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Autore: WeWillWin    09/10/2014    0 recensioni
Un amore "finito" che tenta di riprendersi ciò che è suo.
Lo dicevano che gli amori profondi finiscono per distruggersi e perdersi. Ma è davvero così? Io non credo si perdano mai veramente.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il sogno dura finché lo insegui.


 

 

Le fiabe cominciano tutte con un sognante ❝c'era una volta..❞, ma non questa.
Questa è una storia molto più semplice, senza principe e castello, solo con tre case, tre persone e troppi pensieri.

Tutto iniziò dalla fine.
La fine di un amore troppo profondo e disperato per sparire così.
Emma, distrutta da un amore apparentemente finito, era costantemente preda di un vortice di ricordi e sogni troncati.
Aki, indecisa se seguire il cuore o la mente.


Era un giorno di pioggia di inizio Gennaio, estremamente stressante per Aki la pioggia, forse avevano ragione quelli che le avevano dato delle meteopatica.
Distesa sul letto a sfogliare pagine Tumblr, il rumore della pioggia sulla finestra la distrasse un attimo, riportandola al primo incontro con Lei.
"Hanno messo pioggia." Le aveva scritto la sera prima, sotto consiglio della madre. Invece non era caduta una sola goccia. Non mentre erano insieme. La pioggia aveva cominciato a cadere copiosa solo una volta che il tempo le ebbe separate.
Ora, quella pioggia era tornata e con lei quella strana malinconia di averla lontana. La storia con Lei non era mai stata facile o banale, il contrario: era proprio una storia da raccontare ai nipoti per spiegare l'Amore; se solo fosse durata.
Le due continuavano a scambiarsi messaggi, a volte litigavano ed altre si consolavano. Forse proprio questo a volte le impediva di pensare che fosse finita davvero. A differenza di Emma, Aki non lo metabolizzava.
Una fitta al cuore ed una alla tempia. Un'idea, avrebbe messo tutto a posto. O almeno così sperava.
I pensieri spingevano il tempo, che passava veloce; era ormai ora di pranzo. Dopo essersi preparata, aver preso più soldi possibili e aver liquidato il pranzo con i genitori con uno schietto ❝Sono fuori a pranzo, a dopo.❞ uscì di casa con una meta precisa, casa di Emma.
Fece due piccole tappe, che le presero un po' di tempo, ma poco dopo era su un treno diretto da Lei.
La mente invasa dalle preoccupazioni: sua madre l'avrebbe accolta come avrebbe fatto una volta? Prima che distruggesse sua figlia? Sua sorella l'avrebbe sostenuta, o l'avrebbe cacciata senza nemmeno darle la possibilità di parlare con Lei? E Lei, come avrebbe reagito? Le sarebbe andata incontro o l'avrebbe respinta?
Non avrebbe biasimato nulla, ed anche gli insulti non sarebbero stati affatto fuori luogo, ma in fondo sperava che il suo gesto venisse apprezzato e che capissero tutti quanto il pentimento e i rimorsi l'avessero lacerata.

