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Autore: Tury    05/10/2014    6 recensioni
SPOILER 4X01
“E tu chi sei?” le chiede.
“Il mio nome è Emma. Puoi posare quel bastone, per favore?”
“Oh sì, certo.” Risponde subito Regina, poggiando il bastone ai suoi piedi e continuando a guardare quella bambina.
“Hai freddo?” le chiede, notando più il suo tremore che i suoi vestiti strani, del tutto estranei alla sua epoca.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è tutta dedicata alla mia amica Barby_19, povera anima pia che deve sopportare i miei scleri! 


Una bambina dai corti capelli castani guarda l’oggetto che le sta di fronte, un miscuglio indefinito di impasto e glassa che dovrebbe rimandare vagamente ad una torta.
“Beh, auguri Regina.” Dice la bambina, soffiando su una candela consumata.
In quel momento, un rumore alle sue spalle la fa scattare in piedi. Regina guarda il punto in cui sono cadute le mensole che, fino a poco prima, erano appese al muro della soffitta di famiglia.
Un lamento giunge da sotto di esse.
“Chi c’è?” chiede Regina, tentando in tutti i modi di controllare il tono della sua voce, in modo che non trapeli la paura che la invade. Ma quello che esce dalla sua gola non è altro che un basso bisbiglio, più simile allo squittio di un topolino che al ruggito di una leonessa.
 
Ricorda, Regina. Una sovrana non ha paura di nulla.
 
