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Autore: Alvin Miller    10/10/2014    0 recensioni
A pochi mesi dall'incoronazione a Principessa di Twilight Sparkle, una legione di mostruose creature giganti emerse dal nulla minacciando di ridurre l'intero regno di Equestria a una nuvola di polvere.
Il primo attacco colpì Manehattan. Il secondo puntò a Baltimare. Il terzo insidiò Las Pegasus.
Quando anche Canterlot fu presa di mira, capirono che gli Elementi dell'Armonia non erano più sufficienti.
Per combattere i mostri chiesero aiuto a Bibski Doss, un ribelle inventore sopravvissuto al primo attacco, che creò dei mostri a sua volta.
La battaglia per il destino del regno è cominciata!
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Princess Celestia, Twilight Sparkle, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL QUARTO ATTACCO

Parte 3/3: Discord VS Cyclop


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«REGGETE FORTE!!!» Fu l’ultimo ordine che riuscì ad impartire Spitfire prima che il Kaiju impattasse contro la cupola, subito ripetuto dai leader delle varie unità disposti intorno al perimetro.

Come un ariete che niente su Equestria avrebbe potuto arrestare, il ciclope compì un balzo contro il velo protettivo dell’incanto, sbattendovi contro con tutto il peso della sua massa.

L’energia dell’impatto fu assorbita all’istante dalla cupola, attraversandone gli spessi strati frutto della magia combinata di centinaia di unicorni, e penetrò all’interno del bioma della fortezza, come un’onda di marea pronta a travolgere qualunque cosa nel suo raggio d’azione.

Quello che successe dopo fu il finimondo.


La Capitana dei Wonderbolts, e con essa ogni pony che stazionava nei dintorni del punto d’impatto, furono spazzati dall’onda di risonanza. I loro corpi sbalzarono via, cozzando contro persone e ostacoli di ogni genere.

Anche ora, nell’illusione di trovarsi al sicuro, qualcuno di loro finì per perdere la vita, spezzandosi la schiena, il collo o riportando gravi lesioni interne.

Spitfire fu graziata dall’istinto di sopravvivenza e da un’esperienza pluridecennale, che la spinsero a raggomitolarsi in posizione fetale e di richiudere sui fianchi le sue fragili ali da pegaso.

Rotolò in quella posizione per innumerevoli metri, augurandosi in ogni istante che nulla di solido si frapponesse tra lei e lo spazio per arrestarla prima del tempo.

Quando si fermò, esaurita la spinta dell’onda d’urto, si guardò all’indietro accorgendosi del grande albero spoglio d’inverno, cui rami scheletrici erano stati piegati (e spezzati) dalla risonanza, e si ritrovò a benedire la fortuna sfacciata, che per appena tre metri l’aveva graziata da una collisione frontale con il tronco della pianta.

Si rialzò sulle zampe, osservando che la sua uniforme blu si era stracciata a metà, penzolando sul fianco destro del corpo, quindi, si accorse delle gocce di sangue che avevano cominciato a insozzarle gli zoccoli anteriori.

Si toccò all’altezza delle narici, colta da un dubbio fulmineo, e lì ebbe conferma che: sì, stava sanguinando dal naso.

“Poteva andare peggio.” Si trovò a pensare, mentre il liquido ematico le stava lavando il manto sinuoso lungo il mento e la gola, e le venne da ridere coinvolta da un improvviso impulso d’ilarità. Subito però un conato di tosse la costrinse a chinare il collo in giù ed eruttare una decisa sequenza di versi cavernosi che non auspicavano a nulla di buono.

A ogni colpo di tosse, esplosioni di liquido denso e caldo risalivano le pareti del suo esofago costringendola ad assaporare il gusto ferroso del sangue, che lei sputò fuori in grumi di materia rossastra e schiuma salivale.

«Oh cavol…*coff*… no… »

Trovò la forza di issare il capo e guardare in avanti: corpi, come coriandoli di una macabra festa, ravvivavano di motivi multicolore la corona all’interno della cupola.

Alcuni si rialzavano, scossi e provati, altri rimanevano stoicamente al suolo. Erano privi di senso? In coma? Morti? Spitfire non aveva modo di capirlo.

La cosa più grave fu che tutto si era verificato all’interno della Muraglia, lì dove chiunque avrebbe potuto giurare che sarebbero stati al sicuro.

Che senso aveva dover accettare il sacrificio di tante vittime, se poi i superstiti dovevano continuare a patire così?

Più ci pensava e più non si dava pace per la freddezza con la quale aveva deciso di condannare a morte molti di loro.

A un tratto il suo corpo fu percosso da altri spasmi, e le zampe iniziarono a tremarle come non mai.

Ora che l’eccitazione del momento stava via via sbiadendo come una macchia di fango diluita nell’acqua, poteva ascoltare con assoluta limpidezza dei sensi il dolore fisico che lambiva il suo corpo.

Fu sul punto di spiegare le ali e rientrare in campo, quando una piccola e meschina intuizione le disse che non ci sarebbe mai riuscita.

“Aveva svolto il suo dovere, e ora che la sirena era suonata, era giunto il momento di ritirarsi negli spogliatoi.”

Nell’immaginario dei suoi pensieri, si sentì come se l’amorevole abbraccio di un amico accorresse a lei per prestarle soccorso. L’amico la reggeva per le spalle, bisbigliandole di adagiarsi; “Andrà tutto bene” la consolava “mi prenderò io cura di te” le promise, e Spitfire finì per credergli sulla parola, lasciando che la calda zampa la adagiasse a terra.

Sbatté le palpebre, stanca e febbricitante.

Una volta, due, tre volte.

Alla quarta volta ebbe una visione, e vide i suoi compagni di molte avventure, Soarin e Fleetfoot, che si stagliavano di fronte al suo giaciglio sorridendole affettuosamente, ma senza parlarle.

Cercavano forse di consolarla? Era un modo per comunicarle che malgrado tutto aveva svolto un buon lavoro?

La calda stretta che la stava accompagnando in quell’ultimo volo si avvicinò al suo muso e le diede un bacio, dolce e protettivo, che le fece dimenticare tutto ciò che stava succedendo. Poi, quando la pegaso si accorse di essere troppo stanca per farlo da sola, l’amico la aiutò a chiudere le palpebre, restando a vegliare sul suo capezzale, insieme alle visioni degli altri due Wonderbolts, mentre si accingeva ad addormentarsi di fronte ai loro sorrisi.

Forse per sempre?


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Quando l’onda d’urto attraversò le difese della Muraglia dell’Armonia, travolgendo chiunque vi si trovasse nei pressi, fu come la detonazione di cento emissioni degli Elementi, concentrate tutte nel raggio di poco più di cento metri.

Le ossa dei più fragili a quel punto si polverizzarono, mentre i più robusti dovettero comunque fare i conti con una forza fuor da ogni misura.

Il barbacane, per ovvie ragioni, non resse alle sollecitazioni, sgretolandosi in una frana di macerie che andò a riversarsi un po’ dappertutto lungo la piazza.

I sopravvissuti rintanati a castello risentirono dell’onda d’urto in entità minore rispetto a chi era ancora all’aperto, ma non per questo poterono sentirsi più al sicuro: la risonanza fece vibrare le vetrate, che esplosero in mille mosaici di schegge cadendo sulle loro teste.

L’intera storia di Equestria fu spazzata via in quel preciso istante, tramutandosi ora nell’ennesimo pericolo per gli stalloni e le giumente che si videro costretti ad accucciarsi per non restare feriti dalla pioggia di frammenti.

La risonanza vibrò anche lungo tutta la superficie convessa della cupola, propagando un acuto stridio che ricordò il suono di uno zoccolo umido che passa sul bordo di un bicchiere.

Twilight Sparkle si risvegliò con gli occhi puntati al cielo.

La prima cosa che vide fu la punta della torre Sud, con il balconcino degli alloggi privati delle Principesse. Ma dov’erano le Principesse?

Celestia era lì di fianco, con lo sguardo sperduto come le sue emozioni.

E c’era anche Luna, che invece si stava curando di lei (aveva forse subito delle ferite? O la stava semplicemente aiutando a riprendere i sensi?)

E poi chi altri?

Più la sua coscienza riemergeva dall’oceano dell’illogico e più le presenze che intorno a lei posavano immobili come statue di bronzo assumevano identità e colori amichevoli.

Riconobbe Applejack, che era sollevata dal riavere con sé la sua amica.

Riconobbe Fluttershy, che piangeva (ma aveva mai smesso di piangere?).

Riconobbe Rarity (chiedendosi se ancora trovasse la voglia di preoccuparsi della sua criniera dopo quello era successo) e con lei Spike, che non poteva astenersi dal ronzarle intorno anche in quel frangente.

In seguito riconobbe Pinkie Pie e la sua criniera floscia (un classico intramontabile. Si chiese se dopo quell’esperienza sarebbe mai tornata a essere la solita Pinkie di sempre?)

Infine Rainbow Dash, che sembrava fare il verso a Princess Celestia, persa insieme a lei nel vuoto delle loro pupille.

Ma cosa stavano guardando da meritarsi tanto la loro attenzione?

I pony che gridavano per la paura? Il Kaiju che se ne andava con la coda tra le gambe (buffo, nemmeno ce l’aveva una coda) perché incapace di penetrare le difese della Muraglia? Certo, sarebbe stato bello se così fosse stato… sarebbe stato…

Invece no… qualcosa era andato storto! C’erano altri morti intorno alle pareti dell’incantesimo! E perché la cupola sembrava essersi assottigliata d’improvviso?? Perché mai, poi, i raggi che la alimentavano erano così pochi in cielo?!?

Quel che tutti sapevano, ma che nessuno voleva collegare alla realtà di allora, era che la maggior parte delle unità della Muraglia avevano ricevuto l’ordine di appostarsi proprio ai bordi del confine.

Alcuni erano morti, e i loro corpi ora contribuivano a infoltire la conta delle vittime di quell’infame giornata, mentre gli altri erano ancora rintronati dallo shock della risonanza.

Twilight osservò alcuni raggi elevarsi nel cielo per rinforzarla; qualcuno – probabilmente nelle retrovie – si era ripreso dal suo stato confusionale ed era tornato in formazione per adempiere il suo compito. Ma la domanda che l’alicorno si pose a quel punto fu: sarebbero mai bastati?

Mentre se lo chiedeva, qualcuno da lassù stava vegliando su di loro…


Quando il Kaiju si scontrò con la cupola, convinto che la sua forza l’avrebbe sfondata con gran facilità, si trovò a dover ingurgitare un boccone troppo amaro nello scoprire che la loro linea di difesa era riuscita a respingerlo.

La Muraglia si comportò come una molla, che assorbì tutta la sua energia, restituendone parte come in un ritorno di fiamma.

Il gigante rimbalzò all’indietro, atterrando col sedere nella vasca del lago e portandosi con sé il gracile ponte che con grinta eroica aveva retto fino ad allora alle pressioni del pomeriggio.

Grugnì di dolore quando la forza magica lo pervase, scuotendolo da sotto la corazza di pelle. Le misere frecce che gli furono scoccate contro dei grifoni non gli avevano oltrepassato nemmeno lo strato superficiale della cute, e il grande vortice arcobaleno scaturito dagli Elementi lo aveva ustionato provocandogli a malapena qualche piaga da bruciore, che tornava a farsi sentire ogni qualvolta che la pelle sfregava contro qualcosa, ma stavolta il male fu acuto e prepotente, all’altezza della sua mole: partì dal ventre, come un immane pugno sferratogli da un avversario della sua stessa stazza, e s’impose attraverso il suo corpo voluminoso.

I fasci muscolari gli dolsero e le ossa scricchiolarono, mentre la vista gli si fece d’un colpo confusa.

Il fluido scuro che sgorgava dal suo occhio cadde per la prima volta senza generare altri globi assorbi-magia, gocciolando nero e inerte nella limpida acqua della vasca.

Il Kaiju fu costretto dal rinculo ad arretrare.

Digrignò i denti e urlò, ma questa volta non riuscì ad attraversare la patina della difesa.

Si rialzò con gran fatica, mentre l’odio germinava in lui a ritmo esponenziale. Non poteva concedere a quelle misere creature di prendersi gioco di lui, doveva eliminarle, ora che erano deboli e frastornate.

Scosse il corpo per asciugarsi dall’acqua che lo bagnava dalle ginocchia in giù e aprì di poco il guscio protettivo del suo occhio, solo per accorgersi che non era più in grado di produrre altri globi. Forse a causa del brutale contraccolpo?

Poco male, aveva probabilmente pensato, lo avrebbe fatto alla rude maniera.

Contrasse la deforme dentatura in una smorfia collerica, compiendo due brevi passi in avanti nell’acqua ora sempre più torbida, e caricò con un pugno che presto si sarebbe abbattuto sull’intera cupola.

I pony cominciarono a urlare e darsi alla fuga.

Due dita schioccarono.

Gli stessi sopravvissuti poterono udirle direttamente nella loro testa, come se con quel gesto Lui avesse voluto rassicurarli, comunicandogli che da adesso se ne sarebbe occupato di persona.


I muscoli del Kaiju produssero acuti rumori di contrazione, quando le sua dita si strinsero le une sulle altre con tanta veemenza da poter quasi solidificare l’aria.

Prese slancio per sferzare il colpo, un frontale avvolto da un’aura di puro potere che presto avrebbe scaricato sulla cupola con la forza di un cataclisma.

Invece…

Un muro di mattoni rossi si frappose tra la cupola e il suo braccio.

