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Autore: Monijoy1990    10/10/2014    1 recensioni
Questo racconto rappresenta il proseguimento di "Love story". Quindi invito chiunque non lo abbia letto a farlo prima di iniziare.
Roberto è un ragazzo arguto e intelligente con un futuro già scritto a lettere cubitali nel suo destino e un sogno in minuscole chiuso in un cassetto. Avvocato, dottore o ingegnere questo ciò che vorrebbero i suoi genitori per lui. Ma cosa vuole davvero Roberto? Diventare un cantante. Così il Giappone diventerà la sua strada e la Kings Record la sua meta. Durante il suo viaggio verso il successo il destino gli tenderà tante sorprese improvvise. Riuscirà grazie alla sua arguzia e al suo buon cuore a superare le sue insicurezze? Tra triangoli amorosi e amicizie inaspettate, sarà in grado di realizzare il suo sogno? Troverà la sua strada?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO 2

Un addio bagnato dai rimorsi?

































Roberto e Marika erano seduti sotto la grande quercia che con la sua maestosa chioma li proteggeva dai caldi raggi solari. Quel giorno Roberto aveva promesso all’amica un regalo speciale e di certo non si sarebbe tirato indietro proprio in quel momento. Nel giorno del suo diciannovesimo compleanno le avrebbe regalato la sua prima confessione d'amore. 
«Beh, dov'è il mio regalo?» chiese lei impaziente spostandosi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. Roberto le sorrise divertito tirando fuori dalla custodia blu la sua chitarra nuova di zecca. Poggiato al fusto di quell'albero secolare, iniziò ad accordarla con cura. Dopo aver terminato quell'inevitabile operazione, prese il plettro blu dalla tasca dei suoi jeans e iniziò a suonare.
Una melodia nostalgica, ma allo stesso tempo straordinariamente coinvolgente, li avvolse. Era come un lamento flebile e leggero, simile a una supplica silenziosa capace di giungere senza scorciatoie dritta all'anima. C'era così tanta sofferenza e amarezza in quella musica, che avrebbe toccato anche il cuore più avverso. Non vi era traccia di quella tristezza che distrugge, ma al contrario era piena di quella che risana e consola. La stessa che proprio quando le cose vanno male, ci aiuta a lottare e a non abbandonare il campo di battaglia. Il cuore di Marika si riempì di quel dolore così profondamente da non poter impedire che lo stesso straripasse dai suoi occhi. Roberto s'interruppe immediatamente, avvicinandosi all'amica.«Tutto bene?» le chiese in apprensione trascinandole via con una carezza leggera le lacrime dal viso teso e preoccupato.
Marika ammutolita continuava a fissarlo, impreparata ad accogliere quel gesto inatteso. Era la prima volta che Roberto suonava davanti a qualcuno che non fosse Salvatore. Il fatto che avesse deciso di esibirsi per la prima volta proprio davanti a lei doveva rappresentare molto per lui. Nel profondo, Marika sapeva il perché di quel gesto. Il suo migliore amico, nonché l'unico ragazzo che avesse amato fino a quel momento, voleva lasciarle un ricordo speciale prima di sparire dalla sua vita. Seppure fosse onorata di essere la sua prima spettatrice, dall'altro quel dono portava con sé anche l'amarezza di un addio inevitabile. Quanto tempo restava ancora? Due, tre, forse, nella migliore delle ipotesi, quattro mesi, poi avrebbe dovuto dirgli addio a testa alta senza piangere, senza cedere. Avrebbe dovuto rinunciare a lui perché lui potesse realizzare il suo sogno. Un giorno entrata nella sua camera aveva scoperto quel dannato passaporto sotto il suo cuscino. Da quel momento, ogni notte, non aveva chiuso occhio ripensando al momento in cui Roberto lo avrebbe usato per andare via da lei. Seppure non le avesse confermato nulla, era sicura che sarebbe partito dopo il diploma.
Guardarlo negli occhi ogni giorno, conoscendo quella disarmante verità  e non avere la possibilità di fermarlo era davvero straziante. Fingere di non saperne nulla era la parte più difficile.
