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Autore: Espen    05/10/2014    3 recensioni
[Fanfiction partecipante al contest "Let's Sport" indetto Mal_Fool_Hatter]
"Se Atsuya brillava di luce propria come il Sole, Shirou era la Luna che aveva bisogno del Sole per brillare un po’ ed essere notata."
Questa fanfiction racconta la vita di Shirou Fubuki nella sua continua ricerca, durante l'adolescenza, della perfezione e, nell'età adulta, della felicità.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel/Shuuya, Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Shawn/Shirou, Yukimura Hyuuga
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Autore: Ice Angel
Titolo: The Light of Moon
Fandom: Inazuma Eleven
Paring: Atsuya/Shirou (brotherhood!); GouFubu
Avvisi: Tematiche delicate, What if? Forse
Note: [1] l’anno scolastico in Giappone inizia ad Aprile e finisce a Marzo.
[2] Higashi-ku è un distretto  di Sapporo.
[3] So per certo che a Higashi-ku c’è un ponte –sia lodato Google Earth- ma non so come si chiami, per cui gli ho dato un nome fittizio e totalmente privo di fantasia.
[4] Questa parte è ambientato durante l’episodio quarantacinque, giusto per fare chiarezza.
[5] La prima volta è stata quando erano piccoli –Atsuya ha spinto Shirou fuori dall’auto-, la seconda sull’Higashi-ku e la terza quando si sono visti in quel luogo di transizione.
Prompt: Atsuya/Shirou – Canon!Verse – Dev’essere un sogno. Shirou non ci crede che quello è davvero suo fratello. 
 
 
                                                                            The Light of Moon
 
In quel giorno d’aprile iniziava nuovamente l’anno scolastico[1]  e fra le strade, coperte dai petali di ciliegio,  di Higashi-ku[2], i giovani scolari, avvolti nelle loro divise scure, si dirigevano verso il proprio istituto. In particolare due bambini correvano a perdifiato con la borsa a tracolla che sbatteva sulla gamba ad ogni passo frettoloso, litigando, o meglio urlando, fra loro.
-Muoviti Atsuya! Altrimenti arriveremo in ritardo alla cerimonia d’apertura!-
- E di chi credi sia la colpa di tutto questo, Shirou?-
-Tua, che sei stato mezz’ora in bagno!-
-Non ci sono stato così tanto! Se siamo in ritardo è perché tu non trovavi le scarpe.-
-Non dare la colpa a me anche quando è evidente che è tua!-
-Non lo sto facendo.-
-Invece sì!-
-Invece no!-
I proprietari dei negozi, al suono di quelle voci, scuotevano la testa divertiti e un po’ sconsolati. I gemelli Fubuki era conosciuti, oltre che per i loro genitori che avevano donato molti soldi per le opere pubbliche nel distretto, per essere particolarmente rumorosi.
Non importava dove fossero o cosa stessero facendo, Atsuya e Shirou finivano sempre per alzare la voce e litigare, poi stavano in silenzio qualche minuto e alla fine si guardavano negli occhi e ridevano, facendo pace. Il loro forte legame, che solo i gemelli possedevano, era ben visibile a tutti.
Ed entrambi sapevano che niente e nessuno l’avrebbe potuto recidere, mai.
******************
Col passare degli anni le differenze fra i due gemelli si fecero più marcate. Shirou lo notò a dieci anni, mentre osservava il fratello circondato dai compagni di classe che raccontava del goal incredibile che aveva fatto nell’ultima partita.
Lui e Atsuya avevano litigato spesso su quale delle due posizioni, attacco o difesa, fosse la più importante in partita. E benché Shirou sostenesse che “senza una buona difesa non è possibile attaccare”, era ben consapevole che, quando lui rubava la palla a un attaccante avversario, nessuno dei suoi compagni si congratulava con lui perché troppo presi dal gioco, mentre quando Atsuya segnava, regalando il punto vincente alla squadra, tutti correvano ad abbracciarlo e lodarlo.
D’altronde era sempre stato così.
Atsuya era quello più estroverso e carismatico, che riusciva a farsi tanti amici e aveva le file di ragazzine che lo volevano come fidanzato. Shirou invece era  timido e veniva preso in giro dai bulletti della scuola, molte persone lo definivano apatico e lo ignoravano, solo accanto al gemello l’albino acquisiva un po’ d’importanza.
Se Atsuya brillava di luce propria come il Sole, Shirou era la Luna che aveva bisogno del Sole per brillare un po’ ed essere notata.
Ai suoi occhi il gemello era quasi perfetto, e stava cominciando ad invidiarlo per questo.
 ******************
Era successo tutto troppo in fretta.
Shirou guardò le pareti bianche dell’ospedale. I ricordi delle ore precedenti gli passarono davanti agli occhi, risentì le emozioni e i pensieri così forti e chiari, come se li stesse rivivendo.
Stavano litigando di nuovo su chi fosse più forte in campo, il difensore o l’attaccante.
Una fitta neve cadeva e alcuni fiocchi si abbattevano  sul finestrino dell’auto, trasformandosi in piccole gocce d’acqua.
All’improvviso la voce calma del padre interruppe la loro discussione.
