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Autore: AriadnesLinon    09/10/2014    3 recensioni
Immaginarie parole di un ragazzo alla ragazza che occupa il suo cuore.
Dal testo:
"Oggi voglio che tu ascolti questa storia.
Parla di me… e di te, che ne sei la protagonista, che lo sei sempre stata.
I tuoi occhi scintillano quando inizio a raccontare…
"
[Storia partecipante al concorso "Vi farò scrivere delle mie coppie preferite" indetto da S.Elric__ sul forum di EFP]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Teddy Lupin, Un po' tutti, Victorie Weasley | Coppie: Teddy/Victorie
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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DISCLAIMER: I personaggi di quasta storia e tutto ciò che è riconducibile al mondo di Harry Potter appartengono a J.K. Rowling - dubito che sarei qua se fossero miei xD

Storia che ha partecipato al concorso “Vi farò scrivere delle mie coppie preferite” indetto da S.Elric__ sul forum di EFP (classificandosi sesta, ahimè xD )~
 
 

Di ieri, di oggi, di te
 


Oggi sono Teddy e sono davanti a te, c’è Londra che brilla e potrei tenerne le luci fra le mani.
So che fa freddo e stiamo tremando, qui affacciati sul Tamigi, so che l’aria è umida e che forse presto pioverà; dammi cinque minuti, e non guardarmi con quegli occhi severi, dammi solo cinque minuti e il tempo correrà. Oggi voglio che tu ascolti questa storia.
Parla di me… e di te, che ne sei la protagonista, che lo sei sempre stata.

 
I tuoi occhi scintillano quando inizio a raccontare…
 

Quando tutto ebbe inizio ero un bambino incuriosito, che stava di fronte ad una te nata da poco.
Avevo appena due anni e i pensieri confusi, pieni di giochi e colori. Non capivo molto del mondo, mi sembrava ancora troppo grande e sconosciuto, però avevo capito che da quel giorno ne avresti fatto parte anche tu. Eri una cosa piccola, un fagottino, ti agitavi tra le braccia di tua madre e ogni tanto le afferravi i capelli con la manina. Bill mi pareva estasiato, come me quando la nonna mi comprava le cioccorane, tutti ridevano e anche loro mi sembravano felici, o forse erano solo matti da legare.
Ad un certo punto Fleur ti tolse il cappellino rosa, e io vidi spuntare sulla tua testa un ciuffo biondo, quasi bianco. Qualcosa non mi convinceva.
« Nonna, ma anche Victoire può cambiarsi i colori? » chiesi allora.
Nonna Meda mi guardò stupita. « No Teddy, ma che dici? » e gli occhi di tutti erano su di me.
Io mi diedi un'occhiata intorno, spaesato, e indicai gli altri uno ad uno.
« Ma i Weasley hanno i capelli rossi! » mi lamentai stizzito.
Allora gli altri si guardarono e scoppiarono a ridere, ma io ero solo un bambino e non riuscivo a capire perché.

 
… Poi anche tu ridi e mi sembra di volare.

Qualche anno dopo ero un bambino coi capelli azzurri, che ti guardava perplesso e pensieroso.
Avevi sei anni e lunghi boccoli color del grano, gli occhi celesti e il nasino all’insù. Te ne stavi seduta per terra, fra i giocattoli, circondata dai tuoi fratelli e cugini; stavi spiegando loro un gioco con la tua vocetta acuta, e tutti pendevano dalle tue labbra… Tutti tranne me.
 « Stai sbagliando, Vì ».
Tu ti girasti e mi fulminasti con lo sguardo.
« Che stupidaggini dici, Teddy? È così » affermasti irritata. Con quell’ espressione altera sul viso ricordavi tanto tua madre, e mi sembrava quasi di vedere i tuoi occhi fiammeggiare.
Cercai di spiegarti che non era come dicevi, che le gobbiglie non si lanciavano in quel modo, ma non volesti darmi ascolto. Mi rivolsi agli altri nella speranza che ti facessero ragionare e allora tu mi allontanasti con una spinta.
« Vattene, ho ragione io, loro sono la mia famiglia e stanno dalla mia parte» mi dicesti in tono sprezzante, «tu non c’entri niente, e hai pure i capelli strani, non puoi giocare con noi ».
Le tue parole furono taglienti, affilate come un coltello, crudeli come una maledizione che finisce dritta al cuore. Lanciai un’ultima occhiata al gruppetto, che ci guardava spaesato e senza fiatare, per poi correre da Harry trattenendo a stento le lacrime.
Ero un bambino con i capelli neri, che con te da quel giorno non giocò più.