Quella mano che adesso le asciugava dolcemente il viso non sarebbe più stata lì per lei. Più avvertiva la preoccupazione dietro quel gesto e più quel contatto le diventava insopportabile. Distolse lo sguardo nella speranza che lui non vi leggesse alcuna debolezza. Non era abituata a piangere, aveva un carattere forte e sicuro. Quei momenti di fragilità  non erano da lei. Ma al contrario dei suoi gli occhi di Roberto non cedettero neanche per un secondo, ma continuarono a fissarla senza perderla di vista.
Nel silenzio dei loro pensieri, entrambi erano consapevoli che momenti come quello non sarebbero durati ancora per molto.
Roberto non riuscì a frenarsi oltre. Non poteva sopportare di vederla piangere per colpa sua. Quell'addio imminente era davvero troppo doloroso per entrambi. La tirò a sè disperatamente come si fa con un sogno a cui non si vuole rinunciare.
La loro immagine non era altro che questo, un bellissimo sogno destinato a scomparire con le prime luci del mattino. Per quanto avesse lottato cercando di trovare il modo di vivere tra quel sogno e la realtà , il momento di aprire gli occhi era arrivato. Se voleva realizzare il suo sogno avrebbe dovuto rinunciare a Marika. Tutto ha un prezzo e il suo sarebbe stato quell'amore. Ma prima le avrebbe confessato i suoi sentimenti.
«Roberto...» gli sussurrò lei con una voce sommessa e insicura provando ad allontanarsi. Roberto però la trattenne ancora tra le sue braccia, questa volta con più forza. Non voleva rinunciare a quei momenti, al profumo della sua pelle candida, al dolce aroma di vaniglia dei suoi capelli colore del grano e ai suoi occhi profondi e fieri. Marika sarebbe stata l'unico amaro rimpianto che avrebbe portato con sé in Giappone. Dopo averci pensato per mesi, aveva preso la sua decisione. Sarebbe andato a vivere a Tokyo da suo nonno paterno. L'atmosfera che si respirava in casa sua era diventata troppo opprimente e lui era stanco di lottare contro le continue imposizioni di suo padre.
In passato aveva spesso preso in considerazione l'ipotesi di partire per il Giappone, ma la stessa, fino a quel momento, era rimasta solo una possibilità remota chiusa e sigillata in un cassetto. Adesso invece, che la situazione era degenerata, quell'ipotesi era divenuta la sua unica via di salvezza. Ciononostante l'idea di dover dire addio per sempre a Marika era davvero troppo dolorosa. Forse anche per questo non aveva trovato  il coraggio di confessarle le sue intenzioni. Con la tristezza nel cuore era arrivato alla conclusione che se voleva realizzare i suoi sogni non gli restava altra scelta che andare via di casa. Dolcemente l'allontanò esaminandola una seconda volta intensamente, cercando di trarre da quel momento tutte le forze necessarie per essere sincero con lei.
Era arrivato il momento di tirar fuori quella verità che per anni aveva taciuto per paura di ledere la loro amicizia.
«Marika devo confessati una cosa. Ho deciso di partire per il Giappone. Non nell'immediato, ma subito dopo gli esami. Non credere sia una decisione operata con leggerezza, in realtà  mi sono torturato giorno e notte prima di decidere. Alla fine sono arrivato alla conclusione che non c'è futuro per me in questo paese. Oggi ho voluto suonare per l'unica ragazza che non vorrei mai deludere. L'unica a cui tengo veramente. Se dobbiamo vivere al meglio questi ultimi mesi che ci restano prima della mia partenza, devo confessarti tutto quello sento, o almeno devo farlo prima che il nostro tempo finisca e prima che mi venga a mancare il coraggio di farlo. Non voglio andare via pentendomi di aver taciuto come un codardo».
Alla ragazza venne a mancare il respiro mentre gli occhi si spalancavano per quella dichiarazione improvvisa.
“Che anche Roberto provi i miei stessi sentimenti?" pensava la ragazza con le lentiggini incredula stringendo una mano all'altezza del petto. Era arrivato finalmente quel momento. Ma era davvero pronta a trasformare la loro amicizia in qualcosa di più? Era preparata a gestire l'idea che la loro storia non sarebbe potuta durare per sempre? Era tutto troppo surreale, troppo improvviso, non aveva avuto neanche il tempo per razionalizzarlo. Gli occhi sottili di Roberto che la guardavano in modo dolce e premuroso e le sue labbra morbide che pronunciavano quelle parole con un filo d'incertezza, erano tutto quello che aveva sempre desiderato. Possibile che fosse la realtà? Stava davvero succedendo o era solo il frutto di un'allucinazione?
