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Autore: syontai    10/10/2014    4 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 56
Il gioco degli scacchi

Leon fissava la scacchiera di fronte a lui con aria assorta. Prese in mano l’alfiere, ma poi lo riposò sulla casella dove si trovava prima tornando a riflettere. Era seduto a gambe incrociate sul pavimento con l’attenzione completamente rivolta verso i suoi pezzi bianchi, per lo più dimezzati. Dall’altra parte della scacchiera spolverata alla ben’è meglio Violetta osservava divertita la scena; quando Leon era sovrappensiero gli si formavano delle rughe sulla fronte che trovava estremamente dolci.
“Se vuoi possiamo cambiare gioco” propose con un sorrisetto, indicando con lo sguardo la marea di giochi che li circondava nella stanza circolare. Leon alzò lo sguardo, fulminandola. Alcune cose del carattere di Leon erano immutabili, come ad esempio il suo spirito agguerrito e la sua incapacità nell’ammettere una sconfitta. “E’ normale che ci metta così tanto, ho appena imparato…pensavo fosse più semplice, a dire il vero” sbuffò Vargas, appoggiando il mento sulla mano. Spazientito perché non era riuscito a trovare una soluzione che lo soddisfacesse prese in mano il cavallo e lo mosse in avanti, andando ad affiancare un pedone nero.
“Sicuro della tua mossa?” domandò Violetta, cercando di metterlo sull’attenti. Vargas però non la ascoltò minimamente, anzi sembrava fiero del suo spostamento strategico del cavallo. “So benissimo che stai cercando di farmici ripensare così che io possa commettere un errore”. Violetta scosse le spalle, ruotando gli occhi al cielo: quanto poteva essere orgoglioso? Piuttosto che accettare un aiuto avrebbe preferito tagliarsi una mano. Prese l’alfiere e gli fece percorrere buona parte della diagonale in cui si trovava. Leon fissava la scena terrorizzato con gli occhi spalancati.
“Scacco matto” disse lei semplicemente, lasciandolo di stucco.
“M-ma…io…credevo mi stessi imbrogliando!” si difese il principe, incrociando le braccia al petto, evitando di guardarla negli occhi, umiliato dalla bruciante sconfitta.
“Quando imparerai a fidarti?” gli chiese divertita, inconscia di aver toccato un nervo scoperto. Leon si fece scuro in volto, rimettendo a posto i suoi pezzi in modo distratto. Violetta aggirò la scacchiera procedendo a gattoni, fino a sedersi alla sua sinistra. Si chiese che cosa avesse detto di sbagliato per farlo adombrare in quel modo. Il principe infatti teneva lo sguardo basso, pensieroso, mentre sistemava alcuni pedoni in fila. “Che ti succede?”. Gli appoggiò una mano sulla spalla, preoccupata e lui alzò gli occhi puntandoli sui suoi.
“Preferisco non fidarmi di nessuno. Riporre fiducia nelle persone è uno sbaglio” rispose senza battere ciglio.
“Non sempre ci si può affidare solo alle proprie forze. Al nostro fianco dobbiamo avere persone che possano capirci, aiutarci nei momenti difficili”. Non riusciva ancora a scacciare il dolore che leggeva sul suo viso, quello di un ragazzino che aveva perso il padre e che non aveva potuto contare sull’appoggio di nessuno, anzi, la madre, la persona che più di tutte avrebbe dovuto essergli vicina, aveva visto in lui solo uno strumento per conservare il potere. Gli sfiorò una guancia costringendolo a guardarla dritto negli occhi, a un palmo dal naso. “Puoi contare su di me. Sempre”. Colta dall’imbarazzo per quelle parole, non aggiunse altro, ma si limitò ad appoggiare la guancia sulla sua spalla, chiudendo gli occhi. Sentì il soffio caldo di Leon sulla sua fronte. Le circondò la vita per un braccio e la attirò ancora più a sé.