Era alto quanto il ciclope e spesso qualcosa come quindici metri, e il pugno che invece era destinato alla barriera incantata, penetrò negli spessi strati d’argilla, dove si arrestò rimanendovi incastrato.

Mentre dentro la cupola i rifugiati cercavano di comprendere le ragioni del perché un immenso muro si fosse materializzato nella stessa linea di tiro del loro assalitore, il Kaiju tentava inutilmente di liberare la propria mano dalla stretta argillosa che si stava avviluppando sempre di più come la morsa viva, rimestandosi intorno al pugno e costringendolo in una trappola da cui era ormai impossibile liberarsi.

Nello sforzo di divincolarsi, il suo piede inciampò sul bordo della vasca e il Kaiju cadde sulle ginocchia, ritrovandosi ancora una volta immerso in quell’acqua sempre più lercia.

Raccolse la mano libera su se stessa e sferzò un bolide di energia sulla parete, che però non venne in alcun modo intaccata dal colpo.

Ululò di dolore quando le sue dita furono sbalzate all’indietro dal solido materiale.

Dall’interno della Muraglia, Fluttershy trovò finalmente la forza di sorridere. Puntò gli zoccoli al cielo, con gli occhioni grandi e ricolmi di speranza, indicando alle sue amiche la cosa di cui tutti si stavano pian piano accorgendo. «Lassù, guardate!» Cinguettò, con il massimo della voce che era in grado di concedersi, facendo segno di guardare sull’apice del muro di mattoni.

Anche il Kaiju alzò lo sguardo, inarcando la testa che in realtà era il suo occhio, e lì lo vide: un piccolo essere dal corpo serpentiforme, che se ne stava eretto sulle zampe posteriori, una diversa dall’altra, e lo fissava a braccia conserte con una flemma superba, che non lasciava trasporre nemmeno un assaggio di quella paura che invece aveva deliziosamente assaporato nei pony che stava braccando.

«Per la miseria. Certo che sei veramente… “grosso”!» Disse il draconequus, pregustando già i tanti modi in cui avrebbe potuto divertirsi con lui. «Beh, come si dice da queste parti: più grossi sono, più “casino” fanno quando cadono!» E lì cominciò a ridere a crepapelle, dando libero sfogo all’aria nei suoi polmoni. «Hahaha!! L’hai capita?! Casino, caos, no? E io sono il Principe del Caos!! Hahaha!! E ora… hihihi… ora me la sto ridendo… “della grossa”! Come te!! Hahahah!!» Si strinse forte lo stomaco, nel timore che potesse evadergli dalla bocca qualora avesse riso con forza maggiore.

Il Kaiju però parve non condividere la stessa letizia di Discord.

Ringhiò con ferocia, e si rialzò in piedi cercando di scacciarlo con uno schiaffo a palmo aperto.

Il corpo di Discord divenne un ologramma privo di materia, lasciando che la mano del ciclope lo attraversasse senza arrecargli alcun danno.

Il mostro rimase per un momento stupito da quello sviluppo, e latrò a bocca spalancata.

«Oh, il bambino è nervosetto oggi! Troppo zucchero per colazione?» Guardò il titano mentre preparava un altro pugno. «Bene, vediamo allora se un giro sulle giostre ti farà calmare un po’!» E quindi schioccò le dita.

Il Kaiju sentì qualcosa muoversi all’interno del muro, come un rigonfiamento che poco per volta stava espellendo il suo arto dalla trappola di mattoni, e riuscì solo a pensare che da un momento all’altro nessuno gli avrebbe più impedito di schiacciare quella strana creatura dal corpo disarmonico. Quello che invece avvenne, fu che dai blocchi d’argilla emerse un grande guantone da boxe, rosso scarlatto e attaccato a una molla, che lo picchiò in pieno petto scagliandolo via dal picco della montagna, e poi giù verso i livelli inferiori, dove si districavano i resti diroccati della città.


Più in basso, lo squadrone di grifoni capitanato da Gilda si vide precipitare addosso gli oltre quaranta metri dell’immenso nemico, quando ormai erano ad un battito d’ala dalla base del picco.

«Oh cazzo… VIA DA QUI, LEVIAMOCI DI TORNO!!» Imprecò rumorosamente disperdendosi insieme agli altri cadetti, trovando rifugio tra i comignoli dei palazzi.

Osservarono poi il Kaiju atterrare disastrosamente sul dorso, a duecento metri dalla loro posizione, tenendosi stretti a ogni appiglio disponibile per fronteggiare lo spostamento d’aria scaturito dall’impatto.

«Per… gli Antichi… » esclamò un cadetto, che insieme alla leader aveva scelto quello specifico tetto come riparo: era lo stesso che poco prima aveva “fomentato” la fuga dei suoi compagni. «Signora… c-che cosa facciamo adesso?» Le chiese confuso.

Entrambi avevano gli occhi congelati sull’enorme massa distesa al suolo, che sembrava stesse soffrendo non poco per la rudezza della caduta.

Gilda allora studiò l’aria, e poco più in su riconobbe il Deus Ex Machina di quell’imprevisto sviluppo, e… non poté crederci. «Beh, pivello. Si direbbe che ci hanno appena messo in panchina… » concluse, rassegnandosi all’evidenza.


«YUHUU!! Vai così, Discord! Picchialo!! Distruggilo!! FALLO A PEZZI!!!»

Le grida provennero da Fluttershy, che senza accorgersene aveva cominciato a volteggiare per aria mimando senza remore mosse confusionarie di qualunque disciplina marziale esistenze sul suolo Equestre.

Le sue amiche la fissarono a bocca spalancata, Principesse comprese.

Quando se ne accorse, emise un verso strozzato piombando subito in giù e cercando di nascondersi tra i ciuffi della criniera. «S-s-s-scusate… »


Discord udì le esaltazioni della sua amica, a cui si unirono i cori di applausi della popolazione di rifugiati, che lo fecero sorridere.

Per lui fu come un’iniezione di fiducia, la prova inconfutabile che finalmente i pony avevano deciso di credere nelle sue capacità.

“Non ti deluderò, cara Fluttershy… nessuno di voi” pensò tra sé e sé, mentre si preparava a scendere in campo.

Il muro di mattoni evaporò sotto le sue zampe in una nube di calore e, sospeso a mezz’aria, il draconequus cominciò a scendere giù dallo strapiombo come percorrendo i gradini di un’invisibile scalinata.

Il Kaiju raccolse le forze necessarie a risollevare le migliaia di tonnellate che componevano il suo corpo e tornò in carreggiata.

Irruppe con una serie di ruggiti spaventosi, che non sortirono alcun effetto se non di divertire ancora di più l’impavido spirito del caos.

Ponendosi alla stessa altezza del suo sguardo, Discord fece comparire sulla mano sinistra una lima per unghie, che usò per darsi una rifinitura agli artigli delle dita da leone. «E così… tu saresti quello che deve portare rovina e sciagure sul suolo dei pony?»

Il Kaiju cominciò ad avanzare, barcollando per le ammaccature subite e grugnendo col fiato pesante.

«Riconosco che te la sai cavare bene, dico davvero. Sono persino tentato di chiederti un autografo… » riprese, scrutandosi la scena intorno «ma, vedi… per quanto sia da lodare il tuo piccolo sforzo di portare il caos nel regno di Princess Celestia, c’è un piccolo, insignificante dettaglio che credo tu ti sia dimenticato di considerare.» Lasciò cadere di mano la lima, la quale si trasformò in un piccolo essere alato, che volò via passandogli dinanzi alla faccia, ora severa e incendiaria. «Portare il caos qui è il MIO lavoro!»

Il Kaiju ruggì nuovamente e avanzò verso l’avversario. A passo lento, ma costante.

Discord sollevò il braccio destro, quello più robusto, e lo fece roteare nell’aria. Serrò il pugno in una palla da demolizione perfettamente sferica e lo scagliò di lato, facendolo svanire in un’invisibile fenditura dimensionale nel mezzo del nulla.

Il pugno riapparve allora dalla feritoia più alta di una delle ultime torri rimaste in piedi nelle vicinanze, attaccato a un arto che si allungava all’inverosimile verso la tempia del mostro.

Lo investì sulla metà di destra del guscio oculare e di nuovo il ciclope si ritrovò a stramazzare per terra spiazzato e intontito, sconquassando la città.

Discord volò alle sue spalle mentre questi si rialzava. Lo toccò ripetutamente con l’indice sull’enorme spalla corazzata. «Yo, fustacchione. Sono qui, non mi vedi?»

Il Kaiju si voltò di scatto, ma il draconequus era già svanito. Riapparve nuovamente alle sue spalle e gli sferrò un frontale sulle vertebre, che lo curvò in avanti con violenza inesprimibile.

«Riprova di nuovo!» Lo istigò.

Il Kaiju contrattaccò con una gomitata che lo fece ruotare su se stesso, ma Discord apparve alla sua sinistra e lo schiaffò sul guscio. «Mancato!»

Allora il gigante tentò un pugno verso quella direzione, e lo spirito del caos ripeté lo stesso inganno, ma dal lato destro. «Mancato ancora!»

Scomparve nel nulla e si ripresentò al di sopra del mostro, impugnando tra le mani un enorme martello che affondò sulla testa ovale.

Ampie crepe si aprirono sulla punta del guscio, mentre l’utensile veniva dissolto.

«Eddai su, non ci stai nemmeno provando!» E si fece di nuovo invisibile non appena ebbe finito di schernito.

Il Kaiju soffrì il dolore mentre si leniva tra le mani le due metà della palpebra ossea, con pezzi di scorza che si staccavano dal guscio insieme al fluido nero delle sfere (o era il suo sangue?) che defluiva dalle crepe.

Digrignò i denti nello sforzo non indifferente di ignorare le fitte, percependo che il suo occhio era ancora gonfio e pulsante, ora come non mai.

La collera che lo aveva alimentato sino ad allora scoprì un nuovo grado di frenesia mentre cercava di capire dove si fosse nascosto quel piccolo essere tanto odioso.

Quando Discord si ripresentò davanti al suo cospetto, stringendo tra le mani due sconfinati piatti da batteria con i quali era pronto a inebetirlo a suon di percussioni, il gigante era già preparato ad anticiparlo con un folgorante cazzotto in piena faccia.

I riflessi risposero in fretta, e lo spirito del caos riuscì a intercettare il colpo arrestandolo tra i due piatti, che produssero un’acuta vibrazione nell’aria.

«Fiù… questa volta ci sei andato vicin… » stava per commentare, e per poco non finì la frase che qualcos’altro lo lanciò via, scaraventandolo contro un palazzo; il Kaiju aveva previsto le sue mosse fin dal principio, e aveva serrato per l’azione i pugni di entrambe le mani: se il primo colpo era stato bloccato per appena un soffio, il secondo, invece, andò pienamente a segno.


«Nooo!!» Espressero un coro di lamenti dal punto d’osservazione della torre Sud del castello.


Discord si riprese dalla botta e vide le macerie intorno a sé. Notò anche uno spaurito gruppo di pony che dall’interno dell’edificio fissavano il suo corpo ridotto in pezzi, rattrappiti dalla paura. Con un facile incanto caotico li smaterializzò dalla stanza, assicurandosi di trasferirli tra le fortificate mura del bastione, lontani e al riparo dalla feroce battaglia che da lì a poco sarebbe esplosa.

Il Kaiju camminò cautamente verso la sua direzione, conscio del fatto che ci sarebbe voluto ben più di un banale cazzotto per toglierlo di mezzo.

Il draconequus, infatti, emerse subito dopo.

Il suo corpo era ridotto in brandelli, infranto come le schegge di una vetrata che era stata colpita da un masso pesante. Fece comparire in una mano un voluminoso tubicino di colla, che usò per ripararsi: da prima gli arti inferiori e poi il resto dei rimasugli.

«Dannazione, questa la sentirò domattina…» Borbottò tra sé e sé alzando lo sguardo sull’enorme rivale.

Qualcosa si staccò dalla bocca del draconequus e rotolò a terra. Subito si accucciò per raccoglierlo ed esaminarlo, e vide che era il suo canino sporgente.

«Ehi!» Sbottò alzando il braccio, in modo che anche il Kaiju potesse vederlo. «Questo era il mio dente preferito, lo sai?!»

Ottenne come risposta un energico ruggito, il cui tanfo lo poté avvertire anche da laggiù.

«E va bene, vuoi il gioco duro?! Mettiamo a letto i puledrini!»

Detto ciò, lanciò per aria il suo povero dente estirpato, che si levò più in alto di qualsiasi altra cosa presente in città.

Dalla sua punta partirono una serie di saette, che avvolsero il Kaiju in una maglia di lampi folgoranti.

Discord compì uno strano movimento di braccia, e il voltaggio raddoppiò d’intensità, emettendo confusionari suoni di corrente che sprizzavano dalle carni della creatura gigante.

Il Kaiju brillò come una lampadina, mentre veniva bruciato sia dall’interno che dall’esterno.

Discord rideva con onnipotente veemenza, alzando via via sempre di più la tensione che scaturiva dal canino.

Dall’altra parte del ring il Kaiju contrasse le zanne, così forte che alcuni incisivi gli saltarono via, sradicandosi dal palato. Richiamando a sé la stessa tenacia con la quale aveva sottomesso i suoi precedenti avversari, riuscì a fare in modo che i suoi muscoli interni, il pettorale e tutta la regione che comprendeva il retto addominale e gli obliqui s’isolassero dalla corrente che scorreva sugli strati esterni della pelle (e fu solo per merito della sua massa se questo gli fu possibile), abbastanza da permettergli di gonfiare il ventre e lo sterno di aria, e sollevare poi la struttura del collo per rovesciare contro la sorgente tutta la potenza dei suoi ruggiti sonici.

