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Autore: 1rebeccam    06/10/2014    14 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Volta lo sguardo alla sua destra e Cary Grant stringe tra le braccia la donna che ama, sofferente per il veleno. Appoggia il viso contro il suo e le dice che la salverà. Stringe i pugni e guarda ancora la donna disperata della copertina e ogni paura o dubbio su come arrivare al veleno, sparisce del tutto. 
Castle le ha detto che deve leggere dalla sua prospettiva, immaginarsi una fine diversa. Ha ragione. Il detective Beckett deve riscrivere un finale alternativo e per fare questo Nikki deve giocare…


 
 
 
 

Capitolo 46

 

Il movimento frenetico intorno sembra riflettersi su di lei.
Continua a guardare la copertina del manoscritto e sente il cuore correre veloce. Chiude gli occhi e respira a fondo per placare l’ansia che è arrivata improvvisa.
E’ circondata dal caos, da persone in movimento, da voci abbastanza sostenute da disturbare chiunque, ma lei sente tutto ovattato, oltre al rumore del suo cuore.
Sposta lo sguardo fuori campo, il capitano Gates ed i suoi amici sono dietro le quinte con gli occhi puntati su di lei. Si alza e fa per lasciare la scrivania.
-Ehi lei, dove crede di andare? Siamo quasi pronti!-
Si gira confusa verso la voce che la rimprovera.
-Non può lasciare lo studio, stiamo per andare in onda.-
Quel divieto le fa salire l’ansia ancora di più.
Non è ansia da diretta televisiva, è ansia da lontananza… si sente sola in mezzo alla gente.
-Mi servono un paio di minuti.-
-Non se ne parla neanche!-
Esclama stizzito l’uomo con la cuffia e l’auricolare, che scuote la testa e le fa cenno di tornare a sedersi, mettendole la mano sul braccio.
L’ansia diventa irritazione.
-Mi servono due minuti!-
Risponde perentoria, spostando lo sguardo sulla mano che la trattiene. Torna poi a guardarlo fisso negli occhi, seria con le labbra strette, tanto che il tecnico non ribatte, guarda verso il direttore Bell che annuisce e poi sospira, preparandosi al disastro totale.
Il capitano Gates, Ryan ed Esposito la seguono con lo sguardo, preoccupati anche loro.
Compone il numero di suo padre, che le risponde al secondo squillo.
-Devo parlare con lui papà!-
Senza salutarlo, senza convenevoli va subito al punto.
Jim è seduto proprio fuori la stanza di Castle, non si è mosso di un passo da quando il dottor Travis lo ha lasciato, permettendo a Martha ed Alexis di tornare da lui, dopo la forte crisi.
-Kate, Rick non sta bene.-
-Devo parlare con lui papà, ora.-
Jim scuote la testa, come se la figlia si rifiutasse di capire realmente la situazione.
-Non riesce a muoversi Kate, non può tenere nemmeno il telefono in mano e pochi minuti fa ha avuto una crisi forte che ci ha terrorizzato. E’ stanco…-
Kate chiude gli occhi e sospira frustrata.
-Devo parlargli. Deve sapere. Lui vuole sapere… fammi parlare con lui papà…-
Anche Jim sospira frustrato e apre la porta della camera di Rick, incontrando gli occhi stanchi di Martha.
-Kate vorrebbe parlargli…-
Sussurra piano per non disturbare. Rick sembra dormire, ma apre gli occhi e annuisce senza dargli il tempo di finire la frase. Alexis gli fa posto lasciando che sieda accanto a lui, mettendo il telefono in viva voce.