“Ho bisogno di te, lo sai” le sussurrò, dandole un debole bacio sui capelli.
Era come se ci fosse stato un accordo e lei l’avesse rotto. Aveva promesso a Leon che non l’avrebbe abbandonato, lo aveva implorato di fidarsi di lei e ci aveva messo tanto a scavare nella sua anima per portare alla luce una persona in fondo buona e umile, seppur all’apparenza fredda e insensibile. Scosse la testa. Basta negatività. Leon avrebbe letto la sua lettera e avrebbe capito che era stata costretta a fuggire dal castello. Sicuramente Humpty gliel’avrebbe fatta avere. Era mattina e tutti si erano organizzati per dormire. Il fuoco continuava a scoppiettare nel camino e Violetta si chiese con che strana magia quel fuoco potesse far volare una casa, ma poi rinunciò a cercare una spiegazione logica: in quel mondo non esisteva nulla di razionale. Ognuno si era trovato uno spazio sul pavimento dove passare la notte. Erano passati ormai dieci giorni dalla loro partenza e Beto aveva promesso loro che in massimo due settimane avrebbero raggiunto il confine con il Regno di Quadri. Stavano tutti dormendo tranne lei e Federico, rintanato nel suo solito angolo. Accarezzava la superficie liscia della teca al suo fianco. Prese un respiro profondo: voleva conoscere meglio Federico, capire il suo dolore per poterlo aiutare a renderlo un fardello meno gravoso, per quanto difficile l’impresa si potesse rivelare. Si alzò in piedi e prese una teiera sul tavolo. La poggiò vicino a Federico, che la osservava senza perdersi il minimo particolare, fino a quando lei non tornò con due tazzine e non si sedette al suo fianco.
“Pensavo potessi gradire del tè…” cominciò lei, versando il liquido ambrato in una tazzina e porgendogliela. Federico la prese e sorseggiò lentamente. Se beveva non si sentiva costretto a parlare, ed era ciò che voleva. Poteva essere anche colei che li avrebbe salvati, ma finché Francesca continuava a dormire lui non si sentiva al sicuro. Ricordava il suo sguardo prima di immergersi nelle acque incantate. Sapeva che lei non avrebbe voluto cadere in quel sonno incantato, perché amava la libertà; e nonostante Dj continuasse a ripetergli che non avevano avuto altra scelta, era sicuro del fatto che avrebbe dovuto salvarla in ogni caso. “Vieni dal Regno di Fiori?” gli chiese Violetta. Federico annuì appena.
“Mi hanno raccontato tutta la storia. Mi dispiace”. Il ragazzo posò la tazzina con noncuranza e le lanciò uno sguardo freddo.  “Ma Dj mi ha detto che custodisce la cura per risvegliare Francesca!”.
“Sai perché sta dormendo? Per proteggere tutti noi…non posso permettere di rovinare così il suo sacrificio”.
“Ma non è questa la via! Potremmo trovare un altro rimedio, così che non sia costretta a dormire. E se il mago non riuscisse a trovare una soluzione? Dovreste tenerla in trappola per sempre”
“Senza un rimedio valido non possiamo rischiare”.
“E chi vi dice che non ci sia?”. Beto era in piedi di fronte a loro, senza che se ne fossero accorti.
“Che ne può sapere un pazzo che non ha mai messo piede fuori casa di queste cose?” ribattè piccato Federico.
“Infatti io non so nulla, ma qualcuno che della magia ne conosce ogni singola particolarità potrebbe fare al caso vostro. Sto parlando ovviamente del Brucaliffo”. Violetta sgranò gli occhi: parlava dell’anziano signore che aveva dimorato per alcuni giorni al palazzo di Cuori! Sospettava che lui sapesse anche a proposito di Alice e della fine che aveva fatto, ma prima di potergli domandare qualcosa lui aveva anticipato la partenza, lasciando il castello in tutta fretta.