Discord dovette indossare delle cuffie anti-rumore per evitare di finirne assordato, e tanto bastò al Kaiju per disciogliere nell’etere la tempesta di corrente che si originava dal canino.

Il dente piovve a terra, e quando Discord compì il gesto di farlo tornare a sé magicamente, si ritrovò la carica del ciclope subito pronta a imbattersi su di lui.

Si teletrasportò sulla sua spalla carbonizzata dalla corrente, ma subito il Kaiju tentò di scacciarlo con un manrovescio di quelli decisi.

Poco più in là, uno sdraio da spiaggia blu, abbinato a un ombrellone e righe rosso-bianche, si aprì sulla strada diroccata, pronto ad accogliere il suo proprietario.

Discord vi si distese, tenendo indosso un cappellino di paglia, gli immancabili occhiali da sole e in mano un quotidiano girato sulle pagine del cruciverba.

Volse lo sguardo di lato, spiando di traverso la battaglia che nel frattempo proseguiva a qualche centinaio di metri di distanza.

Era fermo su una definizione della colonna delle orizzontali, intento a scervellarsi sull’enigma della soluzione, quand’ecco che il corpo malmenato di un altro draconequus, una copia quasi perfetta di Discord, cadde vicino a lui affondando a un metro dalla sponda sinistra dello sdraio, per poi sfumare come nebbia sottile.

E subito il Kaiju che si dirigeva verso di lui.

D’improvviso gli balenò la soluzione, e si affrettò a riempire di gran fretta le caselle, mentre il mostro si apprestava a un nuovo attacco.


Fluttershy guardava la scena tremando come una foglia. «Oh cielo, oh cielo, oh santo cielo! Twilight… d-dobbiamo fare qualcosa… dobbiamo aiutarlo…»

«Gran bello spettacolo, non è vero?»

«DISCORD?!?» Strillarono le sei Custodi, sorprese una più dell’altra nel vederlo comparire lì accanto a loro.

«L’unico e inimitabile da più di mille anni!»

«Bontà celeste, sei ferito?! Qualcosa di rotto?! Sei stanco?! Hai sete?! Ti porto del tè??» Lo assalì la pegaso canarino tempestandolo di domande.

«È tutto sotto controllo, rilassati! Quel coso non mi ha neanche toccato ancora!»

Applejack si accigliò «Aspetta un momento! Ma quindi… se tu sei qui… chi sta combattendo contro quello?!» Chiese, mentre più in basso boati e fragori stavano intonando sonate da battaglia.

«Solo un paio dei miei cloni personali da compagnia. Sapete anche voi quanto sia difficile oggigiorno mantenere integra una messa in piega appena fatta!» Si mise ad aggiustarsi quella che era palesemente una finta parrucca bruna. «E poi, devo farmi bello per quando mi accoglierete sul podio dell’eroe! Non vorrete mica che sfiguri durante l’intervista?»

«Che ne dici invece di darci un taglio e levarcelo di torno definitivamente?!» Lo rimproverò Rainbow Dash, che era la più collerica del gruppo, e a buone ragioni: furente per il suo Elemento, per le vittime della giornata e per le delusioni (o magari malsano orgoglio) affiorate nei confronti di Spitfire. Avrebbe posto fine allo scontro lei stessa se solo non fosse stata consapevole della sua completa impotenza.

«Tutto a suo tempo, mie care. Non vorrete mica che il pubblico si annoi? E poi, non voglio dargli la soddisfazione di cavarsela con così poco… deve pagare per tutto il male che vi ha fatto!» Si sporse dall’ampia piattaforma sospesa, godendosi con un binocolo lo spettacolo dello scontro in città. «Aw, ma guardatelo, amore della mamma! Sembra un cucciolo che gioca con gli amichetti immaginari!»

«Sarà… ma per il momento sembra che il vantaggio ce l’abbia ancora lui… » fece notare Twilight.

Il Kaiju tenne stretta la copia-Discord sulla punta delle dita e la portò all’altezza delle mascelle spalancate, inarcando all’indietro il collo e lasciandovela cadere dentro. Ingurgitandola, poi, in un sol boccone.

«Devo proprio ammetterlo, ci sa fare l’amichetto… » Commentò il vero draconequus calandosi dagli occhi il binocolo.

«La fuori è ancora pieno di gente, Discord! Eliminalo prima che qualcun altro si faccia del male inutilmente! Smettila di giocare!»

Discord, malgrado detestasse farlo, fu costretto a dar credito alle parole della Principessa dell’Armonia.

«E va bene, visto che insistete tanto… ah! A proposito Cel. Mi faresti un grande favore se spostassi il sole sulla linea dell’orizzonte.» Disse, e concluso questo si tuffò dallo strapiombo, attraversando senza alcuna difficoltà la barriera della Muraglia.

Le Custodi si voltarono per osservare Celestia, interrogandosi sull’enigmatica richiesta di Discord.


Lo spirito del caos trasformò le sue dita in un fischietto, usandolo per richiamare l’attenzione del Kaiju.

Il mostro lo vide scendere in picchiata, ancora in forze nonostante si fosse ormai convinto di averlo sconfitto. Sfogò la sua frustrazione infierendo sul paesaggio e balzò dinanzi a una torre strappandone la metà superiore dal resto della struttura.

Ruotò su se stesso per tre volte per infondervi lo slancio, lanciandogliela contro al compimento del quarto giro.

“Oh-ho… cavolo!!” Discord dovette inchiodare a mezz’aria e fare una rapida scansione per verificare se qualcuno vi si stava rifugiando all’interno. La vista gli divenne a raggi-X, e una volta appurato che poteva contrattaccare senza rischiare di ferire nessuno, usò l’unico incantesimo che gli venne in mente in quel momento, trasformando il blocco della torre in liquido; succo d’arancia, per la precisione, che liberò nell’area un piacevole odore fruttato.

Discord si riparò dietro un ombrello, levitando affianco a sé un piccolo bicchiere di vetro, nel quale vi strizzò il liquido assorbito una volta cessata la pioggia.

Vi inserì una cannuccia e iniziò a bere. «È stata proprio una bella partita.» Disse al Kaiju mentre finiva. «Erano anni che non mi divertivo così tanto, ma adesso la ricreazione è finita. Da questo momento si fa sul serio!»

Il ciclope si comportò come se lo avesse capito, perché subito gli lanciò addosso un grugnito iracondo. Prese a corrergli incontro, intenzionato a fermarsi solo e unicamente al conseguimento del suo completo annientamento.

Discord si trovò a osservare, attraverso i bordi umidi del bicchiere, il riflesso del sole che Celestia aveva cominciato a spostare sull’orizzonte del tramonto, esattamente lì dove il draconequus voleva che fosse.

“E brava Celestia. Vedo che ci capiamo al volo”.

Spostò il bicchiere con calma, in cerca della giusta angolazione per ciò che voleva fare.

«“Cameriere!”» Parlò tra sé a gran voce. «“C’è un problema con la mia bistecca, io l’avevo ordinata ben cotta!” “Oh, mi dispiace signore! Rimedio subito!”» Si rispose in falsetto.

I raggi del sole si concentrarono sul fondo del bicchiere, come attraverso una lente d’ingrandimento, e un massiccio cono di fuoco fluidificato si dipanò dal centro, indirizzandosi contro il Kaiju.

Il mostro si vide arrivare contro il getto, e nel poco spazio a disposizione riuscì a fermarsi e quindi a incrociare le braccia usandole come scudo.

Si ritrovò in trappola, bloccato sul posto.

La sua grande resistenza fu in grado di contrastare il flusso d’energia che continuava a generarsi dal riflesso sul bicchiere, ma a parte questo, era del tutto incapace di muoversi.

“Per te è finita, te lo posso garantire!” Pensò Discord, mentre saliva su una tavola da surf cavalcando l’onda di fuoco.

Mutò la sua testa in un’incudine e con esso tirò al Kaiju una testata talmente violenta che la parte frontale del guscio protettivo si crepò, aprendovi un altro reticolo di fratture.

Non contento del risultato, Discord manifestò una grande torta di panna che gli lanciò addosso con una mazza da baseball, e con uno schiocco di dita la fece esplodere sulla sua faccia come una bomba.

Il guscio a quel punto si scoperchiò definitivamente, rivelando il bulbo oculare contenuto all’interno.

Discord indossò due guantoni da pugilato e li usò per colpire il ventre del Kaiju con due potenti diretti. Il ciclope si piegò in avanti e rigurgitò del liquido scuro, non meglio identificato.

Discord continuò con un montante a braccio teso, che fece sollevare da terra il Kaiju e altri denti del mostro saltarono via, lasciandosi dietro solo un inquietante sorriso crivellato di buchi.

Per concludere, Discord voltò la testa da un lato, come per ammiccare ad un’inquadratura che solo lui poteva vedere. «E per finire: questa la dedico a tutti voi, ragazzi!»

Tornò a rivolgersi al Kaiju, che si sforzava di reggersi in piedi e continuare a combattere, ma che in quel momento dava più l’idea di un ebbro che c’era andato giù pesante con la bottiglia.

Il draconequus gonfiò il petto e strinse il ventre. Dalle corna disambigue sprizzarono delle scintille di corrente statica; allora aprì la bocca, cimentandosi nella formula che avrebbe rappresentato il suo colpo di grazia.

«Fus… Ro… DAHH!!»

Un rombo di tuono deflagrò sulla montagna, e il Kaiju fu spazzato via dall’ondata che si generò dalla formula.

Cadde di pancia, abbattendo altri due palazzi, come se fossero i due dobloni che lo avrebbero accompagnato nel viaggio del trapasso, e quando il fragore delle macerie si spense, seppellendo la salma del ciclope su Canterlot, sulla città scesero finalmente la pace e il silenzio.


«Ce l’ha fatta!! SÌ CE L’HA FATTA!! CE L’HA FATTA!!» Strillò la pegaso canarino, in piena frenesia.

«Bontà di Celestia, ci è riuscito davvero!» Commentò Applejack.

«Ve lo dicevo che ci poteva riuscire! L’ho sempre detto!»

«Sì, Fluttershy. Lo sappiamo.» Rispose Twilight sorridendo.

Più in basso, anche i privilegiati che avevano assistito allo scontro cominciarono a festeggiare e a diffondere in tutto il maniero notizie sull’esito della battaglia.

Finalmente un po’ di serenità sembrava aver fatto ritorno nei loro animi.

La Principessa del Sole si alzò in volo con impazienza, andando a ordinare alle truppe della Muraglia di sospendere per il momento l’immissione dell’incantesimo, quindi scese in città, quando la cupola si era completamente dissipata intorno al castello.

Le Custodi la guardarono allontanarsi, senza avere bene in chiaro che cosa sarebbe successo ora.

«Pensate che sia… m-morto?» Chiese Fluttershy, in pena per la sua sorte, nonostante tutto.

«Forse… non ne ho idea. Magari è solo privo di sensi. Potrebbe essere svenuto per le ferite, oppure… non saprei… » tentò di risponderle Twilight con cautela, perché sapeva che la sua amica non era mai stata d’accordo nel spingersi fino a quel punto pur di sconfiggere i Kaiju. Andavano fermati, e su questo non vi erano dubbi, ma la sua politica ad oltranza continuava a sostenere l’inutilità di provocarne la morte. «Lasciamo che sia Celestia a decidere cosa farne di lui.» Taglio corto alla fine, sospirando.

Flutershy deglutì nervosamente.

Per superare il momento si aggrappò alla fiducia che riponeva in Discord, e alla consapevolezza che fino a quel momento mai nessuno aveva perso la vita per mano sua, nemmeno ai tempi in cui le sue azioni erano votate al male.


«Non c’è posto per entrambi, qui ad Equestria. Non te lo scordare la prossima volta!» Disse il draconequus, puntando un dito insolente al corpo disteso della bestia.

«Discord!»

Lo spirito del caos, sentendosi chiamare, si girò, trovandosi di fronte la Principessa. «Oh cara Celestia! Sei venuta per stringere la mano al nuovo paladino del regno?»

«Non in questo momento. Qual è lo stato del Kaiju?» Chiese lei, in ansia.

Discord tirò fuori uno stetoscopio e prese a misurargli il battito cardiaco da un punto a caso del tallone destro. «Hmm, pulsazioni deboli e rallentate. Sarà fuori combattimento fino al prossimo plenilunio. Basterà dire a Luna di regolarsi di conseguenza.»

Celestia annuì all’antifona e fu invitata dall’impulso a voltarsi per guardare intorno a sé le conseguenze dello scontro, ma non ne ebbe il coraggio.

Osservare dall’alto la sua amata città cadere a pezzi una struttura alla volta era stato un tormento già di per sé insopportabile. Come avrebbe fatto ora a fissare con gli stessi occhi l’inferno che si dispiegava tra quelle strade, tra le  fiamme alte che lambivano i cieli e i raggi del tramonto che tracciavano contorni sugli scheletri di ciò che restava di Canterlot? Per non parlare dei cadaveri; tutti quei corpi privi di vita che ora sarebbe spettato a loro prelevare e seppellire?

Per evitare di cedere all’impulso, fissò la terra davanti a sé per un lasso indefinito, ripiombando in quella specie di trance che le aveva tenuto compagnia anche in un tempo precedente.

