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Autore: Polyjuice Potion    06/10/2014    1 recensioni
Non sapevo dove andare, così mi sedetti su una poltroncina blu carta da zucchero di fronte al ragazzo e mi guardai intorno: lui era lì, una presenza quasi incorporea, mangiava senza alzare gli occhi dai piedi scalzi (evidentemente la gente girava a piedi nudi), non emetteva alcun suono neanche mentre masticava. Non mi guardò nemmeno una volta e ci rimasi un po’ male. I capelli rosso fuoco sembravano dire “ehi, io ci sono, e sto per esplodere.”
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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I giorni seguenti furono peggio di un inferno. Li passai facendo i bagagli, prenotando i voli, parlando al telefono con la mia nuova agenzia e, infine, feci il trasloco. Era tutto così strano. La casa vuota, il portafoglio pieno e niente Gerard. Ero dell’idea che non l’avrei mai più visto, me ne ero fatto una ragione. Non sapevo dove abitava, non avevo il suo numero di telefono (cosa alquanto strana) e non avevo idea di come farmi perdonare. Era tutto finito. Un’altra era della mia vita era passata e dovevo voltare pagina, ancora e ancora. Telefonai a Mikey un paio di volte, per sapere di lui. Non si era presentato al lavoro dal lunedì e il fratello non aveva sue notizie, ma “Gerard è adulto e deve imparare a badare a sé stesso”. Da quello che capii, Gerard non aveva mai voluto un cellulare perché odiava essere rintracciato. Era una cosa accettabile. Un po’ ero preoccupato. Forse più di un po’. Ma lui non mi voleva vedere, me lo aveva urlato in faccia. Non dirò mai a nessuno quanto piansi quel giorno, quanto quelle parole mi fecero male.
Avevo deciso da un pezzo che me ne sarei andato senza salutare per l’ultima volta Gerard, quando, l’ultima sera, mi venne un’illuminazione. Mi era stata concessa un’estate, una sola estate per salvarlo. Ne avevo il dovere, dovevo farlo. Erano le sette e mezza e l’agenzia avrebbe chiuso alle otto. Avevo poco tempo per decidere il daffare.
Aspettai una decina di minuto, tanto per vedere se avrei cambiato idea. Ovviamente, mi decisi a comporre il numero dell’agenzia.
Squillò tre volte, dopodiché una voce femminile mi ordinò di attendere in linea. Obbedii. Dopo una manciata di minuti la segretaria che stava al bancone di solito, rispose.
-Sono Frank. Iero- risposi alla domanda “Con chi parlo?”
-Oh, Frank. Posso aiutarti?-
-Sì, penso. Uhm, avrei bisogno dell’indirizzo civico di Gerard Way- chiesi cortesemente, con la gola secca.
-Un attimo- sentii che apriva i cassetti della scrivania –Hai sue notizie? So che siete amici e non viene da un po’-
-No… n-non so nulla-
Mi dettò l’indirizzo e io lo scrissi su un post it appiccato a uno degli ultimi scatoloni.
-Ecco. Spero che stia bene-
-Anch’io. Grazie mille-
Riagganciai.
Mi passai una mano sul viso, accorgendomi di aver sudato solo per una telefonata. Mi spostai lentamente in bagno e entrai in doccia, buttando i vestiti nel lavandino. Lasciai che il getto mi arrivasse dritto in faccia, facendomi male. Che cosa potevo fare? Avevo l’indirizzo di Gerard, abitava una manciata di isolati dall’agenzia. Una volta in casa sua, cosa avrei fatto? Cosa, o meglio, chi avrei trovato? Non volevo trovarmi di fronte un Gerard ubriaco fradicio un’altra volta, ma era il minimo. E se fosse stato già “morto”? Morto per colpa mia?
In pochi secondi mi rivestii e scesi per strada, la maglietta bianca appiccicata al petto ancora umido, il foglietto stretto in pugno. Attraversai la strada e imboccai il primo viale, che mi avrebbe portato in stazione. Era una cosa folle.
Controllai i cartelli: il treno non sarebbe arrivato prima di un’ora, così decisi di andare a mangiare qualcosa al bar della stazione. Dovevo avere un aspetto orrendo, perché tutti, nessuno escluso, si girarono verso di me. Mangiai due panini, anche se non avrei dovuto, e una birra. Così, tanto per. Mi sedetti su una panchina arrugginita e aspettai la mia corsa. Cominciava a fare freddo e io avevo solo una t-shirt e le bermuda. E i capelli bagnati. Mi portai le braccia al petto cercando di scaldarmi, pregando che Gerard fosse ancora tra noi.
