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Autore: Hermione Weasley    08/10/2014    4 recensioni
Lei è in fuga da se stessa. A lui sono stati offerti due milioni di dollari per ucciderla. Ma le mire di qualcun altro, deciso a riunire sei persone che non hanno più niente da perdere, manderanno all'aria i loro piani.
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“Chi cazzo è questo idiota?” Blaterò qualcuno.
“Un forestiere!” Decise un altro.
“Che razza di accento era quello?” Indagò un terzo.
Si sentì spingere bruscamente verso l'arena, senza poter far granché a riguardo. Quando le fu ad un misero metro di distanza, tra le grida che si alzavano dal gruppo, fu la voce bassa e pacata della donna a sovrastare tutte le altre.
“E' l'uomo che mi ucciderà.”

[Clint x Natasha + Avengers] [Dark!AU] [Completa]
Genere: Azione, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Capitolo 7 -

 

 

 

L'umidità e il ronzio continuo di insetti fin troppo insistenti stavano pericolosamente rischiando di farlo uscire di testa. La foresta li circondava nel suo abbraccio soffocante: ovunque Clint posasse lo sguardo incontrava solo verde. Il verde di grandi mangrovie infisse nell'acqua stagnante con i loro nodosi grovigli di radici, imponenti salici dalle chiome cadenti, felci che punteggiavano il terreno bagnato...

La luce faticava a penetrare attraverso la spessa coltre della vegetazione, ma il caldo non sembrava voler accennare a diminuire.

“Quanto dobbiamo camminare ancora?” Scacciò con una mano una zanzara molesta, nascondendo a malapena l'irritazione per una situazione tanto sconveniente.

“Cinque minuti,” asserì il bambino che stava facendo loro da guida.

“Lo vai ripetendo da mezz'ora,” replicò.

“Cinque minuti.”

Serrò le labbra, tentando di ignorare il sordo, martellante bisogno di mettersi ad urlare per scaricare tutta la propria frustrazione. Aveva voglia di un letto soffice, cazzo, si sarebbe persino accontentato di un asciugamano disteso per terra, magari con l'aggiunta di una birra ghiacciata e un ventilatore puntato addosso. Una scampagnata nei boschi alla ricerca di un pazzo che – molto evidentemente – non voleva essere trovato, si trovava attualmente molto in basso nella sua lista dei desideri.

I suoi compagni di viaggio non sembravano affetti tanto quanto lui dall'assurdità delle circostanze: Natasha teneva agilmente il passo del ragazzino, scambiando con lui occasionali parole che Clint non riusciva a distinguere; Thor, che lo precedeva, continuava a guardare tutt'attorno e verso l'alto, visibilmente affascinato da un'atmosfera che doveva risultargli nuova. Dopo aver abitato a Puente Antiguo per cinque anni, pensò Clint, persino una maledetta pozza gli sarebbe parsa interessante.

Mentre la sua mente divagava su tutti i problemi che si erano accumulati in quei pochi giorni, ricordandogli – per l'ennesima volta! – che la signora Drakov avrebbe chiamato tra meno di ventiquattro ore, l'improvvisa apparizione di una radura arrivò a distrarlo, impedendogli di spingersi più a fondo nel nero vortice dell'apprensione.

I grandi alberi della foresta più fitta avevano ceduto il passo ad un prato di erba alta e ingiallita percossa dagli instancabili raggi del sole che, in quel punto, non trovava alcun ostacolo degno di nota sulla propria strada. Al riparo offerto da un'imponente ceiba nell'unica zona d'ombra della radura, si trovava un'abitazione dall'aria pericolante: nient'altro che un rettangolo di legno sopraelevato rispetto al terreno di circa un metro, tetto piatto e ricoperto di lamiere di diverse forme e colori, zanzariere fissate su intelaiature di legno tutt'intorno, a difendere l'ingresso e le sole due finestre che Clint riusciva a scorgere dal suo punto d'osservazione, dall'incursione di insetti non graditi.