-Allora voi siete una coppia perfetta.-
E in quel momento Shirou comprese.
Se lui era indispensabile per far raggiungere ad Atsuya la perfezione, allora avrebbe aiutato il gemello ad arrivarci. Perché più la luce del Sole è forte, più la Luna brilla.
-Noi due diventeremo una coppia perfetta, nessuno potrà batterci!-
Shirou si specchiò negli occhi, così grigi e simili ai suoi, del fratello con un nuovo obiettivo.
Insieme ad Atsuya, anche lui sarebbe diventato perfetto.
Insieme avrebbero brillato nel cielo.
Ma i suoi pensieri furono interrotti dall’urlo terrorizzato di sua madre e dal finestrino vide una grandissima quantità di neve cadere dalla montagna.
La mano di Atsuya ancora stretta alla sua.
Gli avvenimenti seguenti gli apparvero confusi, ricordava delle urla agghiaccianti, il rumore terrificante della valanga che si avvicinava e una mano che lo spingeva fuori dall’auto e il contatto del suo corpo con qualcosa di gelido.
Ricordava che, al suo risveglio, il bianco accecante dell’ospedale l’aveva leggermente stordito e quando, tra le lacrime, aveva chiesto dove fosse la sua famiglia, il dottore si era limitato a lanciargli un’occhiata dispiaciuta.
Ma solo in quel momento Shirou comprese davvero. E pianse, capendo di essere rimasto solo.
E, mentre le lacrime gli rigavano le guance pallide, un solo pensiero, un nome, riecheggiava nella sua testa, come una nenia straziante.
Atsuya…
  ******************
La prima volta che Shirou sentì la voce di Atsuya dopo quel giorno fu sull’Higashi’s bridge[3]. Era passato quasi un anno dall’incidente e l’albino non riusciva a sopportare la sua vita.
Non sopportava più gli sguardi di pietà dei parenti, degli insegnanti, degli amici di suo fratello e di tutti quelli che conoscevano la triste sorte della famiglia Fubuki. Non sopportava più quelle voci, che continuavano a parlare di lui, di suo fratello morto, rendendogli impossibile lasciarsi alle spalle il passato. Non sopportava più quella solitudine, che lo attanagliava quando vedeva il letto accanto al suo vuoto.
Con la morte di Atsuya e dei suoi genitori tutte le ragioni di vita di Shirou erano sparite, come una nuvola di sfuggevole fumo. Così, non riuscendo più a tollerare quello stile di vita, o meglio sopravvivenza, decise di mettere fine a tutto.
Basta ricordi dolorosi.
Basta crisi isteriche davanti ai vestiti di Atsuya, che odoravano ancora del suo profumo.
Basta medicine per calmare la depressione.
Basta incontri da uno strizzacervelli che non capiva quello che provava.
Basta sonniferi per non farsi tormentare dagli incubi.
Semplicemente, basta alla sua miserabile vita senza scopo.
Strinse fra le dita pallide il parapetto del ponte, era terribilmente freddo, come le lacrime che gli scendevano dalle guance, affilate come rasoi, racchiudevano tutto il suo dolore.
Solo un salto e tutto finisce.
Strinse ancora di più il ferro fra le mani e, con gli occhi appannati dalle lacrime, osservò l’acqua del fiume scorrervi sotto.
Presto mi ricongiungerò con te, Atsuya.
Prese un respiro profondo e piegò le gambe per saltare.
Fermo! Non farlo Shirou!
L’albino spalancò gli occhi incredulo e arrestò l’azione. Il suo intero corpo aveva cominciato a tremare nell’udire quella voce.
-A-atsuya?-
Non saltare Shirou, non farlo.
-Atsuya! D-dove sei?-
Va tutto bene, sono proprio qui.
In quel momento le gambe dell’albino non lo ressero più dal tanto tremore e si accasciò sull’asfalto duro, era scosso da fremiti e sussulti, il viso completamente bagnato dalle lacrime.
-Atsuya…-
Non piangere, ci sono io qui con te. Non sei più solo.  
   ******************
La seconda volta che Shirou aveva percepito il fratello dentro di sé fu qualche mese dopo il suo tentato suicidio, mentre giocava una partita da allenamento nella Hakuren.
Secondo il suo psicologo tornare a giocare a calcio gli avrebbe giovato sia al fisico che alla mente. Ma all’albino pareva che gli stesse facendo l’effetto contrario: in quel campo da calcio ogni cosa gli ricordava il gemello, dalla palla calciata, alla vecchia porta dove faceva goal, e sapere che non potrà più passargli il pallone  lo faceva sentire vuoto. E di conseguenza non riusciva concentrarsi e giocava male.
Fu dopo un suo ennesimo errore che qualcosa cambiò.
Che stai combinando One-chan? Ti devi impegnare di più!
Gli occhi grigi di Shirou si spalancarono di colpo e le gambe smisero di correre. Toccò la sua sciarpa, l’unica reduce dall’incidente oltre a lui  che portava sempre al collo, con la mano tremante.
-A-Atsuya?-
Nemmeno si era reso conto di aver urlato, portando gli sguardi dei suoi compagni su di sé, tanto era sconvolto.