No, non poteva esserlo, percepiva troppo chiaramente l'erba sotto le sue mani, la leggera brezza sulla sua pelle e il battito incessante del suo cuore.
Entrambi erano consapevoli, che finite le scuole superiori, le loro vite si sarebbero inevitabilmente mosse su binari differenti. Lui sarebbe partito per il Giappone mentre lei sarebbe volata a Parigi verso l'atelier della One-Million: la casa di moda nata dal duro lavoro di sua madre. 
Ora che la fine era arrivata, entrambi si rendevano conto di quanto tempo avessero sprecato rimanendo amici, quando avrebbero potuto sfruttarlo meglio amandosi come avrebbero sempre voluto fare. Il coraggio, ecco cosa era mancato loro. La paura di rovinare tutto li aveva portati a rinunciare a tanto tempo prezioso. 
Roberto prese tra le sue le mani dell'amica. I suoi occhi non mostravano incertezze, arrivato a quel punto non poteva più permettersele.«Marika, io...»
Una musichetta davvero fuori luogo echeggiò in quell'ambiente idilliaco, incolume dalla fremente rivoluzione tecnologica che imperava nel resto del mondo. 
Era il suo cellulare. Roberto lo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni. Guardò lo schermo e intravide il nome di sua sorella lampeggiare insistentemente. "Come al solito Clara ha un tempismo a dir poco perfetto". Seccato, rispose.
«Cos'è successo adesso? Guarda che avevo già  avvertito papà  che non sarei tornato per pranzo.» Dall'altra parte del ricevitore telefonico la voce incrinata della sorella non riusciva a completare le parole. Sembrava stesse piangendo in preda a uno strano attacco d'ansia. Qualcosa la stava agitando. Ma cosa?
«Clara, calmati. Se mi parli balbettando non ci capisco nulla» provò a ravvederla, senza risultato.
Marika osservava silenziosa le espressioni sul viso di Roberto cambiare a tempo di record. Confusione, disorientamento, ansia e preoccupazione. Provò a decifrarle  singolarmente, nella speranza di capire cosa stesse succedendo, ma ovviamente non ci riuscì. Fu solo quando vide le lacrime scendere dagli occhi vitrei di Roberto e il suo avambraccio, sollevato con il telefonino stretto nella mano, cedergli inerme verso il basso, che razionalizzò quanto grave fosse la situazione.

Il funerale si tenne il giorno seguente. Non ci furono band rock o metal ad accompagnare l'uscita di scena di Salvatore. Cosa che sicuramente l'ex musicista avrebbe gradito molto. A riecheggiare al contrario, in quella chiesa romanica semivuota, fu solo il suono deprimente di un organo impolverato. Roberto e Clara che normalmente non facevano che prendersi per capelli, quel giorno si tennero saldamente per mano come facevano quando erano piccoli. Salvatore era stato una figura molto importante sia per Clara sia per Roberto. Tra le continue mostre di Mary all'estero, il lavoro impegnativo di Eichi, i frequenti viaggi di Luigi per il Giappone e gli zii Andrea e Yuki lontani da loro, non erano rimasti che i bisnonni a tenere loro compagnia. Erano cresciuti con loro e adesso che la morte li aveva strappati via dalle loro vite, non restava che quella ferita e quel vuoto tremendo e incolmabile a ricordare loro quanto importanti fossero stati.
Eichi seduto a testa alta tratteneva le lacrime con dignità . Accanto a lui una sedia vuota. Sua moglie era fuori per una mostra. Li avrebbe raggiunti solo verso sera. Aveva provato a cercare un volo disponibile per quella mattina, in modo da raggiungerli in tempo per il funerale, ma non ne aveva trovato nemmeno uno che da Parigi la conducesse in Italia in tempo utile.