Gli alberi gli avevano fatto venire una voglia matta di arrampicarsi il più in alto possibile, raggiungere l'ultimo ramo, appostarvicisi per una, due, tre ore, godendosi il territorio quasi del tutto incontaminato dalla prospettiva che preferiva. Porre una certa distanza – tutta verticale, s'intende – tra lui e il mondo, lo aiutava ad affrontare i problemi con la dovuta oggettività. Lassù si sentiva disconnesso da tutto e tutti, lo spettacolo di vita brulicante ai suoi piedi e la netta sensazione che niente di tutto ciò lo riguardasse. Un estraneo in terra straniera, solo di passaggio. E se quella era una sensazione che lo terrorizzava, spesso e volentieri, quando le situazioni si facevano troppo spinose, era la stessa che riusciva a salvarlo.

“Aspettaci qui.”

Si voltò verso Natasha appena in tempo per vederla passare una banconota da venti al ragazzino (per quello scadente tour nei boschi avevano persino dovuto pagare?), il quale si limitò a rivolgerle un rapido cenno d'assenso. Lo seguì con lo sguardo mentre raccoglieva un bastone lungo e sottile e si lasciava cadere ai piedi di uno degli alberi più vicini.

“Bussiamo?” Domandò Thor, accennando persino il gesto con una mano semichiusa.

“A meno che non vogliate fare irruzione dalla finestra,” replicò sarcasticamente Clint. “Peccato non abbia un camino.”

“Qualsiasi cosa succeda,” Natasha aveva tagliato corto, precedendoli in direzione della catapecchia, “non fatelo arrabbiare.” Quell'aria determinata e autoritaria che aveva assunto da qualche ora a quella parte lo irritava e stuzzicava in modo molto poco casto in egual misura; il fatto che fosse sudata e accaldata, poi, non faceva che completare quel seccante quadro d'insieme (seccante per la sua psiche, più che altro).

“Perché?” Stavolta Clint dovette concordare con Thor nella sua perplessità. Non andava da sé di non far incazzare nessuno?

“Non lo so,” ammise. “Il reverendo si è raccomandato.”

“Ci abbiamo messo tre quarti d'ora per raggiungere questo posto. Andrà su tutte le furie solo perché l'abbiamo trovato,” si ritrovò a puntualizzare, ottenendo solo uno sguardo indecifrabile in risposta.

“Appunto. Non peggioriamo la situazione.”

Gli pareva di riuscire a sentire il tanfo di un guaio grosso come una montagna che incombeva loro addosso. Non avevano già il dannato pacco che era stato recapitato al dottore? Non potevano semplicemente andarsene a fanculo e seguire l'indirizzo che vi avrebbero trovato all'interno?

“Dovremmo controllare che non ci siano trappole.” Natasha si era fermata ai piedi dei tre gradini che li separavano dal fatiscente portico, guardandosi attentamente attorno.

“Che genere di trappole?” Interloquì Thor.

“Qualsiasi cosa che sembri fuori posto.”

“Prendo il lato destro,” si offrì Clint. Tanto valeva darsi una mossa e assicurarsi di tornare in città prima che il sole calasse. Natasha ne prese atto, procedendo a sinistra.

Non trovarono niente che fosse degno di nota a parte la latrina separata e allontanata di svariati metri rispetto al resto dell'abitazione, come in quelle vecchie fattorie del Sud che si vedevano nei film. Il muschio minacciava di inghiottire l'intera catapecchia da un momento all'altro e i pali che fungevano da fondamenta sembravano marci e pronti a crollare alla minima sollecitazione.

Si ricongiunsero prima sul retro e poi sul davanti, scambiandosi tacitamente i lati per assicurarsi di non aver mancato niente. Thor, che era rimasto ad attenderli davanti all'ingresso, rivolse ad entrambi un'occhiata incuriosita.

“Cosa?” Interloquì Clint, dopo essersi inutilmente sforzato di ignorare il suo sguardo.

“Niente,” scosse il capo. “Mi chiedevo cosa faceste, di preciso, nella vita...”

Nessuno dei due rispose. Natasha tagliò corto, avviandosi su per la bassa scaletta fino ad aprire l'esile zanzariera del portico ed occuparsi immediatamente dell'ingresso.

“Dottor Banner?”

Una sfilza di acchiappasogni di diverse forme e dimensioni, che pendevano dalla tettoia soprastante, attirarono la sua attenzione: non un filo di vento a farli smuovere o tintinnare.

“Il dottore non deve dormire sonni molto tranquilli,” ragionò ad alta voce prima di voltarsi per accorgersi che sia Thor che Natasha erano spariti oltre la porta aperta. “Ma sì, facciamo come fossimo a casa nostra...” blaterò sarcastico, seguendoli all'interno con aria riluttante.