-Non dire nulla di inappropriato Beckett… ci sono mamma, papà e figlia presenti!-
Il suo è un sussurro intervallato dal respiro pesante, ma è bastato per calmare i battiti del suo cuore e farle muovere di poco le labbra in un accenno di sorriso.
-Che succede… Kate?!-
Non ha ancora il veleno, ma c’è qualcosa su cui rimugina da un po’. E’ lampante, dal suo punto di vista, che qualcosa la tormenta.
-Un’ora fa abbiamo trovato il nascondiglio di Dunn.-
Resta un attimo in silenzio e poi sospira, mentre Jim incrocia lo sguardo di Martha.
-Di lui nessuna traccia, però.-
-Naturale… se gli avessi già… rotto le ossa una per una… non me lo diresti per telefono!-
Lei scuote la testa.
-Da come è ridotta la casa si capisce che è uscito di fretta, evidentemente per dare la caccia ad Abraham. La Gates voleva rimettere tutto a posto e aspettare che tornasse per prenderlo di sorpresa, ma io le ho detto di no. Voglio dire, se non avesse con sé…-
-…se non avesse con sé il veleno, non direbbe dove lo ha nascosto nemmeno sotto tortura! E per noi è importante quello al momento, non solo arrestarlo.-
Rick finisce il suo pensiero come sempre e lei si sente allargare il cuore, avendo conferma che ha preso la decisione giusta.
-Kate!-
La sua voce la riscuote dai suoi pensieri, spingendola a continuare.
-Abbiamo trovato quello che dovrebbe essere l’ultimo capitolo prima dell’epilogo.-
-Cosa dice?-
Kate guarda verso la scrivania su cui è rimasto il manoscritto.
-Non lo so, non l’ho ancora letto, ma le ultime righe parlano dello scrittore…-
Lascia la frase a metà e Rick deglutisce.
-Del momento in cui esala l’ultimo respiro?-
La domanda di Rick fa sussultare i presenti nella stanza e lei all’altro capo del telefono.
-Si. Non è rilegato, credeva di avere altro tempo.-
-Già. Ce lo avrebbe fatto trovare sul mio cadavere. Te l’ho detto Kate, vuole essere qui quando morirò.-
La mano di Martha si stringe sulla sua tanto da fargli male.
-Si, ma il capitolo… adesso ce l’ho io!-
Il modo in cui lo dice gli fa corrucciare la fronte.
-Kate… dove sei?-
Ancora una volta dimostra di conoscerla bene, di capire ogni intonazione di voce, ogni pensiero le possa passare per la testa, sennò non le avrebbe fatto quella domanda.
-In uno studio televisivo della CNN.-
Dice tutto d’un fiato, restando poi in silenzio. Martha, Jim e Alexis si guardano confusi, Rick al contrario, sorride. Ci ha messo meno di un secondo a capire.
-Hai intenzione di fare quello che penso?-
Lei non risponde e Rick fa un respiro profondo per prendere fiato.
-Vuoi bruciargli il capitolo in diretta televisiva? Lo manderai in bestia!-
Esclama anche lui tutto d’un fiato con un che di eccitazione nella voce, ma lei sospira.
-Fino ad un attimo fa sembrava una grande idea, adesso però…-
Ed ecco che la interrompe ancora una volta.
-…però niente. E’ un’idea geniale Kate, sconvolgerai i suoi piani, la sua trama. Questo lo spiazzerà!-
Il respiro è pesante, ma il modo in cui le parla le fa immaginare i suoi occhi che brillano per l’idea che lo eccita.
-Non limitarti a presentare il capitolo Kate, parla con lui. Nikki deve parlare con lui…-
Lascia la frase in tronco e lei deglutisce.