Discord decise di farsi avanti. Sperò così di liberarla da quello stato catatonico. «Allora... ehm, che cosa ne facciamo di lui?»

Gli occhi della Principessa tremolarono, cercando di contenersi dallo stimolo di scoppiare in lacrime. «N-non lo so… »

Il draconequus si passò la mano tra i peli della lunga barba caprina. «E va bene… » rifletté «forse se mi metto d’impegno potrei riuscire a trasferirlo in qualche dimensione alternativa. Un posto privo di vita dove potrà divertirsi a buttar giù le cose senza far male a nessuno, o magari… »

«Uccidilo… »

L’ordine arrivò rapido e doloroso, impulsivo come un arresto cardiaco.

Si mise a fissarla con diffidenza, per nulla convinto della sua decisione. «Se permetti, non è lo stile che preferisco. Avete l’occasione, per la prima volta da mesi, di risparmiare la vita a uno di loro. Non vorrai macchiarti di una colpa di quest… »

«LORO NON HANNO MAI AVUTO PIETÀ PER NESSUNO DI NOI!!» Gli tuonò contro con la Voce Regale. Il peso delle vittime si accumulava sui suoi zoccoli come incudini da fabbri, facendola accasciare a terra. «Non… non comprendo perché noi d-dovremo… agire diversamente… » Disse tra i singhiozzi.

Il suo volto iniziò a essere rigato da piste di lacrime calde e angosciate.

Discord le si avvicinò e si accucciò davanti a lei, facendo quello in altre circostanze non avrebbe mai osato fare: la strinse tra le sue braccia, lasciando che le sue emozioni fluissero fuori dal corpo.

«S-sono morti… la mia gente… l-lì ha uccisi tutti… deve pagare… »

«Shh, fatti coraggio, su. Capisco l’odio che stai covando, ma abbassarsi al suo livello non porterà l’armonia che ora manca nel tuo cuore, e fidati: se te lo dice uno spirito del caos, vuol dire che è vero.»

Vide le sue labbra accennare un leggero sorriso, e questo lo rallegrò.

«P-puoi fare qualcosa per… »

Capì al volo cosa stava cercando di chiedergli. «Purtroppo no, la mia magia è in grado di portare solo lo scompiglio. Non sono in grado di aggiustare le cose che altri hanno distrutto… »

Udì i suoi singulti ricominciare e farsi progressivamente più forti. Si morse le labbra per la risposta che le dette, ma in fondo, pensò, si era limitato a dirle la verità.


Il Kaiju li ascoltava mentre parlavano nella loro lingua, filtrando il suono delle voci tra i tanti rumori di fondo e i fischi di dolore che gli strillavano da dentro la sua testa-occhio.

La vista gli era oscurata, da quella posizione poteva scrutare soltanto la pavimentazione crepata sotto il peso del suo corpo, e i resti di quello che erano gli edifici sui quali era caduto.

Respirava a fatica, schiacciato dalla sua stessa massa, si sentiva i muscoli indolenziti, con gli avambracci che divampavano di bruciore per tutti gli attacchi magici contro i quali si era difeso. Gli sembrava che ogni metro cubo del suo corpo stesse evocando richieste d’aiuto, ma forse era l’effetto dell’Armonia, che superava le sue difese corporee penetrando nei tessuti e corrodendoli da dentro.

Provò rabbia, un’ardente ira, frenata dalle ferite e dallo stato attuale delle cose. Se in quel momento si fosse alzato per tentare di attaccarli ancora, con ogni probabilità la creatura caotica lo avrebbe nuovamente rispedito al tappeto, negandogli così ogni possibilità di riprovarci di nuovo.

Come sempre, se davvero voleva vincere contro quel temibile nemico, così pieno di risorse, doveva servirsi dell’astuzia, l’arma più potente che ancora gli restava nell’arsenale.

Se soltanto avesse potuto servirsi dei globi assorbi-magia, l’esito sarebbe stato sicuramente diverso, ma non erano questi tra le sue opzioni: attualmente, il gonfiore all’occhio continuava ad ostruirne i dotti, bloccandone così la secrezione dei fluidi. Senza la possibilità di secernerli non poteva avviare il processo di emulsione che generava la miscela, e senza miscela, non poteva sperare di generare altri globi.

Se anche ci avesse riprovato, l’esito non avrebbe prodotto gli effetti sperati…

“Oppure sì?” Si chiese d’improvviso.

Ponderando attentamente il pensiero, si rese conto che nel fremito della battaglia non aveva mai avuto l’occasione di concedersi del tempo per tentare, ma adesso che era lì, disteso lungo a terra, si disse che l’opportunità era propizia e invitante.

Evitando di muoversi, per non destare l’allerta nei confronti dei suoi avversari, contrasse i muscoli oculari responsabili dell’espulsione del fluido.

Fu difficile, e in definitiva, apparentemente vano avviare la miscelazione dei vari composti, ma dopo qualche secondo qualcosa successe.

Insistette, e gli ci vollero due minuti di pazienza e sterili contrazioni per riuscire a produrre una sola goccia abbastanza pesante da scendere giù dall’occhio per poi condensarsi prima di infrangersi sul pavimento.

Il globo era denso e di forma irregolare, in parte “sporcato” dalla presenza di umori corporei estranei, ma anche così era idoneo allo scopo.

Quello che doveva fare, adesso, era lasciarlo libero di agire, tenendosi pronto per quando si sarebbe dovuto rialzare.


Celestia si separò dall’abbraccio di Discord, attonita, considerando che non si sarebbe mai immaginata di ricevere conforto da uno come lui, ma in quel momento, osservandone il viso che sorrideva malinconicamente mentre aspettava che lei si riprendesse, capì con assoluta certezza che finalmente, dopo anni di lotte e catene sempre più corte per tenerlo a bada, poteva finalmente vedere nei suoi occhi gli occhi di un amico leale. Un compagno pronto a difenderli contro le difficoltà del futuro.

Il Kaiju era stato sconfitto, e presto avrebbero dovuto decidere cosa farne di lui, ma altri lo avrebbero rimpiazzato, e come sosteneva Twilight, sarebbero stati più forti e vendicativi. Più abili e subdoli.

Il sole riportato al tramonto si nascondeva, un raggio per volta, dalla loro vista, inabissandosi nei misteri della retta lontana. Su Canterlot calava la tetra notte, che tentava di coprire ai loro sguardi gli orrori della morte.

Celestia si rimise sugli zoccoli, e fece in modo di restituire alla volta blu del cielo qualche ora del suo astro solare, allungando de facto la durata del dì. In altre occasioni non lo avrebbe mai consentito; Madre Natura non era un giocattolo, e gli equilibri che bilanciavano le sue creature erano fragili e delicati. Ma c’era molto da fare, e gli incendi della città non erano sufficienti per illuminare le operazioni delle squadre di soccorso che si sarebbero presto messe in moto, una volta che i due avrebbero fatto rientro al castello.

In più, se la Principessa si era spinta a tal gesto, un motivo era anche da ricercare nel significato simbolico che quella notte avrebbe portato con sé: dopo tutto quello che gli sventurati pony di Canterot avevano passato, piombare in una notte lunga, macchiata dal cremisi dei loro cari defunti, era l’ultima cosa che Celestia desiderava per loro.

Quando il corno si spense, subito dopo aver compiuto il suo peccato, la Principessa abbassò il capo posandosi su Discord. “È il momento di decidere.” Era la frase che attendeva di pronunciare. L’ardua sentenza nei confronti del ciclope.

Forse non era tardi per prendere in esame la proposta del draconequus. Col senno di poi, il loro karma ne avrebbe giovato.

E fu propria in quel momento che la vide, grande e ignota, più lenta delle sue compagne precedenti, ma in egual misura inesorabile: la sfera del Kaiju.

«Dietro di te, attento!» Urlò allo spirito del caos, che subito si girò verso la ragione di quel chiassone improvviso.

“Pft, sarà un gioco da puledri” concluse tra sé e sé, convinto di poter prendere in mano la situazione. «Stammi dietro, Cel. E ammira il Maestro all’opera!»

Davanti ai due si generò un ampio bersaglio circolare formato da anelli concentrici di fasce gialle e nere, simile a quelli abitualmente utilizzati per il gioco delle freccette, con un piccolo centro sopra il quale una dicitura testuale recitava a chiare lettere “Hit here”.

Rimasero quindi ad attendere che il globo si schiantasse contro di esso, senza sospettare minimamente che qualcosa potesse andare storto.

«Facile come ingannare un cane stana-diamanti!» Commentò Discord sogghignando.

Non poteva certo immaginare che la sfera assorbi-magia sarebbe penetrata attraverso il bersaglio da parte a parte, scomponendone la struttura caotica di cui era composto, e vanificando così lo sforzo di deviarla.

Il globo del Kaiju, che in principio era destinato a Celestia, colpì Discord sul petto, in un twist che mai nessuno avrebbe reputato possibile.

Lo spirito del caos finì a terra in preda a convulsioni terribili, sotto gli occhi esterrefatti della Principessa.

«Oh no… DISCORD!» Sì chinò per sostenerlo, mentre i tremori cessavano.

Il draconequus si massaggiò prima la fronte e poi le corna, lamentando malessere.  «Questa non me l’aspettavo…»

«Dobbiamo ricondurti a palazzo! Forse abbiamo di ancora un po’ di tempo prima che la tua magia svanisca del tutto!»

Poi arrivò il ruggito, quello che tutti speravano di non udire mai più, e il Kaiju che si rimetteva in piedi pronto per il round finale.

«Non ti agitare bella, la mia magia sta benone!» Disse rialzandosi. «Ci vuole ben altro che un bestione con la congiuntivite per sbattermi al tappeto!»

La spinse via, andando poi molto vicino ai piedi del Kaiju, squadrandolo dal basso verso l’alto, fissandolo dritto sul vasto bulbo oculare scoperchiato.

«Scommetto che ti senti forte con i tuoi quaranta metri di altezza, vero? Grande, grosso e spaccone! Bene, vediamo allora se sarai altrettanto bravo con un nemico della tua taglia… »

*Snap*

Le dita schioccarono con un eco prolungato nell’ambiente, ma a parte questo, nient’altro successe. Né il Kaiju si vide ridimensionale la sua stazza, né Discord si sentì ingigantire il corpo.

Le sue orecchie calarono in giù per la paura, mentre gli sembrava che il ciclope stesse perfino mettendosi a ridendo di lui.

Poi venne il mal di testa, forte e lancinante, che lo costrinse a gemere e a stringere con forza i denti: il sintomo comune agli altri unicorni, che presagiva l’annullamento della magia.

«Ook… rimandami a palazzo… » Chiese, e Celestia non se lo fece ripetere oltre.

Il draconequus fu avvolto da un’aura di magia che lo rispedì subito al castello, lasciando a quel punto i due rimasti a reggere da soli il confronto.

Il Kaiju era visibilmente distrutto da tutti gli scontri che aveva combattuto durante la giornata, ferito e debole, ma con la rabbia ancora abbastanza forte per sostenerlo in quell’ultima e feroce battaglia.

Anche l’alicorno era furente ed esausta; rabbiosa per tutto il male che aveva fatto ai suoi amici, stanca di vederlo rialzarsi dopo ogni tentativo di toglierlo di mezzo.

Contro di lui avevano usato ogni genere di arma a loro disposizione, senza che nessuna di queste bastasse a fermarlo. Cos’altro potevano fare ora che anche Discord era fuori dai giochi?

“Che stupida che sono stata!” Si recriminò, pensando alle tante occasioni in cui avrebbe potuto impedire l’avverarsi di tutto ciò.

La sua rabbia divenne fuoco, e il fuoco si trasformò in un incendio. La criniera dai limpidi colori del cielo assunse una colorazione rossastra, come una tempesta di plasma solare che si distende nel vuoto cosmico.

I calzazoccoli si arroventarono, cominciando a fumare dai bordi.

La Principessa spiegò le ali, liberando un getto di calore che deformò l’aria tutt’intorno. Dagli occhi s’irradio una luce candida e intensa.

Allora urlò, scaricando addosso al Kaiju una vampata di vento solare, che lo fece arretrare.

«VIA!»

L’arena divenne accecante, il ciclope si protesse il volto con gli avambracci.

«VIA!!» Gli scaricò addosso un altro potente getto di plasma magico arroventato, che lo ferì cauterizzando i suoi muscoli pettorali.

«VATTENE… VIA… DA… QUI!!!» Distese le zampe e le ali, pronta ad investirlo con tutto il potere da alicorno che possedeva. Era disposta a morire tra quelle rovine, pur di sconfiggerlo e liberare per sempre la città dalla sua piaga.

Il Kaiju invece riuscì a precederla come al solito, spalancando la bocca e ricoprendola col miasma del suo fiato e il furore del suo ruggito sonico.

Erano così vicini che Celestia non poté fare altro che lasciarsi travolgere dall’ondata, lasciandosi sottomettere dal suo furore.

Sbatté le ali più forte che poté, facendo il possibile per non essere spazzata via, ma la sua mente era in fermento, sconvolta da milioni di vibrazioni deboli e forti che le trapassavano la pelle, come le lame di un attrezzo agricolo.

Tutta la grinta del momento le morì dentro, lasciando di essa solo un cerino bruciacchiato, troppo fragile per resistere alle aggressioni del mostro.

Due globi di massiccia materia oscura piovvero sul Kaiju, distratto dal suo urlo per avere il tempo di scansarli.