Mille odori diversi gli colpirono le narici nel momento esatto in cui oltrepassò la soglia. L'unico grande stanzone era stato suddiviso in diverse aree con teli variopinti che calavano dal soffitto. Ovunque posasse lo sguardo, mobili tutti spaiati tra loro, tavoli, banconi da lavoro... più che una casa sembrava la fusione di un laboratorio in piena regola con una discarica di oggetti abbandonati. Le pareti erano ricoperte di scaffali ricolmi di boccettine, fiale, barattoli, contenitori di vario genere; l'olezzo di erbe, fiori, essenze e chissà che altra diavoleria ad appestare l'aria pesante racchiusa tra quei quattro pannelli di legno schiacciati tra pavimento e soffitto.

“Che cazzo...” mormorò tra sé. “Siamo sicuri di voler aggiungere lo sciamano voodoo al gruppo?”

“Non è uno sciamano, è un dottore,” ribatté Natasha che stava meticolosamente passando in rassegna ogni singolo oggetto su cui riusciva a mettere mano, probabilmente alla disperata ricerca di un qualche indizio utile. Dalla familiarità con cui procedeva, Clint sospettava fosse abbondantemente abituata a quel genere di cose: Black Widow non era solo versata nel combattimento corpo a corpo (spettacolo al quale, a dir la verità, non aveva ancora realmente assistito e al quale era meglio non pensare se non voleva perdersi in tortuosi lidi fatti di sangue e sudore) o nell'uccidere, ma si intendeva anche di scassinamento, camuffamento di vetture rubate, ricerca di informazioni. Più che di un sicario a pagamento, quello gli sembrava il curriculum vitae di una spia fatta e finita.

“Qualsiasi cosa sia non credo gli farà piacere trovarci qua dentro.”

“La porta non era chiusa.”

“E quindi? Non c'è nessun cartello che inviti gli sconosciuti ad entrare, mi sembra.”

“Prima o poi avremmo dovuto farlo comunque,” si giustificò lei, improvvisamente sulla difensiva. “Non sappiamo neppure quando tornerà.”

“Sei stata tu a dirci di non farlo incazzare o sbaglio?”

“Volete piantarla?” Thor era intervenuto, frapponendosi tra i due con tutta la sua imponente mole. “Il vostro battibeccare non aiuta proprio nessuno.”

“Io faccio quel che cazzo mi pare,” ribatté animatamente.

“Io pure,” intervenne Natasha prima di allontanarsi verso il fondo della stanza.

“Se non altro sono riuscito a mettervi d'accordo,” borbottò Thor tra sé, sollevando quello che aveva tutta l'aria di essere un barattolo pieno di bulbi oculari. “A che serve tutta questa roba?”

“A scagliare anatemi mortali,” gli rispose seccamente, mentre la sensazione di pericolo imminente non faceva altro che crescergli nello stomaco. “Credo che dovremmo uscire.”

Natasha stava esaminando delle bustine piene di erbe e polverine diverse, troppo presa dalla sua perlustrazione per dargli retta.

“Sembra che si diletti di yoga.” Thor aveva lasciato perdere i dettagli più grotteschi per sollevare una delle tante tende improvvisate appese al soffitto, rivelando un tappetino colorato disteso sul pavimento, su cui era stato abbandonato un rosario buddista.

“Come fai a saperlo?” Domandò prima di ricordarsi che non gliene fregava proprio un cazzo e che lo stomaco gli si era praticamente accartocciato su se stesso per il crescente disagio.

“Le ragazze non fanno altro in palestra.”

“Scommetto che ci vai in continuazione.”

“Che cosa vorresti insinuare?” Fu il tono vagamente alterato di Thor a riportarlo alla realtà. Che diavolo stava facendo? Da quando far incazzare la gente per scaricare il proprio nervosismo portava a qualcosa di buono?

“Niente, lascia perdere,” liquidò l'argomento con un brusco gesto della mano. “Usciamo di qui,” insisté.

“Ho quasi finito,” gli fece eco Natasha.

Un boato improvviso sovrastò improvvisamente la sua voce, costringendoli a voltarsi tutti e tre verso la finestra più vicina.