Quella volta, sull’Higashi Bridge, aveva creduto di essersi immaginato la sua voce, troppo disilluso dallo sperare nella riapparizione del fratello.
Ma in quel momento, lo percepiva, quella voce era vera.
Nello stesso istante in cui lo pensò, una strana sensazione lo pervase. Sentiva i suoni ovattati e non aveva più il pieno possesso del suo corpo, tuttavia si sentiva bene, come se il vuoto creato dalla scomparsa dei suoi famigliari fosse stato, in parte, colmato.
Intanto sul campo dell’Hakuren, tra la terra innevata, spiccavano due occhi arancioni.
-Sì, sono io. Atsuya Fubuki è tornato!-
   ******************
Quando la Raimon fece visita all’Hakuren, quasi non ci credé. 
Shirou l’aveva seguita per tutta la durata del Football Frontier, ammirandola per il loro gioco di squadra e i grandi punti di forza che possedeva sia negli attaccati che nel portiere, Endou Mamoru che, dopo averlo conosciuto, gli ispirava parecchia fiducia.
Ma la cosa che lo sorprese di più era che lo volevano in squadra.
Ti sbagli non stanno cercando te, ma Atsuya, l’attaccante.
L’albino sorrise amaramente a quel pensiero da quando, due anni prima, Atsuya aveva preso il controllo del suo corpo e aveva cominciato a giocare in attacco, anche se all’occorrenza riusciva a rientrare facilmente in difesa.
Ma andava bene così. Insieme lui e Atsuya avrebbero raggiunto la perfezione, come si erano promessi.
Tuttavia, in quegli ultimi mesi, ogni volta che il gemello prendeva il controllo del suo corpo, si sentiva strano, aveva l’impressione che quella sensazione di riempimento che sentiva ogni volta che accadeva si stesse attenuando partita dopo partita. E la cosa lo spaventava parecchio.
Non voleva riaffrontare quella tristezza, quel senso di vuoto che lo aveva attanagliato dopo la scomparsa dei suoi famigliari. Non voleva essere di nuovo solo.
Da quel giorno di due anni prima, le sue condizioni erano notevolmente migliorate, persino lo strizzacervelli era rimasto impressionato dal suo cambiamento, attribuendolo alle sedute con lui che stavano finalmente facendo effetto.
Povero illuso, si era detto Fubuki, il merito è solo del ritorno di mio fratello, tu non hai fatto assolutamente niente.
-Che ne dite se facciamo una partita da allenamento contro l’Hakuren?-
La voce entusiasta di Endou, risvegliò l’albino dai suoi pensieri. Sorrise lievemente annuendo come risposta alla sua domanda.
Forse con loro riuscirò a raggiungere la perfezione.
    ******************
Da quando aveva cominciato a giocare per la Raimon, Shirou stava per la maggior parte delle partite in attacco.
E questo comportava maggiori apparizioni di Atsuya. Nessuno se ne era accorto, ma ogni volta che la personalità del fratello prendeva il sopravvento, il suo io cadeva in un oblio oscuro, dal quale era difficile riemergere. Partita dopo partita, Atsuya stava diventando più importante di Shirou Fubuki.
In fondo la Raimon vuole un attaccante capace di segnare, non un difensore. A loro non servi, Shirou.
Più di una volta il ragazzo aveva pensato che Atsuya potesse raggiungere la perfezione anche senza di lui, d’altronde il Sole brilla anche senza la Luna.
Ma quel giorno, nella partita contro la Genesis[4], sarebbe stato lui, Shirou Fubuki, a segnare il goal vincente, a rendersi utile per la squadra.
Guardò il suo riflesso allo specchio, lo sguardo determinato a raggiungere quello scopo.
Fu un attimo, e il grigiore dei suoi occhi fu sostituito da un arancione ben conosciuto.
-Atsuya…-
Il volto del fratello, quasi identico al suo, sorrideva superbo nello specchio.
-Quegli avversari sembrano forti, ma non ti preoccupare. Ci penserò io a mettere in porta qualche pallone!-
No.
Dentro di sé l’albino urlava.
-Stammi a sentire, quando riceverai il pallone, lascia giocare me.-
No.
-Non lo farò!-
-No?- il tono di suo fratello era sprezzante come il suo sguardo.
No.
-Stavolta sarò io a segnare, non tu!-
Una risata maligna giunse alle sue orecchie.
-E come pensi di fare? Tu sei un difensore, o te ne sei dimenticato?-
Quella frase ironica e crudele lo destabilizzò per qualche istante.
E’ tuo fratello l’attaccante, quello che segna e di cui tutti hanno bisogno. Tu non servi.
-Lascia giocare me, capito?-
No. Non è vero. Io non sono inutile.
No… nononononono.
-Con quegli avversari bisogna essere veloci. Mi hai capito, Shirou?-
Basta. Basta.
Non ne poteva più, quel senso di inferiorità lo stava lentamente distruggendo.
-Shirou?-
BASTA!
-Vattene!-
Si accorse di aver urlato solo quando il viso di suo fratello si dissolse nello specchio, ma sapeva che presto sarebbe ricomparso.
 
La Genesis era distruttiva.