Il treno arrivò alle nove. Saltai su utilizzando uno degli ultimi tre biglietti che mi erano rimasti da agosto. Mi lasciai cadere sul primo sedile libero che trovai, purché si trovasse in un vagone completamente vuoto. E non fu così difficile trovarlo, a quell’ora. Tirai fuori dalla tasca il post it giallo. Avrei finalmente rivisto Gerard. L’avrei salvato, ne ero sicuro. Poco dopo, due vecchi si sedettero sui sedili davanti a me. Al diavolo.
Passai il resto del viaggio ascoltando i loro discorsi, principalmente basati su partite al bingo e cose così.
Dio, se esisti, vai da Gee e digli che lo amo e che sto arrivando, pensavo.
Mi sembrava pazzesca la piega che aveva preso la serata.
Quando finalmente arrivai, decisi cosa fosse meglio tra correre o camminare normalmente fino alla casa di Gerard. Era piuttosto lontana, una mezz’ora buona, e non potevo permettermi il taxi. Non avevo portato con me nulla e il poco che avevo in tasca l’avevo speso per la cena. Mi maledissi. Cominciai a camminare a passo spedito e dopo una ventina di minuti mi ritrovai davanti all’agenzia. Le luci spente, le finestre chiuse. Per un momento pensai che potevo rompere un vetro, così, per fare un dispetto. Ma poi lasciai perdere.
Dopo aver visto quel posto, il mio umore era caduto ai piedi. Mi trascinai per altri cinque isolati e avanzai fino a che la scritta sui cartelli non combaciò perfettamente a quella del mio fogliettino. Preso trovai anche il numero civico di Gee e rimasi sbalordito. Era una villa gigantesca, bianca e verde, da quello che riuscivo a vedere. Le finestre erano chiuse e i vetri oscurati. Mi sedetti sui gradini che davano sul vialetto e ci ripensai su un attimo. Quello che stavo per fare non aveva senso. Entrare in casa del mio ex ragazzo e…
Oh, merda.
La porta non era del tutto chiusa. L’avevo visto, uno spiraglio di luce. Ogni tanto mi stupisco di quanto possa essere fantastico il mio cervello. Oh, dio, l’avevo visto. Non avrei avuto bisogno di bussare e sarebbe stato tutto più facile.
Grazie, grazie, grazie.
Comunque, quello fu il colpo di grazia che mi decise ad alzare le chiappe e ad entrare in casa di Gerard. Mi soffermai un’ultima volta sotto il portico e controllai l’orario, le undici, ma poi mi mandai a cagare e aprii delicatamente la porta. Fui subito bloccato da un paio di jeans scuri buttati a terra e due bottiglie vuote di birra. Spinsi un po’ di più e misi dentro la testa, senza fare il minimo rumore. Davanti a me c’era l’ingresso, con uno specchio antico gigantesco appoggiato a una credenza in legno. Entrai completamente, calpestando i jeans, mi girai e lo vidi. Chiusi la porta alle mie spalle. Lui non sembrava essersi accorto di me. Portava maglietta e pantaloni neri, entrambi troppi grandi per lui, e se ne stava seduto sul divano di pelle a guardare il vuoto, un sorrisino gli incurvava le labbra. Stava fumando e ai suoi piedi aveva una cosa come una dozzina tra lattine e bottiglie di qualsiasi cosa e il portacenere sul tavolino alla sua sinistra era colmo.
Non c’era molta luce nella stanza, soltanto una lampada alogena in un angolo, in fondo. Era comunque un bel salotto, moderno, ben arredato, con grandi vetrate. Mossi qualche passo e lui si girò verso di me. Il sorrisino di prima sparì immediatamente. Percorsi l’ingresso con decisione e mi appostai di fronte al divano. Era sbronzo fuori misura.
-Gerard…-
-Cosa ci fai qui?- mormorò. Sembrava impaurito. Aveva paura. Di me?
-Non dovresti tenere la porta aperta. E’ pericoloso-
-Penso di non averla chiusa quando è arrivato il tipo delle pizze- rise fortissimo, senza motivo, senza un perché. Ero preoccupato. Forse non sarei riuscito a salvarlo.
-Oh, dio, Gerard…- sussurrai, portandomi una mano alla bocca.
Bevve un sorso da una lattina di birra.
Odiavo vederlo così, odiavo guardarlo distruggersi, odiavo osservarlo morire senza poter fare nulla.
Mi avvicinai a lui, forse troppo in fretta.
-Devi finirla, adesso- gli ordinai, alludendo al bere.