Lo colpirono esplodendo in nubi oscure, che avevano i colori del cosmo e anche la stessa temperatura. Il Kaiju non poté fare altro che arretrare, allontanandosi da quell’ennesima intromissione.

Celestia fu liberata dalla trappola sonica che la aveva quasi annientata, ma troppo stordita per mantenersi in equilibrio in quota. Si lasciò cadere a terra senza neanche tentare di compiere un atterraggio delicato.

Qualcuno la prese per la spalla e aiutò ad adagiarla, chiamandola per nome, ma per lungo tempo lei non riuscì a sentir niente, a parte un acuto fischio dentro le orecchie, e per fortuna l’organismo degli alicorni era molto più resistente di quello di un pony comune, altrimenti a quel punto si sarebbe ritrovata cronicamente sorda.

Le ci volle più di un minuto per accorgersi che a salvarla era stato proprio sua sorella.

Luna le parlava, incitandola a tenere duro. Frasi del tipo «Ti prego, resisti!» Che lei coglieva solo a sprazzi.

La sostenne fino a quando non fu sicura di poterla lasciare a reggersi da sé. «Come stai?? C’è qualcosa che non va?? Cel?!» La schiaffò un paio di volte.

Alla terza, la zampa dell’alicorno del sole la fermò. «S-sì… sto bene ora… sto bene… »

Ma non era certa di poterlo ripetere tra cinque minuti: le due sorelle alicorno si voltarono, attratte dai passi del ciclope che – per l’ennesima volta – stava tornando da loro.

Il Kaiju stava già gonfiando il ventre e il petto contusi.

Questa volta il suo ruggito le avrebbe schiacciate a terra, distruggendole. E anche se si fossero sollevate in volo per allontanarsi dalla zona, non avrebbero mai volato abbastanza in fretta da riuscire ad evitarlo. In aggiunta, era anche fuori questione pensare di fare ritorno al castello con il teletrasporto, o il rischio che il gigante decidesse di risalisse il fianco della montagna per tornare a minacciare i superstiti barricati era troppo elevato perché tentassero l’azzardo.

Erano insomma, condannate a restare sul posto, dove dovevano tenerlo a bada, nella fioca speranza che in questo modo potessero guadagnare del tempo prezioso.

Celestia, in uno sforzo di concentrazione, riuscì a sollevare uno scudo difensivo personale, che si aggiunse in forza a quello eretto da Luna. Le sorelle, poi, si strinsero l’una accanto all’altra e si guardarono negli occhi tenendosi per zoccolo, pregandosi a vicenda che le loro difese avrebbero retto all’ondata.

In lontananza si udì lo strillo di un’aquila.


«Forza pivelli, sbattete quelle ali! Non siamo venuti fin qui per una gita di piacere, coraggio!»

Gilda superò la coppia di cadetti che la stavano precedendo in volo, avvicinandosi alla giovane grifona dal piumaggio vinaccia che guidava la testa dello stormo.

La toccò con una gomitata, richiamando la sua attenzione. «Sei pronta per farlo?» Le chiese, pronunciando la domanda con intento retorico.

La ragazza deglutì, annuendo poi con titubanza. «C-credo di sì… »

Come ricompensa, ricevette una frecciata dal volto corrugato e appuntito di Gilda. «È in ballo la vita delle Principesse. Non ti permetto di avere delle esitazioni durante l’operazione! Allora, sei PRONTA o NO?!»

«S-sì… sono pronta…

«Molto bene, allora preparati, e appena ti do il segnale spara a quel bastardo!»

Si allontanò, facendo dei cenni agli altri grifoni per coordinare la formazione.

Davanti a loro, alcuni isolati di distanza, erano ben visibili sia il Kaiju che le due Principesse alicorno, bloccate a terra con solo una bolla protettiva di magia a separarle dalla creatura.

“Ora gli mostrerò io che cazzo succede a mettersi contro di me!”

«Prendi la mira sull’occhio e fai fuoco esattamente al mio tre!» Comunicò alla grifona vinaccia, che le rispose con un gesto affermativo.

Gilda allora prese le misure del tempo, preparandosi alla conta. «Tre… due… uno… OOORAAA!!!»


Il dardo affondò su un lato del bulbo, mancando purtroppo di parecchio la piccola pupilla sulla parte centrare dell’organo. L’azione comunque conseguì l’effetto voluto, e il Kaiju dovette abbandonare i suoi propositi offensivi.

Gridò, sì, ma questa volta fu un grido di disperazione, unito ai rauchi gemiti dei litri di aria che gli erano andati di traverso in fondo alla gola.

«Non male, bel lavoro ragazza!» Si complimentò la Sergente con la giovane cadetta.

La parte più oscura di lei avrebbe desiderato rimproverarla per non aver centrato in pieno il bersaglio, ma la voce del suggeritore era tornata per intimarle il contegno: “Ha agito bene, diamole atto.”

Il Kaiju estrasse il piccolo dardo, lasciando sprizzare fuori dall’occhio dei getti di sangue nero, che subito si arrestarono.

I quattro grifoni della formazione gli volarono contro, con l’esplicito ordine di distrarlo mentre Gilda scendeva in picchiata verso le Principesse.

«Maestà, venite con me, presto!» Ordinò in modo conciso, e le alicorno la seguirono senza fiatare.

Volarono al suo seguito, con Luna che aiutava la sorella durante la prima tratta del percorso, per poi lasciarla fare da sé su sua diretta richiesta.

Atterrarono sulla cima di un edificio, abbastanza distante dal pericolo.

Gilda diede un’ultima controllata alla propria lancia-dardi, mentre attendeva che le due sovrane si riprendessero dal momento di panico.

«La situazione non era delle migliori. Scusateci se ci abbiamo messo tanto!» Disse, sentitamente affranta «spero che nessuna si sia fatta male?»

Si rivolse ad entrambe, ma era chiaro che il soggetto della domanda era Celestia: fisicamente a posto, a parte i calzazoccoli e il resto dei gioielli fusi e deformati per la forte esposizione al calore, non c’erano segni evidenti che lasciassero presagire che avesse subito dei danni, tuttavia, anche ad un occhio disattento appariva fin da subito stanca e debilitata, ed era questo, in particolare, a destare preoccupazioni alla grifona.

«Mi riprenderò.» Rassicurò invece l’alicorno «Vi siamo enormemente grati per l’aiuto che ci avete dato. Io e Luna vi dobbiamo la vita.»

«Ci avevano detto che eravate… dispersi.» Disse l’altra Principessa, preferendolo al vocabolo “morti”.

«Già, è il motto del giorno. Ha fatto fuori tutta la mia squadra e gran parte del secondo squadrone, quelli che vedete laggiù sono quello che rimane delle unità del Sergente Maggiore Scratch… è morto anche lui… » ripensarci le riempì il cuore di malinconia, ma la ingurgitò come un grumo di catarro addensato.

«Comunque non è questo il punto: il fatto è che stiamo sbagliando tutto! L’attacco è arrivato talmente in sordina che ci ha mandato ai quattro venti mesi e mesi di preparazione come se niente fosse! Non vinceremo mai se continuiamo ad attaccarlo con strategie isolate! Dobbiamo riorganizzarci e partire tutti insieme, così come prevedeva il protocollo originale!»

«Abbiamo un problema, non so se ti hanno informata, ma non possiamo più contare sugli Elementi dell’Armonia.» La avvisò Luna, rammaricata.

Gilda si accigliò. Stava per esplodere, e riuscì a contenersi solo grazie alla disciplina militare. «Le Custodi sono… ?»

Celestia la rassicurò con un gesto del capo. «Sono salve. Ma non possono più accedere alla magia che attiva l’emissione degli Elementi.»

La grifona sospirò, sollevata dallo scoprire che almeno Rainbow Dash era sfuggita all’ecatombe.

«Voi avete notato niente dalla vostra azione? Qualcosa che possiamo usare contro di lui? Un punto debole magari?» Chiese Luna.

A Gilda le ci volle poco per pensarci e rispondere. «Beh, il suo occhio sembra la nostra migliore opzione.» Guardarono per qualche secondo lo squadrone di grifoni che gli svolazzavano intorno mentre il trio parlava. «È l’unico punto che sembra fargli del male se viene colpito. Credo che sia più di un specie di organo visivo. Non mi stupirei di scoprire che dentro ci tenga anche il cervello e chissà cos’altro. E meno male che il vostro mastino del caos gli ha aperto un bel buco nel mezzo, altrimenti sarebbe stato un vero casino arrivarci.»

«Io e Luna potremo attaccarlo con i nostri corni se riuscissimo ad evitare che si protegga… »

«Siamo qui per questo, no? Ah, in più vi suggerisco di prendere di mira anche il collo: non ha alcuna corazza in quel punto. Chissà, magari riuscite a inventarvi qualcosa.»

Princess Luna ebbe un sussulto. «Possiamo provare con la “Lama di Luce”!» suggerì alla sorella.

Celestia ci pensò attentamente e scosse la testa. «Dovremmo approssimarci a lui per compierla, e inoltre… è troppo violenta. Doverlo uccidere è già di per sé un atto estremo. Non voglio spingermi oltre.»

Dopo di questo le tre rimasero ferme a fissarsi in silenzio. Un silenzio illusorio, rotto dai rumori che si avvertivano in giro, tutt’altro che quieti.

Gilda alzò un pugno. «Si direbbe che abbiamo un piano, no? Portiamo a termine allora! Questa sera, se mi permettete, vorrei mangiare la mia razione comodamente seduta su uno sgabello!»

«Sei sicura che il Kaiju si concentrerà su di voi? Chi ci dice che non ci prenderà di mira una volta che saremo scese?» Chiese ancora Luna, bloccata dal dubbio.

«Ho lottato con lui abbastanza da capire che è un tipetto che serba i rancori, e io ho un conto in sospeso con lui. Non vi attaccherà a patto che ve la giochiate bene: abbiamo preparato una manovra, i miei ragazzi ve la spiegheranno. Tenetevi a distanza fino ad allora, e appena abbasserà la guardia fatene uovo alla coque di quello stramaledetto occhio!»

Le due sovrane si consultarono a vicenda.

«Te la senti di provare?» Domandò premurosamente la Principessa della Notte.

«Mi sento molto meglio adesso. Sono pronta a sostenere lo sforzo.»

«Andiamo allora, quel figlio di cavalla ha vissuto anche troppo per i miei gusti… » fece per tuffarsi la grifona, ma prima di balzare, si fermò rivolgendosi alle due regnati: «… chiedo scusa per il linguaggio.» Disse loro, volando poi via.


Poteva funzionare, sì.

Era un piano improvvisato sul momento, in un gruzzolo di minuti, ma aveva del potenziale. Se sarebbero riuscite a imbrogliarlo allo stesso modo in cui lui aveva imbrogliato loro, quell’ultima azione avrebbe segnato il punto della vittoria.

Le Principesse si tenevano a distanza, in linea con quanto concordato, mentre la Sergente si riuniva ai suoi aviatori.

Lasciò partire un colpo contro la bestia; non aveva importanza dove si sarebbe conficcato, l’importante era richiamare la sua attenzione.

Il dardo si fermò sopra la clavicola destra del mostro, penetrando a malapena attraverso lo strato cutaneo superficiale. Sarebbe stato un miracolo se avesse avvertito un leggero pizzicore, ma chissà perché, bastò alla grifona per farsi notare.

«Ehi, culo rotto, ti ricordi di me?!» Lo prese in giro, volandogli intorno alla faccia.

Il Kaiju si accorse che tra i piccoli moscerini che erano tornati a infastidirlo vi era la stessa creatura alata che qualche ora prima aveva creduto di aver sconfitto.

Immediatamente si dimenticò di tutti gli altri assalitori, concentrandosi solo su di lei, come se fosse appena diventata il suo nuovo obbiettivo.

Sprigionò dei pugni rapidi e incontrollati, che buttarono giù ogni cosa, ma anche troppo imprecisi per incutere timore a Gilda.

La Sergente gridò un segnale, così com’era stato concordato in precedenza, e i cadetti si allontanarono, lasciando solo lei in prima linea.

Uno dei cadetti – Grizelda non capì chi – pagò il prezzo di una distrazione di troppo, cadendo vittima di una percossa del mostro. I suoi compagni lo lasciarono cadere, consapevoli che per lui la giornata finiva lì.

Gilda, con i riflessi in pieno fermento, fece in modo che il Kaiju focalizzasse tutta la sua attenzione su di lei. Virava in risposta ad ogni suo tentativo di colpirla, destreggiandosi con fulminei riflessi tra le voluminose dita che tentavano di afferrarla nella morsa; avrebbe anche voluto provare a scoccare un dardo alla maledetta pupilla nera del mostro, non fosse che questo lo avrebbe messo sulle difensive, minando così le loro speranze di fermarlo una volta per tutte.

Lontano da lì, le Principesse e il trio di grifoni superstiti pianificarono la prossima mossa, sapendo esattamente come comportarsi.

I grifoni formarono una piccola SkyArrow di soli tre elementi e iniziarono a volare verso i due sfidanti.

Gilda continuava a muoversi, tenendo d’occhio sia il mostro che al contempo la squadra, in attesa del momento giusto per battere in ritirata, ma fino ad allora doveva accertarsi che il nemico non prevedesse la loro strategia.

Schivò i colpi, cangiò nell’aria e si lanciò persino in un paio di colpi volutamente a vuoto, attingendo dai cinque dardi che le rimanevano in fondina, al solo fine di mantenere la sua guardia abbassata.

La SkyArrow arrivò sufficientemente vicino, e a quel punto la leader si levò di torno.

