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Autore: Harryette    05/10/2014    14 recensioni
[...] Ci fu un silenzio imbarazzante, prima che Margareth si decidesse a riprendere e concludere il discorso.
‘’Questa sono io. Sono Margareth, la stessa persona che era affacciata sul balcone di quel ristorante italiano e la stessa persona a cui hai detto che, andandosene, si rinuncia non solo alle cose brutte ma anche a quelle belle. Sono contenta di averti dato ascolto, perché – io – l’ho trovata una cosa bella. E scusami, davvero perdonami, perché io sono innamorata di te e non so neanche perché te lo sto dicendo adesso’’
Dall’altra parte ci fu, ancora una volta, silenzio. Le parve di udire un sospiro, ma non ne era proprio sicura.
‘’Ho finito’’ disse. ‘’Mi dispiace per l'ora, e...''
Stavolta, però, lui la interruppe. ‘’Stai piangendo?’’ le domandò.
''Cambierebbe qualcosa?'' chiese.
''Non piangere'' lo sentì addolcirsi. ''Non piangere, Marge''.
[SPIN-OFF DI ''MORS OMNIA SOLVIT'', DA LEGGERE ANCHE SEPARATAMENTE]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli inarrivabili del Bronx'
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A tutti quelli che hanno avuto il coraggio di sperare
e a quelli che lo stanno ancora cercando.
Ricordate che il dolore non dura per sempre, non lasciatevi consumare.
 
Amnesia.
 

|Prologo|
The beauty of a thousand stars
 
Dimenticare è un’arte, questo era tutto quello che aveva imparato della vita in generale. Che dimenticare è un’arte, andare avanti un talento e stringere i denti e sopportare è una qualità. Scordare e lasciarsi alle spalle tutto il resto, ed andare avanti, è qualcosa di stucchevole quasi. E sedersi la notte sulla terrazza e contare le stelle è qualcosa di così malinconico che ti spinge a non voler dimenticare. Non vuoi più dimenticare se, poi, non ti resta niente.
Come se vedere qualcosa che brilla, qualsiasi cosa, ti possa far credere- o ti possa illudere- che esiste ancora qualcos’altro.
Come se sedersi sull’amaca e pensare a qualcosa possa portarti a sperare in qualcosa di diverso.
Consolarsi nelle poesie e autoconvincersi che, sì, c’è ancora qualche cosa per cui vale la pena vivere a questo mondo. ‘Che non è tutto rose e fiori, questo si è ormai capito, ma se davvero per le rose si è disposti a sopportare le spine, allora- magari- un sacrificio si può fare. Uno strappo alla regola, veloce come tirar via un dente o rimuovere un cerotto.
Carl Pearson non pensa alla morte e non ne ha paura, come il novanta percento degli individui tarati presenti sulla faccia della terra. Carl Pearson ha, piuttosto, paura della vita. Di quella vita che comunque devi vivere, distrutto o ferito o sano o felice o triste, perché di certo non ti aspetta e di certo non se ne frega di come ti senti. E’ troppo facile morire, andarsene una volta e per sempre, e condurre in eterno una pseudo-esistenza lontano dai mali del mondo e dai cancri della società. E’ troppo facile sparire e fingere di aver vissuto mentre si sta per morire. Perché nel preciso secondo che separa il morire dall’essere morto, te lo senti e lo capisci che sei stato fortunato nella sfortuna e che morire non è poi così male, se comparato a come hai vissuto.
E così Carl Pearson aveva cominciato a credere alla fisica e alla teoria del ‘’è tutto relativo’’. In effetti sì, è tutto relativo.
Per questo non vuole morire e per questo non vuole dimenticare. E ancora per questo si stende tutte le notti in veranda, e guarda le stelle. William Shakespeare diceva: ‘’non rovinare mai il tuo presente per un passato che non ha futuro’’
Carl Pearson ha iniziato a credere anche a Shakespeare.
 