Probabilmente mi vide come un minaccia e si spaventò, perché in un nanosecondo mi ritrovai attaccato al muro, i polsi immobilizzati. Gerard, dalla foga, aveva colpito anche la televisione, e l’X Box giaceva a terra, sicuramente irrecuperabile.
Sentii le unghie del moro penetrarmi la pelle all’interno del polso, il suo fiato bollente d’alcool che mi pungeva il naso.
-Chi ti credi di essere? Ti imbuchi in casa mia, dopo quello che mi hai fatto, e ti permetti anche di dirmi cosa fare e cosa non fare? Vaffanculo, Frank- sibilò o urlò, non seppi riconoscerlo, il dolore mi attutiva i sensi, ma la cosa certa era il fatto che fosse furente.
-Gerard… Smettila, m-mi stai facendo male- ero sull’orlo del pianto.
Mi lasciò e vidi il senso di colpa percorrerlo dalla testa ai piedi.
-Dio, Frank, cosa ho fatto- si risedette sul divano nero, la testa tra le mani.
Non dissi nulla. Il fatto era che Gerard si stava mostrando talmente vulnerabile… avevo paura di ferirlo. Mi sedetti in fianco a lui.
-Ti ho fatto male?- mi guardò i polsi
Non era ubriaco.
Era fatto.
Lo vedevo dai suoi occhi.
-Un po’- mentii. Mi aveva fatto tanto male.
-Mi dispiace. Sei l’ultima persona a cui vorrei far del male-
Si morse il labbro e spuntò un rivolo di sangue. Lo asciugai con il pollice.
-Frank, mi dispiace…- iniziava a piangere e io non volevo.
-E’ colpa mia. Shh, è colpa mia-
Lo strinsi a me. Un po’ avevo paura della sua reazione, ma poi si abbandonò al mio abbraccio. Non volevo che finisse, ma Gerard si lasciò cadere sul divano.
Così mi dovetti spostare anche io e mi misi a cavalcioni sulle sue cosce.
-Ehi- gli accarezzai il viso, sorridendo.
-Ehi- sorrise anche lui e il mio cuore, per un secondo, smise di battere.
Mi avvicinai stampandogli un bacio sulla fronte.
-Perché sei venuto?- biascicò.
-Domani mattina parto-
Scesi e le nostre fronti si toccarono. Lo baciai timidamente.
-Oh- commentò, per poi tornare sulle mie labbra, inumidendole.
Si staccò, improvvisamente.
-So di alcool, vero?-
-Solo un pochino- ammisi, mentendo di nuovo.
Gli tolsi piano la maglietta, che poi appoggiai alla mia sinistra. Gli sorrisi.
Oh, dio.
Aveva lo sguardo completamente perso.
Stavamo per fare l’amore per l’ultima volta e lui era fatto.
Gli accarezzai la schiena pallida, cercando di cacciare indietro le lacrime che facevano capolino.
Non smisi di guardarlo, per attirare la sua attenzione. Lo accarezzai ancora e ancora, su e giù, dalla nuca fino alla cintura dei pantaloni.
Finalmente tornò a guardarmi.
-Ehi- ripetei dolcemente.
In tutta risposta cercò le mie labbra, che trovarono subito le sue, ancora una volta.
Non mi sarei mai stufato di baciare Gerard.
Di sentire il suo respiro sul mio collo.
Dei morsi che dava al mio labret.
Mi tolsi anch’io la maglietta e come ogni volta Gee trattenne il fiato. Mi attirò di nuovo a sé, cingendomi i fianchi e mi baciò piano il collo fino alle clavicole. Poi scese al petto, le dita gelide appoggiate alle mie spalle e di nuovo su, sulle labbra. Passò la lingua più e più volte sul contorno della mia bocca facendomi gemere, segno che lui aveva da sempre inteso come un’accettazione per spingersi più in là.
Le mie mani percorrevano il suo petto alla ricerca delle sue e quando le trovarono ci si agganciarono forte.
Si slacciò dalla mia presa per toccarmi.
-Vuoi?- chiese, come la volta precedente. Non era mai malizioso, neanche da fatto.
Annuii. Ci togliemmo tutti i vestiti e facemmo spazio sul divano.
Pregai che l’effetto della droga fosse già sparito.
 
 
Angolo dell’autrice
Penultimo capitolo. Okay, adesso, siamo sinceri, è il più bello di tutta la storia. Non pensavo che sarei mai riuscita a scrivere di Frank e Gerard in questo modo, ma mi hanno davvero preso.
Spero che vi sia piaciuto e che non vi abbia distrutto troppo i feels.
Domani posto l’epilogo.
Un bacione <3
  
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