Tre frecce furono scoccate quasi in simultanea, ma non presero di mira l’occhio: sapevano benissimo che il ciclope si sarebbe protetto il viso con una mano, e difatti così accadde.

I colpi invece sprofondarono sul collo, il secondo punto debole in ordine d’importanza.

La manovra non fu letale per la creatura, ma sicuramente inaspettata in quel momento. Grugnì con un verso strozzato, come se qualcuno lo avesse accoltellato alla trachea, ledendo così le sovrasollecitate corde vocali.

Portò la mano libera all’altezza della laringe per sfilarseli, ma evidentemente non ebbe il coraggio di scoprirsi il bulbo oculare, preoccupandosi di che cos’altro poteva succedere se vi si fosse arrischiato per guardare.

Per Celestia e Luna era la miglior occasione per tornare in scena. A conferma di ciò anche l’ordine di Gilda, che in barba ai gradini sociali, sbraitò: «ora o mai più, muovetevi!!»

Le due sovrane annuirono l’una sull’altra e iniziarono a volare verso il Kaiju in perfetta sinergia, affiatate in una danza di movimenti perfetta come non si vedeva da secoli, da quando avevano affrontato e sconfitto insieme minacce come il Re Sombra e il “fu-malvagio” Discord.

I loro corni frizzarono ciascuno della propria magia. Dalla punta di Celestia schizzarono scintille stellari, che incontrarono le nubi di materia oscura della sorella. Insieme si amalgamarono, divenendo una nebulosa cosmica di polvere di stelle e Vuoto assoluto. Una spirare che si trasformò in qualcosa di simile a un piccolo buco nero che ruotava sul suo asse e che levitava su un campo gravitazionale prodotto dalle stesse alicorno mentre volavano.

Celestia lo alimentava con la sua magia di luce, ed esso la assorbiva unendolo ai poteri di Luna, crescendo, raccogliendola nel suo centro. Quando fu abbastanza grande da eguagliare l’altezza delle sovrane, esso liberò la sua energia: un raggio sia di luce che di buio, che oscurava lo spazio mentre al contempo lo irradiava di scintille zampillanti. La massima espressione del potere delle Principesse.

Sarebbe potuta essere la fine del Kaiju, il momento tanto atteso, e l’istante in cui la sua piaga avrebbe cessato di lordare la montagna.

Il ciclope avvertì l’ondata di energia che stava per investirlo, la sentiva bruciare ancor prima di arrivargli contro, attraverso le sue ferite, nel mezzo della spaccatura dell’occhio, ovunque, e sapeva che questa volta per lui non c’era alcuno scampo.

Poté solamente stendere un braccio di fronte al raggio, mentre l’altro insisteva a difendere l’occhio.

L’onda di magia incontrò l’ostacolo del suo palmo, rallentando di botto. Le dita si strinsero sul fascio di materia oscura e luce, affondandovi dentro, prima di finire sbriciolate dall’enorme potere dell’Armonia.

Le falangi si consumarono poco per volta, poi toccò alla mano, e quando anche la mano finì liquefatta, avanzò su tutto il resto del braccio, consumandolo lentamente, metro per metro.

Urlò, il Kaiju, piantando i piedi sul terreno. Grugnì e si lamentò, sbavando.

Il raggio s’indeboliva via via, ma l’arto continuava a evaporare un pezzo alla volta.

Le Principesse strinsero i denti, attingendo alle loro ultime riserve di energie per donare all’incantesimo la forza necessaria a distruggerlo. Il raggio si potenziò, disancorando il Kaiju e spingendolo a urtare contro l’ennesimo palazzo.

Ancora poco e ce l’avrebbero fatta, ancora poco e…

Il palazzo crollò, e su di esso il Kaiju, uscendo dalla linea del raggio, che poco dopo si esaurì.

Troppa potenza, troppa fretta di eliminarlo, e nessun controllo da parte di quei corni divenuti sempre più cocenti per l’emissione della magia.

Del braccio del ciclope non rimaneva che un piccolo moncherino annerito, con un rimasuglio di osso carbonizzato al centro e dei coaguli di materia nera a coronarlo.

«Non è possibile che si sia salvato ancora!! Non di nuovo!!» Gridò Princess Luna, che non era certo l’unica a condividere quel pensiero, ma l’unica ad avere la forza di esprimerlo a gran voce.

Il ciclope si resse per un momento ai resti della costruzione che lo aveva salvato, e la sua espressione mutò in qualcosa di diverso. Era follia? Panico? Dolore?

Disperazione forse, esaurimento.

Lui e le sue prede erano in stallo. Aveva vinto molte battaglie, ma anche subito ferite gravissime, dalle quali non si sarebbe mai più ripreso. Era morto, sebbene camminasse ancora, ma non avrebbe concesso loro l’ultima mossa.

C’era ancora qualcosa che poteva fare. Non aveva conseguito l’obbiettivo della sua missione, ma avrebbe ugualmente spianato la strada ai fratelli che presto lo avrebbero rimpiazzato. Avrebbe reso loro le cose più facili in futuro.

Si rimise in piedi respirando faticosamente e corse via dal campo di battaglia, spiazzando tutti.

“Il castello…” «Sta cercando di tornare al castello! Dobbiamo fermarlo!!» Gilda e con essa i suoi grifoni agirono d’istinto, parandosi di fronte per cercare di sbarrargli la strada, ma dopo aver scoccato qualche freccia invano, colpendolo anche in punti in apparenza sensibili, finirono invece travolti uno per uno dalla carica del folle mostro, disperdendosi ovunque, inghiottiti dalle strade di Canterlot.

In poco tempo il gigante raggiunse le pendici del picco.

Armato di un solo braccio, non poté arrampicarsi come poche ore prima, ma questo non ostacolò minimamente i suoi intenti: c’era un sentiero che poteva percorrere, era relativamente stretto rispetto alla sua taglia, soprattutto nella prima parte della tratta, e fatto di corsa era reso ancora più impervio e pericolante dal terreno accidentato ai bordi del precipizio, ma neanche questo bastava a fermarlo.

Celestia planò su di lui, cercando di dissuaderlo dal continuare.

Gli lanciò conto diversi attacchi magici, dolorosi, certo, ma nulla in confronto a quello contro cui era appena sfuggito.

L’alicorno dal manto bianco si comportava come se ogni legamento dei suoi muscoli si sforzasse di obbedire alla sua volontà, ma sfortunatamente, era sfibrata dall’incantesimo precedente. Senza considerare la paura che avvertiva al pensiero che presto il Kaiju avrebbe nuovamente raggiunto la cima, e stavolta, senza più Discord pronto a proteggere i superstiti.

Un errore di troppo, unito alla stanchezza, e la Principessa non si accorse della frustata che le vibrò contro la mano gigante, scaraventandola via.

Princess Luna volò in soccorso della sorella, lasciando al Kaiju strada spianata.


Ci risiamo. Stava per succedere di nuovo.

Il primo pensiero di Twilight Sparkle, che osservava la situazione dal balcone degli alloggi privati delle regnanti, fu di unirsi alla Principessa della Notte per accertarsi delle condizioni della sua Mentore colpita a bruciapelo.

Ma non poteva farlo.

Lo voleva, certo. Non desiderava altro, e le avrebbe fatto se soltanto la sua ragione non avesse preso il sopravvento sui sentimenti personali.

Discord era ai piani inferiori, privato dei suoi poteri, come anche le sue amiche.

Gli abitanti erano devastati, emotivamente e fisicamente.

E il Kaiju stava per tornare, senza che nessuno fosse pronto a prendere il controllo della situazione, senza Spitfire che coordinasse le squadre di terra e aria per dire loro come comportarsi; era sparita da quando il Kaiju aveva urtato la Muraglia dell’Armonia, e nessuno da allora aveva più saputo fornire notizie sul suo fato.

Allora Twilight capì che doveva essere lei quella che avrebbe preso in zoccolo le redini del comando.

Era una Principessa, una giumenta che godeva di un certo prestigio tra i suoi simili, e che sapeva ispirare autorità nel momento del bisogno. Lo aveva già dimostrato in passato, in situazioni più tranquille a Ponyville, e ora che Cantelot le stava chiedendo aiuto, non potuto negarglielo.

Volò in cerca degli ufficiali che avevano al comando le unità della Muraglia, che si erano disorganizzati dopo la sospensione, dando ad ognuno l’ordine di ripetere l’incantesimo.

Si teletrasportò da una parte all’altra del perimetro, ripetendolo le stesse parole a tutti, e intimando loro di sbrigarsi.


Il Kaiju raggiunse infine la cima. Nuovamente.

Sebbene la sua vista non fosse più efficiente come lo era all’inizio, riconobbe il significato di quei raggi di magia che s’innalzavano nel rossore del tramonto pomeridiano: le sue prede si stavano nuovamente fortificando, pronte a resistergli.

No! Non era giusto! Non doveva permettergli di riuscirci di nuovo!

Si lanciò contro la Muraglia, che si era appena richiusa, affondando le gambe tra i flutti del lago artificiale.

Iniziò a battere sulla parete incantata con l’unico pugno che gli rimaneva, propagando sulla cupola increspature ad anello.


«Tenete duro! Non lasciatelo passare per nessuna ragione al mondo!!» Urlò la Principessa dell’Armonia, pur rendendosi conto che le sue parole erano vacue e prive di significato. Se anche gli avessero resistito, cos’altro potevano fare a questo punto?

I colpi del Kaiju piovevano a ripetizione, e più insistevano, più gli unicorni si affaticavano a tenere in funzione l’incanto.

Qualcuno cadde a terra sfinito, anticipando solo di poco i colleghi che ben presto li avrebbero seguiti.

Il Kaiju batteva, e batteva ancora, in un duello di sfinimenti che si sarebbe concluso solo con la sconfitta plateale di una delle due fazioni.

Ma a un certo punto si fermò, in apparenza senza una ragione…


Una goccia di fluido oculare era caduta sull’avambraccio, provocandogli fastidio nelle profondità delle ferite.

Lui la fissò, intensamente, perdendosi nell’abisso, come se stesse ragionando su qualcosa, architettando un nuovo e machiavellico piano.

Fu colto da un’intuizione, un’idea bizzarra che non faceva parte dei suoi schemi comportamentali, ma che forse poteva consentirgli di ribaltare la situazione a suo vantaggio.

Per farlo dovette aprirsi per l’ultima volta quel che rimaneva del guscio protettivo del suo occhio.

I pony lo guardarono, inquietati da quello strano comportamento.

Il ciclope premette il palmo della mano aperta sul grosso bulbo oculare, che era di un arancione rossastro per le varie infiammazioni che si erano estese sul suo contorno, e lo strizzò tra gemiti di fastidio e latrati, permeandolo del liquido denso e scuro di cui si serviva per produrre le sfere assorbi-magia.

Allontanò a quel punto la mano, osservando il fluido che ora imbeveva le sue dita segmentate, e quindi la allungò con grande incertezza verso la Muraglia, curioso di scoprire se l’intuito non lo avesse ingannato.

Non tutti i pony compresero in anticipo quali fossero le sue reali intenzioni, ma chiunque fosse stato abbastanza perspicace da collegare le due cose, iniziò a correre in giro, invocando aiuto alla Provvidenza.

Il palmo del gigante si adagiò alla parete convessa, scatenando una reazione chimica che grazie al fluido oculare prese a consumare la magia della cupola.

Twilight incitò gli unicorni a potenziare le difese, ma la Muraglia si assottigliava sempre di più cedendo il passo alla pressione del mostro.

La Principessa decise quindi di contribuire di persona; conosceva la formula utilizzata dalle unità, ed era anche sicura che con i suoi poteri li avrebbe aiutati a riconquistare terreno.

Lanciò verso il tetto una scia di luce violetta, che fortificò la cupola respingendo la mano del mostro.

«Brava, Twilight, bravissima!!» Le sembrò di udir pronunciare dalla voce di una delle sue amiche, ma quale che fosse, non riuscì a riconoscerla da quella distanza.

Il Kaiju batté un paio di volte il pugno nel lago, sollevando schizzi d’acqua alti alcuni metri. Era accecato dalla rabbia e stanco di essere respinto.

A quel punto, sarebbe ricorso a qualunque espediente pur di annientarli… QUALUNQUE espediente!

Aveva capito che poteva servirsi del suo fluido per fare breccia nella cupola nemica, perciò compì il gesto più drastico che mai si sarebbe arrischiato: spinse in avanti la testa, affondando lo stesso occhio contro la barriera magica.

La sofferenza fu immane, pari se non superiore agli attacchi più micidiali inferti dai suoi nemici. Era come guardare attraverso l’acido, mentre si nuotava per cercare di uscirne.

Sanguinò dai contorni del bulbo, ma proseguì incrollabile, spingendo e gridando fino a superare l’ultimo strato della Muraglia, aprendo finalmente una via tra lui e lo spazio interno.

Subito ci infilò il braccio, cercando di strappare i legami che tenevano salda la cupola, mentre  gli unicorni affogavano nel loro stesso sudore nello sforzo epico d’impedirgli di entrare.

Ma non sarebbero durati a lungo. Pochi secondi ancora, un minuto al massimo – a seconda della loro volontà di vivere – e tutta la struttura sarebbe crollata su se stessa.


“Sei proprio sicura di volerlo fare?” domandò la voce del suggeritore di Gilda, con un tono che voleva essere apatico e distaccato.

«Hai altre idee? A questo punto non mi rimane nient’altro.» Rispose lei, come se si trovasse di fronte a una persona in penne e ossa.

