovi Tributi, Tributi edizioni passate, Un po' tutti, Vincitori Edizioni Passate
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sparks • Picking up the pieces. '
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Prompt: «Non ti senti mai in colpa per tutti quei ragazzi morti?»
Personaggi: Franziska Madison; Jonathan Kidman. [ OCs ]
Coppia: Franziska/Jonathan; madre/figlio. 
Rating: verde. 
Genere: Introspettivo, malinconico, triste. 
Lunghezza: one-shot [ 1.318 parole ].
Avvertimenti: spoiler eventuali per chi non conosce i due OC (?).
Note: Come ho già accennato, Franziska e Jonathan sono due miei OC del Distretto 6. Lei appare nella mia interattiva We all fall down like toy soldiers come mentore, perché ha vinto la cinquantaseiesima edizione degli Hunger Games. All'epoca era già madre da circa tre mesi, solo che sia lei che il suo ragazzo - Aaron - vennero estratti per partecipare ai Giochi. Gaudio e tripudio, insomma. 
È la prima volta in cui scrivo qualcosa su di loro aldilà dell'interattiva - nella quale John veniva appena menzionato nella parte dal PoV di Franziska - quindi sono emozionata! 
La scena scritta qui sotto è da collocarsi circa un paio di mesi prima dei settantaduesimi Hunger Games, una sera, mentre i due stanno guardando la replica dei sessantanovesimi Hunger Games in tv. Qui Jonathan ha sedici anni compiuti da poco e Franziska ne ha trentaquattro. 

Ringrazio tantissimo  giraffetta per il prompt ♥



 



Picking up the pieces 



IV. «Non ti senti mai in colpa per tutti quei ragazzi morti?»

 
 