 
Hai lo sguardo triste: ci leggo la colpa che ti assale...
 

Poi ero un ragazzino di tredici anni, che ti incontrava mentre salivi sul treno.
Era il tuo primo giorno di scuola; saresti stata la prima della tua famiglia, a parte me che non credevo di farne parte sul serio. La tua agitazione era palese, la ravvisavo nel modo convulso in cui stringevi il manico del baule fra le mani.
Non eravamo mai andati troppo d'accordo, io e te, eppure lo sguardo che mi rivolgesti non appena i tuoi occhi colsero i miei era carico di angoscia e di mute richieste di aiuto. Ti sentisti sperduta allora, non è vero?, tu sempre così perfetta, sempre così bella, sempre così adorata? Tu che eri nata e cresciuta circondata da chi era felice e ti voleva bene?
Avevo uno strano groppo in gola, e un senso di disagio che si faceva più forte  quanto più tentavo di ignorarlo, ma avanzai imperterrito e ti raggiunsi, come se mi volessi fermare. I tuoi occhi, che si erano allargati luccicando di gratitudine e sorpresa, diventarono di ghiaccio quando invece di affiancarti ti superai, negandoti il saluto. Mentre raggiungevo i miei amici, che mi festeggiavano eccitati, avvertii il tuo sguardo trafiggermi fra le scapole; potevo sentire la tua indignazione farsi strada in mezzo alla folla di studenti che salivano sul treno. Improvvisamente decisi che non mi importava: quel giorno ero io quello che aveva una famiglia, e tu eri quella sola; per una volta te la saresti dovuta cavare… per quella volta andava bene così.

 
… un po’ di rabbia, forse, dolore…
 

Qualche mese dopo ero un ragazzo in parte lupo, che non si era mai sentito così solo.
Erano quasi le tre di notte e la sala comune taceva deserta, a parte per me che non riuscivo a dormire; me ne stavo alla finestra, la testa dolorante fra le mani e lo sguardo perso nel cielo.
Quel giorno c’era la luna piena; come ogni mese le mie tempie pulsanti erano lì a ricordarmi che, pur non essendo un lupo mannaro, non avrei mai potuto considerarmi un ragazzo normale.
Un rumore alle mie spalle mi fece voltare, e dal buio spuntasti tu; tra le mani portavi una tazza fumante, che riempiva l’aria di un odore strano.
« Bevi questo, ti sentirai meglio » mi dicesti.
Ti guardai, sospettoso; « o almeno, con papà funziona » aggiungesti in fretta.
A quel punto compresi e accettai la bevanda volentieri. Mentre bevevo, mi scrutavi; chiacchierammo un po’, e mi resi conto di quanto tu fossi diversa, di quanto fossi cresciuta, giovane donna con il volto luminoso, mentre parlavi e ridevi, vezzeggiata dalla luna.
Quando ebbi finito, riprendesti la tazza e ti girasti per tornare nel dormitorio. Ti fermai trattenendoti per un braccio:
« Vì…? »
Il tuo sguardo mi trovò. « Grazie » ti dissi.  
Mi sorridesti, ed io con te: della tua famiglia, forse, per una notte avevo fatto parte anch’io.