“Non finirà bene.” Aggiunse lui.

«Lo so.»

“Va contro tutto quello che Scratch ti ha sempre insegnato.”

«LO.SO!»

“Ma questo non ti dissuade?”

«No di certo! E anche se dovessi fallire, fanculo! Non voglio vivere col rimorso di essermi arresa, quando invece c’era ancora qualcosa che potevo tentare!»

Il suggeritore si ammutolì, pensando a come ribattere.

Ma la verità è che era la stessa Gilda a voler cercare altre strade alla soluzione che stava maturando.

Si reggeva a fatica su tre delle quattro zampe. L’ultima, la posteriore sinistra, si era fratturata durante la caduta, e ora strisciava a terra da sotto la sua bardatura da combattimento, ammaccata e ormai inservibile, se non allo scopo di ricordarle l’ennesimo fallimento.

La balestra si era staccata, e se anche fosse riuscita ad aggiustarla, facendo leva sulle poche conoscenze di meccanica che disponeva, il meccanismo di rilascio dei dardi si era piegato su se stesso a tal punto da renderle impossibile eseguire alcuno scocco.

E non aveva idea di dove fosse finito il resto dello squadrone.

In poche parole, era disarmata e inutile, a parte per i suoi artigli, che invece erano ancora integri e frementi dalla voglia di affondarsi nelle carni del Kaiju.

Allora aveva pensato: “Se deve finire così, allora sarà così che finirà…”

Si era sfilata con adagio l’attrezzatura lancia-dardi, provando subito una sensazione di benessere nel non dover più portare con sé quel carico extra, ma per garantirsi le massime prestazioni in volo aveva capito che doveva liberarsi anche da qualunque altra zavorra avesse indosso. Si era perciò tolta anche la corazza, serrando il becco per non dover urlare alle ribellioni della zampa rotta, che le pulsava da sotto la pelliccia nocciola.

Il Kaiju aveva ancora la forza di lottare dopo tutto quel tempo, e lei non voleva essere da meno.

Comunque, per ciò che aveva in mente, non le servivano altro che un paio di ali, e quelle, sebbene ammaccate e prive di qualche piuma, erano ancora robuste e capaci di sostenerla.

Ora che anche l’ultimo pezzo dell’armatura venne via picchiando il suolo, si sentì libera e leggera, come una foglia che nel fresco dell’autunno abbandona la sicurezza del suo albero per viaggiare verso mete lontane.


Princess Luna ritrovò sua sorella distesa all’interno di un piccolo cratere perfettamente rotondo.

Celestia, richiamando a sé i residui della sua forza, era riuscita a proteggersi generando uno scudo protettivo che l’aveva salvata dalla caduta.

La aiutò a rialzarsi da terra e insieme volsero la testa sul picco della montagna, lassù, dove il Kaiju stava tentando di penetrare nel perimetro del castello.

«La Lama di Luce, Cel, dobbiamo farlo… » Insistette la Principessa della Notte, pronta a discutere qualora l’altra avesse tentato di protestare di nuovo. Ma Celestia rimase muta, il suo volto faceva tradire ogni genere di pensiero oscuro. I suoi occhi erano vuoti, ma le sopracciglia corrugate all’ingiù, come se fosse furente. Le sue labbra invece tremavano, attendendo di piangere, ma allo stesso tempo, apparivano calme e rassegnate.

La Principessa del Sole spostò lo sguardo da un’altra parte, credendo di aver scorto qualcosa con la coda dell’occhio.

Incuriosita, Luna la imitò, e insieme si misero a seguire in silenzio il grifone che da sopra la città volava verso la roccaforte.


Mentre s’issava nella penombra del tramonto, reso un poco più luminosa dall’azione di Celestia, Gilda avvertì di nuovo i rapaci della ragione che le ricordavano a suon di stridii le lezioni di Feather Scratch: il lavoro di squadra, tanto per cominciare, con il quale poteva essere superato ogni genere di ostacolo, il rispetto delle regole impartite dai guerrieri anziani, in secondo luogo, e per finire l’obbedienza agli ordini, come quello che il Sergente Maggiore le avevo imposto prima di morire.

“Vai con Rogue. Salvati. Obbedisci!”

Ma Feather Scratch non era più con lei, e i suoi occhi d’argento non c’erano più. Il protocollo che doveva garantire la loro vittoria… era fallito.

Restava solo l’antico istinto dei grifoni, e la sicurezza che questa volta NON avrebbe fallito.

“Gli eroi si elogiano sulle tombe dei loro sepolcri…”

L’occhio era il suo obbiettivo, lo era stato dal principio. Lo scopo della sua vita, che si sarebbe compiuto con il realizzarsi della sua ultima azione.

Sarebbe stata un’azione suicida, contraria agli insegnamenti che lei stessa impartiva ai suoi cadetti, con un conto troppo alto da pagare in un’unica rata, ma costi quel che costi… avrebbe ricorso a qualunque espediente pur di annientarlo… QUALUNQUE… ESPEDIENTE!

Salì in volo il picco della montagna, volando cautamente mantenendo le distanze dal Kaiju.

Il braccio della creatura che affondava nella cupola dei pony per cercare di sfondarla.

Per completare la manovra – che sul momento pensò scioccamente di battezzare col nome “Il cerchio della vita”, ridendo tra sé e sé per la sua stessa idioziala grifona iniziò a volare a ridosso dell’anello descritto dalla Muraglia (quasi slittandovi sopra), servendosi delle correnti d’aria che vi rimbalzavano contro per accumulare la forza cinetica necessaria per terminare l’azione.

Inoltre, sperava così che il Kaiju non si sarebbe accorto di lei fino a un istante prima del punto di non ritorno.

Qualcuno, da dentro la Muraglia, notò cosa stava facendo, e cominciò a inseguirla con lo sguardo mentre percorreva l’equatore della circonferenza. Tra questi vi era Rainbow Dash, che riconobbe all’istante l’identità dell’amica. Quello che di certo non poteva immaginare era l’intenzione che la stava animando, ma presto l’avrebbe scoperta.

A centottanta gradi dal punto d’inizio della manovra, Gilda distese in avanti le zampe anteriori, avendo cura di rivolgere gli artigli aquilini verso l’esterno, come per prepararsi a prendere al volo qualcosa, oppure… a compiere un placcaggio, e sbatté le ali più forte che poté per non lesinare neanche sul più piccolo residuo di velocità che ancora poteva sommare.

“Questo è per tutto il male che hai fatto, brutto stronzo… per Scratch… per i nostri ragazzi… per ” «… TUTTIII!!!!!»

Avvenne in un lampo. Di lei il ciclope riconobbe soltanto un’ombra sfocata, che compiva la curva dal lato sinistro della cupola.

Agii d’impulso, chiudendo le placche ossee che gli proteggevano l’occhio, ma… forse sarà stata la stanchezza, o le ferite che il contributo di tutti gli avevano causato, il dolore pattuito dalle ustioni degli Elementi dell’Armonia, e il prurito dei dardi che gli si erano conficcati addosso, oppure per il sangue, perduto a ettolitri insieme al braccio troncato … fatto sta che si dimenticò della spaccatura che Discord gli aveva aperto sul davanti… e pagò nel modo più grave le conseguenze di quella svista.

Chi dal basso fissava con sgomento l’esito dell’azione vide il Kaiju piegare all’indietro l’occhio, colpito dalla grifona esattamente nelle pupilla.

Da quel momento, nessuno si sarebbe più dimenticato l’ululato di sofferenza che la creatura emise nel momento in cui, alla fine, Gilda riuscì ad accecarlo.


La grifona affondò nella fessura della pupilla, trovandosi subito avvolta da una massa scura e inconsistente di gelatina e materia organica.

Nemmeno un filo di aria riusciva a passare attraverso quel miscuglio di liquidi e odori soffocanti. Fin da subito si rese conto di non poter respirare, e non udiva altro suono al di fuori degli schiocchi della massa gelatinosa e le vibrazioni che provocavano le grida della creatura.

Provò paura, ma non si lasciò travolgere dal panico.

A quel punto non contava più a nulla se ne sarebbe uscita viva oppure no.

Sguainò gli artigli e cominciò ad affondarli alla rinfusa su tutto ciò che la circondava, strappando tessuti e affogando sempre di più nei liquidi e nell’oscurità.

Tempo qualche fendente e le sembrò di non ricordare più niente della sua vita precedente, pensava solo al momento, e al dover continuare a infierire sullo spazio fintanto che avrebbe avuto le forze per continuare.

Il volto di un grifone anziano, che per qualche ragione lei sentiva che le era stato vicino, le si manifestò di fronte agli occhi per un breve lasso di tempo, per poi finire divorato dalla notte.

Qual era il suo nome? Perché d’improvviso non se lo ricordava?

Non aveva importanza, doveva continuare.

Graffiò. Strappò. Si fece spazio nella gelatina, solo per ritrovarsi ancora più immersa negli umori.

Si rese conto che non stava respirando, poi si ricordò che, in effetti, non poteva farlo.

Allora stava per morire? Era così che sarebbe andata? Asfissiata dentro uno spazio buio nel quale non ricordava come c’era finita?

Una luce si accese alle sue spalle, illuminandola da dietro. Forse qualcuno la stava aiutando? Le stavano dando una seconda possibilità? Oppure no… ?

La luce tornò a essere buio, e qualcosa di gigantesco e crudele la raggiunse afferrandola con forza.


Rainbow Dash fissò, ormai completamente pallida in volto, il Kaiju che estraeva dal bulbo oculare il corpicino della sua vecchia amica.

La teneva stretta tra le dita, come una mosca presa per le ali, e non era facile capire da quella distanza se fosse cosciente o priva di sensi.

La pegaso arcobaleno guardò la mano del gigante rovesciarsi all’insù, ponendovi il corpicino sul palmo, che a quel punto si chiuse a pugno, schiacciandola al suo interno.

La reazione di Dash, a quel punto, fu talmente isterica che le sue amiche dovettero afferrarla per gli zoccoli e costringerla a terra, per timore che altrimenti si sarebbe lanciata in qualche azione sconsiderata.


Le due regnanti erano troppo distanti dalla cima della montagna per cogliere limpidamente i fatti che si erano appena svolti nei pressi della Muraglia.

«Cos’è successo?! Che ha fatto?!» Fu chiesto da Luna, che non vedeva altro spettacolo al di fuori dei lamenti del gigante.

Solo qualche ora dopo, ossia quando tutta quella storia sarebbe finita, qualcuno le avrebbe informate di quale sacrificio si era addossata la grifona che rispondeva al nome di Gilda.

«Credo che lo abbia accecato! Non vedo altre spiegazioni!»

«Cosa?!? Ma questo significa che… »

«Sì, Luna… possiamo attaccarlo!»

Le sorelle si osservarono per qualche secondo, in un arco di tempo in cui il volto di Celestia si fece grave. «Facciamolo… » Disse lapidaria la Principessa del Sole.


Risalirono il picco di gran fretta, alimentate da nuove motivazioni.

Quando videro il Kaiju farsi imponente dinanzi alla cupola, faticarono a credere che quello che avevano di fronte era lo stesso nemico che fino a poco prima aveva dato loro tanto filo da torcere.

Esso si dimenava come un ossesso, provando maldestramente a orientarsi in quello scenario che adesso non era più in grado di gestire.

La sua mole, che una volta gli garantiva il vantaggio su tutto, ora influiva su di lui come un handicap, rendendolo goffo e lento, tremendamente maldestro.

Qualche volta riusciva a urtare (con la sua mano o con altre parti del corpo) la forma della Muraglia, ma quando questo succedeva era solo per merito di una coincidenza fortuita, e non di certo, per la sua volontà di ritornare all’attacco. Privato della sua vista, oramai travolto dagli eventi, non era più in grado di ragionare con la dovuta lucidità.

Celestia, per prima cosa, era intenzionata ad allontanarlo dal castello, per dare così agli unicorni la possibilità riposarsi.

Si pose davanti al mostro, sprigionandogli contro un potentissimo colpo dirompente, infierendo ancora di più sull’occhio, che esplose cospargendo il territorio di poltiglia viscosa.

Intervenne a quel punto Luna, che invece prese di mira la ferita cauterizzata sul petto, facendogli ancora più male.

Il Kaiju si ritrovò in ginocchio, e tentò di colpirle a casaccio con una spallata fallace.

L’alicorno blu scuro decise che era giunto il momento di attivare l’incantesimo che chiamava Lama di Luce: sulla sua testa si generò un cono di magia che si estendeva per più di un metro oltre la punta del corno.

Volò verso il braccio sollevato, ruotando in avanti con tutto il corpo e sferzando il bicipite con un fendente che purtroppo non conseguì l’effetto che avrebbe voluto.

Indietreggiò, facendo ritorno dalla sorella. «Non va bene, la sua corazza è ancora troppo spessa! Non riesco ad andare oltre allo strato esterno del carapace!»

«Dovremmo concentrarci sul collo, così come hanno suggerito i grifoni!»

«Il problema è che non sta fermo un attimo! Rischiamo di finirgli dritti in bocca se non stiamo attente!»

L’urlo sonico venne rapido e improvviso, così come la sorpresa delle Principesse. Il Kaiju questa volta non pareva mirare a una direzione precisa, accontentandosi di scatenarlo un po’ dove capitava.

Parte dell’onda d’urto si disperse nel vuoto e altra andò a scontrarsi contro la cupola di magia, le regnanti invece ne dovettero incassare solo una piccola parte, scombussolandosi più per il frastuono che non per altro.