Tra una canzone dei Nickelback, una lacrima ed una carezza alla busta che portava tra le mani, giunse alla stazione.
Un cambio, il terrore.
Tutto sommato se la cavò, e in una mezz'ora giunse alla sua stazione.
La strada per casa di Lei ormai la sapeva a memoria, prima a destra, seconda a sinistra, prima a sinistra. La rosa nel tragitto aveva perso un po' di splendore, e la carta della busta si era un po' sciupata per il sudore delle mani impazienti di stringere le sue.
Arrivò sotto casa e per un attimo le mancò il coraggio di ricordare a tutti loro di essere ancora viva, ma riflettendoci un attimo, si convinse del fatto che dopo tutto quel viaggio mandare tutto all'aria sarebbe stato privo di senso. Si avvicinò al citofono, e timidamente premette sul bottone corrispondente al suo cognome. Dopo qualche secondo di attesa, che le parse quasi un'eternità, una voce familiare le invase le orecchie con uno svogliato:
《Chi è?》
Senza dubbio sua madre. Che avrebbe dovuto fare ora? Camuffare la voce? Andarsene? Uscire allo scoperto? Presa dal panico, si schiarì un poco la voce, poi fece:
《Emma?》
《Non c'è. Chi la cerca?》Il tono era duro, scontroso, che l'avesse riconosciuta? Pregava di no, mentre un'espressione di delusione le dipinse il volto.
《Grazie lo stesso.》L'unica cosa che riuscì a dire, con un filo di voce, sull'orlo del pianto. Infilò la testa dentro, e ripose la rosa, insieme alla busta, nella cassetta della posta. Vi aggiunse un biglietto: "Sono in stazione, sulla nostra panchina. Io ti aspetto, ma non ho molto tempo." Scritto di fretta, la calligrafia quasi illeggibile, senza firma, era certa che Lei avrebbe capito.
Con passo svelto si diresse alla panchina, e vi si sedette, con lo sguardo basso. Le due panchine di fianco erano vuote, d'altro canto a quell'ora nemmeno gli anziani senza pudore e le nonnine con i cani sono in giro. Quasi le scappò un sorriso a quel pensiero. Ricordava bene il giorno passato lì, erano già così vicine al doversi salutare. Senza che se ne accorgesse qualche lacrima evase dai suoi occhi, cadendo sul terreno che poco prima aveva calpestato. Loro sarebbero potute restare lì ad aspettarla, lei no. Poche ore e avrebbe dovuto prendere il treno, o i suoi si sarebbero preoccupati.
Mentre gli intervalli tra una lacrima e l'altra si facevano più brevi, una voce la distolse da quel pensiero. Sollevò lo sguardo e se la trovò davanti, non sorrideva. La guardava in silenzio, con il viso scavato dalle troppe lacrime versate per lei e per quella decisione troppo affrettata e troppo egoista. D'improvviso tutto questo le sembrò incredibilmente sbagliato, non avrebbe dovuto andare da Lei, non avrebbe dovuto tornare nella sua vita. Un incrocio di sguardi, tra i più imbarazzati che si siano mai scambiate. Un minuto dopo Emma aveva posato le labbra sulle sue, e tutti gli sbagli si annullarono. Fu un bacio leggero, breve, ma pieno di scuse e tempo da recuperare.
《Mi dispiace.》
《Ti amo.》
《Ti amo anch'io.》
I loro sguardi si fecero più dolci, le loro mani più vicine. Nessuna delle due aveva il coraggio di fare una mossa, ma entrambe erano sollevate e felici di essere insieme. Uno sguardo all'orologio e una fitta allo stomaco. Meno di un'ora e avrebbe dovuto prendere il treno per tornare a casa.
《Hai visto cosa ti ho portato?》
《No, ho letto il biglietto e sono corsa qui, cos'era?》
《Nulla di speciale, lo vedrai dopo.》Disse con voce flebile, come se da un momento all'altro dovesse perderla. Le sarebbe piaciuto vedere la sua reazione, ma averla accanto era abbastanza.
Si decise e la prese per mano, la portò dentro alla stazione, e si sedettero su una panchina all'interno, vicino al binario che a distanza di poco le avrebbe separate di nuovo. Si attaccarono, le gambe di Aki sulle ginocchia di Emma, e le loro labbra fuse, confuse insieme.
Si dissero poco, quasi nulla. Ma erano insieme e le parole erano superflue, lo erano sempre state.
In meno di quanto potessero immaginare il treno era lì che frenava, al solo annuncio entrambe sprofondarono nella malinconia, già distrutte dalla mancanza dell'altra.
Aki voleva farle capire che sarebbe rimasta, le asciugò una lacrima col pollice, posandole un leggero bacio sul naso.
《Ti scrivo appena salgo, e tu non piangere.》Sapeva benissimo che nel tragitto avrebbe rischiato di annegare nelle lacrime, ma tentar non nuoce. Emma non disse niente, sembrava ripetersi di resistere, ed Aki non sembrava intenzionata ad obbligarla a parlare. Continuò.
《Ti amo.》Sussurrò arrossendo, esprimersi era sempre stato un problema per lei, ma sentiva che in quel momento era necessario un piccolo sforzo. Spuntò un lieve sorriso sul volto di Emma, prima che scoppiasse di nuovo a piangere, al rumore dei freni assordanti del treno. Non dissero altro. Aki le posò un bacio sulle labbra, poi si voltò e fece qualche passo verso i binari.
《Ehi!》Fece la voce di Lei per fermarla. Era tremante, ed Aki aveva paura che non avrebbe avuto il coraggio di salire se l'avesse vista così. Nonostante ciò, si voltò verso di Lei e si sforzò di rivolgerle un sorriso, come per consolarla.
《Ti amo anch'io.》Disse Emma, ormai rassegnata a ciò che le aspettava. Ricambiò il sorriso, poi si avvicinò alla linea gialla, osservando il suo treno allontanarsi.


Emma, una volta tornata a casa, quasi su una canoa dalle tante lacrime cadute, si fiondò sulla cassetta della posta, l'aprì impaziente e ne tirò fuori il contenuto: una rosa triste ed assetata, ed una busta. Annusò la rosa e sorrise, poi la posò sopra alla cassetta, estraendo la busta. Aveva quasi paura di venire a conoscenza del suo interno, ma la curiosità era troppa per essere messa a tacere.
Aprì lentamente la busta, e allargandone lo strappo intravide un'immagine quasi caraibica, una foresta, qualcosa di caldo e lontano. La curiosità aumentava insieme al tremore delle ginocchia. Estrasse i tre pezzi di carta. Due biglietti aerei, sola andata. Destinazione: Madagascar.
Il terzo foglietto, qualche riga scritta a mano, con una cura minuziosa. ❝Andremo qui, la prossima volta che ci vedremo?❞
Sorrise tra le lacrime.
《Sì.》Sussurrò.

 

   
 
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