 Regina continua a ripetere, nella sua mente, le parole che tante volte sua madre le ha indirizzato, ma non sembrano sortire alcun effetto. Il suo corpo trema e le lacrime già sono pronte a cadere. Ma lei non le lascerà andare, non lascerà che abbandonino il suo corpo. Che diventino la manifestazione del terrore che invade le sue membra.
Le mensole si muovono e, alla vista di ciò, Regina afferra un bastone lì vicino, pronta a colpire l’inatteso quanto misterioso ospite.
Da sotto le macerie, emerge una chioma bionda, ricoperta di polvere.
La presa di Regina si fa ancora più salda intorno al bastone, in attesa del momento propizio per affondarlo su quell’anonima testa.
La bambina emersa dalle mensole ha appena il tempo di alzare lo sguardo che subito è costretta a rannicchiarsi contro il muro per evitare di essere colpita.
“Ehi, fermati! Ma che fai, sei impazzita?” urla, cercando di placare la furia che sembra volersi abbattere su di lei.
Regina arresta i suoi colpi, fissando il suo sguardo in quello verde della bambina che le sta di fronte, perdendosi in quegli occhi così diversi eppure così simili ai suoi. Perché in essi alberga la sua stessa solitudine.
“E tu chi sei?” le chiede.
“Il mio nome è Emma. Puoi posare quel bastone, per favore?”
“Oh sì, certo.” Risponde subito Regina, poggiando il bastone ai suoi piedi e continuando a guardare quella bambina.
“Hai freddo?” le chiede, notando più il suo tremore che i suoi vestiti strani, del tutto estranei alla sua epoca.
“No, non ho freddo. È che mi hai spaventata.”
“Scusami, non volevo. Però la colpa è tua.”
“La colpa è mia?” chiede Emma, sbarrando gli occhi ma non accennando ad alcun movimento. Il bastone è ancora troppo vicino all’altra perché possa sperare che non lo riutilizzi contro di lei.
“Certo. Ti sembra questo il modo di spiare una futura sovrana?”
“Spiare? No, io non ti stavo spiando! Ero andata a rubare un po’ di cioccolata dalla cucina e…” risponde, per poi portarsi subito entrambe le mani sulla bocca, comprendendo subito l’enorme sbaglio commesso.
“Non lo dirai a nessuno, vero?- chiede, riprendendo a tremare- Ti do metà della mia cioccolata se non lo dici a nessuno! Anzi te la do tutta. Ti prego, non dirlo a nessuno o mi puniranno!”
“Tranquilla, resterà un segreto tra di noi- risponde Regina, sedendosi di fronte ad Emma- In ogni caso, cos’è la cioccolata?”
Emma sbarra gli occhi, sorpresa da quella domanda.
“Mi prendi in giro?”
“No.” Risponde Regina ed Emma può evincere dal suo volto che quanto sta dicendo è la verità.
“La cioccolata è la cosa più buona del mondo!” dice, estraendo dalle tasche tre barrette.
“Oh!” esclama Regina, guardando estasiata.
In quel momento, Emma si accorge della torta sul tavolo, alle spalle della bambina.
“È il tuo compleanno?”
Regina si volta a guardare anche lei. “Sì, è il mio compleanno.”
“E lo festeggi da sola?”
“Già.”
“Perché? Non hai i genitori?”
“Certo che li ho! Ma sono troppo impegnati per festeggiare con me.”
“Deve essere brutto festeggiare da soli anche se hai i genitori.”
“Perché, tu come li festeggi i tuoi compleanni?”
“Semplice, non li festeggio.”
“Perché?” chiede sorpresa Regina.
“Perché io non ho i genitori e all’orfanotrofio sto sempre da sola.”
“Orfanotrofio? Che cos’è?”
“Un luogo dove portano i bambini senza genitori.”
“Oh.” Risponde semplicemente Regina, notando la sfumatura triste che hanno assunto gli occhi di quella bambina che le sta di fronte.
È strano, solitamente, Regina non si lascia mai andare ad atti di affettuosità. Troppo scomposti, troppo inusuali e plebei per poter appartenere alla quotidianità di una futura sovrana, come le ripete sempre sua madre. Eppure, questa volta, Regina non può fare a meno che abbracciare quella bambina che le sta di fronte.
“Che fai?” chiede sorpresa Emma, per nulla abituata a quelle attenzioni. Eppure, non le danno fastidio, anzi, la fanno sentire bene.
“Ti abbraccio, così non ti sentirai più sola.”
Emma, ancora sorpresa, tenta di ricambiare l’abbraccio, anche se in maniera un po’ goffa.
“Come ti chiami?” chiede Emma, una volta staccate.
“Oh, che scortese da parte mia! Il mio nome è Regina.”
“Bene, Regina! Che ne dici di preparare una torta per il tuo compleanno?”
“Ma io una torta già ce l’ho, è quella!” risponde, indicando la torta alle sue spalle.
“E la chiami torta?- chiede Emma con una faccia disgustata- Ora te ne preparo io una buona! E ci mettiamo la cioccolata che ho preso!”
“Davvero?!” chiede Regina, incredula.
“Ma certo! Dai, andiamo in cucina, ti faccio vedere come si fa!”
Emma prende per mano Regina e, insieme, scendono di corsa le scale, dirigendosi in cucina.
Subito, si mettono alla ricerca degli ingredienti per quella che, sono sicure, sarà la torta del secolo.
Emma mette le tre barrette in una pentola e, una volta sciolte, immerge un dito all’interno per poi porlo di fonte le labbra di Regina.
“Avanti, assaggia!” la incita, con un enorme sorriso sul volto. Il suo primo vero sorriso.
Regina, dal suo canto, non se lo fa ripetere due volte, avventandosi subito sul dito di quella sua nuova amica.
“Ma è buonissima!”
“Che ti avevo detto io?”
Le due bambine continuano a preparare la torta, riempiendo la cucina di farina ma, soprattutto, delle loro risate.
Una volta pronta, Emma va a recuperare la candelina dalla soffitta, ponendola nuovamente sulla torta ed intonando la solita canzoncina che si canta in queste occasioni. Emma non è solita cantare, perché all’orfanotrofio dicono che abbia una voce da gallina. Eppure, tutto questo non ha importanza, non se con lei c’è Regina.
Le due bambine terminano in pochi minuti il dolce, per poi stendersi per terra, l’una vicino all’altra.
“Sai, quando ho soffiato la candelina in soffitta, ho espresso un desiderio.”
“Quale?” chiede Emma, voltandosi verso di Regina.
“Che non avrei più passato da sola il compleanno. E poi sei arrivata tu.”
Emma le sorride, stringendole le mano.
“E ci sarò per tutti i tuoi compleanni!” le risponde.
“E il tuo?”
“Il mio cosa?”
“Il tuo desiderio.”
“Oh- dice Emma, tornando a guardare il soffitto- Beh, il mio desiderio è più simile ad un lieto fine. Sai, io vorrei incontrare la mia famiglia.”
Regina si alza a sedere, continuando a guardare quella sua nuova amica. “Ti prometto che ti permetterò di avere il tuo lieto fine, così potrai incontrare i tuoi genitori.”
Emma le sorride. Non aveva mai sorriso così tanto ad una persona.
“Ho un’idea!” dice Regina, alzandosi in piedi e correndo verso il cassetto delle posate.
Emma resta seduta a guardarla, non comprendendo cosa voglia fare, ma poi i suoi occhi si sbarrando, vedendo cosa la sua amica stringe in mano.
“Regina, cosa vuoi fare con quel coltello?”
La bambina non risponde, ma con la punta del coltello si ferisce il palmo della mano.
“Regina no!” urla Emma, scattando in piedi e raggiungendola.
“Tranquilla, Emma. È solo un patto di sangue.”
“Un patto di sangue?” chiede confusa.
“Sì- risponde Regina, prendendo delicatamente la mano di Emma e stringendola nella sua, prima di incidere anche il suo palmo- Così il nostro sangue si mischierà e noi saremo sorelle per sempre.”
“Sorelle?”
“Sì. Da questo momento, io sono tua sorella maggiore e tu sarai la mia sorellina.” Risponde Regina, unendo le loro mani.
“Wow.” Esclama Emma, guardando il palmo della sua mano, ancora sporco di sangue. E sorride, pensando che non sa di chi sia realmente quel sangue. Ma in fondo non le importa, anzi. Ora è più felice, perché sa che il suo sangue e quello di Regina sono diventati un’unica cosa. E che lei, finalmente, ha ciò che ha sempre desiderato. Una famiglia.
“Dai vieni, voglio farti vedere la mia camera!” urla Regina, entusiasta, correndo fuori dalla cucina.
Emma la segue, felice come mai si era sentita prima, ma appena entra nella stanza, il suo volto diventa una maschera di puro terrore. Lo specchio che le sta di fronte riflette una stanza che conosce fin troppo bene.
“Emma, che ti succede?” chiede preoccupata Regina, notando che ha ripreso a tremare.
“Guarda, Regina- dice indicando lo specchio- Quello, quello è l’orfanotrofio!”
In quel momento, l’immagine riflessa scompare e lo specchio si trasforma in un portale. Emma, sentendosi trascinare verso di esso, cerca di aggrapparsi alla porta ma perde la presa. Regina, prontamente, afferra il braccio della sua prima, vera migliore amica.
“Regina non lasciarmi! Ti prego, non lasciarmi! Non voglio tornare in quel posto!” urla disperata Emma.
“Non ti lascerò Emma! Non ti lascerò!”
Ma Regina è solo una bambina e la potenza di quel portale è troppo forte perché possa sperare di contrastarlo. Regina sente scivolare via Emma dalla sua presa, incapace di trattenerla. Di permetterle di stare con sé. Tutto ciò che può fare, è urlare il suo nome. Ancora, ancora e ancora.
 