Incespicando in movimenti privi di coordinazione, si cimentò in una fuga disperata verso la prima rotta che scelse a caso, rischiando più volte di ruzzolare su se stesso mentre si dibatteva.

«Te lo puoi scordare questa volta!!» Urlò Celestia, lanciandosi all’inseguimento. Attivò a sua volta il suo incantesimo di Lama (più lungo di mezzo metro rispetto a Luna), con il quale recise con un unico rovescio i tendini tra tibia e perone che si legavano all’ossatura del piede destro.

Il Kaiju si ritrovò subito atterrano, incapace di muoversi.

Princess Celestia infierì ancora con alcune potenti sfere di magia, e il titano provò a respingerla mirando semplicemente a casaccio in qualunque verso gli capitasse, ma per una serie di circostanze sfavorevoli, l’alicorno rischiò di essere travolta dall’arto in movimento.

Arrivò Luna a prestarle assistenza, facendo qualcosa che ai suoi occhi parve fin da subito piuttosto insolito. Volò sotto l’ascella del mostro, conficcando il corno tra i segmenti del braccio e il resto del corpo, stimolando alcune terminazioni nervose del mostro, che paralizzarono l’arto dai suoi intenti offensivi.

“Vediamo se così funziona…” pensò tra sé e sé, mentre concentrava sul corno una carica esplosiva.

La magia detonò, e la Principessa della Notte fu scaraventata al suolo, da dove si rialzò frastornata e zoppicante. D’impulso Celestia pensò di calare di quota per raggiungerla e vedere come stava, ma venne arrestata dalla stessa, che rapidamente sollevò le zampe facendole segno di “NO”. «Non pensare a me, vai adesso, FINISCILO!!»

Il braccio del Kaiju, infatti, era stato reciso, seppur con metodi poco ortodossi, dalla base del tronco, e adesso pendeva di lato come un ramo d’arbusto spezzato.

“D’accordo…” «Rimani al sicuro, da qui in poi me ne occuperò io!» Disse la Principessa del Sole, tornando spedita dal nemico.

Il ciclope, completamente bloccato a terra, adesso non aveva più modo per sfuggire alla sorte riservatagli dal destino, eppure occorreva ancora qualcosa per permettere all’alicorno di terminare lo scontro.

Colpì ripetutamente quel che restava del guscio oculare, sperando in questo modo di rovesciargli all’indietro la testa scoprendo così la muscolatura del collo, ma la tenacia del Kaiju non la deluse neppure stavolta.

Quello che fece ebbe dell’incredibile, considerato che al suo posto qualunque altra creatura non avrebbe avuto altra scelta se non di arrendersi all’inevitabile, lui invece nascose la testa tra le ginocchia, rannicchiandosi in posizione fetale.

Presa dal panico, e col timore di vedersi fallire anche quest’ennesima chance di vittoria, la Principessa del Sole lo bombardò con ciò che restava della sua magia residua. “Scopri quella dannata testa, maledetto demonio! Tirala fuori!!” Non si accorse che così stava assecondando il gioco del mostro, vuotando un colpo alla volta le riserve del suo potere. E quando queste si sarebbero esaurite, il Kaiju si sarebbe inventato qualcosa per rovesciare le regole ancora una volta.

Lo stallo sarebbe continuato, e lo scontro si sarebbe protratto, forse all’infinito.


Princess Luna incedette di qualche passo portando se stessa a una vicinanza che si augurò potesse bastare.

Non era solo sfinita per lo scontro, ma anche esausta dalla giornata e gravata dal debito di diverse ore di sonno arretrato.

Diede moto al suo ultimo incantesimo, sapendo che alla fine ne sarebbe svenuta.

Mentre il corno si avvolgeva nella sua aura, implorò la sorella affinché al momento giusto trovasse la forza per imporre il suo giudizio.


Celestia riconobbe nelle sfumature blu notte del velo che calò sul Kaiju, l’incantesimo cosmico che la sorella minore utilizzava ogni sera per issare nel cielo il satellite lunare, e pensò che fosse impazzita nel volersene servire – un incantesimo così delicato – per lo scopo cui stava aspirando.

Se solo il ciclope avesse tentato di ribellarsi in qualunque maniera – scenario che oramai era diventata per loro la prassi – la levitazione si sarebbe infranta svuotandola delle forze e lasciandole entrambe con un pugno di mosche sullo zoccolo.

Ma il gigante pareva ormai prosciugato dalla volontà di lottare, e dopo averlo issato di una decina di metri da terra, il suo capo venne portato allo scoperto rivelando così anche l’inarrivabile collo.

Celestia, dunque, si apprestò ad adempiere al suo dovere.

La Lama di Luce si sguainò sul suo corno, e lei chiuse gli occhi mettendosi a ruotare su se stessa come un’elica, sempre più veloce via via che i giri aumentarono.

Divenne così rapida, a un certo punto, che la sua sagoma non era quasi più distinguibile all’interno del disco, ma solo come sfumatura immateriale, delle tonalità lucenti.

“Fai presto, Cel… non so per quanto riuscirò a resistere…” strinse i denti Luna, cercando di convincersi che lo sforzo sarebbe durato solo per pochi secondi ancora.

La grande Lama circolare iniziò a muoversi nel vuoto, spostandosi sul collo del Kaiju. Da prima affondò sul muscolo tiroideo, recidendogli i legamenti anteriori, e quindi ruotò tutto intorno, scardinandogli la testa-occhio, e con essa le palpebre ossee, dal resto del corpo.

Come supposto dai grifoni, non vi era alcun rivestimento a proteggere quella parte specifica dell’organismo, e Celestia riuscì a completare il giro, atterrando di brusco sul prato della discesa non lontano da lì.

Luna, dunque, interruppe l’incantesimo accasciandosi a terra, sperando di ritrovare al suo risveglio una città pronta a risorgere.

Sul volto senza vita del Kaiju si era disegnata una smorfia indefinibile, che rimase tale anche quando la testa rotolò via, fuggendo dal suo tronco.

Brevi spasmi animarono ancora la carcassa mentre il picco si tingeva di nero. Il suo sangue, scuro come la pece, non era simile a niente che fosse mai esistito su suolo Equestre.

Solo allora la Principessa Celestia ebbe la possibilità di riprendere fiato.

Era finita, il Kaiju era morto per davvero. Pensarci le riusciva difficile, come temendo che risvegliandosi da un lieto sogno, scoprisse che il mostro stava ancora incombendo sugli abitanti.

A quel punto si ricordò del debito che aveva lasciato in sospeso con la sua città.

Volò adagio, fino ad approssimarsi sul ciglio dello strapiombo, con il corno che grondava del nero del sangue, e mentre recuperava le forze, annaspando in cerca della preziosa aria, si costrinse a prendere nota di ogni singola colonnina di fumo, di ogni rogo e di ogni tetto scoperchiato o palazzo demolito.

Un pensiero le fece rivoltare lo stomaco, dandole la nausea: non era una vittoria quella che il tramonto su Canterlot stava cercando di suggellare ai superstiti della montagna. Certo, avevano sconfitto il loro nemico, e probabilmente adesso stavano sospirando abbracciandosi tra loro e piangendo lacrime di commozione, ma a quale prezzo?

Era giusto parlare di vittoria, quando la capitale era ridotta in cenere e le vittime attendevano solo il loro momento per essere celebrate e sepolte?

Per giunta, ciò che la fece stare più male fu la consapevolezza di sapere che l’incubo non era ancora finito.

Era soltanto il quarto attacco quello che avevano affrontato quel giorno. Questo significava che presto ne sarebbero arrivati altri; forse, chissà, molto prima di quanto potevano mai immaginare.

Per troppo tempo lei e Luna avevano promosso l’accettazione di quella realtà, convinte che la vita dei pony avrebbe potuto continuare allo stesso modo di sempre, come se niente fosse.

Ma si erano sbagliate, e per questo molti avevano patito e sofferto.

“È stata colpa mia. Non doveva finire così.”

I sensi di colpa erano tornati a ricadere sul suo garrese.

Allora andò dalla sorella, e la caricò in dorso portandola alle porte del castello, dove ricevette assistenza medica dalle squadre di soccorso. Poi si rifugiò nella sua stanza, sentendo il bisogno di passare un po’ di tempo da sola, estraniata da Equestria e dal resto del mondo.

Trascorse il resto di quelle ore a piangere, mentre cercava un modo per prevenire la distruzione che avanzava alle loro porte.

La caduta del suo regno era stata soltanto rimandata.


CONTINUA…


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Ed ora, ragazzi, concedetemi un momento per parlare insieme :)


Con la fine di questo primo atto, si conclude per me un’epoca.

Ricordo i tempi quando ancora fantasticavo sull’idea di crossare un film come Pacific Rim ai pony. Erano tempi strani, se visti con gli occhi di adesso. Tempi in cui tutto quello che avete letto erano solo pensieri fumosi in una testa che non riusciva a convincersi che un giorno li avrebbe scritti. Ma così è stato, e se questa prima parte dell’epopea è stato possibile, lo devo anche a tutte le persone che su più livelli hanno preso parte a questo progetto, aiutandolo a crescere.

Come non citare Nightflyer22, che mi ha aiutato (e voi non potete capire quanto la faccio patire ^^’) e lo fa tuttora nella realizzazione degli artwork più importanti? Ma non dimentico neanche l’utente Big panzer 91 (un nome che è tutto un programma, fidatevi ;D), che oltre ad essere uno dei miei amici più cari, non disdegna talvolta di darmi anche qualche importante dritta dal punto di vista prettamente tecnologico (anche se ancora si è visto poco), come anche Laura (non ha ancora un’iscrizione, ma tranquilli, riuscirò prima o poi a convincerla a farlo :P), la mia ragazza, che sebbene legga con la velocità di un nudibranco in stato criogenico, mi mette al corrente di molti di quei refusi grammaticali che non capisco proprio come io faccia a schivare (errare humanum est)

La lista però potrebbe dilungarsi all’infinito. Potrei per esempio nominare Stargazer, che oltre a sopportarmi ogni giorno in chat mi da anche stimoli, con la sua grande abilità da scrittore, per migliorarmi sempre di più, o Jakrat, con la sua stupenda recensione che ha elogiato ER mettendomi però anche in evidenza alcune pecche che giustamente non ho evitato di commettere (perseverare è ovest XD).

Qui però devo aggiungere tutti voi, i miei lettori, che in ultima analisi siete per me le persone più importanti, il mio primo pensiero quando mi seggo sulla mia scomoda sedia, e l’ultima quando distacco i miei occhi infiammati dalle radiazioni del laptop.

Di voi ricordo e cito elmdor (sei stato il primo a commentarmi, e quello che più di tutti continua a farlo), everytmeMR.P (giuro che mi sono commosso quando ho saputo che hai iniziato a scrivere per mia ispirazione), The Fallen (tranquillo, nessun rancore se fatichi a starmi al seguito. Lo sappiamo entrambi che Rim è lunga un anno luce e mezzo), ma non pensate che mi sia dimenticato di Larissa Grifondoro ed Haytam. Di voi non ho più avuto notizie, e non so se avete più continuato a leggere, ma poco male, lo avete comunque fatto per un breve tempo, e già per questo ve ne sono grato.

E per inciso, è naturale che rivolgo un ringraziamento a TUTTI i miei lettori, non soltanto questi. Ma che pretendete da me? Non commentando non ho modo di conoscervi :P


Ora che c’ho dato un taglio con le smancerie, spendo ancora qualche frase veloce per mettervi al corrente sulle mie intenzioni rispetto al futuro di Equestria Rim:

Come abbiamo già detto, l’ATTO 1 è finito. Prendete quest’affermazione come se vi avessi appena detto che è la fine di un vero e proprio libro 1. Con esso vi ho introdotto alle fondamenta della storia, dandovi l’incipit per proseguire poi con il resto del ciclo, che per certi versi si discosterà leggermente da ciò che avete visto finora.

La trama assumerà le sue reali sembianze, e chi non vedeva l’ora di cominciare a scoprire il VERO cross con l’opera di Del Toro, avrà presto grano per i suoi denti!

Prima di partire, però, è mia intenzioni avvisarvi che mi prenderò una breve pausa dalla scrittura.

Lo faccio per darmi la possibilità di lavorare anche su altro, ripassandomi nel mentre i punti salienti dell’ATTO 1 per collegarmi in modo dinamico al 2, come se a tutti gli effetti dovessi cominciare a strutturare una nuova storia (cosa che di fatto, non si discosta poi tanto dalla realtà).

Per questo, vi avviso che l’ATTO 2 non arriverà sui vostri schermi almeno almeno almeno fino a primavera 2016, tempo durante il quale ho però intenzione di farvi dono di un’altra fan-fic, distaccata da questa, e sulla quale mantengo per ora il riserbo più assoluto, limitandomi solo a stuzzicarvi l’hype ;)


Con questo termino quindi le note finali, invitandovi a commentare (commentare,  commentare e commentare, e mi sembra giusto, considerando la sbatta a cui ogni mese ho incorso per presentarvi i capitoli!), inviarmi, se volete, le vostre artwork (prometto che troverò sempre il modo di metterle da qualche parte nel thread!) e magari, perché no se ve la sentite, scrivere qualche spin-off, what-if et similia, che io sarò sempre felice di leggere e quindi proporre a tutti gli altri!


Grazie ancora per tutto il vostro affetto, e a prossimamente per i nuovi capitoli!
   
 
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