“Cos'è stato?” Chiese Thor, un'espressione contrita a deformargli il volto.

“Uno sparo,” Clint serrò rapidamente la presa sulla tracolla della sacca che aveva con sé.

“Fucile a pompa,” specificò la donna.

“Fucile a pompa?” Quindi riusciva persino a riconoscere le armi a seconda del rumore che facevano gli spari? Ma chi cazzo era Natasha Romanoff?

“Quello che ho detto,” ribadì, superandoli per guadagnare per prima l'uscita. “Dobbiamo uscire di qui.”

“Tante grazie. Non è quello che vado ripetendo da almeno un quarto d'ora,” convenne sarcasticamente, affrettandosi a chiudere la fila.

L'orecchio buono cominciò a fischiare e l'orrenda sensazione che gli aveva preso lo stomaco si concretizzò finalmente in una gelida fitta di terrore: l'albero davanti cui il ragazzino si era seduto ad aspettarli era deserto, di Jonah neppure l'ombra.

Natasha non fece in tempo a scendere quei pochi gradini che li separavano dalla radura che un'ombra nera – che solo più tardi avrebbe riconosciuto come quella di un uomo – arrivò a scaraventarla a terra, bloccandola al suolo col proprio peso. Le avrebbe schiantato il calcio del fucile in piena faccia se Thor non fosse accorso in suo aiuto, afferrandolo di peso per liberarla, senza riuscire tuttavia a disarmarlo.

Clint gettò a terra la sacca, tirandone fuori arco e frecce con movimenti rapidi e concisi.

“Tenetelo occupato!” Gridò, scorgendo solo un misero stralcio di Thor che si gettava di lato per evitare l'ennesimo proiettile... o forse no.

“Sta sparando a salve!” Natasha si era rimessa in piedi, cercando freneticamente la Glock che gli aveva requisito: lo sconosciuto, approfittando del momento di defaillance del gigante biondo, si scagliò nuovamente sulla donna, impedendole di armarsi come avrebbe voluto.

Andiamo, andiamo, andiamo cazzo! Imbracciò l'arco, incoccò la prima freccia che gli capitò sotto mano, approfittando della seppur insufficiente copertura del portico per prendere la mira.

Natasha gli aveva afferrato il fucile con entrambe le mani, ingaggiando una violenta colluttazione: si muovevano troppo rapidamente, ruotando senza sosta dall'una e dall'altra parte, impedendogli di avere una linea di tiro pulita.

Cazzo, Clint. Muoviti. Inspirò a fondo, tentando di convincersi ad agire... eppure l'idea di rischiare di colpire la donna piuttosto che quel cazzo di dottore impazzito, non gli piaceva proprio per niente.

“Vaffanculo,” esalò tra sé, scendendo rapidamente i gradini proprio mentre l'uomo le assestava un glorioso cazzotto nello stomaco, rispedendola sul terreno per direttissima nonostante la resistenza opposta dalla ragazza.

“Stia fermo!” Urlò, tenendolo sotto tiro da distanza ravvicinatissima.

L'uomo si voltò verso di lui, offrendogli un volto allucinato, un'espressione folle negli occhi iniettati di sangue, una smorfia impazzita ad increspargli le labbra.

Natasha, ancora a terra, approfittò del diversivo per sferrargli un calcio nel ventre, costringerlo ad indietreggiare e allontanarsi così da tutti e due.

“Metta giù quel fucile,” lo avvertì, non troppo sicuro di riuscire a trovare traccia della benché minima consapevolezza nel suo sguardo sovreccitato. Indossava una camicia di lino sgualcita sopra pantaloni troppo larghi: la furia gli deformava i tratti del volto, rendendolo più simile ad un animale inferocito che ad un essere umano.

Dopo un misero secondo di stasi assoluta, l'uomo gridò orribilmente con tutto il fiato che aveva in corpo: Clint ebbe la netta sensazione che si stesse preparando al contrattacco. Dottore un cazzo.

Scagliò la prima freccia, ferendolo di striscio ad una mano quel tanto che bastò a fargli mollare il fucile a terra e urlare ancora più forte, fuori di sé dalla rabbia.

Incoccò subito un altro dardo, cogliendo i movimenti di Thor con la coda dell'occhio.

“La prossima volta toccherà alla sua faccia,” aggiunse in tono di scherno, distraendolo solo per pochi secondi.