-Sii diretta, colpiscilo nella sua superbia e lui perderà la testa.-
-E’ quello che avevo in mente.-
Gli risponde sicura.
-Se solo potessi, saltellerei.-
Le dice improvvisamente e Kate non può fare a meno di sorridere. Solleva lo sguardo verso lo studio e nota il tecnico, che prima voleva quasi legarla alla sedia, che la fissa nervoso andando avanti ed indietro nello spazio di un metro.
-Mi guardano in malo modo, è tutto pronto per la diretta, sarà meglio che vada prima che venga un infarto a qualcuno.-
-Vorrei essere lì con te!-
Sussurra provocandole un nodo in gola. Lei si porta la mano al petto.
-Sei qui con me, Castle.-
Scandisce lenta con lo stesso sussurro, sentendolo sospirare.
-Kate… vai sicura. Bucherai lo schermo!-
Esclama alla fine con un tono che dovrebbe essere di scherzo, ma che le arriva dolce all’orecchio, mentre chiude la telefonata.
-Richard, credi davvero che stia facendo la cosa giusta?-
Gli chiede Martha, guardandolo preoccupata, dando voce anche ai dubbi di Jim e lui annuisce.
-Non c’è più tempo per le indagini mamma. Dovevamo spiazzarlo fin dall’inizio, ma quando qualcosa ti tocca personalmente, la mente non ragiona. Ci ha sviato con la paura!-
Stringe le labbra e sospira, irritato e stanco.
-E’ ora di giocare come fa lui. Nikki deve giocare.-
Jim si alza e si avvicina alla finestra. E’ ormai sera, le ore passano e il peso che sente nel cuore diventa sempre più opprimente, per il pericolo che incombe su sua figlia e per il dolore, fisico e morale, che aleggia dentro quella stanza. Un pericolo che loro chiamano gioco, stando dietro alla follia di quell’assassino, mentre in gioco ci sono le loro vite.
Ha sempre osservato da lontano ed in silenzio l’evolversi dei sentimenti di Kate. Ha desiderato con tutto se stesso che capisse e soprattutto non avesse più paura dell’amore, perché Rick era quello giusto, nonostante le dicerie su di lui. Lo aveva capito da subito, da quando aveva cominciato a parlargli di quello scrittore che la irritava e non sopportava, ma che le strappava sorrisi senza che lei se ne accorgesse. Ne era così sicuro che, quando ha capito che la sua Katie avrebbe agito di nuovo in modo avventato per trovare l’assassino di Johanna, si era permesso di andare da lui a chiedergli di fermarla. Perché solo lui avrebbe potuto farlo. Adesso avrebbe agito ancora avventatamente, ma stavolta nessuno avrebbe potuto fermarla.
Si riscuote dalle sue preoccupazioni quando Rick interrompe il silenzio. La sua voce è più tranquilla, la rabbia che lo ha pervaso per un attimo è sparita e la sua attenzione è rivolta alla TV spenta sulla parete all’angolo della stanza.
-Non voglio sapere di chi è stata l’idea di nascondere il telecomando, non agirò formalmente contro nessuno, ma adesso tiratelo fuori. Non ammetto repliche. Accendete quel televisore.-
Martha stringe le labbra in segno di rimprovero, mentre Alexis prende il telecomando che aveva nascosto dentro la sua borsa, in modo che il padre non potesse scoprire notizie che avrebbero potuto nuocergli.
-Seriamente Alexis? L’hai nascosto nella tua borsa?-
La ragazza solleva le spalle, accende la TV e la sintonizza sul canale della CNN.
-Per un po’ ha funzionato papà!-
Gli dice sorridendo, sedendosi accanto a lui.
 
