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Autore: solomonty    09/10/2014    3 recensioni
Una formula matematica per salvare il mondo.
Tre amici, l'università e un giuramento.
Oliver Queen farà la sua parte.
E che c’entra quel barbuto biondo col cane?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Save the mathematician, save the world



Intro


Quando vide lampeggiare il cellulare con quell’avatar, Felicity Smoak lo lanciò sul letto con un gesto tanto svelto neanche si fosse scottata.
Oh, no! pensò allarmata.
Si affrettò a riprendere in mano il telefonino e, con il cuore che le martellava, rispose con voce quasi stridula.
“Matt?” domandò.
“L’unico e il solo” rispose un uomo dall’altra parte camuffando apprensione.
“Stai bene?”
“Per ora, sì… ma non so quanto tempo ho” fu la risposta preoccupata che il suo interlocutore le diede in tutta franchezza.
Felicity si passò una mano sulla fronte, imperlata di sudore freddo, ragionando il più velocemente possibile.
“Ok… ci vediamo al posto stabilito.”
“Sì… prendo il pullman, magari passerò inosservato.”
“Bene.”
Mentre parlava, Felicity digitò sul portatile la ricerca degli orari e le scappò un soffio di soddisfazione; “prendi quello delle tre e trenta, arriverai domattina alle nove… noi saremo lì ad aspettarti” disse con la voce più tranquilla.
Matthew sospirò e, frustrato, batté la cornetta contro l’apparecchio telefonico un paio di volte.
“Non pensavo che avrei avuto così tanta paura, Fel” gli uscì come un lamento.
“Anch’io ho paura… ma sapevamo che sarebbe arrivato il momento, no?” la voce ancora più sicura, speranzosa di dare a Matt un po’ di carica.
Le arrivò all’orecchio un mugolìo lamentoso e subito dopo una risata.
“Dannazione, è la fine di tutto” disse cercando di essere allegro.
“Pessimista; è l’inizio di tutto, volevi dire” l’incoraggiò Felicity, ridendo dietro a lui.
In un attimo sembrò che il tempo si fosse fermato a quando erano poco più che ragazzi, all'università, compagni di studi, amici per la pelle.
“Questa conversazione è durata fin troppo… stai attento; a domani alle nove” puntualizzò tornando seria.
“Sì, comandante… alle nove” ribadì Matt piuttosto rinfrancato.
“Ti voglio bene” soffiò lei dolcissima.
“Anche io” le rispose lui nello stesso tono.
Appesa la cornetta, Matt tirò via due cavi sottili dalla parte posteriore della tastiera che aveva smontato e li girò intorno a un piccolo apparecchio che aveva in mano; certo, così, non avrebbero mai potuto rintracciare la telefonata.
Sistemò la tastiera al proprio posto e con passo veloce si incamminò per vie secondarie.
 
Era venerdì sera e Felicity se ne stava a casa, a riposare gli occhi e la schiena: passava ore e ore, nella Bat-caverna di Arrow, china sui computer seduta su quella sedia girevole un po’ troppo dura.
Calcolò che non ce l’avrebbe mai fatta da Starling City ad arrivare per tempo all’appuntamento e pensò all’unica persona che poteva aiutarla: Walter Steele.
Non poteva tirare in ballo Oliver o Diggle. Loro non avrebbero approvato e, in cuor suo, era convinta che non le avrebbero creduto. Già li vedeva: agitati e inclini a dirle che probabilmente esagerava. Sicuramente la sua storia pareva incredibile e avrebbe faticato a convincerli. Non solo: anche ammesso che le avessero creduto, avrebbero tentato di prendere in mano la situazione, magari sbagliando, magari, involontariamente, condannando a morte Matthew e questo Felicity non poteva né accettarlo né rischiarlo. In ogni caso, non avrebbero potuto portarla all’appuntamento per le nove.
Girò intorno al tavolo un paio di volte concentrandosi sulle parole da dire a Walter; grugnì e fece scivolare i nomi della rubrica sul piccolo schermo. Trovato Walter spinse il tasto per la chiamata.
“Buonasera, Felicity” rispose lui con il suo tono sempre gentile.
“Buonasera signor Steele, spero di non disturbarla” iniziò titubante.
“Assolutamente, no… dimmi pure.”
“Ecco, ho un grande favore da chiederle… non so neanche come potrò sdebitarmi ma ho bisogno del suo aiuto… subito.” La voce era agitata e Walter si chiese se Felicity ne fosse consapevole.
“Ti sento preoccupata, non vuoi dirmi cosa succede?” il tono disponibile e paterno.
“Ho bisogno di tutta la sua fiducia… non mi chieda nulla, non posso spiegare… devo assolutamente arrivare in un certo posto entro le nove di domani mattina; ho un’urgenza familiare molto grave e non c’è volo che mi consenta di arrivare in tempo” spiegò cercando di calmarsi, o per lo meno, di calmare il suo tono di voce.
Dopo un silenzio che le sembrò durare un’eternità, sentì Walter prendere fiato.
“Potrai prendere l’aereo della mia compagnia, va bene?” domandò gentile.
“Va benissimo, mi verranno a prendere… se non mi aiutasse non potrei raggiungere la mia famiglia… lei è un grande amico, signor Steele… potrà sempre contare su di me; la ringrazio dal profondo del cuore” disse spontaneamente, sull’onda dell’emozione.
Chiuse gli occhi e con una mano sulla bocca riuscì a non piangere e a non far sentire a Walter il suo respiro affannato.
“Non ti chiederò spiegazioni, mi fido di te. Del resto, l’ho sempre fatto… se hai bisogno che l’aereo ti aspetti per il rientro non hai che da parlare con il comandante Grimm*” spiegò affabile.
“Grazie… grazie davvero… a breve le comunicherò la mia destinazione” riuscì a dire con voce ferma, mentre con la manica del pigiama si asciugava una lacrima ribelle che le era scivolata lungo la guancia.
“Ti invierò l’orario… fai buon viaggio, Felicity, e sta attenta” si raccomandò lui.
“Lo sarò… grazie, ancora” rispose e terminò la telefonata.
 