Erano indubbiamente più forti e veloci di loro, ma se il capitano non mollava nemmeno loro l’avrebbero fatto.
Quando la palla gli arrivò sul piede, sentì Atsuya cercare di prendere prepotentemente il controllo.
Finalmente! Ora lascia fare a me, Shirou.
La sua tenacia, però, era più forte del fratello.
No! Ti ho detto che tirerò io!
Quel giorno, in quella partita, Shirou Fubuki avrebbe dimostrato a tutti e a se stesso, che non era inutile.
Avanzava verso la porta avversaria, sicuro di sé. Tuttavia, quando si trovò davanti al portiere della Genesis, qualcosa lo bloccò.
Un improvviso senso di impotenza lo paralizzò e si rese conto che era terrorizzato all’idea di dover tirare.
Quei pochi secondi di esitazioni bastarono per far sfumare la loro possibilità di segnare.
Ora hai capito perché ti avevo detto che ci pensavo io.
Quella voce, così calma quanto fastidiosa, si fece sentire violentemente nella sua testa.
Stai zitto! Ho detto che tirerò io!
Pensa ai tuoi compagni, guarda i loro volti pieni di delusione perché tu hai commesso un errore.
Shirou non ci aveva pensato, in effetti non riusciva a guardare i visi avviliti degli altri componenti della squadra, Atsuya sapeva bene che tasti premere per tormentarlo.
Spero che tu abbia capito che non posso contare su di te,ma solo su di me.
NO! Questo non è vero! Se riuscirò a segnare, allora tutti avranno bisogno di me.
Lui doveva assolutamente fare un punto per la sua squadra, così non sarebbe stato inferiore ad Atsuya, come quando erano piccoli, ma avrebbe dimostrato che anche lui poteva raggiungere la perfezione da solo.
Avrebbe dimostrato che la luce della Luna può essere più potente di quella del Sole.
-Shirou, tua!-
Il passaggio di Yuuto è preciso come sempre e Shirou capisce che è la sua occasione.
-Etānaru Burizādo!-
Finalmente riesce a tirare in porta, ma il portiere blocca troppo facilmente la sua hittatsu.
E Shirou sente di aver fallito. La luce della Luna è ancora troppo debole.
Te l’avevo detto che non ne eri capace.
Nonostante le consolazioni dei compagni, Fubuki sa che anche loro sono delusi da lui, e questo non riesce a sopportarlo.
Si può sapere che stai facendo? Tu sei un difensore, devi fermare l’avversario e poi darmi la palla.
No, io sono un attaccante! Ci penseranno gli altri a difendere e dopo passeranno la palla a me. È a me che la passano, non a te.
Ti sbagli. Ascoltami, in realtà loro vogliono passarla a me, Atsuya Fubuki, colui che li porterà alla vittoria.
Tutto quello che avvenne dopo quello scambio di battute, Shirou non lo ricordava bene. Sapeva solo che per un momento aveva perso il controllo del suo corpo e non riusciva più a distinguere Shirou da Atsuya. Ricordava che uno dei due aveva provato a fermare la Ryuusei Burēdo di Gran.
Poi solo buio.
    ******************
Il sole splendeva su Okinawa, facendo brillare i fili d’erba del campo da calcio.
Quel giorno la Raimon e la Epsilon Plus si sarebbero scontrate nella partita decisiva.
Shirou guardò gli avversari, in particolare si soffermò sul loro capitano, Desarm, e sentì Atsuya fremere dentro di sé.
Dopo la partita contro la Genesis l’albino non aveva più ponderato l’idea di stare in attacco, dati i risultati disastrosi e aveva deciso, seppur amaramente, di lasciare quel compito ad Atsuya. Sapeva di aver fallito nel suo obiettivo, ma andava bene così, l’importante era raggiungere la perfezione, ambita sia da lui che dal fratello.
Tuttavia percepiva qualcosa di strano, ultimamente faticava a tenere sotto controllo il gemello, facendo in modo che la sua personalità emergesse sempre più vivida. Ogni volta che ci pensava uno strano terrore si impadroniva di lui, ma Shirou pensava che se avesse vinto quella partita, lui e Atsuya sarebbero diventati pressoché perfetti e tutti i problemi e le preoccupazioni sarebbero spariti.
 
Non ricordava bene com’era successo, ma a pochi minuti dall’inizio della partita Atsuya aveva preso il sopravvento, irritato dalla sfrontatezza di Desarm, che aveva osato sfidarlo. Così Atsuya aveva cominciato a tirare la sua Eternal Blizzard: era implacabile! L’ossessione di diventare perfetto, la stessa di Shirou, lo stava portando a giocare al massimo delle sue forze, ma Desarm continuava a parare tutti i suoi tiri, provocandolo poi con frasi irritanti, facendolo arrabbiare ancora di più. Ma Shirou aveva notato che a ogni tentato tiro la hissatsu perdeva sempre più potenza, e la cosa lo terrorizzava non poco.
Perché stava succedendo quello? Come mai Atsuya non riusciva a segnare? Insieme sarebbero dovuti diventare perfetti, perché non ci riuscivano?
Fu un attimo, una semplice azione e una frase detta al momento sbagliato.