Kate torna alla scrivania, sorride al tecnico che sospira di sollievo e annuisce alla voce che gli parla nelle cuffie.
In un attimo scende il silenzio, una lucina rossa si accende su una telecamera davanti a lei, l’uomo che la manovra fa segno con la mano verso una bella donna, in piedi fuori dal suo campo, contando alla rovescia da cinque a zero.
Il volto sofferente di Ingrid Bergman scompare d’improvviso dallo schermo e la sigla che accompagna le edizioni straordinarie dei TG entra di prepotenza nelle case dei Newyorkesi,  interrompendo la messa in onda del film.
 
Interrompiamo i programmi per un aggiornamento sulle indagini nel caso del Killer Silenzioso. Pochi minuti fa è giunta notizia alla nostra redazione, che la polizia ha individuato il nascondiglio di Scott Dunn. Di lui nessuna traccia, ma una squadra di agenti sta ancora perquisendo minuziosamente la casa, alla ricerca di qualche indizio utile che conduca all’assassino che, ricordiamo, mette in scena i suoi omicidi come se stesse portando avanti la trama di un libro scritto da lui, diviso in diversi capitoli che lascia di volta in volta sulle scene del crimine. Tra qualche secondo sarà proprio colei che l’assassino ha scelto come protagonista del suo libro, a svelarci l’ultimo capitolo rinvenuto nel nascondiglio, un capitolo che l’assassino avrebbe presentato sicuramente più avanti, magari lasciandolo in regalo con la prossima vittima.  
 