Dopo le inevitabili formalità  del momento, la famiglia ritornò a casa più vuota e triste che mai. Eichi aveva il viso ormai non più giovane e pieno di vita, distrutto dal dolore. Accanto a lui Clara gli stringeva saldamente una mano, sperando di poterlo confortare se non con le parole, perlomeno con quel contatto amorevole. Allo stesso modo Roberto se ne stava zitto e taciturno occupando la terza sedia intorno a quel tavolo nella cucina, dove i tre avevano preso posto in silenzio senza dirsi neanche una parola. Un rumore di chiavi nella serratura e la porta principale di Villa Rosa si aprì. Mary entrò trascinandosi dietro un'enorme valigia. Lentamente si mosse verso suo marito, che granitico la osservava avanzare nella sua direzione.
Non ci fu bisogno di parole. Mary abbandonò il suo bagaglio a mano sul pavimento e abbracciò suo marito cercando di trasmettergli tutto il suo affetto. Lo stesso ricambiò.  Proprio in quel momento Roberto scattò in piedi trascinando rumorosamente la sedia sul pavimento. Era chiaro che volesse attirare l'attenzione su di sé. I tre si voltarono sorpresi nella sua direzione.
«Non è possibile che, neanche in momenti come questo, la nostra famiglia riesca a stare unita» disse iracondo rivolgendosi a sua madre, che a meno di un metro di distanza, lo fissava con occhi colpevoli.
«Ho provato a venire prima Roberto, ma non mi è stato possibile»tentò di giustificarsi lei, muovendo un passo nella sua direzione.
«Non avvicinarti!» le ordinò il ragazzo, fissandola con rimprovero.
Poi spostando i suoi occhi neri e profondi, carichi di risentimento, verso ognuno dei presenti, riprese il suo discorso.
«Ditemi, cosa siamo noi? Per caso credete che l'assenteismo sia una componente giustificabile in una famiglia?».
«Roberto adesso finiscila, non è giusto che sfoghi il tuo dolore su di noi» lo rimproverò Eichi ancora seduto tra sua figlia e sua moglie.
«Proprio tu parli di giustizia? Nessuno qui dentro si è preoccupato per me come ha invece fatto il bisnonno. Nessuno! La vera ingiustizia è che lui se ne sia andato mentre persone come te sono ancora qui...» Eichi non poté reggere oltre quell'affronto. Si sollevò furibondo dalla sedia avvicinandosi minaccioso verso suo figlio. Mary provò a trattenerlo per un braccio, ma lo stesso si divincolò dalla sua stretta allontanandola violentemente. Arrivato di fronte a suo figlio, gli mollò uno schiaffo così forte da fargli ruotare la testa di novanta gradi. Roberto non si scompose e rimase fermo a sfidare con occhi sottili come fessure e privi di rimorso, quelli furibondi e irritati di suo padre.
«Dici che solo lui si è preoccupato per te, e noi invece cosa credi abbiamo fatto per tutti questi anni? Abbiamo lavorato sodo per garantirvi un'istruzione adeguata, per assicurarvi un futuro stabile. La verità è che il tuo bisnonno ti ha riempito la testa d'inutili sciocchezze. Noi invece ti abbiamo sempre incoraggiato a sfruttare al meglio le tue capacità. E alla fine di tutti questi sacrifici, cosa abbiamo ottenuto? Un figlio insolente e maleducato. Sei convinto che io e tua madre non ci siamo mai preoccupati abbastanza di te, e questo solo perché non ti abbiamo incoraggiato a buttare al vento la tua intelligenza per inseguire un sogno senza speranza? Solo perché vogliamo il meglio per te ci etichetti come cattivi genitori. Se questo è ciò che pensi di noi, allora butta pure al vento la tua vita. A me non interessa più nulla». Eichi fece dietrofront, tornando da sua moglie. Roberto strinse i pugni, per contenere la rabbia.
«Come se ti sia mai importato davvero di quello che voglio. Tu non hai mai provato a capirmi. Neanche una volta mi hai chiesto cosa volessi fare davvero. Mi hai solo imposto tante strade tutte uguali eppure tutte così diverse da quelle che avrei voluto. Neanche una volta mi hai lasciato decidere della mia vita. Solo perché la musica non ti ha dato le soddisfazioni che avresti voluto, non vuol dire che la stessa non possa essere più generosa con me. Seguirò la mia strada e nessuno di voi potrà impedirmelo» completò Roberto uscendo di scena raggiungendo la sua stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Clara silenziosamente, abbandonò i due genitori distrutti e amareggiati nella cucina e corse da suo fratello. Litigi come quello ce ne erano stati spesso in casa loro, ma mai suo padre era arrivato ad alzare le mani contro Roberto. Questa volta suo fratello aveva esagerato. Non importava quanto stesse soffrendo, non aveva il diritto di giudicare i suoi genitori in quel modo.