Sospirando raggiunse la cucina e si versò un po’ di vino in un bicchiere.
Aveva la testa piena di idee, di cose da fare e tanta agitazione; molta di più di quella che aveva fatto sentire sia a Matt che a Walter. Sentiva chiaramente l’avvicinarsi di grossi guai e il suo cuore pareva stringersi per la paura.
Mentre beveva inviò i dati che servivano e attese il messaggio di risposta di Walter Steele che le indicava l’orario e il volo e un altro augurio di buon viaggio.
Posò gli occhiali sul tavolo e si strofinò gli occhi; pigiò i tasti del cellulare per comporre un numero e si mise in attesa.
“È ancora vivo, vero?” chiese la voce dall’altra parte, agitata e sottile, senza salutare, senza allegria.
“Certo che è ancora vivo… te la sei presa comoda… sette squilli?” rispose lei ridendo.
“Guarda che è venerdì anche per me… ero rilassato, mi stavo facendo il bagno, sono uscito dalla vasca per venire a rispondere.”
“Vuoi dire che sei nudo e bagnato?”
“No, che vai a pensare… sono vestito e asciutto.”
“Peccato” sospirò allegra, girandosi una ciocca di capelli intorno al dito.
“Certo che sono nudo e bagnato, Felicity… è normale quando ci si fa il bagno… a te non succede di ritrovarti nuda e bagnata? Per la miseria, cosa mi fai dire?” si impappinò cercando di non ridere.
“Adesso ti riconosco… sei il mio quattrocchi malizioso preferito!”
“Quattrocchi sicuramente ma non malizioso… tu telefoni con quel maledetto avatar e mi sconvolgi la vita… fino a cinque secondi fa ero un giovane uomo innocuo che faceva il bagno, eh!”
“Non devi farti il bagno quando ti chiamo.”
“Mandami un messaggio che stai per chiamare e mi faccio trovare pronto… a parte tutto, questa è l’unica telefonata che non avrei mai voluto ricevere da te” il suo tono cambiò, a metà frase, per farsi cupo.
“Arriva domani mattina alle nove, alla stazione dei pullman, al porto; io invece alle otto all’aeroporto” gli spiegò senza perdersi in chiacchiere.
“Ti vengo a prendere, Fel.”
“Perfetto… ma niente musi lunghi, ok? ti voglio sorridente” lo spronò.
“Tenterò… sono spaventato, lo ammetto.”
“Ti capisco, ma mi aspetto qualcosa di meglio da te.”
Eccola ancora una volta a provocare reazioni, con quella vocina convincente.
“Hai ragione… peggio di così non potrebbe andare” bofonchiò lui.
“Ah, benedetti uomini… coraggio, un po’ d’ottimismo: sì che può andar peggio… potremmo morire tutti… ah, ah” e si lasciò andare a una risata, anche se un po’ tesa e amara.
“Non ti sopporto, quando fai così” le rispose andandole dietro nel ridere.
“Ma se mi vuoi un mondo di bene…”
“Tu, un po’ di bene me ne vuoi?” chiese lui rilassandosi un pochino.
“Sì, certo… come a quell’altro” disse entusiasta e chiuse la telefonata; sbuffando appoggiò il cellulare sul tavolo.
Lei era quella scanzonata e buffa, quella che li faceva ridere e distrarre. Lei era quella che mollava lì una battuta, anche nei momenti meno opportuni e loro due, i maschi, giù a ridere come matti.
Felicity Smoak si passò le mani sul viso e tracannò due bicchieri di rosso tutti d’un fiato.
 
Con lentezza piegò le asticelle degli occhiali e li appoggiò sul mobile e quando si infilò nuovamente nella vasca, il giovanotto biondo sprofondò nell’acqua trattenendo il respiro. Muovendo una mano poteva sentire il rumore ovattato arrivare alle orecchie e per qualche secondo si godè quella pace.
Se fosse stato possibile, Eric Beale sarebbe rimasto lì per sempre.

 
 
 






Eccomi con il primo capitolo di questo crossover. È il mio primo tentativo e se prende forma, anche soltanto per un centesimo di quello che ho in mente, mi riterrò soddisfatta.
Mi faccio gli auguri da sola.
Fatemi notare errori e sgorbi e chiedo già scusa per l'enorme ritardo con il quale pubblicherò...
Il titolo è un sentitissimo grazie a "Heroes", una delle mie serie preferite, anche se con questa storia non c'entra niente!
Ciao.
Monty
N.B. Un grazie a Miky, lei sa perché.
*Benjamin J. Grimm, meglio conosciuto come La Cosa, membro fondatore de I Fantastici Quattro, è un pilota militare. Amo Ben… e così, al pilota che porterà Felicity incontro al proprio destino ho dato il suo nome.



Disclaimer: Felicity Smoak, Bat-caverna, Arrow, Walter Steel, Oliver Ollie Queen, John Diggle e Eric Beale non li ho inventati io.


 
  
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