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Autore: Akitabiba    09/10/2014    10 recensioni
Gli Eroi hanno concluso le loro avventure da anni, ma la pace non è destinata a regnare: fra nuovi e vecchi nemici dovranno per l'ennesima volta salvare il loro mondo e ciò in cui credono.
Ma a volte le scelte generano sacrifici, e i nostri Eroi non sanno ancora che il pericolo può essere in agguato dove meno si aspettano di trovarlo.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, N, Nuovo personaggio, Rosso
Note: Otherverse | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Videogioco
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Another Pokémon Story
 
PROLOGO


Il laboratorio di ricerca era pressoché deserto. Il pallido chiarore della luna era l'unica fonte di luce per lo scienziato che, dietro a una delle finestre dell'edificio, scriveva assorto degli appunti su un foglio già molto scribacchiato, con una grafia ora ben curata, ora illeggibile.
Era rimasto solo lui a quell'ora tarda della notte nel laboratorio che fino a pochi mesi prima decadeva su se stesso, ma che lui e altri uomini interessati al Progetto Doppia Vocale, così era chiamato, avevano rimesso a nuovo in poco più di tre settimane. Doveva finire di annotare i risultati ai test eseguiti quel giorno.
I minuti proseguivano lenti ed uno uguale all'altro, l'unico rumore percepibile era il flebile stridere della punta della stilografica sullo spesso foglio di carta, ricoperto da tutte quelle parole in codice di cui una persona normale non sarebbe riuscita a cogliere il senso, tanto meno il filo conduttore.
L'uomo si fermò un attimo, gli occhi rivolti allo scorcio di paesaggio che la finestra permetteva di vedere, pensieroso. Poi tornò a posare lo sguardo sul foglio e ricominciò a scrivere. Si interruppe più volte, e la scena si ripeteva, simile a una nenia cantata dalla madre fino a che il bambino fra le sue braccia non cade addormentato. Monotona, piatta, sempre uguale, come se il tempo si fosse fermato e i soliti minuti scorressero all'infinito, identici.

Nel frattempo, a una ventina di metri dal laboratorio, una figura incappucciata si faceva largo nel bosco, recidendo senza pietà le pianticelle che ostacolavano il suo cammino con il coltello che teneva impugnato con la mano destra. Esso era lungo e lucidato da poco. Una parte della lama era affilatissima e umida di linfa, l'altra seghettata. Un'arma a dir poco letale, soprattutto considerando che colui che la teneva ne aveva già fatto uso in passato e la sua abilità con quel genere di armi era rinomata da molti.
Si fece strada per la selva silenziosamente. Il vento freddo notturno non esercitava alcun effetto su di lui, avvolto com'era in quel mantello pesante, scuro.
Tutti i Pokémon che si presentavano alla sua vista erano per la maggior parte tipi Coleottero, profondamente addormentati sulle cime degli alberi, al sicuro. Poté scorgere comunque alcuni Rattata gironzolare nella radura in cerca di cibo, i loro occhi rossi che spiccavano nell'oscurità.
Finalmente alla sua vista si presentò il laboratorio. Non c'era traccia né di uomini né di Pokémon all'esterno.
-Perfetto!- mormorò compiaciuto, anche se non si sarebbe di certo tirato indietro davanti a uno scontro corpo a corpo, facendo valere così il suo coltello. Non a caso l'arma era soprannominata Piccola Falce. Mieteva vittime.
Quando constatò che le porte del laboratorio scorressero automatiche, aveva già in mente un piano.
-Vai Alakazam- le sue mani agili scelsero senza esitazione la Poké Ball del Pokémon Psico.
-Sai già cosa fare- gli intimò, prima di sparire nel folto degli alberi, per poi sbucare a pochi metri dall'entrata del laboratorio. Veloce come il vento, silenzioso come la morte, che colpisce quando meno ce la si aspetta.
Camminò rasente i muri prestando attenzione che dall'interno nessuno lo notasse. Giunto a una finestra si guardò intorno, poi forzò l'apertura e agilmente si infilò dentro.
A quel punto Alakazam, rimasto nascosto nella vegetazione, chiuse gli occhi. Un'aura violetta lo circondò, diventando sempre più intensa, poi con un gesto del Pokémon essa andò a riversarsi attorno all'edificio, uno scudo di energia psichica che bloccò ogni via di fuga dal laboratorio.
Rimase concentrato in quella posizione, perfettamente immobile, in modo che l'energia non si disperdesse. Ora toccava al suo Allenatore fare il resto.