Le luci cambiano posizione d’improvvisano, lasciano nell’ombra la giovane speaker e si posizionano su Beckett che per un attimo socchiude gli occhi, sopraffatta. Il tecnico le fa cenno con la testa che è in onda e lei sfoglia la copertina con calma, gli occhi bassi sulla scrittura e le mani sui fogli.
 

Capitolo IX  - Nikki
 
Senza preamboli e con voce sicura, legge il titolo soffermandosi un momento. Con un gesto veloce, passa le dita della mano destra sopra il quadrante dell’orologio al suo polso sinistro, riportando poi la mano sul foglio che sta per leggere.
Un gesto insignificante per chiunque…
Non per i suoi amici, che non si sono resi conto che quel polso era vuoto fino a poco prima.
Non per Jim, che ha annuito quando la figlia ha accarezzato quell’oggetto che significa continuare a vivere per entrambi.
Non per Rick, che sussulta e sorride, quando si rende conto che Colbert non lo delude mai e Kate si è finalmente riappropriata del suo tempo. Il sorriso sparisce per una fitta di dolore. Chiude gli occhi per concentrarsi sulla TV, per distogliere l’attenzione dalla testa che continua a martellare incessante, cercando di immedesimarsi nella voce di Kate che comincia la lettura.
 

Ogni volta che arrivava sul posto per vedere un cadavere si ripeteva la stessa scena.
Slacciava la cintura di sicurezza, sfilava una biro dalla fascetta del parasole, si passava le lunghe dita sul fianco per trovare conforto nella pistola d'ordinanza e poi, come sempre, si fermava. Non per molto. Solo il tempo di un lento e profondo respiro…

Quel breve momento di raccoglimento era di rito ogni volta che Nikki Heat arrivava sulla scena di un crimine.
Lo scopo era semplice. Ribadire che, vittima o colpevole, il cadavere in attesa era pur sempre un essere umano e meritava di essere rispettato e trattato come tale, non come l’ennesimo numero statistico...
 
Questa era stata la prima immagine che aveva avuto di lei.
Orgogliosa, fiera, concentrata.
La sua anima era per le vittime.
Un’anima divenuta nera per una vittima eccellente, personale.
Sua madre.

 
La pausa di qualche secondo è impercettibile per la redazione, ma in quella pausa di pochi secondi, Jim Beckett si allontana dallo schermo, mettendosi le mani in tasca e volgendo lo sguardo fuori dalla finestra. Digrigna la mascella, restando in disparte non riuscendo a reprimere il dolore che ha sentito a quella frase e senza capire come possa arrivare alla fine Rick, sapendo che il resto della lettura parla di lui e della sua morte.
 
Questo rendeva Nikki speciale.
Interagiva con le vittime come faceva lui.
Lei le teneva in considerazione.
Lui le innalzava a qualcosa di più di semplici vite inutili su questa terra.
Lei non le considerava solo corpi senza vita, facce sconosciute private dell’esistenza.
Lui organizzava la loro morte in maniera minuziosa, preparava una trama, ne faceva una storia.
Lei vedeva esistenze spezzate, visi dal sorriso rubato, occhi privati della vista del sole.
Lui spezzava le esistenze, rubava i sorrisi, privava gli occhi della luce. 
Si impossessava delle sue vittime e poi le rendeva immortali nei suoi racconti. 
Racconti che fino a quel momento non erano mai stati letti, ma che con Nikki sarebbero diventati reali. 
Lui portava loro giustizia per quella vita che non le rendeva speciali.
Lei portava loro giustizia e le rendeva speciali dopo la morte.
Lui era l’artista che componeva la morte per lei… 
Questo era il filo che li univa, che li rendeva simili, che li avrebbe innalzati ad essere i migliori sempre e comunque.
 