“E dove possiamo trovarlo?”. Federico era scattato in piedi, rinvigorito improvvisamente. Se c’era anche solo una possibilità per liberare Francesca di quel fardello, l’avrebbe rincorsa fino alla morte. Conosceva il Brucaliffo solo di fama, sapeva che era estremamente saggio. Avrebbero potuto risparmiarsi il lungo e pericoloso viaggio per il Tridente.
“Oh, beh, il Brucaliffo non ha una dimora fissa. Lui viaggia continuamente. Se siete fortunati lo troverete però nella sua foresta”. Federico si precipitò ad afferrare la cartina appoggiata sul tavolo. Era stato tratteggiato con l’inchiostro il tragitto che avrebbero dovuto percorrere per raggiungere il Palazzo dove era custodito lo scudo magico. “E dove diavolo si trova?!” sbuffò Federico, non riuscendo a trovare la destinazione suggerita.
“Si trova vicino al Deserto del Nulla. Non è segnato sulle carte”. Betò si avvicinò con aria gioviale e intinse l’indice nella marmellata di pesca spalmata sulla fetta biscottata. Lo piantò sulla cartina sul bordo di essa. “Qui”. Il ragazzo fissò con rinnovata energia la macchia lasciata dal dito del Cappellaio Matto.
“Posso farcela! Posso salvarla!” strillò entusiasta, abbracciando Beto. Si diresse poi da Violetta che gli sorrideva incoraggiante. “Tutto merito tuo. Mi hai ridato speranza, ed era ciò di cui avevo bisogno”. Senza darle il tempo di dire nulla la stritolò in un abbraccio. Quando si separarono Violetta vide alle spalle di Federico Maxi, svegliato come tutti gli altri dalle urla di gioia del conte, che li guardava con un misto di gelosia e invidia. Lena osservava Maxi con aria di rimprovero. Era convinta che tra i due sarebbe cominciata una guerra senza esclusione di colpi. Un boato scosse l’intera casa, facendoli cascare tutti per terra.
“Cosa succede?” domandò Thomas in preda al panico, tenendo stretta la spada. La luce proveniente dalla finestra venne improvvisamente oscurata. Violetta pensò ad una nuvola. Si avvicinò tremando. Un’ala munita di artigli passava al loro fianco, e fece in tempo a scorgere due occhi rossi e abbaglianti, prima di subire un altro scossone.
“Di che si tratta?” chiese Andres, sebbene la risposta sembrasse parecchio ovvia: un drago. I draghi erano quasi estinti nel Paese delle Meraviglie e ci si poteva considerare fortunati per questo. Erano gli animali più aggressivi e letali del loro mondo: le loro fiamme erano inarrestabili e bastava un loro colpo d’ala per creare una tormenta d’aria. “E’ un drago” replicò Emma con un’invidiabile fermezza sebbene dentro stesse morendo dalla paura.
“Questo è male! I draghi sono refrattari alla magia” si intromise Dj, barcollando per poi cadere nuovamente dopo un’altra scossa.
“Oh, no, questo non è un drago qualsiasi. Il Ciciarampa!” strillò Beto, riconoscendo fin da subito la leggendaria creatura che la stessa Alice aveva sconfitto, relegandola in un profondo antro con delle catene che la tenevano intrappolata. Il Ciciarampa era stato una delle più temibili armi di distruzioni della Regina Rossa, ma dopo la guerra tra i Bianchi e i Rossi non se ne era più sentito parlare. Fino a quel momento almeno. “Bene, adesso ce la vediamo anche con i pezzi grossi” si lamentò Emma, sfilando il pugnale e reggendosi a stento in piedi.
“Non penso voglia attaccarci, sembra piuttosto che stia cercando di tenerci lontani. Come se fosse un blocco aereo imposto dalla regina di Quadri”. Un colpo secco e l’intera veranda venne tranciata di netto, sfracellandosi in aria. “Non è molto amichevole però”. Il drago si aggrappò alla casa, afferrandola per gli artigli e occupando un’intera facciata. Azzannò il tetto, lacerandone una parte: Violetta osservò inorridita i denti acuminati comparire dal soffitto; da essi colava un liquido verde e denso, che non appena toccò il pavimento formò una macchia scura e sfrigolante.