Riemergendo alle spalle del dottore impazzito, l'ex-pugile decaduto gli abbatté i due pugni congiunti appena sotto la nuca: l'uomo si afflosciò davanti ai loro occhi, privo di sensi.

 

*

 

“Dov'è che hai imparato ad usare quel coso?”

Natasha, che si stava assicurando che i nodi delle corde con cui aveva immobilizzato il dottore reggessero a qualsiasi tentativo di fuga, rialzò lo sguardo prima su Thor e poi su Clint. Quest'ultimo era impegnato a ripulire la punta della freccia che aveva scoccato contro il padrone di casa, un'operazione che sembrava richiedere tutta la sua concentrazione.

“Al circo,” replicò in tono talmente serio da risultare ambiguo.

“Come no.” Thor, seduto su uno sgabello recuperato da chissà dove, si era messo ridere, prendendola come una battuta.

C'era qualcosa, però, nel modo in cui Clint aveva pronunciato quelle parole, la naturalezza con cui gli erano uscite di bocca e soprattutto l'attenzione con cui aveva studiato la reazione dell'altro, che la persuadeva, piuttosto, della sua sincerità. Si limitò a scoccargli una rapida occhiata mentre stava guardando altrove, prima di tornare ad occuparsi del dottore.

“Non ho intenzione di portarmi dietro un pazzo furioso.” La voce assorta di Clint tornò a riempire il silenzio.

“Non ce ne andremo prima di avergli parlato,” decretò lei in tono definitivo, alzandosi per passare in rassegna solo alcune delle sostanze imbottigliate e catalogate nel rozzo laboratorio che occupava quasi tutto lo spazio disponibile nella catapecchia.

“Cosa ti fa pensare che sia in grado di parlare?” Intervenne Thor.

“Ha ragione,” Clint si schierò dalla sua parte. “Sappiamo che sa sparare e urlare come un matto.”

“Non aveva intenzione di uccidere,” obiettò, dopotutto il fucile non era neppure caricato con cartucce vere, “e il reverendo aveva detto di non farlo arrabbiare.”

“E tu non gli hai dato retta,” l'accusò, mentre il gigante biondo tornava a zittirsi e a fingere straordinario interesse per quel poco che si intravedeva attraverso la finestra sbarrata.

“Non credevo che sarebbe passato subito all'attacco,” ribatté, afferrando uno dei tanti barattoli schierati sullo scaffale vicino. Clint scosse il capo senza aggiungere nient'altro: Natasha trovava il trattamento del silenzio più irritante di qualsiasi insulto potesse scagliarle contro. Fece solenne voto di ignorarlo a sua volta.

Svitò il tappo dal contenitore che aveva recuperato, avvicinandosi al dottor Banner, accasciato sul pavimento, contro una delle poche porzioni di parete lasciate sgombre dalle sue cataste di cianfrusaglie.

“Che fai?” Thor, che aveva smesso di far finta di niente, le lanciò un'occhiata sospettosa.

“Lo sveglio.”

Clint sbuffò una risata incredula, senza tuttavia distogliere lo sguardo dalle proprie operazioni.

Natasha li liquidò entrambi con un'alzata di spalle, mettendo i sali ammoniacali sotto il naso del dottore. Bastarono un paio di secondi perché le palpebre dell'uomo cominciassero a muoversi impercettibilmente.

“Dottor Banner?” Trattenne il barattolo in prossimità del suo viso ancora per qualche istante, finché i suoi occhi non si fissarono su di lei, storditi.

“Che... c-che...”

“Va tutto bene,” lo rassicurò, appoggiando i sali sul pavimento, a distanza di sicurezza.

Il dottore fece saettare uno sguardo ancora confuso per tutta la stanza, soffermandosi prima su di lei, poi sui due uomini alle sue spalle. Senza rendersene conto, Natasha trattenne il respiro: era vero che non c'era traccia della follia che aveva scatenato contro di loro solo pochi minuti prima, ma il terrore che riaffiorasse improvvisamente, quando meno se l'aspettava e a dispetto le corde ad immobilizzarlo, era vivo e presente alla base del suo stomaco.