Desarm era riuscito a bloccare l’Eternal Blizzard con una sola mano.
C-com’è possibile?
Sia Shirou che Atsuya erano increduli. La loro forza era stata sbriciolata così facilmente.
Dov’era finita tutta la loro perfezione?
-Sai- disse il capitano della Epsilon Plus –non vedevo l’ora di affrontarti, ma se questo è il risultato, allora sei completamente inutile.-
E tutto crollò.
Sono inutile come Shirou Fubuki…
…e sono inutile anche come Atsuya Fubuki
SONO INUTILE!
Quel che avvenne in seguito non lo ricordò chiaramente, da quel momento tutto perse senso. Osservò gli avvenimenti seguenti senza osservarli veramente, quella parola continuava a riecheggiargli nella testa.
Inutile.
Qualcuno doveva averlo portato via dal campo, ma non gli importava.
Inutile.
Lui, Shirou Fubuki, era inutile. Aveva fallito nel suo obiettivo, ovvero il raggiungimento della perfezione.
Inutile.
Ora che ogni suo scopo e sforzo si era rivelato inutile, quella sensazione di solitudine lo attanagliò ancora, più forte e devastante di prima.
    ******************
Era diventato patetico.
Se ne stava rendendo conto solo in quel momento, mentre i suoi compagni combattevano con tutte le loro forze per sconfiggere la Genesis e lui era seduto sulla panchina a guardarli, impotente. Dalla partita contro la Epsilon Plus Shirou non era più riuscito a giocare.
Ogni volta che provava a toccare una palla, quel senso di inutilità che aveva provato durante la partita si faceva sentire nella sua mente e nel suo cuore, bloccandolo o facendolo sbagliare.
Era stanco di quella situazione. Aveva promesso di lottare a fianco della Raimon e di diventare perfetto, eppure era bastato poco, una singola frase di due parole, per farlo crollare. I suoi compagni, come Afuro e Someoka che pur di vincere una partita avevano portato allo stremo i loro corpi, o come Gouenji che era tornato più forte di prima, davano tutti se stessi per quella squadra, anche in quel momento, mentre la Genesis li surclassava, trovavano la forza per combattere.
Mentre lui riusciva solo a guardarli, impotente come quel giorno in cui aveva perso tutto. E questo non riusciva a sopportarlo.
Ora basta…
Non poteva permettersi di stare a guardare gli eventi che scorrevano intorno a sé senza fare niente.
Basta!
Si alzò dalla panchina al fischio dell’arbitro, che segnava il fuorigioco, e sentì gli occhi scuri di Gouenji su di sé. Lo vide annuire, come per incoraggiarlo a fare quello che stava per fare. Guardò l’allenatrice con una luce grintosa negli occhi.
-Mi faccia giocare!-
Aveva urlato quelle parole, tanta era la sua convinzione. Kira lo studiò per qualche istante, studiandolo con quegli occhi blu, poi si alzò e dichiarò il cambio, sotto gli sguardi sorpresi dei compagni.
In quei pochi istanti in cui attraversò il campo per collocarsi alla sua posizione, i ricordi dei suoi compagni sconfitti gli passarono davanti agli occhi.
Oggi, lotterò e raggiungerò la perfezione anche per loro. Devo farlo assolutamente.
 
Non riusciva a capire.
Nessuna delle sue hissatsu, sia le sue che di Atsuya, avevano avuto effetto sulla Genesis.
Perché?
-Fubuki!-
Avevo promesso di raggiungere la perfezione, ma ho fallito miseramente…
-Fubuki!-
Si accorse troppo tardi del passaggio dei suoi compagni e mandò la palla fuori campo.
Ora non riesco neppure a fare dei passaggi decenti…
La pallonata arrivò così improvvisa sul fianco che lo fece cadere a terra, tuttavia il dolore, seppur non paragonabile a quello che sentiva nel cuore, lo risvegliò da quello stato di trans in cui era entrato.
Guardò colui che l’aveva colpito, Gouenji, sembrava furioso.
-Perché?- chiese il ragazzo con voce flebile, come se avesse paura di parlare.
Il biondo si avvicinò a lui.
-Nel calcio capita di sbagliare, è normale. Ma ciò che non tollero è la mancanza di impegno. Non la senti anche tu questa voce, Fubuki?-
-U-una voce?-
La partita riprese qualche istante dopo quel dialogo, lasciando Shirou confuso.
Guardava i suoi compagni giocare, dare il massimo per vincere.
-Le nostre voci…- mormorò fra sé Shirou.
E solo in quel momento comprese davvero.
-Perfect Tower!-
-Megaton Head!-
Ora, riusciva a sentirle le voci dei suoi compagni, lui non combatteva da solo.
Ora le sento le loro voci…
-Fubuki!-
Ricevette il pallone tra i piedi.
Questa palla racchiude le loro emozioni.
Schivò due avversari in scivolata.
Finalmente ho capito, essere perfetto non significa diventare come Atsuya, brillare nella sua luce, ma significa lottare con i miei compagni e, aiutandoli a brillare, diventare una cosa sola.
Corse verso la porta, scambiandosi di continuo la palla con Gouenji.