Questa volta Kate si sofferma un attimo di più. Per gli addetti ai lavori poteva essere quella che viene definita pausa ad effetto  per tenere viva la suspance nello spettatore, ma per Rick è una pausa riflessiva, per metabolizzare le parole appena lette, proprio come sta facendo lui, ripetendole a mente in mezzo alle pulsazioni prepotenti del suo cervello. Il parallelismo che Dunn descrive tra lui e Nikki è incredibile. Bianco e nero. Giusto e sbagliato. Vita e morte.
Sospira tanto forte da attirare perfino l’attenzione di Jim, rimasto in piedi, di spalle, a guardare la città che comincia ad illuminarsi. I loro sguardi s’incrociano per un momento, mentre la voce di Kate riempie ancora la stanza.
 

Lei però, aveva peccato di orgoglio, lo aveva trattato come un assassino qualunque, uno psicopatico che si macchia le mani del sangue di vittime innocenti.
Si era affidata allo scrittore.
Lui lo aveva fermato, mettendosi tra loro.
Lui doveva pagare…
E stava pagando nel peggiore dei modi: nella sofferenza.
Era arrivato il momento e lui era lì, a prendersi il suo ultimo respiro.
I suoi ultimi minuti di lucidità lo fecero voltare verso di lei, come se le rivolgesse una preghiera.
La sua agonia nel corpo s’irradiava in lei, facendo agonizzare anche la sua anima.
Lo scrittore era la sua seconda, personale vittima per eccellenza.
Quando  il movimento lento e affannato del torace si fermò di colpo, i suoi occhi si spalancarono.
L’ultimo respiro dello scrittore era stato come una pugnalata nel petto e lei aveva smesso di respirare con lui.
 

La mano di Martha si stringe ancora su quella del figlio, mentre lui resta con lo sguardo fisso sul volto di Kate, che sembra non provare alcuna emozione, ma che non può ingannarlo. Sta fremendo. Sta soffrendo e vorrebbe solo alzarsi da quella sedia e scappare via. China lo sguardo cercando di tenere a bada il dolore ed il respiro che sente sempre più pesante e, con la coda dell’occhio, nota le mani di Alexis che si chiudono a pugno, con forza.
Chi ha detto che le parole feriscono più di un’arma sapeva di cosa parlava. Quella parole, seppur frutto di una mente malata, stanno distruggendo la sua famiglia.
 
E’ difficile spiegare la sensazione che provoca la vittoria.
Sentire l’animo leggero mentre il suo era appesantito dalla colpa e dal dolore.
Quel dolore che conosceva bene, che non avrebbe più voluto provare, ma che il male in persona le aveva iniettato di nuovo, cogliendola impreparata…

 

Kate solleva lo sguardo verso la telecamera. Lo studio è avvolto dal più assoluto silenzio, non perché siano in onda, ma perché sono tutti concentrati su quelle parole che raccontano la morte in una finzione reale e folle.
La sensazione che provoca la vittoria…
Quel capitolo decretava la morte di Rick, la vittoria per Dunn. Dopo si sarebbe preso lei.
Le luci confondono lo sfondo e Kate non riesce a vedere bene i visi, ma scorge le sagome di ognuno, immobili come se trattenessero anche il respiro.
E’ riuscita a leggere con voce ferma, anche se ogni frase è stata una pugnalata.
Ogni frase parla di lei, della morte di Castle, del dolore infinito che l’avrebbe travolta.
Nikki deve parlare con lui…
Si porta la mano al petto e sorride impercettibilmente, senza sapere che nello stesso momento anche Rick, davanti allo schermo, con la testa che pulsa per la febbre e il dolore che ormai peggiora sempre più, sorride insieme a lei, accorgendosi di quell’altro gesto insignificante agli occhi del mondo.
Le ha detto che deve rivolgersi a lui, parlargli direttamente come se lo avesse davanti e sa che sta riflettendo, per dire la cosa giusta, per toccare i tasti giusti che sconvolgeranno ancora di più la sua trama.
Se solo potesse starle accanto…
-Forza Kate… puoi farcela.-
 