L'interno dell'edificio era buio pesto, tanto che l'Allenatore di Alakazam dovette estrarre i suoi occhiali per la visione notturna dal mantello. Se li pose sul viso, nascondendo così i suoi occhi azzurro ghiaccio, poi, dopo essersi guardato attentamente intorno, si avviò furtivamente verso la Stanza degli Esperimenti. Si meravigliò di come pochi uomini avessero potuto rimettere a nuovo un rudere in così poco tempo, fermandosi un attimo ad osservare i muri ancora odoranti di vernice e il pavimento nuovo piastrellato, poi però si intimò di muoversi. Strinse ancora più saldamente l'impugnatura del coltello, come se qualcuno avesse potuto strapparglielo dalle mani, poi si avviò per il corridoio silenzioso. I suoi passi riecheggiavano fra le strette pareti, il mantello frusciava sulla sua schiena.
Giunse ad una sala. Vi entrò senza esitazione, tenendo la lama del coltello dritta davanti a sé. Preferiva di gran lunga le armi “tradizionali” a quelle moderne da fuoco, perché, secondo lui, conferivano una morte più dolorosa ai malcapitati che si frapponevano tra lui e il suo obiettivo. Ed eccolo lì, a pochi metri da lui.
La stanza era ampia e senza finestre, un leggero odore di stantio aleggiava all'interno. Per la maggior parte della sua superficie era occupata da macchinari e apparecchi elettronici. In un angolo c'era una gabbia, adatta a contenere un Pokémon di piccole dimensioni, collegata a dei tubi e ad altri piccoli apparecchi, che a loro volta trasmettevano le informazioni a un monitor, ora spento, appeso al muro.
Si avvicinò lentamente alla gabbia, e finalmente nell'angolo più buio di quella piccola prigione lo vide. Se ne stava raggomitolato su se stesso, le orecchie all'ingiù e le piccole zampe tozze a coprirgli il musetto. Aveva un aspetto così indifeso, ma come dice il proverbio, le apparenze ingannano.
Il ragazzo dalle iridi di ghiaccio, che da vicino non avrebbe dimostrato più di sedici anni, si mosse furtivo verso la porta della gabbietta, situata sul lato opposto a quello in cui si trovava. Poi, con un agile movimento del polso, la lama del suo coltello cozzò contro il già fragile lucchetto della gabbia, e facendo leva lo spezzò. Fin troppo facile...
Stava per aprire la piccola porta, quando d'improvviso le luci si accesero, ronzando.
Il giovane si alzò di scatto, levandosi gli occhiali per la visione notturna e riponendoli con un gesto sotto il mantello. Deglutì silenziosamente, nascondendo la mano munita dell'arma sotto il mantello, poi lentamente si voltò.
-Chi sei?- la voce dello scienziato era tutt'altro che tranquilla. Tremava visibilmente, gli occhiali sul suo naso erano appoggiati storti e il camice spiegazzato.
Per tutta risposta, il ragazzo mostrò lentamente il coltello, la lama lucida puntata verso il petto dell'uomo dall'altro lato della stanza.
-No... No!- ansimò quello, intuendo che colui che aveva davanti fosse un assassino.
Il ragazzo sorrise, beffardo, poi lentamente cominciò ad avvicinarsi al malcapitato. Le luci del neon si riflettevano sul coltello e sui suoi occhi inquietanti, mentre la distanza fra lui e lo scienziato, pallido come la morte e immobile, diminuiva, passo dopo passo.
-Non ho nulla da nascondere- esordì il giovane ghignando. -Ho solo ricevuto l'ordine di uccidere chiunque osasse frapporsi tra me e l'obiettivo della mia missione.
Lo scienziato ci mise qualche secondo a realizzare che il ragazzo si riferiva a lui, e ancora meno a capire che probabilmente presto sarebbe morto. Voleva correre, gridare aiuto, ma la sua voce pareva venire soffocata dalla sua coscienza, la quale pareva avvisarlo che anche se avesse gridato, quella notte la sua vita si sarebbe comunque conclusa. Le gambe, dal canto loro, sembravano paralizzate e a malapena riuscivano a reggere il peso dell'uomo.
-Non... non mi uccidere...- riuscì a sussurrare, quasi con le lacrime agli occhi.
Il ragazzo ormai era a pochi passi da lui, il coltello puntato al cuore dell'uomo che ormai sudava freddo e che sperava solo che la sua morte non fosse così atroce. Inclinò la testa, poi con voce melliflua gli spiegò: -Ho bisogno di informazioni sul progetto Doppia Vocale, e sì, ho l'ordine di portare via con me il soggetto degli esperimenti- sembrava quasi divertito mentre con noncuranza faceva dondolare il coltello a una distanza pericolosamente vicina dalla faccia paonazza dell'uomo.
-T... tutti i documenti sono nel cassetto... della scrivania nella stanza... accanto...- balbettò lo scienziato. -Il... il soggetto è lì dentro...- e accennò alla gabbia, -ma ti pregherei di fare attenzione, il suo p... potere non è ancora totalmente controllabile- concluse, sforzandosi di non svenire.
-Molte grazie, prof. Davvero, sono felice che abbia deciso di collaborare- replicò il ragazzo, voltandosi e dirigendosi verso la gabbia che aveva già adocchiato in precedenza.
L'uomo tirò un sospiro di sollievo, ma non riuscì mai a concluderlo che con un sibilo un coltello gli si conficcò nello stomaco. Gridando di dolore lo estrasse, mentre i suoi vestiti si inzuppavano a velocità allarmante di sangue. La mano che lo teneva tremava in maniera incontrollabile. Alzò lo sguardo che già cominciava ad annebbiarsi verso il ragazzo, fermo al centro della stanza e ancora in posizione di lancio, poi di nuovo sulla sua ferita, e ancora sul ragazzo, che si stava riavvicinando con calma per riprendersi il coltello.
-Davvero grazie per l'aiuto, prof. Ma come avrebbe potuto mai pensare che l'avrei lasciato vivo, mh?- ghignò, riappropriandosi dell'arma e ripulendola dal sangue con un lembo del mantello. -E' giusto imparare fin da subito che è meglio non farsi grandi aspettative, perché nella maggior parte dei casi si rivelano false- aggiunse, le sue iridi cristalline parevano più gelide che mai.
Quelle furono le ultime parole che lo scienziato udì, prima di affogare nel suo stesso sangue.