Nonostante fosse stato annunciato dallo sparo, l'attacco l'aveva colta di sorpresa: in altre circostanze non si sarebbe lasciata prendere dal panico, ma il volto inferocito e deforme che si era trovata a qualche misero centimetro dalla faccia senza alcun preavviso, le aveva messo il terrore addosso. Le aveva ricordato uno di quei mostri che popolavano il suo sonno, fattosi improvvisamente reale per far avverare ogni suo più sordido timore. Poteva controllare e raggirare chiunque, volgere qualsiasi situazione in proprio favore, ma tutto il suo addestramento diventava inutile quando si ritrovava ad avere a che fare con soggetti che per loro propria definizione sfuggivano ad ogni logica.

Non aveva alcuna intenzione di concedergli il bis: si sforzò di apparire tranquilla e sicura di sé, perfettamente padrona della situazione.

“Chi siete?” Il dottore stava lentamente prendendo atto delle condizioni in cui si trovava.

“Amici,” mentì, comprendendo che se non fossero riusciti a convincerlo della loro buona fede prima che l'impedimento dei legacci lo mandasse su di giri, rischiavano di dover ricominciare tutto da capo.

“Non ho amici,” il fastidio palpabile nella sua voce. “Immagino che non siate qui per comprare qualcosa,” aggiunse in un soffio, l'espressione altrimenti gentile della sua faccia, velata da un'evidente preoccupazione. Si sentiva in pericolo almeno tanto quanto lei.

“Che genere di... cosa?” Domandò, sperando che farlo parlare potesse contribuire a placarlo preventivamente.

“Sostanze...”

Clint si mise a ridere alle sue spalle. “Spacciatore di droga, seriamente?” Certo, avrebbe solo in parte spiegato perché i loro misteriosi (e sempre supposti) datori di lavoro li avessero indirizzati verso il dottore, ma se non altro lo collocava in ambito più o meno illegale.

“Non sono una spacciatore di droga,” lo corresse pazientemente l'altro, quasi stesse impartendo una qualche lezione ad un allievo riluttante.

“Cosa allora? Antidolorifici?” L'arciere non sembrava aver intenzione di abbassare il tiro.

“Qualcosa del genere,” confermò l'altro. Natasha si accorse del mondo in cui stava respirando, profondamente, come mettendo in pratica delle istruzioni ben precise: probabilmente una tecnica yoga... o qualsiasi altra cosa fosse in grado di tenere vivo il suo autocontrollo. “Ci sono tanti malati per cui non c'è più niente da fare se non... attenuare il dolore.”

“Un buon samaritano, dunque,” l'apostrofò Clint, smettendo di pulire arco e frecce solo in quell'istante.

“Solo un modo per tirare avanti.”

Ecco perché il reverendo si era assicurato che fosse in possesso di denaro contante: all'inizio aveva pensato che avesse a che fare con la mancia da lasciare al piccolo Jonah, ma poteva essere anche un riferimento all'attività illecita di Banner.

“Prendete tutto quello che vi pare,” decretò infine in tono sconsolato. “Non posso fare molto comunque.”

“Ne è sicuro?” Stavolta fu il turno di Thor ad intervenire. “Mi è sembrato perfettamente in grado di badare a se stesso, là fuori.”

“Non ho intenzione di affidarmi all'Altro,” mormorò, stavolta a voce più bassa, appena udibile.

“L'altro?” Il gigante biondo non sembrava aver capito a che si stesse riferendo.

“E' una storia troppo lunga.”

Non ci voleva un genio per capire che il Bruce Banner che avevano davanti in quel momento, non aveva niente a che vedere col pazzo furioso che avevano affrontato nella radura. Il modo in cui si sforzava disperatamente di restare calmo, nonostante la situazione fosse tutt'altro che ideale, le confermava il suo interesse a rimanere padrone di sé, a non ferire chi gli stava attorno.

“Mi faccia indovinare: sdoppiamento della personalità.” Clint aveva il pessimo vizio di dar voce alle conclusioni alle quali lei stessa era appena giunta. “Lo sa che in tribunale non regge, vero?”

“Per quale motivo crede che abiti in mezzo al niente, signor... ?”

“Clint.”

Quale che fosse la vita del dottore prima del ritiro in Louisiana, doveva essere stata sufficientemente degna di nota da attirare l'attenzione di chiunque li stesse contattando. Se valeva la stessa regola in vigore per gli altri, allora anche Banner doveva essersi infilato nei guai con la legge: se per il suo traffico di cure compassionevoli o per la sua particolare condizione, questo non seppe dirlo.