Come se avesse sentito davvero la sua voce, Kate fissa lo sguardo sulla lucetta rossa che le dà l’inquadratura, sott’occhio guarda lo schermo gigante che mostra la sua figura così come appare negli schermi televisivi dei newyorkesi. Sospira impercettibilmente, tanto che il microfono che ha davanti non produce alcun suono.
-Bel capitolo, Scott!-
Esclama con calma, quasi sorridendo, stringendo di poco le palpebre.
-Conoscendo la voglia che hai  di far conoscere il tuo capolavoro al mondo, ho pensato ti avrebbe fatto piacere che lo leggessi io stessa, prima che fosse requisito dalla polizia.-
Incrocia le mani sulla scrivania e si sporge di poco in avanti, come a mettersi più comoda.
-Certo, letto così, non si può non apprezzare. Ben scritto, narrativamente parlando corretto, parole scelte con attenzione, precise, che incatenate tra loro provocano sentimenti diversi.-
Poggia il palmo della mano su uno dei fogli appena letti e scuote la testa.
-Ripercorrendo a mente anche gli altri capitoli riesci a trascinare il lettore in un racconto macabro che mette ansia. Descrivi la morte come un artista. Credo che complessivamente potrebbe diventare davvero un best seller… se pensiamo poi che quello che scrivi lo rendi anche reale…-
Incrocia le mani puntandole sotto il mento.
-Ma un critico che si rispetti ti direbbe che è solo un’opera dozzinale, banale, di nessuna importanza.-
Solleva le sopracciglia, riportando le mani incrociate sulla scrivania.
-Perché?-
Si sporge completamente in avanti, come se dovesse sussurrare all’orecchio di Dunn e solo a lui.
-Perché non è tuo!-
Torna a sedersi tranquilla con entrambe le mani e gli occhi sulla prima pagina del manoscritto.
-Racconti di te, descrivi le tue opere d’arte…-
Sottolinea le ultime due parole, riportando lo sguardo davanti a sé.
-Racconti al pubblico di Nikki, del suo modo di essere, del suo tradimento nei tuoi confronti quando l’unica cosa che chiedevi era che ti stesse vicino, complice, non tanto dei tuoi capolavori, quanto della bellezza con cui li dipingi.-
Sospira sventolando la mano in maniera teatrale, tanto da far sorridere Rick che l’ascolta rapito.
-Ma niente di tutto questo ti appartiene.-
 Si sofferma a rileggere le prime righe, storcendo le labbra.
 -Il titolo del capitolo porta il mio nome. Inizi descrivendo il mio arrivo su una scena del crimine. Un rito che ripeto di volta in volta…-
Solleva lo sguardo come se la telecamera fosse il viso di Dunn.
-Peccato che quello che scrivi è semplicemente rubato, come le identità che rubi alle tue vittime per continuare ad agire  indisturbato. Hai rubato la musa ad un altro scrittore. A parte gli omicidi, niente di tutto quello che scrivi è tuo…-
Quasi lo grida, a denti stretti e la fronte corrucciata, con rabbia.
-Nikki non ti appartiene!-
Addolcisce la sua espressione e abbassa la voce in un sussurro.
-Non sei stato tu a crearmi Scott. Non sei stato tu a delineare il mio carattere, a studiare il mio dolore, a plasmare dolcemente la mia anima riuscendo perfino ad accarezzarla…-
Solleva la mano facendola ondeggiare leggermente, come se accarezzasse l’aria.
-…è una missione praticamente impossibile riuscire ad accarezzare l’anima di un personaggio e solo chi lo conosce bene nella sua mente ancora prima che sulla carta, imparando ad amarlo dal profondo può riuscirci, dandogli vita…-
Sente gli occhi lucidi, sta cercando di restare distaccata, ma è davvero tutto più grande di lei. Il personaggio di cui parla è irreale, ma mentre pronuncia quelle parole si rende conto che sta parlando di se stessa, non per il modo in cui lo scrittore l’ha descritta nei suoi romanzi regalando la sua essenza al suo alter ego, ma per il modo in cui realmente Castle le è stato vicino per conoscere Kate Beckett, tanto da accarezzarle quella parte di anima che non riusciva più a sentire dopo la morte di sua madre. Stringe ancora le labbra, deglutendo.
-Geraldine Prescott. Sarah Nichols. Elisabeth Hollsen. Rod Stanton. Stephan Grayson…-
Scandisce ogni nome a voce alta e china lo sguardo.
-Per te sono personaggi, per me sono vittime innocenti. In questo capitolo scrivi che hai ucciso per me, addossandomi la responsabilità della loro sofferenza… per un po’ ci ho creduto. Per ore il peso di queste morti è stato un macigno per me, ma adesso no. Adesso vedo tutto chiaro. Hai scelto Nikki come pretesto, ma se io non esistessi troveresti un’altra musa, un altro motivo per uccidere, perché fa parte di te. Perché ti eccita, perché la scarica di adrenalina che t’invade quando vedi la morte negli occhi delle tue vittime ti fa continuare a vivere. Perché non puoi farne a meno.-
Punta l’indice sulla scrivania, sporgendosi ancora in avanti.
-Io non sono tua Scott e sai benissimo che non lo sarò mai, qualunque follia tu possa fare. Per questo vuoi lo scrittore morto. Non per una giustizia tutta tua o per vendetta, ma perché lui è stato capace di creare qualcosa di reale che sarà sempre il contrario di te e la tua superbia non lo può accettare, come non puoi accettare che sia stato proprio lui a fermarti tre anni fa. Come non puoi accettare che io mi affidi ancora a lui.-
Stringe le labbra ed il silenzio diventa protagonista fino a quando non respira profondamente.
-Tu non sei un artista Scott. Sei soltanto un assassino. Un assassino che lascerà morire l’uomo che mi ha creata solo per arrivare alla mia anima, come un codardo… perché è questo che sei Scott Dunn. Un codardo!-
Scuote la testa sorridendo.
- Vuoi la mia anima?-
Chiude la copertina del manoscritto con un colpo secco.
-Vieni a prendertela… io sono pronta!-
 