Emma! Emma! EMMA!
 
Emma si sveglia di soprassalto, la fronte madida di sudore. In un attimo, tutto le ritorna alla memoria. Come aveva potuto dimenticarsi tutto questo? Scende dal letto e, recuperato il suo giubbino rosso, scende velocemente le scale, per ritrovarsi nell’ingresso di casa Charming.
“Mamma, dove corri?” chiede Henry preoccupato, vedendo la madre fin troppo agitata.
“Devo risolvere una questione.”
Emma corre con tutte le sue forze verso Mifflin street, incurante del battito accelerato del suo cuore e dei polmoni che chiedono sempre più aria.
Finalmente, giunge fuori la porta dello studio di Regina. Bussa un paio di volte. Nessuna risposta.
“Regina, so che sei lì dentro, c’è la luce accesa.”
Un attimo di pausa, il tempo di trovare le parole giuste da dire.
“So che è complicato, ma puoi essere felice. Anche se non sembra così, devi solo combattere. Ok, se non lo farai tu lo farò io. Henry mi ha portata a Storybrooke perché riportassi il lieto fine e il mio lavoro non sarà finito finché non l’avrò riportato a tutti quanti.”
Emma sospira, abbassando lo sguardo, rivolgendolo al palmo della sua mano. Un segno bianco, come un piccolo filo di argento, svetta, quasi invisibile, su quel palmo. Il lontano ricordo di un patto di sangue.
“Sono stata una stupida, Regina. Come ho fatto a non ricordarlo prima? Come ho potuto dimenticarlo?”
Emma poggia la schiena vicino la porta, lasciandosi scivolare a terra.
“Te la ricordi, la prima volta che ci siamo conosciute, Regina? Eravamo così piccole. Non era un sogno, non lo è mai stato. Era la verità. E ricordi cosa mi dicesti, Regina, la prima volta che ci incontrammo nel tuo mondo? Che ciò che desideravi era di non passare mai più un compleanno da sola. Lo stesso desiderio che ho espresso io al mio ventottesimo compleanno. Lo stesso desiderio che io ho svelato a te. Ti avevo promesso che sarei stata sempre al tuo fianco. Mi dispiace, Regina, mi dispiace di non esserci stata. Mi dispiace essermi dimenticata di te. Ma ora sono qui e farò tutto ciò che tu hai fatto per me, in nome di quel patto che ci ha unite.”
Regina apre il palmo della sua mano, guardando quel piccolo segno bianco, inciso sulla sua pelle morbida eppure fredda.
“E, sentiamo, cosa avrei fatto?” chiede Regina, cercando di dare un tono duro alla sua voce. Inutile, con Emma, in fondo, non ci è mai riuscita. Perché con lei e solo con lei, Regina può essere davvero se stessa, liberandosi di quell’appellativo che ricopre il suo essere come una seconda pelle. Perché, solo con lei, può essere semplicemente Regina.
“Mi hai permesso di avere il mio lieto fine, mi hai permesso di incontrare la mia famiglia, Regina. Sono sicura che non è stato un caso il fatto che tu abbia spedito gli abitanti della Foresta Incantata proprio in questo mondo, proprio nel mondo in cui io vivevo. Ma non può essere un lieto fine, se tu non sei al mio fianco. Se non c’è la tua risata ad accompagnare la mia.”
Silenzio, quel silenzio pieno di significato.
“Sai, Regina, quando lo specchio mi risucchiò, non ebbi il tempo di dirti una cosa.”
“Che cosa?” chiede Regina, la voce rotta dalle lacrime.
“Buon compleanno, sorellona.”
 
 
 

 
  
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