“Bene, signor Clint. Signora... signore,” Banner si soffermò su ciascuno di loro, quasi li stesse congedando. “Se non siete qui per derubarmi, allora vi pregherei di andarvene. Gli ospiti non sono il mio forte... e ancor meno dell'Altro. Vi consiglio di darvela a gambe levate prima che si decida a farmi visita.”

Natasha lo ignorò, avvicinandosi piuttosto lo zaino dal quale estrasse il pacchetto che il reverendo le aveva consegnato.

“E' arrivato questo per lei,” disse, lanciandogli l'involto in grembo.

“Oh, corrieri espresso,” commentò ironico, mentre un sorriso divertito e sarcastico insieme gli si apriva sulle labbra.

“Contiene una chiave, il frammento di quella che ci sembra una mappa e un indirizzo.”

“Ho le mani un tantino occupate al momento.”

Thor si alzò per recuperare ed aprire il pacco, disponendogli sotto il naso i tre oggetti che Natasha aveva appena elencato.

“Pensiamo che qualcuno ci stia invitando a cercarci l'un l'altro... per offrirci un lavoro.”

“Pensate?” Bruce si mise a ridere.

“Per quale altro motivo, sennò?” Si strinse nelle spalle, invitandolo ad illuminarli tutti con una qualche teoria geniale. Era o non era la sua la mente più brillante attualmente a disposizione nei paraggi?

“Non lo so. Per ucciderci? Ingabbiarci? Studiarci? Le possibilità sono infinite.”

“Per ucciderci sarebbe stato sufficiente inviarci pacchetti carichi di tritolo, non di stupidi indizi,” obiettò, sforzandosi di contestarlo il più razionalmente possibile. “Se avessero voluto metterci in gabbia, perché non limitare le ricerche ad un'area ben precisa? Perché farci attraversare mezzo paese? Di sicuro non siamo gli unici fuorilegge degli Stati Uniti.” Scosse leggermente il capo. “Analizzarci... a parte il suo caso, dottore, temo che non ci sia niente di straordinariamente interessante in nessuno di noi.”

Banner rimase in silenzio, studiando attentamente la sua espressione, soppesando una ad una le sue obiezioni. Nonostante l'aria perennemente, educatamente divertita che stava sfoggiando, Natasha era sicura di aver fatto breccia, almeno in qualche misura.

“E' così che siete riusciti a trovarmi?”

“Nel mio biglietto era riportato il suo nome e l'indirizzo di una chiesa.”

“Il reverendo Newlin,” mormorò tra sé, come prendendo atto della catena di causa-effetto che li aveva portati fin lì, nelle viscere della foresta.

“Chiunque ci stia inviando queste informazioni, sa dove trovarci.”

“... e nessuno mi assicura che sarete gli ultimi a farmi visita. E' corretto?” Natasha annuì. “Cosa consigliate di fare?”

“Seguire la pista fino al capolinea.”

“Siete davvero sicuri che sia la scelta più saggia?”

“No,” rispose seccamente Clint alle sue spalle.

“Ma è l'unica che abbiamo,” aggiunse Natasha. “A meno che lei non abbia ancora voglia di scappare.”

Il dottore si rifece improvvisamente più serio e pensieroso: non sembrava ancora del tutto convinto di quella particolare linea d'azione. Le variabili fuori dalla loro portata erano ancora troppe.

“No,” ammise infine. “Di fuggire mi sono stufato. Ciò non toglie che non sia esattamente il compagno di viaggio ideale...”

“L'Altro?” Thor sembrava aver intuito le preoccupazioni del dottore. Banner annuì, mettendosi seduto un po' più compostamente, la schiena schiacciata alla parete retrostante.

“Cosa fa di solito per tenerlo sotto controllo?” Intervenne Clint.

“Medito.”

“E funziona?”

“Non sempre,” fu costretto a riconoscere. “Posso portare con me dei sedativi, ma... rischio di non essere sufficientemente lucido per qualsiasi cosa dovremmo fare.”

Natasha aveva preso a torturarsi il labbro inferiore coi denti, sovrappensiero, mentre Thor posava alternativamente lo sguardo su lei e poi su Clint e ritorno. Nessuno sembrava particolarmente incline ad accettare quella convivenza forzata, tantomeno il diretto interessato.