L’unico suono a rompere il silenzio nel salotto era la voce di Caesar Flickerman, che, durante il consueto appuntamento con le repliche degli Hunger Games, descriveva con particolare minuzie il modo in cui era stato ucciso uno dei tributi.
Jonathan sbadigliò, scivolando ancora di più sul divano e reclinando il capo all’indietro. I suoi occhi marroni erano socchiusi nello sforzo di rimanere sveglio, ma, di tanto in tanto, il sonno prendeva il sopravvento e si ritrovava con le palpebre abbassate.
Poco distante da lui, sua madre leggeva un libro, appollaiata sul divano. Tra le mani stringeva una fumante tazza di tè e lo sorseggiava piano.
Il sedicenne sospirò, passandosi una mano tra i corti capelli castani e rivolgendo uno sguardo seccato alla televisione. Non c’era nulla di meglio da guardare – del resto, l’unico canale era quello di Capitol City e sembrava che si divertissero a trasmettere i Giochi ogni sera, per mantenere vivo l’incubo. Avrebbe tanto voluto uscire e giocare a calcio, ma ormai era tardi e lui – dopo un intero pomeriggio passato a studiare matematica per la verifica del giorno dopo – voleva solo stare sdraiato sul divano, ad oziare.
Nel frattempo, la tv trasmetteva le riprese del maschio del Distretto 6 che moriva, tra atroci sofferenze, dopo essere stato morso da uno strano ibrido. 
Con la coda dell’occhio, Jonathan osservò sua madre, stringendo le labbra in un’espressione di disappunto. Franziska teneva gli occhi chiari – così diversi da quelli del figlio – puntati sulle pagine del libro, senza degnare di uno sguardo l’immagine del tributo – il suo tributo – che moriva. La presa delle sue dita intorno alla tazza, però, sembrava essersi fatta più salda – lo si intuiva facilmente, viste le nocche che, all’improvviso, erano sbiancate.
Il sedicenne abbassò ancora di più il volume del televisore, per impedire a sua madre di sentire i versi del giovane morente. Quella notte – senza ombra di dubbio – lui l’avrebbe sentita urlare e sarebbe dovuto andare nella sua stanza per accertarsi che stesse bene. Era un rituale comune, ormai, dopo tanti anni di solitaria convivenza. Franziska urlava e Jonathan si intrufolava nel suo letto per calmarla: andava avanti da quando il sedicenne aveva quattro anni, e si svegliava – tremante e sudato – pensando che anche la sua mamma stesse morendo, proprio come aveva fatto il suo papà quando lui aveva appena tre mesi. 
Le sue iridi scure corsero istintivamente a cercare quella vecchia foto di Aaron che stava su un mobile accanto al televisore. Lo ritraeva giovane e sorridente, proprio com’era prima che morisse. A sentire Franziska, Jonathan gli assomigliava. Non passava anno senza che gli ripetesse più di una volta quanto fossero simili i loro occhi - color cioccolato, come li definiva sempre - i loro capelli, il sorriso e persino le loro lentiggini. E in quei momenti, gli occhi verdi della donna erano velati di malinconia, e si posavano – tristi – su un punto lontano, a rincorrere dolorosi ricordi che sembravano far parte della sua memoria solo per farle male, affondando nel suo cuore come una coltellata, fredda e letale.
Ancora una volta, il giovane si ritrovò ad osservare sua madre, chiedendosi quanto fossero forti i suoi sensi di colpa nei confronti di quel ragazzo che era appena deceduto, come aveva annunciato lo sparo di cannone.
«Mamma…» Quella parola gli sfuggì dalle labbra in maniera involontaria, senza che lui pensasse minimamente a quello che stesse per dire. Sapeva che l’argomento Giochi e quello morte erano tabù, quando si trattava di sua madre, eppure sentiva la necessità di parlarne con lei, senza che neanche lui capisse il perché.
La trentaquattrenne alzò lo sguardo dal libro. «Dimmi, Johnny». 
Il ragazzo si morse il labbro inferiore, sfuggendo allo sguardo inquisitore della madre. Doveva solo trovare in sé la forza per dire quella semplice frase, che lo avrebbe – secondo lui – fatto sentire leggermente più vicino alla donna che aveva accanto. Eppure, le parole parevano sfuggirgli di bocca, mentre tentava di metterle in fila per parlare.
«Non…», fece un bel respiro, «… non ti senti mai in colpa per tutti questi ragazzi morti?» concluse, indicando la televisione con un cenno del capo. 
Franziska rimase immobile, guardandolo con aria sorpresa. Jonathan si osservò le ciabatte, sentendo che il sangue iniziava a fluirgli copiosamente nelle guance, facendolo arrossire. 
«Se… se non te la senti di rispondermi…» balbettò, ma sua madre fece un sorriso stanco e chiuse il libro, appoggiandolo – insieme alla tazza – sul tavolino da caffè posto nello spazio tra il divano e il televisore. 
La donna si avvicinò un poco al figlio. «Ogni giorno. Ogni ora. Ogni minuto» rispose a voce bassa. 
«Scusa se ti ho fatta star male». Parlò in maniera anche troppo veloce, Jonathan, inceppandosi a metà frase e continuando a fatica. 
La Vincitrice dei cinquantaseiesimi Hunger Games allungò un braccio verso il sedicenne, prendendolo per mano e intrecciando le sue dita a quelle del figlio. Gli sorrise con dolcezza, scostandogli – con la mano destra – un ciuffo di capelli castani dalla fronte.
«Non mi sono offesa e non sono stata male» mormorò, appoggiando la guancia contro il braccio del figlio –  ben più alto di lei. 
«Pensavo che non volessi parlare di certe cose». 
Franziska sciolse l’intreccio delle loro mani, abbracciandolo con delicatezza all’altezza della vita. Jonathan ricambiò la stretta, passando – goffamente – un braccio sulle spalle della madre. 
Lo aveva toccato come si toccavano le cose fragili, quelle che si sarebbero rotte alla prima caduta. Lo toccava così da anni, finché Jonathan ne avesse memoria. Ogni volta che i loro corpi entravano in contatto – per un abbraccio, un bacio sulla guancia o semplicemente dei pugnetti amichevoli sul braccio – il sedicenne non provava mai dolore. Franziska lo trattava come una persona che sarebbe volata via da un momento all’altro, come se temesse che anche il figlio – così simile al padre – la lasciasse. Era il sentimento che Jonathan percepiva ogni anno, alla Mietitura, quando sua madre lo stringeva forte, prima che lui andasse in piazza ad unirsi ai suoi coetanei. 
Posò un bacio sui capelli biondi e spettinati della madre, legati in un pratico chignon che non riusciva, tuttavia, a tenerli a posto. «Lo sai che io ogni tanto mi sento in colpa?»
La donna alzò la testa, osservandolo e sciogliendo l’abbraccio. Prese il volto del figlio tra le mani, fissandolo con aria preoccupata. «Johnny, ma che dici?»
Il sedicenne fece spallucce, grattandosi la nuca con aria imbarazzata. Non sapeva spiegare nemmeno lui quella strana malinconia che a volte prendeva possesso del suo animo, mentre stava da solo da qualche parte, a pensare – ed era un suo vizio, quello: pensava troppo.
«Ogni tanto… mi sento in colpa nei confronti di quei ragazzi che sono morti. Nei confronti di papà».
«Perché sei vivo?» La bionda sospirò, posando un bacio sulla fronte del ragazzo. «Non devi, d’accordo? Lo so che è orribile veder morire così tanta gente, lo so che è brutto. E papà… tu non c’entri niente con la sua morte. Aveva tante nomine, sì, ma le prendeva già prima che io rimanessi incinta».
«Avrei voluto conoscerlo». Jonathan sospirò di stanchezza, appoggiandosi allo schienale del divano e chiudendo gli occhi. Franziska gli carezzò i capelli.
«Lo avresti adorato» sussurrò. «E siccome ora ci sono solo io… ti ordino di andare a nanna!»
Il ragazzo aprì gli occhi di scatto, fissandoli sul televisore che riprendeva il Vincitore della sessantanovesima edizione mentre usciva dall’Arena. 
«Ma è presto» bofonchiò, lanciando un’occhiata all’orologio che ticchettava appeso alla parete. Segnava le dieci. 
«Lo so, ma domani hai una verifica di matematica, o sbaglio?» Franziska sorrise con aria furbetta, prima di alzarsi dal divano e battere le mani. «Su, su! A letto, Jonathan!»
Il ragazzo sbuffò, alzandosi. Si abbassò fino a dare un bacio sulla guancia alla madre. «Grazie per la chiacchierata» disse, per poi andarsene verso la sua stanza. 
Prima di farlo, gettò un’ultima, veloce occhiata alla foto di suo padre e il suo stomaco - seppur per poco - si strinse un'ultima volta in una morsa. 