Non sono più solo, i miei compagni mi staranno sempre accanto.
Sprigionò quella nuova forza davanti a Nero, il portiere della Genesis.
-Wolf Legend!-
Nessuno poteva fermarlo ora e quel goal appena fatto, ne era prova.
Atsuya, mamma, papà… ci sono riuscito…
-Ce l’abbiamo fatta!-
-Bravo, Fubuki!-
-Ottimo lavoro Shirou!-
La luce della Luna è tornata a brillare più forte che mai.
    ******************
La pioggia, quella notte, batteva furiosamente sui vetri delle finestre di quel piccolo appartamento. In lontananza riusciva a sentire il rombo dei tuoni. I temporali gli avevano sempre dato fastidio dal giorno dell’incidente. Anche se erano passati più di dieci anni da quel giorno e non aveva più crisi come da adolescente, continuava a trovare quel rumore troppo simile a quello delle valanghe.
Quando emise un lieve gemito al frastornare di un altro tuono, sentì un braccio avvolgergli la vita.
-Ti da ancora fastidio il rumore dei temporali?-
Sorrise nel sentire quella voce e quei rumori sgradevoli si attutirono. Shuuya aveva sempre il potere di riuscire a calmarlo.
-Sei ancora sveglio? Dovresti dormire, domani ti devi svegliare presto.- mormorò il ragazzo in risposta.
-Non hai risposto alla mia domanda, Shirou-
L’ennesimo tuono lo fece tremare lievemente.
Maledizione, tra poco avrò vent’anni, ma mi comporto come un bambino!
-U-un po’…-
La presa sulla vita si strinse un po’ di più e Shirou appoggiò la guancia sul petto di Shuuya, cominciando a giocare con una ciocca dei suoi capelli mentre sentiva le dita del ragazzo accarezzargli la schiena nuda.
Un altro brivido gli attraversò il corpo, ma stavolta non era dovuto alla paura.
Lui e Shuuya stavano insieme da quasi cinque anni. Entrambi andavano all’università di Tokio, anche se in facoltà diverse, e dividevano un piccolo appartamento in centro.
Shirou si sentiva davvero felice. Nonostante, ogni tanto, il ricordo di Atsuya si faceva sentire -era pur sempre il suo gemello quello che aveva perso, quel maledetto giorno di dieci anni fa’- c’era sempre il fidanzato a consolarlo e a colmare il vuoto procurato dalla scomparsa dei famigliari.
Nonostante non soffrisse più di schizofrenia e non prendesse più medicine anti-depressive, Fubuki non era mai riuscito a superare totalmente la loro scomparsa.
Delle labbra calde sul suo collo lo distrassero dai suoi pensieri cupi.
-Non pensare a cose tristi.- glielo disse nell’orecchio, piano, come se gli stesse rivelando un segreto, provocandogli un altro brivido di eccitazione.
In quegli anni Shuuya Gouenji era diventato il suo tutto. Aveva donato anima, cuore e corpo a quella persona, fidandosi ciecamente.
Sapeva che qualunque momento brutto avrebbe passato, sarebbe riuscito a superarlo grazie all’amore di Gouenji.
Forse stava diventando troppo melenso, ma non poteva farci niente se dopo anni di sofferenza, finalmente, si sentiva davvero felice.
    ******************
Non ci poteva credere.
Gouenji lo aveva abbandonato.
Quel pomeriggio, appena rientrato dal supermercato, aveva trovato l’appartamento completamente vuoto.
Shirou, in preda al terrore e alla tristezza, aveva gettato le buste a terra e messo a soqquadro la casa. Aveva aperto cassetti e ante degli armadi, trovandoli vuoti dei vestiti e degli effetti personali del biondo. Solo dopo essersi seduto sul letto e aver osservato la camera così spoglia, si rese conto che Shuuya se ne era andato.
E pianse, come da anni non faceva.
Pianse tutto quel dolore, quella disperazione.
Maledetto Fifth Sector, me lo avete portato via…
Sapeva che era colpa loro, dato che Shuuya, per motivi che non aveva ben capito, era rimasto invischiato nella loro ragnatela.
Era di nuovo solo.
Il suo pianto si fece più forte, quasi isterico.
E quel senso di solitudine che lo aveva perseguitato per tanti anni, ma che era quasi sparito dopo il fidanzamento con Shuuya, si fece risentire vivido e devastante.
E il cuore ricominciò a fargli male.
    ******************
Dopo quel giorno la vita di Shirou Fubuki cominciò a cambiare, in peggio.
Aveva ricominciato ad avere crisi isteriche e, di conseguenza, a riprendere pillole e medicine anti-depressive.
Ed era tornato in Hokkaido. Aveva vissuto a Tokio per dieci anni insieme a Shuuya; ogni posto era legato a qualche ricordo di lui con il biondo, e faceva terribilmente male. Così era tornato a Higashi-ku dove aveva ottenuto il posto come allenatore dell’Hakuren.
Allenando quella squadra si sentiva quasi rinato, nonostante il ricordo di Gouenji fosse ancora troppo vivido per essere dimenticato, adorava quei ragazzi pieni di grinta.