“E’ una sostanza acida” osservò Emma. “Aggiungiamola alla lista delle cose letali di questo mostro, allora” ribattè Maxi, per nulla rincuorato da quella notizia. Thomas sguainò la spada compiendo dei movimenti circolari in aria. Lame taglienti fatte d’aria compressa si scagliarono in direzione del muso dalle cui narici uscivano fili di fumo nero. La bestia emise un lamento infastidito: la spada magica non aveva ottenuto alcun effetto, se non quello di innervosirlo ulteriormente. Una lingua di fuoco mandò in fiamme ciò che restava dal tetto e il drago ruggì. Maxi osservò l’elmo: in che modo avrebbe potuto essergli utile in quel momento? La risposta era che non avrebbe potuto fare nulla per aiutare gli altri. Se solo fossimo in un posto sicuro, pensò, chiudendo gli occhi e aspettandosi il corpo andare in fiamme dopo il nuovo attacco del Ciciarampa. L’elmo però prese a vorticare nelle sue mani, finchè fu per lui impossibile tenerlo in mano. Il pavimento di legno si deformò, mentre al centro apparve una spirale azzurra sopra la quale risplendeva l’oggetto magico. Tutto veniva attirato dentro di essa, tranne Beto, la Lepre e il Ghiro, legati a quella casa dalla maledizione del Tempo.
“Che cos’è?” urlò Federico, cercando di sovrastare il sibilio del vento che veniva risucchiato dentro il portale appena comparso.
“Non lo so, ma è meglio di dove ci troviamo ora!” rispose Emma, osservando la superficie increspata azzurra. Prese un respiro profondo e si tuffò dentro di essa, scomparando dalla visuale degli altri. Andres osservò la scena allibito, quindi si precipitò anche lui nella spirale.
Dj schioccò le dita e la teca in cui riposava Francesca si sollevò a mezz’aria. Nel frattempo le fiamme invasero la casa, che perdeva sempre più quota. Il drago si staccò rimanendo in volo e osservando l’invasore rispedito a terra. Lena afferrò la mano di Violetta, implorandola di seguirla. Osservò Beto, che si inchinò con rispetto: “Felice di avervi servito…Non preoccupatevi per noi, in qualche modo ce la caveremo”. La Lepre Marzolina e il Ghiro annuirono, per poi spronarli ad attraversare il portale. Thomas prese l’altra mano di Violetta, per infonderle coraggio, mentre nell’altra teneva stretta la spada e tutti e tre si lasciarono andare, gettandosi nella luce azzurra. Prima di cadere in quell’oceano senza fondo Violetta sentì le voci indistinte degli altri in quella casa, le urla, il crepitare delle fiamme, il rumore del legno che si sfracellava. Poi semplicemente si ritrovò sospesa in un limbo privo di dimensione. Non sapeva dove si stesse dirigendo, non sapeva neppure dove si trovava a dire il vero. Sarebbe mai uscita da lì? Lena e Thomas erano spaventati quanto lei. Nessuno di loro aveva dimistichezza con la magia, per cui quel tunnel infinito che procedeva verso il basso poteva benissimo una trappola in cui sarebbero rimasti per sempre. La magia dell’elmo si era rivelata davvero potente, dando loro la possibilità di fuggire dalle grinfie del drago, ma li avevano messi di fronte all’ennesima incertezza e paura. Scendevano sempre di più, prendendo velocità e tutto intorno a loro comparvero gli oggetti più disparati: pianoforti a coda, letti, porte, tutto galleggiava come se la gravità valesse solo per loro. Thomas dovette scostarsi per evitare una statua che a Violetta ricordava vagamente la Statua della Libertà di New York in miniatura. Dopo quello che le parve un tempo infinito avvertì il suono di un risucchio che arrivò a fracassarle i timpani. Si portò le mani alle orecchie, lasciando così la presa dei due amici, che fecero smorfie altrettando infastidite per quel disturbo sonoro.