 
… speranza…
 
 
Quel giorno, quel fatidico giorno, ero un tifoso eccitato, che guardava la finale del suo sport preferito.
Tu eri lì accanto a me, sulla tribuna, e mi parlavi. Mi parlasti tanto, a lungo, ed io in fondo ne fui contento perché da un po’ mi piaceva passare il tempo con te. Tuo padre ci guardava male, ti rimproverava troppo spesso, alla fine ti prese per il polso e ti costrinse a sederti vicino a lui. Tu sbuffasti, tacesti ma continuasti a guardarmi: il tuo sguardo liquido mi suggeriva che non ti saresti data per vinta in quel modo. Dopo la partita infatti mi fermasti e mi costringesti a scappare, « Andiamo a vedere lo stadio vuoto » mi dicesti all’orecchio mentre mi tiravi.
Al buio del campo la tua mano cercò le mie dita, timida ti accostasti a me ed io ti lasciai fare. La tua bocca tremante sfiorò la mia, in un bacio che un bacio non fu, ma forse tu lo volesti immaginare.
Passammo un po’ di tempo insieme, vicini, ridemmo tanto e ci tenemmo per mano, poi ti accompagnai alla tenda e per salutarti volevo darti un bacio vero; quando però guardai i tuoi occhi, ricolmi di speranze e di voglia di promesse, mi sentii strano e fuori posto e ad un tratto non volli baciarti più. Tu ci provasti ma io mi scansai, mi chiedesti quale fosse il problema e io non sapevo risponderti, sapevo solo che volevo andarmene e che non riuscivo a restare.
Il rumore del tuo schiaffo disse più delle parole che mi negasti, quando ti voltasti e rientrasti nella tenda, ferita.
Mi dispiacque tanto, Victoire, spero che tu mi abbia perdonato, ma io le promesse ancora le odiavo e non avrei potuto farle neanche a te.

 
… E poi la colpa ce l’ho io e a te il ricordo che fa male.
 

Quando il destino bussò alle porte, qualche tempo dopo, ero un qualcuno che contava ben poco, uno dei tanti che affollavano Hogsmade e le sue strade innevate; qualcuno che camminava da solo, con la strana voglia di scorgere una chioma bionda tra le teste chine contro il vento dei passanti infreddoliti.
Ed infatti alla fine vidi la tua sagoma affusolata stagliarsi da lontano.
All’improvviso divenni qualcuno che non aveva capito niente, quando ti vidi stringere la mano di un altro e sentii il cuore sgretolarsi pian piano.
 

Poi il sorriso ti torna: hai capito dove voglio arrivare…
 

L’estate che seguì ero  un ragazzo seduto sulla spiaggia, che stava fermo ad osservare il mare.
Quell’anno eravamo tutti a Villa Conchiglia. Ero felice, perché il tempo era splendido ed io avevo sempre amato il sole, perché adoravo giocare a Quidditch con i grandi e passare il tempo con i miei cugini. E poi ero felice perché, fra tutti gli altri, c’eri anche tu.
Eri a qualche metro da me, che tenevi Lily fra le braccia; prendevate la rincorsa e vi lanciavate fra le onde.
Eri bellissima: la tua pelle dorata riluceva, e il tuo corpo sinuoso si muoveva al ritmo del mare; i capelli schiariti dal sale erano selvaggi, sparsi sulla schiena, e accarezzavano le spalle in un ipnotico ondeggiare.
Il mio sguardo scivolava sulle tue gambe, sulle gocce d’acqua che ti decoravano le cosce, sul  bikini bianco che si sposava col colore della tua pelle; poi risaliva, accarezzava la tua pancia abbronzata, sfiorava la forma delle costole e il profilo delle clavicole, fino ad indugiare sulla dolce piega del tuo seno.
Sentii i capelli rizzarsi sulla nuca, ma vederti muovere mi distraeva; in quel momento Lily mi notò e ti chiamò:
«Vivì, c’è Teddy che ti fissa! Guarda, ha la testa fucsia! »
Mi affrettai ad annerire nuovamente la mia chioma spettinata, ma tu avevi fatto in tempo a vederla e mi stavi ancora guardando. Avvertii  un formicolio nella parte alta dello stomaco.
«A me piacciono anche così, tesoro» ti sentii rispondere da lontano.
Avvampai e scostai lo sguardo, confuso. Mi portai una mano alla testa: pensai che presto mi ci sarei dovuto abituare, a quel colore così strano.  