 


Alaska's corner

Rieccomi :3
Spero che la storia sia piaciuta! Ne approfitto per ringraziare ancora giraffetta e dirle che ho adorato questo prompt! Era da tempo che desideravo scrivere qualcosina su questi due e finalmente ne ho avuto l'occasione. 
Comunque, la storia di Franziska e anche quella di Jonathan verranno spiegate in una futura long che magari non scriverò mai, visto che ne ho tantissime che mi frullano per la testa. Volevo parlare un po' dei suoi Hunger Games e di come è nato Jonathan, quindi spero davvero di farcela perché tengo molto a questi due piccini :3
E finalmente, con questa storia, sono riuscita a parlare un po' di Johnny, visto che nell'interattiva veniva appena appena accennato che fosse nato prima degli HG ai quali avevano partecipato i suoi genitori, ma non veniva detto altro. Quindi ne ho approfittato per far emergere un po' il suo carattere, ecco. Tra l'altro, giusto qualche giorno fa stavo sfogliando Ragazzo da parete ( o Noi siamo infinito, che dir si voglia ) e mi sono resa conto che assomiglia parecchio a Charlie, come modi fare! Solo che lui è un po' meno strano, ma fondamentalmente sono entrambi molto introversi e hanno il vizio di pensare troppo. xD
Che dire, spero davvero che vi sia piaciuta!
Un abbraccio, un bacio e un biscotto,
Alaska. ~
   
 
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