L’atterraggio non fu per niente piacevole: caddero da almeno un metro di altezza a terra e nonostante il fogliame della foresta avesse attutito il colpo Violetta non potè fare a meno di provare un dolore atroce. Si tirò su un piedi a fatica e a pochi passi vide Lena che faceva lo stesso, addirittura più stordita di lei. Thomas era ancora a terra, la spada subito affianco, disteso, che non sapeva se ringraziare il cielo di essere ancora vivo oppure preoccuparsi del fatto che gli faceva male ogni singolo osso che aveva in corpo. Decise di prestare più attenzione al primo pensiero, che almeno era di consolazione. Tutto intorno c’era un silenzio innaturale.
“Dove siamo finiti? E dove sono gli altri?” chiese Lena in un lamento. In effetti non c’era traccia di Andres, né di Emma. Per di più non sapevano nemmeno se gli altri fossero riusciti a scampare al pericolo. Violetta era preoccupata persino per Beto: era riuscito a salvarsi anche se non poteva lasciare quella casa? Sperava vivamente di si, in fondo grazie a lui aveva avuto delle spiegazioni, per quanto ancora confuse nella sua testa. Non aveva però il tempo per pensarci: dovevano trovare il modo di riunirsi agli altri.
 
Leon era stanco di combattere. Non aveva mai detestato tanto stare in quell’accampamento. Per di più non aveva più ricevuto notizia di Violetta e la cosa lo stava preoccupando. Neppure Humpty, che era solito informarlo di tutto, aveva scritto qualcosa per lui. Forse era il suo essere diffidente nei confronti degli altri ad allarmarlo così tanto, e non fosse per la cieca fiducia che riponeva nel suo amico e in Violetta, probabilmente sarebbe già partito alla volta del castello di Cuori, ignorando qualsiasi ordine della madre. Entrò nella sua tenda ordinando alle sentinelle di non disturbarlo. Erano due giorni che non chiudeva occhio e almeno un paio di ore per riposare erano necessarie. Il suo alloggio era certamente migliore degli altri, era pur sempre un principe nonché comandante di quella divisione, ma rimaneva un ambiene spartano. Certo lui era abituato ad essere privo di ogni lusso, ma gli mancava un po’ essere servito e riverito. Con un po’ di fatica riuscì a liberarsi senza bisogno di chiedere aiuto la cotta di maglia. La guardò con disprezzo: sapeva di morte. Un tempo tutto quello non gli faceva nessun effetto, ma adesso aveva cambiato il suo modo di vedere le cose. Era accaduto tutto improvvisamente e sapeva bene di chi fosse il merito. Mancavano ancora un paio di settimane e poi sarebbe stato completamente libero. Libero di sposare Violetta. Si gettò a peso morto sulla brandina in un angolo e osservo il telo che gli faceva da soffitto. Si stese poi di fianco, osservando fisso di fronte sé: che stava facendo in quel momento? Era al sicuro? Perché non gli scriveva? Doveva sapere che stesse bene. Gli aveva già mandato un paio di lettere, ma per il resto non aveva avuto i mezzi e il tempo per buttare giù qualche riga. Però l’aveva rassicurata, cosa che lei non stava facendo. Ehi, smettila di pensare male di tutto e di tutti, gli sussurrò la vocina interiore. Non credeva fosse possibile sognare ad occhi aperti, eppure il desiderio che aveva di rivederla stava riuscendo persino in quell’impresa. Lo guardava, stesa al suo fianco, con un sorriso divertito e innocente. Era il suo sorriso ad averlo fatto cadere nella trappola, quel sorriso l’aveva stregato. Violetta chinò il capo verso di lui, strofinandolo dolcemente contro il suo petto e gli lasciò un bacio all’altezza del cuore, che per quanto fosse solo frutto della sua immaginazione, attraversò la maglia e si scolpì sulla sua pelle come un marchio rovente. Quando provò a stringere il corpo inesistente, preso da quelle meravigliose sensazioni, si ricordò però che di fronte a lui non c’era nessuno. Amareggiato provò a chiudere gli occhi, ma anche in quel caso aveva la continua impressione di avvertire il suo profumo. Per un secondo addirittura gli sembrò che i suoi capelli gli solleticassero la punta del naso. Sbuffò e si girò dall’altra parte, senza ottenere un miglioramento. Prese a girarsi in tutte le posizioni, ma proprio non c’era verso. La sua mente era sempre proiettata verso Violetta.