 
… agli sguardi silenziosi…
 

Poche ore dopo ero la persona più felice del mondo, che finalmente ti stringeva fra le sue braccia.
Accarezzavo il tuo viso, il profilo liscio della tua mandibola e le labbra che si arricciavano invitanti e piene. Che ci fai qui, come ci sei arrivata? Perché sei scappata da tutti e ora sei qui con me, a pochi passi dal mare?
Me lo chiedevo ma in realtà non mi importava, perché a quel punto tu ti alzasti in punta di piedi e mi regalasti un bacio.
Io mi persi, in quel bacio, e mi lasciai attraversare dai brividi di piacere. Ti baciai sulla bocca, giocando con la tua lingua, baciai il tuo collo che si inarcava leggero, scostai la bretella del tuo costume per baciare finalmente quella pelle liscia che profumava di mare. Poi tornai alla bocca, ti baciai e sapevo che avrei dovuto andarci piano, che non c’eravamo solo noi e che la casa era affollata, ma sapevo anche che non avrei saputo resisterti di più. Non resistetti, perché il tuo corpo contro il mio era caldo, gentile, e il morbido peso delle tue braccia attorno al collo mi infondeva ancora più voglia di te.
La tua bocca invece era fresca, tu eri fresca, così bella e pulita, sapevi di sole e aranciata e della lavanda che tua nonna mette nei cassetti degli armadi. Sapevi di te, ed io volevo che tu fossi tutta per me.
Però non in quel momento, non in quel luogo; non in quel modo.
A quel punto mi staccai - sapessi la fatica che ho dovuto fare - e ti sorrisi; indicai il mare, che occhieggiava dalla finestra socchiusa dal vento: una passeggiata, forse, altri baci?
Tu annuisti e mi prendesti per mano, ce ne andammo lontano, a guardare il tramonto e a scoprire cosa saremmo stati d'ora in poi, se saremmo stati "noi".

 
… Ad una notte con troppe stelle e ai sogni in riva al mare.


Ero invece un ragazzo un po' triste, quel primo di settembre, che ti doveva salutare.
Eravamo a King's Cross, nascosti dal vapore della stazione. Intorno a noi la gente si accalcava, si abbracciava, si salutava, spingeva carrelli pieni di bauli rigonfi che sembravano pronti a scoppiare, mentre il verso stridulo dei gufi si mischiava all'odore di fumo.
Noi ce ne stavamo lì, stretti l'uno all'altra, senza sapere cosa dire. Sapevamo che in pochi minuti ci saremmo dovuti separare: tu avresti preso quel treno, che ti avrebbe portato via da me, mentre io sarei rimasto a Londra a fare la gavetta e a faticare.
Mi sembrava impossibile che quello fosse lo stesso posto, che tu fossi la stessa di sette anni prima; eppure, quella volta, invece di ignorarti ti tenevo fra le braccia, e non ti negavo il saluto ma avrei fatto di tutto per poterlo prolungare.
« Promettimi che mi verrai a trovare ».
« A Hogsmade, te lo giuro ».
« Tutte le volte che te lo chiederò? »
« Tutte quelle che vorrai. E comunque, c'è sempre il passaggio segreto! Sono sicuro che Fred e Louis lo usino per le loro scorpacciate! »
Tu ridesti, ho sempre adorato la tua risata, ti fa tornare bambina. « Mi mancherai, Teddy. Da morire » mi dicesti, e nella dolce morsa del nostro abbraccio potevo sentire il tuo cuore pulsare.
« Anche tu, Vì, sempre ».
Presi il tuo volto fra le mani e ti baciai, cercando di imprimere in quel gesto tutto l'amore che non ti riuscivo ancora a dire.
Avevo gli occhi chiusi, stordito dalle tue labbra incastrate alle mie, quando ti sentii sussultare e mi scansai preoccupato.
Ma tu stavi solo ridendo, ancora. Mi indicasti il binario. « James ci ha appena visti ed è scappato dagli altri » mi avvisasti.
Imprecai, irritato: questa non ci voleva.
« I tuoi capelli sono diventati… violacei », constatasti.
Io mi toccai la testa, « Blu, credo. Come la paura, “fifa blu”, hai presente? »
« Prima o poi dovremo dirglielo, lo sai questo, vero? », il tuo viso aveva assunto un’espressione strana. Temevi forse che io mi vergognassi di te?
« Certo, ma tu tieni d’occhio gli annunci, mentre sarai a scuola », mi guardasti incuriosita, « Sai, temo che mi ci dovrò trasferire, a Hogsmade... per scappare da Bill, quando lo verrà a sapere! »
La tua risata mi avvolse un'ultima volta e poi i pensieri scivolarono via come il colore dai miei capelli, portati via dal sapore afrodisiaco dei tuoi baci.
 