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C’è solo una cosa che fa più schifo di avere dei genitori che credono che tu abbia una vita perfetta, ed è avere una vita tutt’altro che perfetta.
Adagiare le dita sul pianoforte ed iniziare a suonare qualcosa, qualsiasi cosa, per allontanarsi dal rumore dei pensieri. Per fare qualcosa, qualunque cosa, per sentirsi da un’altra parte, lontana da quelle pareti confettate e quell’intonaco pesante. Ma poggiare le mani esili sui tasti neri del pianoforte a coda non la rende più coraggiosa, perché la parte peggiore non è mai quella nera.
Non è dal buio che bisogna guardarsi le spalle, e questo Margareth Grey lo sa molto bene, ma dalla luce. Il buio ti avvolge, quasi ti consola, ti fa abbandonare ogni certezza ed ogni speranza e- si sa- che senza speranza si tira avanti meglio. La luce ti acceca e ti illude, come ogni essere umano illude, e nel preciso momento in cui un raggio di qualcosa che brilla anche solo un pochino ti entra in un occhio, bhè, allora è proprio la fine.
Ed è risaputo che essere felici e realizzati non è facile, ma è un po’ più difficile quando sei Margareth e particolarmente impossibile quando sei Margareth Grey- si, quella Grey.
E nell’istante in cui ti rendi maledettamente conto che poggiare i piedi sulla ringhiera è stato il gesto più ribelle che tu abbia mai fatto, provi qualcosa di strano alla bocca dello stomaco: è una specie di desiderio.
E quando scopri che cos’è, e quando arrivi a desiderare di fare qualcosa che ti faccia sentire viva, e quando inizi a sperare che quel qualcosa arrivi presto, bhè, sei proprio spacciata.
E Margareth Grey- quella Grey- continua ad essere fermamente convinta che c’è solo una cosa che fa più schifo dell’avere dei genitori che credono tu abbia una vita perfetta, ed è avere una vita di merda. Ma non è arrendevole. Dopo diciassette lunghi anni, getta la spugna ma soltanto per prenderne un’altra.
E forse non saprà mai a memoria la terza declinazione latina, che poi a cosa potrà mai servirle?, forse non saprà mai cos’è una cellula diploide né cos’è quella aploide, e magari non scoprirà mai come si suona la nona sinfonia di Beethoven, e non le interessa comunque, per una volta, le interessa soltanto di quel famoso ‘’e se…’’ che ha accantonato ogni volta.
Perché il piccolo lasso di tempo che separa il credere dall’averci creduto, lei non ha intenzione di lasciarlo vuoto e vacuo. E se serve soffrire e far soffrire per smettere di farlo, al diavolo tutto.
Margareth Grey-proprio quella Grey-  vuole solo dimenticare e andare avanti, con tutte le conseguenze che ‘’portare avanti’’ porta avanti nella sua mente. E se vivere significa solo respirare e soddisfare qualcuno che non è lei, allora sta vivendo bene. Ma se vivere significa soddisfare se stessa e respirare per un motivo, allora sta sbagliando irrimediabilmente da qualche parte.
E adesso, Margareth Grey- non più quella Grey- vuole solo trovare quel motivo.



 
Eccomi FINALMENTE qui!!
Allora, premetto che non vedevo l'ora di postare la storia su Carl, e aspettavo solo il momento più opportuno.
Siccome sono incasinatissima con la scuola, ho preferito avere un bel po di capitoli pronti.
Per ora ho scritto fino al dieci, e posso garantirvi che ce ne saranno delle belle ;)
Mhm, non so cosa dire se non che questo prologo è incomprensibile e palloso, ma - ahimè - non ho saputo far di meglio!
Vi chiedo, quindi, di aspettare il primo capitolo (non arriverà tardi, giurin giurello) per poter giudicare.
Quì non si capisce praticamente niente dei personaggi, anche se - sicuramente- più avanti vi sarà tutto più chiaro.
La storia non verterà solamente su Carl e Margareth, ma ci saranno personaggi secondari abbastanza importanti
che usciranno qualche capitolo più avanti!!
Spero che la storia vi intrighi e, sopra ogni cosa, che non vi deluda.
Io ne sono innamorata (e viva la modestia), e spero di riuscire a farvela apprezzare almeno la metà.
Ci tengo parecchio, forse troppo!
Ci sentiamo prestissimo, vi lascio un bacio enorme xx
Harryette


 


 
  
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