“Principe!” gridò una delle guardie, entrando di corse nella tenda. Nella mano aveva una missiva che portava lo stemma reale, a cui però il principe non fece caso.
“Vi avevo chiesto solo due ore! Cosa succede adesso?” protestò Leon. In parte avrebbe voluto veramente prendersi un po’ di tempo per riposare; era anche vero però che quello che avrebbe dovuto dargli ristoro stava diventando un vero e proprio supplizio per il suo cuore, quindi si concentrò sulla situazione attuale, su ciò che stava accadendo sul campo di battaglia. Da quando era arrivato il suo battaglione avevano guadagnato parecchio terreno contro le truppe di Picche ma la situazione era tornata di nuovo in una situazione di stabilità: non riuscivano né a retrocedere né ad avanzare. Nonostante infatti la loro superiorità numerica infatti, i nemici avevano dalla loro parte una conoscenza superba del territorio e un’invidiabile abilità tattica. Un soldato semplice di Picche avrebbe potuto perfino prendere il posto dei loro strateghi. Inoltre quegli uomini erano molto più motivati di loro. Sapevano bene che in gioco non c’erano solo le loro vite, ma la loro libertà. Ammirava i suoi nemici per la loro tenacia, ma allo stesso tempo non si faceva nessuno scrupolo ad aliminarli uno ad uno: in una guerra non c’era il tempo per lodare l’avversario. Il giovane soldato, quasi sicuramente un rampollo nobile mandato dai genitori a farsi le ossa sul campo da battaglia, era rimasto in silenzio, intimorito dal tono alterato del principe. La sua reputazione era nota a tutti e anche solo il suo nome continuava a far tremare perfino i suoi alleati. Sbuffò, roteando gli occhi in aria, quindi si ricompose e con un gesto della mano lo invitò a parlare. Il ragazzo, vestito di tutto punto e pronto per fare il suo turno di guardia gli porse la missiva con uno scatto della mano e Leon la guardò sorpreso. Subito il suo pensiero era andato a Violetta, ma poi aveva visto lo stemma regale e la sua felicità si spense all’istante. Jade. Ringraziò educatamente il giovane e gli chiese di lasciarlo solo. Si sedette sul letto, e strappò la busta perplesso, dopo aver tolto il sigillo di ceralacca rossa con due rose che si intrecciavano. Con gli occhi scorse il contenuto della lettera e dalla tristezza passò nuovamente alla gioia, questa volta incontenibile. Non poteva crederci, era al settimo cielo. Non solo sua madre aveva ribadito che avrebbe mantenuto fede al patto, permettendogli di sposare Violetta, ma addirittura gli dava il permesso di rientrare in anticipo. La lettera diceva perfino che sarebbe potuto partire il giorno stesso, e lui non aveva intenzione di rifiutare quell’invito. Si precipitò fuori dalla tenda ancora in preda all’euforia, correndo ad avvisare affinché preparassero subito dei cavalli per lui e per la scorta reale.
“Torno da te, come promesso” sussurrò felice Leon, sicuro che in un angolo del castello Violetta lo stesse aspettando.