Ti prendo le mani e quasi non ci credo: tutto questo è reale…
 

Quella notte non fui niente: quello che ero l’avevo dimenticato.
Sapevo di essere lì, nella mia nuova casa, e sapevo che c’eri anche tu, premuta contro il mio petto. Eppure non comprendevo altro: vagavo, perso nel tutto, in una felicità delirante che non mi sapevo spiegare. Ero immerso, fino all’ultimo atomo, in qualcosa di più grande che mi avvolgeva e che aveva il tuo sapore, il tuo profumo, che aveva la forma affusolata delle tue gambe strette al mio bacino. Mi mischiai a te, ci mischiammo, pelle sulla pelle e ossa e denti e baci che mandavano la tua anima a sbattere contro la mia.
Pensai che forse avremmo potuto scordarci di tutto, e stare così per sempre, io e te.
O forse quella notte sarei scoppiato per la gioia e gli altri si sarebbero chiesti che ci facevano tutti quei fuochi d’artificio nella mia stanza.

 
… e per la nostra storia così grande non può esserci altro finale.
 

Ed eccoci arrivati a questo giorno, alla fine.
Oggi sono solo io: sono qualcuno che ha vinto, che ha l’onore di poterti tenere per mano.
Sono un semplice ragazzo, che sta di fronte ad una ragazza e le sta chiedendo di amarlo…1 per sempre.
Perché è oggi, proprio oggi, che mi inginocchio ai tuoi piedi.
« Victoire, vuoi sposarmi? »
Tu mi guardi negli occhi e non mi rispondi nemmeno, non mi rispondi perché ti lanci tra le mie braccia e mi copri la bocca di baci. Ci ho messo tanto a capirlo, forse ancora di più a fartelo capire, però la verità è che ti amo da impazzire e non me lo so spiegare. Ti dico anche questo, guardando i tuoi occhi azzurri che si gonfiano di lacrime, piano.
« Sì » mi dici soltanto, e sei così felice che mi sembra sia tu ad irradiare tutta questa luce, mentre dietro di noi Londra scintilla nel buio della sera.
Ci baciamo, con tutto l'amore che abbiamo, fino a perderci l'uno nell'altro, fino a rimanere senza fiato.
« Victoire Lupin.. Non suona troppo bene » mi fermo per ansimare contro il tuo orecchio.
Tu ridi, il tuo respiro vibra sulla mia guancia e si muta in brividi lungo la spina dorsale. Le tue dita sfiorano la mia nuca mentre mormori piano:
« Almeno, d'ora in poi, tutti i Weasley avranno i capelli rossi ».



 
 
1citazione del film “Notting Hill”.
 

 Note dell’autrice: Fluff, fluff, fluff e ancora fluff!
Su questa storia ho riflettuto molto, davvero; all’inizio era completamente diversa e solo alla fine mi è venuto in mente di aggiungere le frasi in corsivo, così da legare meglio il tutto. Volevo scrivere una storia dolce, e invece credo che ne sia venuta fuori una terribilmente melensa; spero che non vi faccia venire troppe carie ^^
Amo questa coppia, dal profondo del mio cuore, e quindi ho voluto regalare a Teddy e Vì una serie di momenti speciali; la maggior parte di questi sono inventati, tranne due. Comunque, per amor di correttezza, ora ne spiegherò qualcuno.
  • Anzitutto, la scena del mal di testa e della luna piena è pura e semplice invenzione; forse può suonare strano, ma io ho sempre pensato che Teddy avesse ereditato una piccola parte dello stato del padre, che come ben sapete aveva temuto di trasmettere la sua licantropia al figlio. Victoire, invece, è figlia di Bill, e conosce bene i malesseri che possono derivare da tale condizione: l’ho trovato un match perfetto. Per quanto riguarda la pozione, invece, ho pensato che si potesse trattare di una versione blanda della pozione antilupo.
  • La parte della coppa del mondo è ripresa dallo scritto rilasciato dalla Rowling, ovvero l’articolo di Rita Skeeter. Qui la giornalista scrive che Teddy e Victoire sono visti “snogging”(pomiciare) tutto il tempo: io credo invece, dal momento che Victoire aveva appena 14 anni e che, secondo la scena finale del settimo libro, i Weasley-Potter non sapevano nulla della relazione, la Skeeter abbia semplicemente gonfiato il tutto. Quindi, spazio alle interpretazioni!
  • La scena del saluto a King’s Cross è, ovviamente, ripresa dall’ultima scena del settimo libro.
 
Credo, più o meno, di aver detto tutto. Per qualsiasi chiarimento non esitate a chiedere e, ovviamente, una recensioncina fa sempre piacere ^^
Spero che la storia vi sia piaciuta!
Un bacio,
~ Ari
 
  
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