Bussò un paio di volte, giusto per informare il fratello della sua entrata, poi aprì la porta. Roberto aveva una valigia aperta sul letto.
«Che cosa stai facendo?» gli chiese stupita.
«Non lo vedi da sola? Preparo la valigia...» le spiegò sintetico tirando fuori dall'armadio un paio di camicie.
«E dove vorresti andare?» le chiese lei preoccupata seguendo i movimenti veloci del fratello che, senza degnarla neanche di uno sguardo, si muoveva rapido da un armadio all'altro.
«Ovunque tranne che qui» completò gettando una maglietta in malo modo nella valigia.
«Non puoi farlo...» tentò disperata Clara frapponendosi tra suo fratello e la valigia aperta sul suo letto. Roberto la squadrò irritato. «Certo che posso e lo farò. Se sono rimasto fino a questo momento è stato solo per il bisnonno, ma adesso non ho più alcun motivo per rimanere» le spiegò infine spingendola di lato con la mano ancora libera.
“Clara calmati, starà  sicuramente bleffando. Non può andarsene veramente”. Provò ad autoconvincersi.
Era stato tutto troppo veloce, troppo imprevedibile. E così alla fine, dopo neanche ventiquattro ore, avrebbe visto un’altra persona importante nella sua vita voltarle le spalle e andare via. Avrebbe dovuto pronunciare la parola “addio” ancora una volta quel giorno. Strinse i pugni e trattenne le lacrime. Roberto, chiuse la valigia e poi si voltò verso sua sorella. Se andava via era anche perché rimanendo avrebbe fatto soffrire troppe persone. Prima fra tutte sua sorella, che non centrava assolutamente nulla e che suo malgrado si ritrovava a fare da mediatrice tra i loro continui litigi con suo padre. Non avrebbe potuto permettere che la prossima persona a pagare a causa del suo pessimo carattere fosse lei.
«Clara, cerca di capire. Se continuassi a rimanere qui, so che finirei con lo sfogare la mia frustrazione su di voi e forse, più di tutti, su di te. Hai visto cos'è successo poco fa. Continuando a rimanere bloccato tra queste mura soffocanti finirei con lo trascinare anche voi nella mia autodistruzione. E non voglio che accada. Anche per questo devo andare via. Devo farlo per il nonno, in modo che le sue speranze e i suoi sogni per me non vadano sprecati. Glielo devo. Voglio che anche da lassù possa essere fiero di me. Se restassi qui, so che finirei con l’arrendermi e non voglio che accada. Devo lottare perché tutto quello che mi ha dato in questi anni non vada sprecato» provò a convincere sua sorella mostrandole un viso carico di rammarico che la supplicava comprensione 
«Roby non fare cosi. Cerca di ragionare, non hai soldi e non sai dove andare. In più devi finire il liceo…»
«Del liceo non mi importa più nulla…»
«Ma cosa dici? Se lo stai facendo per dispetto a papà, sappi che l’unico a cui farai del male è te stesso».
«Non è per lui, ma proprio per me che lo sto facendo»
«Roby, non devi avercela con lui. Papà vuole per te, anzi per noi, un futuro migliore. Lui non vuole che questo. Ed io sono d'accordo con lui, non devi buttare al vento le tue capacità. Hai la fortuna di avere un futuro brillante davanti. I tuoi voti sono sopra la media, forse tra più alti della tua scuola. Se solo volessi potresti diventare un medico o un avvocato. Potresti vivere una vita soddisfacente senza problemi. Papà desidera per te, solo un futuro diverso dal suo...» 
Roberto voltando le spalle a Clara chiuse la valigia.
«Diverso non vuol dire necessariamente migliore. Di avvocati, medici chirurghi il mondo è pieno, ma di persone capaci di toccare il cuore della gente senza bisogno di un bisturi tra le mani, ne è davvero povera. Io voglio essere una persona capace di raggiungere il cuore della gente grazie alla mia musica. Perché non riesce ad avere fiducia in me? Cosa c'’è di così sbagliato nel sognare di poter fare la differenza tra tanti?». Clara, sapeva cosa provava suo fratello. Cosa significasse voler saziare quella fame di realizzazione che ti divora dentro. Conosceva bene quel desiderio impulsivo di seguire le proprie passioni. Le stesse a cui lei aveva rinunciato un anno prima.