 
“Dalla vegetazione così esotica direi che si tratta della Foresta Centrale. Se procediamo verso nord-ovest dovremmo raggiungere il Regno di Quadri” osservò il Bianconiglio, studiando una palma dalle foglie lunghe e spesse, mentre si liberava di alcuni arbusti a colpi di spada. Ancora non riusciva ad usarla al meglio, d’altronde era la prima volte che maneggiava un’arma, ma faceva il possibile. Subito dietro di lui venivano Violetta e Lena, che si guardavano attorno spaesato: quello era il regno della natura, nessun essere umano sembrava avervi messo piede.
“Come facciamo a vedere se stiamo procedendo nel verso giusto?” domandò Lena, per nulla rassicurata dal piano dell’amico. Thomas indicò un albero, il cui tronco aveva delle chiazze verdastre su un fianco. “Il muschio cresce sempre sul lato nord, è risaputo” spiegò il ragazzo per nulla scocciato nell’esporre le sue conoscenze. Anzi, la cosa lo riempiva di piacere e soddisfazione. Mentre camminavano Lena ne approfittò per parlare con Violetta della loro nuova compagnia e di quello che avrebbero dovuto fare in futuro.
“Non so come sia possibile tornare nel tuo mondo…l’unica che è riuscita a venire e tornare è stata Alice, ma di lei non si sa più nulla. Spero solo di raggiungere il palazzo di Picche e di ricevere accoglienza…è l’unico posto in cui mi sentirei al sicuro”. Lena rabbrividì al pensiero di essere una sorta di fuorilegge.
“Federico vuole parlare con il Brucaliffo per aiutare la sua amica. Credo che ne approfitterò per chiedergli se esiste un modo per andarmene da qui” rispose Violetta, scostando una voluminosa felce che stava all’altezza della faccia.
“Ma se te ne andrai…come farai con Leon?”. La domanda di Lena era più che lecita, ed era la stessa che lei si faceva da un bel po’ di tempo. Separarsi sarebbe stato doloroso, ma non c’erano alternative. Se anche Leon sarebbe potuto venire con lei, non gli avrebbe mai chiesto di lasciare tutto per lei. E non rimanere in quel mondo non era una possibilità da prendere in considerazione: German sarebbe morto dal dolore sapendo di aver perso per sempre la sua figlia. Avrebbe potuto credere che lei fosse morta o fosse stata rapita. Con la sua scelta gli avrebbe rovinato la vita e non voleva. “Non lo so” rispose nel silenzio più assordante. Lena si fermò, prendendole il braccio. Thomas era qualche metro più avanti e ancora non si era reso conto della loro sosta.
“A me quel Maxi non piace per niente” le disse sottovoce. “Sembra che voglia avvicinarsi troppo a te…penso che nasconda qualcosa”. Violetta si morse il labbro, costretta a non ribattere: la verità è che non le avrebbe mai creduto se le avesse riferito tutto il racconto del Cappellaio Matto, da cui derivava la spiegazione del debole che il ragazzo aveva per lei. Lena però sembrava determinata e sapeva che non avrebbe reso vita facile a Maxi. In fondo la ringraziava per questo, così non sarebbe stata costretta a spezzargli il cuore.
“Ha perso la sua famiglia, si sente molto solo…” tentò di ammansirla, facendole solo incrociare le braccia al petto con un cipiglio infastidito.  
“Ragazze, qua la vegetazione si sta facendo più rada, per fortuna non eravamo capitati nel folto della foresta” sospirò di sollievo il Bianconiglio, invitandole a seguirlo con un gesto della mano. Le due ripresero a camminare, e in effetti poterono constatare che le piante prima monumentali erano sempre meno imponenti, fino a ridursi a degli alti fusti sottili. “Speriamo solo di trovare gli altri!” esclamò Violetta, ricordandosi di essere rimasta priva di protezione e sola in un mondo sconosciuto e pericoloso. Per lo meno Andres le dava idea di sicurezza e Emma con le spade era un vero portento, da quello che aveva potuto vedere. Invece Lena non sapeva nemmeno come si impugnasse un’arma e Thomas…beh, per quanto ci provasse, non poteva certo definirsi una guardia del corpo valida. Sbucarono su una valle, soleggiata. In lontananza si vedevano delle rovine.  