In quel momento stava camminando per le strade di quel vecchio distretto che lo aveva visto crescere, la neve scendeva dal cielo tingendo tutto di bianco.
-Shirou-senpai, ci andiamo a prendere delle caldarroste?-
Shirou si voltò verso Yukimura, annuendo e sorridendo lievemente. Quel ragazzo, capitano dell’Hakuren, gli ricordava Atsuya: avevano la stessa grinta e passione per il calcio, nonostante il blu fosse più calmo di suo fratello. Forse era anche per questo che stava cercando di insegnargli l’Eternal Blizzard. Quel ragazzo aveva molte potenzialità e l’allenatore era fiero di essere colui che lo avrebbe aiutato a svilupparle.
Passeggiavano uno accanto all’altro, parlando e addentando, di tanto in tanto, le caldarroste appena comprate. Lui e Hyuuga avevano un legame molto forte, soprattutto dopo aver saputo di alcuni episodi spiacevoli che aveva avuto con i compagni di squadra.
Anche lui, aveva pensato, doveva sentirsi molto solo.
Sotto questo punto di vista si assomigliavano molto. Tuttavia se Shirou rappresentava l’ancora di salvezza per Yukimura, per Shirou, Hyuuga riempiva solo parzialmente la grande tristezza che sentiva.
Forse, se i giorni fossero trascorsi sereni e senza troppi problemi, sarebbe riuscito a guarire dalla depressione e ricominciare davvero a vivere.
Ma Shirou lo sapeva, la sua vita non andava mai come avrebbe voluto che andasse.
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Shirou odiava con tutto il cuore il Fifth Sector.
Per colpa sua aveva perso prima Gouenji e, poi, lo aveva costretto ad abbandonare l’Hakuren e Yukimura, il quale lo odiava.
Guardò il fiume che scorreva sotto l’Higashi Bridge e si chiese se la sua vita era destinata ad essere sempre così infelice. Nemmeno si accorse che stava piangendo, tanto era abituato alle lacrime. Strinse convulsamente il parapetto del ponte.
Finalmente metterò fine alla mia infelice e miserabile esistenza.
Stavolta non c’era Atsuya a salvarlo.
Stavolta non aveva nessuno a fermarlo, era semplicemente rimasto solo.
Le lacrime ormai gli appannavano la vista e la pioggia gli stava bagnando completamente i vestiti, ma a lui non importava.
Niente aveva più senso, ormai.
Prese un lungo respiro.
Poi saltò.
 
     ******************
Era immerso in una strana foschia. Si sentiva strano, non percepiva né suoni né odori in quel luogo. Non riusciva a distinguere l’alto dal basso, la destra dalla sinistra.
Non ricordava chi era e com’era finito lì.
Poi apparve.
Riuscì a distinguere la figura di una persona tra tutta quella confusione. E ricordò tutto.
Quando i lineamenti dello sconosciuto si fecero ben delineati, la bocca si spalancò e gli occhi lo fissarono sbalorditi.
Doveva essere un sogno. Shirou non ci credeva che quello era davvero suo fratello.
Dimostrava all’incirca sedici anni, aveva i capelli spettinati e lo stava osservando con quegli occhi grigi uguali ai suoi.
Questo significa che sono morto?Atsuya è morto, quindi dovrei esserlo anch’io…
Ormai erano vicini, a un paio di metri di distanza.
-A-atsuya?- disse il nome con voce tremula, erano passati parecchi anni dall’ultima volta che lo aveva pronunciato.
-Sei un coglione, One-chan.-
Solo in quel momento notò che il gemello era parecchio arrabbiato.
-Non ti picchio solo perché qui non sentiresti dolore.-
-Qui dove? Che posto è questo?-
Atsuya lo guardò un attimo mordendosi il labbro, probabilmente stava pensando a come spiegarglielo. Tra i due era sempre stato Shirou quello più bravo a parlare, benché, a causa della sua timidezza, lo facesse molto poco.
-Questo è un luogo di transizione.- disse infine con calma.
-Quindi sono morto?-
Atsuya scosse la testa.
-Non proprio, questo è un passaggio fra il mondo dei vivi e l’aldilà. Puoi ancora tornare indietro, se vuoi.-
Gli occhi di Shirou si fecero improvvisamente tristi.
-Non voglio tornarci, per favore, portami con te!-
A quell’esclamazione gli occhi del fratello si assottigliarono e i pugni stinsero i pantaloni sgualciti.
- Per questo ti ho detto che sei un coglione!-
Atsuya gli aveva urlato quelle parole guardandolo dritto negli occhi, come se volesse analizzarlo. E l’albino si rese conto che il fratello era davvero furioso.
-Cosa? Perché?-
Più parlavano e più Shirou si sentiva confuso.
-Sei uno stupido! Tentare il suicidio, come cazzo ti è passato per la testa!-
A quel punto l’albino sbottò e gli urlò contro.
-Tu non puoi capire tutta la sofferenza che ho provato!-
Atsuya lo guardò con uno sguardo tra l’arrabbiato e il triste.