“Dovrà trovare il modo di fidarsi di noi.” Fu lei ad infrangere una volta per tutte il silenzio carico di disagio che aveva preso a serpeggiare tutt'intorno.

“Lo stai ufficialmente invitando a partire con noi?” Clint non suonava affatto d'accordo.

“Hai un'idea migliore?”

“No, ma se dovesse perdere la testa mentre siamo per strada...”

“Lo sederemo. Giusto dottore?” Si voltò verso Banner in cerca della sua approvazione. L'uomo si limitò ad annuire, in evidente difficoltà: Natasha scelse molto convenientemente di non rilevare la sua incertezza. “Se non gli daremo modo di dubitare, allora non avrà motivo di perdere il controllo.”

La prospettiva non stuzzicava nemmeno lei: il terrore che l'aveva invasa quando il dottore l'aveva scaraventata a terra, aleggiava ancora da qualche parte all'altezza del suo stomaco.

“E' come andare in giro con una bomba pronta ad esplodere,” obiettò l'arciere.

“Non è lui che devo temere o sbaglio?” Replicò astiosamente, fissandolo dritto negli occhi. Dopotutto che importanza poteva avere se la presenza del dottore equivaleva ad andare in giro con una miscela chimica altamente instabile? Non era lui che le aveva promesso di ucciderla.

“Non credo di capire cosa sta succedendo,” borbottò il dottore.

“Lo fanno in continuazione,” Thor suonò esasperato.

Natasha sostenne lo sguardo di Clint finché l'uomo non lo ricambiò con un gestaccio che poteva interpretarsi come un: fa' come cazzo ti pare.

“Allora è deciso.”

“Avrò bisogno di un po' di tempo per fare i bagagli. Portare le mie scorte al reverendo... in caso qualcuno avesse bisogno.”

“Non abbiamo tempo da perdere, doc.” Clint si era rimesso in piedi, non ancora del tutto convinto che fosse il caso di riporre l'arco nella sacca.

“Vi chiedo solo fino a stasera.”

“Non ho intenzione di rimanere in questo posto un secondo di più.”

“Possiamo trovarci da Lafitte dopo cena,” propose. “E' un pub poco distante dalla chiesa,” puntualizzò a beneficio di tutti.

“Da Lafitte alle nove in punto,” precisò Natasha, raccogliendo il contenuto del pacchetto indirizzato al dottore. “Questi li prendo io... in caso decida di non voler niente a che fare con noi.”

“La fiducia prima di tutto.”

“Cerchi di non mandare l'Altro, all'appuntamento,” lo mise in guardia prima di chinarsi a snodare le corde con cui l'aveva immobilizzato.

“Farò del mio meglio.”

Gli lanciò un'ultima occhiata prima di recuperare le sue cose e raggiungere Clint e Thor fuori dalla catapecchia-laboratorio, impedendosi di mettersi letteralmente a correre nel caso l'infelice metà del dottore avesse deciso di tornare a far loro la festa.

“Credi seriamente che si presenterà?” Clint si era fermato a qualche metro di distanza.

“No,” ammise, sovrappensiero. “Ci riposiamo un po', aspettiamo le nove e se ci dovesse dar buca,” si rigirò il biglietto di Bruce tra le mani, “andremo a far visita al signor Steve Rogers.”



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Note:
Premetto subito che riportare la "condizione" di Bruce nell'AU non è stato facile. In pratica diventa Hulk... senza ingigantirsi o inverdirsi. Una sorta di "sdoppiamento della personalità" (che poi sdoppiamento della personalità non è). Mi auguro solo che non sia risultato troppo ridicolo ù_ù Per capire cosa la reso così, però, c'è da aspettare il prossimo capitolo :) e come vedete è già stato annunciato quale sarà il penultimo Vendicatore che incontreremo (e di conseguenza anche l'ultimo)... con calma :P Mentre nel frattempo si delineano un po' meglio i rapporti nel *gruppetto*... (e qui conclude con le chiacchere XD)
Tanti ringraziamenti alla sclerosocia come sempre <3 e a chi mi segue&commenta! Soprattutto: Blackmoody, Frau Blucher, Ragdoll_Cat e fangirl_mutante_SHIELD. Grazie!
Alla prossima!
S.
  
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