-Ce l'ho fatta, Alakazam- annunciò il giovane al Pokémon Psico, uscendo dalla finestra attraverso la quale era entrato. -Puoi pure disattivare il campo di forza, l'unica persona che c'era nel laboratorio non ha fatto in tempo a fuggire. Piccola Falce fa sempre il suo dovere- spiegò, ammirando la lama del suo coltello risplendere alla luce della luna, il filo ancora leggermente sporco del sangue dell'uomo.
Alakazam con un gesto fece sparire l'aura violetta, poi osservò curioso l'Allenatore e il piccolo Pokémon che teneva fra le braccia, al caldo dentro il mantello scuro, vicino ai documenti rubati riguardanti il Progetto.
-Sì. È lui.- confermò il ragazzo con un sorriso, facendo rientrare nella Ball il Pokémon Psico.
In pochi attimi sparì nel folto del bosco.

“Pronto? Pronto? Rosso, mi senti?!” anche per telefono si riusciva a percepire la voce del Professor Oak piuttosto agitata.
Rosso ci mise un po' a rispondere, provando a indovinare che problema gli avrebbe incaricato di risolvere quella volta il Professore.
-Sì?- rispose con calma, limitando i giri di parole come al solito, desideroso di arrivare subito al sodo.
“Rosso... tu... noi... oh, insomma!” il Professore pareva davvero agitato, tanto da non riuscire a formulare un discorso di senso compiuto.
-Sì?- ripeté Rosso visibilmente scocciato, rivolgendo un'occhiata eloquente a Pikachu, il quale, dal divano della casetta in cui si trovavano, sbadigliò grattandosi un orecchio, annoiato.
“Vedi ragazzo, non so come dirtelo, ma... abbiamo un problema. Un grosso problema.”
   
 
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