Lentamente si mise una mano nella tasca posteriore dei suoi jeans.
«So, che tentare di convincerti sarebbe comunque inutile in ogni caso. Se non posso spingerti a cambiare idea allora non mi resta altra scelta che aiutarti.».
Roberto si voltò verso la sorella squadrandola stupefatto.
Clara gli prese la mano girandola in modo che il palmo si bagnasse della luce giallastra dei faretti alti sul soffitto.
«So, che non sono molti. Ma potranno sempre servirti un po’ di soldi in più» disse infine riponendo una busta sulla mano del fratello. Roberto non disse nulla. Quello era l’ultimo stipendio che il bisnonno le aveva dato.
«Se avrai bisogno di me, ti basterà  chiamare e correrò da te. Tu però promettimi che non cederai, che anche quando ti sembrerà  di non avere più motivi per continuare non rinuncerai. Quello che sto facendo in questo momento è  un investimento a lungo termine. Non tornare indietro prima di aver realizzato i tuoi sogni. Non te lo perdonerei mai» lo ammonì con occhi lucidi.
Roberto scattò stringendo tra le sue braccia Clara. Quasi sollevandola dal pavimento. «Non temere. Ti restituirò il doppio di questa somma. Ti restituirò il sogno che mi stai regalando...»
“Oh, Roberto se solo tu potessi farlo veramente. Ti prego combatti. Fallo in modo che io possa non pentirmene un giorno”.
«Dove pensi di andare stasera?» gli chiese sciogliendo quell'abbraccio imbarazzante.
«Non lo so. Ho un po’ di soldi. Il bisnonno, tempo fa mi disse che avrei potuto attingere ai suoi risparmi una volta che avessi raggiunto la maggiore età . In realtà  non ho mai voluto farlo. Non volevo assolutamente che si privasse anche di quei risparmi accumulati in anni di fatica. Ora però che non è più qui con noi penso non gli dispiacerebbe se li usassi per realizzare i miei sogni. Con gli stessi ho intenzione di comprare un biglietto solo andata per il Giappone. Ho già  contattato il nonno. In realtà  è da parecchio che ci teniamo in contatto».
«Con il nonno Aoki? Ma come è possibile? Papà non ci ha mai voluto dire nulla di lui…»
«Diciamo che ho avuto le informazioni che mi servivano da altre fonti…» le rivelò con un aria fiera e orgogliosa.
«Roberto non dovresti andare dal nonno. Se papà  lo scoprisse.. »
«Non accadrà. E poi se andassi dalla nonna Lucia, lui sicuramente verrebbe a scoprire dove mi trovo nell'arco di pochi giorni e senza dubbio la mia avventura finirebbe ancor prima di incominciare».
«Capisco. Ma toglimi una curiosità, quando dici che hai attinto ad altre fonti a chi ti riferisci? »
«Ci sono altri che come me sognano di scappare da una vita che non gli appartiene...» si mantenne sul vago.
«Di chi stai parlando?»
«Se tutto andrà secondo i miei piani, forse un giorno potresti scoprirlo da sola». Detto questo prese una maglietta blu con un quadrato stilizzato disegnato sopra e se la mise dopo essersi sfilato la camicia nera del funerale. Fuori aveva fatto buio. Le stelle che ornavano come trapunte minuziose il cielo limpido e privo di nuvole erano lì ad attenderlo. Sarebbe uscito appena i suoi genitori fossero andati a letto. Non poteva aspettare oltre.
«Roberto, Marika lo sa?» Il ragazzo si chiuse a riccio affondando le mani nelle tasche anteriori dei pantaloni e reclinando il capo colpevole evitando gli occhi severi della sorella.
«Sa che avevo intenzione di partire…» Clara spalancò gli occhi e storse il muso, incrociando le braccia al petto. «Non dirmi che hai intenzione di partire senza dirglielo?».
«Che importanza ha? Dopotutto è meglio così. Non dovrà  fingere che le va bene e non sarà costretta a reprimere le lacrime. Andrò via furtivo come un'ombra davanti a una luce splendente. Dopotutto lei è sempre stata un sole troppo lontano per un povero Icaro come me. Meglio evitarci anche questa tortura».