 
L’uomo tatuato continuava a fissarlo. 
Sdraiato sulla sedia, i piedi sollevati sul bancone, masticava tabacco puzzolente e continuava a fissarlo, fingendo di essere interessato al film che era in onda sul piccolo schermo, appartenente all’era antidiluviana, sulla parete in alto quasi frontale a lui.
Sentiva il suo sguardo addosso e quel fastidioso masticare a bocca aperta.
Immaginò per un attimo di immobilizzarlo, fargli togliere quel ghigno sfottente sul muso mentre gli cava gli occhi per impedirgli di fissarlo ancora e gli cuce la bocca con un filo di lenza sottile, in modo che non possa più masticare quella roba puzzolente e impestare il tugurio che gestisce.
Sorrise, mentre un altro foglio scritto usciva dalla stampante.
Era un tugurio, è vero. 
Conosceva tanti posti come quello, li aveva usati da ragazzo per scappare dagli assistenti sociali, dai genitori in affido, dagli psicologi che lo avevano catalogato come pericoloso solo perché aveva dato fuoco ad una vita indecente… per scappare anche da se stesso, quando ancora pensava di essere sbagliato. 
Proprio in quei momenti di solitudine aveva avuto l’illuminazione. 
Era giunto alla conclusione che non era lui ad essere sbagliato.
L’ennesimo foglio uscì dalla stampante e lui guardò sott’occhio verso l’uomo tatuato e puzzolente.
Era arrivato circa un’ora prima, aveva lasciato la collina sopra il suo nascondiglio strisciando. Gli agenti cominciavano a battere la zona, stranamente lei se ne era andata di fretta e lui si era defilato, stringendo lo zaino per non perderlo.
Si era incamminato verso l’interno della periferia, la parte nera della città, quella che tanti fingono di non conoscere. 
I barboni cominciavano a riunirsi a gruppi nei vicoli, dando fuoco ai bidoni di latta per potersi scaldare e sopravvivere ad un’altra notte di gelo.
Marzo non accennava a scaldarsi.
L’insegna, illuminata solo dove le lampade al neon sopravvivevano ancora, mostrava la scritta Blue Motel, ma era solo e semplicemente un tugurio. Uno di quelli in cui nessuno fa domande e nessuno bada a nessuno.
L’uomo tatuato gli aveva dato distrattamente la chiave numero 4 e poi aveva fatto un semplice gesto con il capo per indicare la stampante, messa a disposizione della clientela nell’angolo, che l’insegna stessa all’esterno, descriveva come Internet Cafè. 
Storse le labbra. 
Di Cafè non aveva nulla, visto che non esisteva l’angolo bar, ma una linea che compariva e scompariva ad intermittenza dava la possibilità di connettersi, a singhiozzo, e fare uso di stampante e fotocopiatrice. Entrambi della stessa era antidiluviana della televisione.
Aveva appoggiato il portatile sul piccolo piano inchiodato al muro, mentre il gestore sputacchiava una palla di tabacco da qualche parte ai suoi piedi. 
Riusciva a dissanguare un essere umano senza battere ciglia, ma rabbrividiva allo schifo gratuito.
Si armò di pazienza, doveva incassare la perdita di una battaglia e prepararsi per il nuovo combattimento.
La vecchia stampante era lenta, gli regalava un foglio ogni 3 minuti, ma stava pagando il prezzo del suo sbaglio.
Digrignò la mascella, dimenticandosi del fetore di quel tugurio e della lentezza della stampante, pensando a come si era lasciato ingannare…
La copertina del capitolo fece capolino dal vassoio di raccolta della stampante e il rumore assordante del carrello che andava avanti ed  indietro rilasciando i colori sbiaditi, gli arrivò alle orecchie risvegliandolo dalla sua rabbia. 
Prese i fogli già pronti, li mise in verticale picchiettando i bordi inferiori sul piano, per sistemarli e allinearli perfettamente tra loro. 
Una musica familiare prese il posto delle parole incomprensibili, per via del volume troppo basso, del film in onda sulla rete in cui era sintonizzata la TV vecchio stile. 
Scosse la testa pensando a quale cosa importante fosse successa per un’edizione straordinaria delle news. Di sicuro non si trattava di lui.
Nikki non amava la pubblicità.
Una voce di donna annunciò qualcosa che non riuscì a capire sempre per il volume basso.
Scosse la testa mettendo le dita ai bordi del foglio che lentamente stava prendendo forma da dentro la stampante.
Il gestore evidentemente non conosceva le mezze misure, da basso, il volume divenne così alto che la vecchia televisione vibrò dentro le sue orecchie quando un’altra voce, una voce che lui conosceva bene, scandì perfettamente tre parole.
Sollevò la testa di scatto, posò gli occhi sbarrati sul video e strinse la mano sulla copertina ormai stampata del suo nono capitolo, accartocciandola nel pugno come se stesse stringendo le mani attorno alla gola di quella donna per impedirle di parlare oltre.
Ma lei era lontana.
Lei era racchiusa in quel cubicolo che parlava al mondo.
Lei…
-Capitolo IX - Nikki.-


Angolo di Rebecca:

Bentrovate a tutte :D mi scuso per la pausa "estiva" troppo lunga, ma ne avevo davvero bisogno.
Kate ha fatto il suo gioco, direi che con l'ultima frase alla tv, è stata chiara con il suo amico Dunn!
Prima però aveva bisogno del sostegno di Riccardone che, come sempre, la capisce al volo e la supporta in ogni caso.
Dunn... beh lui è un attimino stupito!

A presto e grazie che continuate a seguirmi comunque <3
  
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