-Hai ragione, io non posso capire quello che hai provato perché io sono morto. Non esisto più, One-chan. Ma tu puoi ancora vivere, puoi ancora provare ad essere felice, a costruirti una vita, un futuro. Io non ho più un futuro, sono morto. E tu questo devi ancora assimilarlo, le tue lacrime non riporteranno in vita nessuno, ne io ne mamma ne papà torneremo. Noi siamo morti.-
Improvvisamente Shirou si sentì in colpa verso quelle persone che gli avevano dato la vita, verso la sua famiglia.
-One-chan, secondo te perché ti ho impedito di morire quando stavi per suicidarti la prima volta?-
-I-io…non lo so.- la voce gli era uscita incredibilmente flebile, si sentiva come un bambino, impaurito e spaesato.
-Perché tu devi vivere, One-chan. Quel giorno di tanti anni fa’, durante quell’incidente, io e i nostri genitori siamo morti, ma tu no. Tu sei ancora vivo e la vita è il più grande dono che tu abbia mai avuto.-
Lacrime calde stavano bagnando il viso di Shirou, sentiva di aver deluso Atsuya.
-Mi dispiace…-
Una mano gli accarezzò il viso, asciugandolo dalle lacrime.
L’albino spalancò gli occhi e osservò il volto del gemello, che aveva un sorriso dolce.
-Prima della mia morte ci siamo fatti una promessa. Ora me ne potresti fare un’altra?-
Shirou annuì debolmente stringendo la mano di Atsuya nella sua, era davvero fredda.
-Vivi, Shirou. Vivi anche per me. In questo modo non renderai la mia morte inutile. Quando ripenserai a me sorridi, così saprò che quella volta, sull’Higashi Bridge, non ti ho salvato inutilmente.-
Le lacrime finirono di rigargli il viso e, per la prima volta dopo tanto tempo, Shirou sorrise.
-Lo farò.-
Aveva paura di sapere cosa sarebbe successo in futuro, ma avrebbe fatto in modo che tutto si risistemasse, anche se gli sarebbe costata fatica e dolore, avrebbe stretto i denti: in fondo lui era vivo.
-Promesso?-
-Promesso.-
 
 
Bip…bip…bip…
La prima cosa che sentì fu un rumore fastidioso.
Bip…bip…bip…
La prima cosa che vide fu un soffitto completamente bianco. E, seppur fosse ancora molto frastornato, capì di trovarsi in ospedale.
Li aveva sempre odiati quei posti, sapevano di disinfettante e morte.
-Shirou!-
Si volse verso quella voce famigliare e incontrò due occhi castani, quasi neri.
-Shuuya…- disse il suo nome in un mormorio e si chiese se lo avesse sentito.
Sentì le sue mani calde accarezzargli il viso e i capelli. Solo in quel momento notò che gli occhi di Gouenji erano arrossati e i capelli erano messi in disordine, come se non li pettinasse da giorni.
-Mi dispiace, non sarei dovuto andare via così… ti ho fatto soffrire, perdonami…- continuava a mormorargli quelle parole e a stringergli la mano, quasi avesse paura di perderlo.
Shirou rafforzò la stretta e sorrise.
-Non preoccuparti, Shuuya. Ora va tutto bene.-
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Shirou scoprì che era stato soccorso da un gruppo di pescatori e che era stato in coma per più di due settimane.
Durante la settimana dopo il suo risveglio, in cui era stato sottoposto a continui esami, Shuuya gli era sempre rimasto accanto insieme a Yukimura, che quando l’aveva visto vivo e con gli occhi aperti era corso ad abbracciarlo mettendosi a piangere. Le cose stavano ricominciando ad andare per il verso giusto e Shirou era pronto a lottare per tenersi quella felicità.
 
Il sole splendeva nel cielo, rischiarando le tombe tra le quali stava camminando. Aveva dei girasoli in mano, erano sempre stati i suoi fiori preferiti. Si fermò davanti alla sua lapide, osservando la piccola fotografia che lo ritraeva con il volto sorridente e gli occhi grigi accesi da quel divertimento e ingenuità che caratterizzano i bambini.
-Ciao Atsuya, ti ho portato dei fiori.-
Li posò sulla piccola tomba, poi gli si sedette accanto.
-Sono venuto a salutarti e a ringraziarti. Mi hai salvato la vita ben tre volte[5] e di questo te ne sarò eternamente  grato. Tra qualche ora partirò per Okinawa, dopo tutta la confusione causata dal Fifth Sector io e Shuuya abbiamo bisogno entrambi di rilassarci. Shuuya mi ha proposto, alla fine della vacanza a Okinawa, di trasferirmi a Tokio da lui. Non so ancora se accetterò, anche se abbiamo avuto modo di chiarirci quando sono uscito dall’ospedale, non riesco ancora a fidarmi completamente di lui. Comunque non so quando tornerò, per cui addio, One-chan. Da oggi ricomincio a vivere, come ti avevo promesso.-
Detto questo il ragazzo si alzò e nello stesso istante si levò un leggero vento. Mentre usciva dal cimitero, con un sorriso sul volto, gli parve di sentire la voce del fratello.
“Addio One-chan, buona fortuna…”
Sorrise.
Finalmente la Luna può brillare di luce propria, senza più l’aiuto del Sole.
  
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