«Lo fai perché seriamente ti stai preoccupando per lei o perché l’unico che vuoi proteggere è te stesso?»
«Clara non pensare neanche lontanamente di potermi psicanalizzare. Sai che con me non funziona» la ragazza sbuffò rassegnata alla cocciutaggine del fratello.
«La vita è la tua. Ma sei davvero sicuro che non te ne pentirai?» tentò un’ultima volta prima di abbandonare quella postura accusatoria.
«Dici che sono abbastanza intelligente per diventare un medico e poi mi accusi di non essere abbastanza raziocinante per prendere una decisione come questa. Non credi di essere un po’ troppo contraddittoria? Adesso finiamola però». La invitò sedendosi sul letto. Clara acconsentì arrendendosi con un movimento della testa.
«Come pensi di fare con papà  e mamma? Se sparirai di punto in bianco si preoccuperanno»
«Per questo ho bisogno della tua collaborazione».
La fronte di Clara si aggrottò. «Non vorrai mica che menta a mamma e a papà»
«Ti prego, sei la mia unica speranza. E poi si tratterebbe di mentire per una, massimo due settimane»
«E cosa pensi che potrei inventarmi per coprirti?» gli chiese scettica.
«domani mattina andranno via entrambi. Mamma deve tornare alla sua mostra a Parigi mentre papà deve partire per quella gita con la sua classe. Per una settimana non dovresti avere problemi».
«Va bene, ma dopo che saranno tornati cosa mi invento?» continuò preoccupata.
«Se tutto va bene, entro una settimana il mio piano dovrebbe essere già  a buon punto. Anche scoprendo che sono in Giappone non potrà fare più nulla per costringermi a tornare»
«Cosa hai in mente?» le chiese riducendo gli occhi a due sottili fessure. Roberto le sorrise malizioso «Fidati di me. Lo sai che sono abbastanza in gamba. Vedrai che tutto si risolverà  in meno di due settimane»
«E se così non fosse?»
«Puoi sempre inventarti che sono andato una settimana a casa del mio compagno di classe Matteo. Lui penserà a coprirmi. Ha un debito nei miei confronti. Gli ho salvato il fondoschiena un paio di volte nell'ultimo anno»
«Possiamo fidarci?»
«Si, non devi preoccuparti. Nelle peggiore delle ipotesi potrai dire a papà  che ho mentito anche a te e che tu non sapevi nulla. Puoi darmi la colpa di tutto, io mi assumerò le mie responsabilità in ogni caso».
Clara sedette accanto al fratello su quel materasso morbido. La pressione del suo corpo fece oscillare leggermente Roberto.
«Partirai stanotte?» gli chiese con sguardo malinconico
«Se tutto va bene raggiungerò l’aeroporto e prenderò l’ultimo volo di questa notte. Se non ricordo male l’ultimo parte a mezzanotte. Non voglio correre il rischio di essere scoperto da pap . Metterò un finto fantoccio nel letto. Tu devi solo assicurarti che non si avvicini e che non scopra nulla».
«Ma non puoi aspettare che partano entrambi domani? »
«Rischierei di incrociarli all'aeroporto. No, è meglio così. Dopotutto mi sono già messo in contatto con qualcuno che mi attenderà all’ aeroporto di Tokyo domani. Non posso rischiare di farlo aspettare. Ne tanto meno io posso permettermi il lusso di sprecare un giorno inutilmente»
«Di chi si tratta?» lo interruppe cercando di estorcere qualche informazione al fratello.
«meno sai e meno dovrai mentire a mamma e papà» Clara sospirando ancora una volta si arrese a suo fratello.
«E va bene non insisto»
«Grazie. Ora è meglio che tu vada nella tua camera» la spronò amorevole con una pacca dietro la schiena.
«Roberto promettimi che ti prenderai cura di te!», lo raccomandò in ansia.
«Non preoccuparti, so perfettamente cosa fare. In questi due giorni sono riuscito a progettare tutto nei minimi dettagli. Puoi stare tranquilla»
«Teniamoci in contatto per e-mail».
«D’accordo» le strizzò un occhio.
Clara abbracciò suo fratello un’ultima volta prima di sollevarsi dalla seduta soffice del letto e tornare in camera sua.
Roberto era finalmente solo.
Con i gomiti sulle sue cosce sorreggeva la sua testa. A capo chino rifletteva.
“È l’unica maniera. Devo scappare via il prima possibile. Non abbiamo molto tempo.  Per quante persone deluderò tante saranno fiere di me”. Più convinto si sollevò e dopo aver sistemato il letto, spense la luce e si affacciò oltre la porta della sua stanza. In giro non sembrava esserci nessuno. Lentamente trascinò la sua valigia fuori. Un ultimo sguardo alla camera da letto dei suoi genitori e poi a quella di sua sorella e dopo un grosso sospiro si trascinò via da quella vita che non riconosceva più come sua. La porta si richiuse lentamente mentre nella casa regnava un silenzio freddo e indifferente.
Con cura Roberto caricò la valigia sulla moto bloccandola alla meglio. Era lì pronto a mettere il suo casco blu quando un paio di fari lo accecarono. La vista tardò a ritornare anche dopo che questi furono spenti. Una sagoma indefinita avanzò nella sua direzione. Ancora pochi battiti di ciglia e l’avrebbe riconosciuta. Ma non fu la sua vista a chiarirgli i dubbi bensì il suo udito.
«Tu… tu… brutto stronzo… Stavi davvero andando via senza dirmi nulla?» Era Marika con una camicia da notte addosso e delle infradito rosa ai piedi. Finalmente la vista gli era ritornata. La sua amica però stava alzando un po’ troppo la voce per i suoi gusti. Preoccupato che i suoi potessero svegliarsi le coprì la bocca con una mano sollevandola  e trascinandola via di lì mentre lei provava a divincolarsi da quella stretta forzata in tutti i modi. Erano vicini al pontile sul quale avevano spesso giocato da bambini. Dopo aver verificato che la distanza fosse sufficiente perché le loro voci non disturbassero il sonno di nessuno, lasciò la presa su di lei recuperando le distanze.
Marika muta con uno sguardo carico di odio continuava a fissarlo come posseduta da un rancore e da una rabbia incontenibile, come una bomba pronta ad esplodere. «Marika…» tentò Roberto impreparato, ma lei fu più rapida. Iniziò a inveire sul suo petto scolpito a pugni stretti.«Sei uno stronzo… ecco cosa sei… uno stronzo bugiardo» Roberto la lasciò continuare accogliendo quei colpi con rassegnazione. In fondo se li meritava. «io… io… Ti…». A quelle parole non riuscì a trattenersi, afferrò i polsi della ragazza con entrambe le mani e tenendola bloccata in quella posizione, senza lasciarle via di scampo, la baciò. Come un giocattolo a cui vengono rimosse le pile così la furia di Marika si placò.  
Quel bacio cercava il riscatto che il tempo non aveva voluto concedergli. Lentamente i pugni di lei si sciolsero mentre la stretta di Roberto si fece più leggera. Le mani di lui abbandonarono i polsi di lei scendendo dolcemente sui suoi fianchi. Con un movimento lento l’avvicinò al proprio corpo. Marika, continuava a pensare a quanto morbide e calde fossero le sue labbra. A quanto dolce e delicato fosse il suo tocco sotto il quale rabbrividiva. Non c’era modo di fermare quel contatto, ne tanto meno possibilità di renderlo eterno. Lentamente le sue mani si insinuarono sotto la maglia di Roberto. Con un movimento sicuro gliela sfilarono. Roberto era a petto nudo. Allo stesso modo fece lui con la camicia da notte di lei. Poi fu il turno dei pantaloni. Erano nudi con solo il loro intimo addosso. Roberto la prese per mano.
«Sei sicura?» le chiese premuroso accarezzandole il viso, facendo scendere dolcemente la sua mano prima sulla sua guancia, poi sul suo collo sottile e poi sulla sporgenza morbida della clavicola. Marika non si smosse. Immobile lasciava che toccasse il suo corpo tremante. Senza dargli una vera e propria risposta, tenendolo ancora per mano, lo guidò verso la riva del lago. Lentamente si immersero nelle acque scure e profonde. Non ci furono parole inutili. Quello che avvenne in quel fredde acque avrebbe cambiato inevitabilmente il loro destino. Ma ancora nessuno dei due poteva sapere quanto quel momento avrebbe inciso nelle loro vite. 
   
 
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