“Siamo salvi!” esclamò Lena, correndo ad abbracciare Thomas, che le aveva condotte fuori da quel labirinto infernale. Violetta però non si sentiva affatto tranquilla: nell’aria serpeggiava qualcosa. In lontananza sulla sinistra c’erano nuvole di fumo, che indicavano la presenza del fronte di guerra, al confine tra Quadri e Picche. Chissà se Leon si trovava lì o era stato mandato da qualche altra parte. Non poteva azzardarsi ad andare all’accampamento di Cuori, Andres le aveva fatto capire che doveva stare lontano dalla guerra finché non fosse giunto il momento opportuno, ossia quando avrebbero riunito tutti i pezzi dell’armatura. Non poteva rischiare la vita, quindi rinunciò in partenza al suo proposito. Ma non era solo quello a turbarla. Nell’aria avvertiva qualcosa, come una presenza, che investiva tutta la valle, incantandola col suo canto in piena armonia con la natura. Una voce solenne ripeteva le stesse note, era un inno che si susseguiva in eterno. E proveniva proprio da quelle rovine. Senza curarsi dei suoi amici che la chiamavano, Violetta cominciò a dirigersi verso le rovine. Non erano le voci del libro che altre volte le avevano consigliato di agire in un determinato modo, di tenersi lontana da determinati luoghi. Era qualcosa di rassicurante, le ricordava tanto il canto di sua madre, morta tanti anni prima a causa di una malattia improvvisa che l’aveva resa sempre più debole. Si, assomigliava tanto al canto di Maria, che rimaneva un ricordo impresso nella sua mente nonostante la giovane età.
“Violetta!”. Thomas la fece riscuotere da quell’improvviso trance e si ritrovò a camminare sul marmo antico e rovinato da numerose crepe. Torrioni inquietanti si ergevano qua e là, ridotti in macerie. Il marmo da bianco divenne nero. Poi dopo parecchi passi divenne nuovamente bianco. Bianco, nero, bianco, nero. Passarono alcuni minuti prima che si rendesse conto di stare camminando su un’enorme scacchiera. Un corvo di poggiò su un blocco di pietra squadrato e gracchiò, tenendoci a chiarire che quella era la sua casa e che non erano benvenuti gli stranieri.
“Qui è dove si è tenuta la battalgia finale in cui Alice sconfisse definitivamente la Regina Bianca e la Regina Rossa. Il giorno del Liberatutto” osservò ammirato Thomas, sfiorando con la mano alcune pareti sgretolate, in piena adorazione.
“A me questo posto fa un pochino paura, però”. Lena, che procedeva con una certa diffidenza, si ricordava dei racconti di spettri e creature soprannaturali che popolavano quei luoghi antichi. Lei aveva sempre avuto paura dei fantasmi. Il sole venne oscurato da una nuvola grigia e una densa nebbia si alzava più avanzavano. Un silenzio di tomba calò tra di loro, facendoli rabbrividire tutti tranne Violetta che accorreva a quell’accorato richiamo. D’un tratto la musica cessò. Si voltò per capire se fosse stata colpa dei suoi amici, ma non li vide più. In mezzo a quella nebbia ne aveva perso completamente le tracce.
“Lena! Thomas!” prese a chiamarli a gran voce, ma rispose solo un suono in lontananza, e non poteva giurare sul fatto che si trattasse di loro. Mosse un passo indietro, ma incontrò con le mani una superficie liscia. Intorno a lei la nebbia si diradò mostrando uno specchio antico. Era lungo, dall’appoggio e la cornice di legno di ciliegio. I suoi occhi si specchiarono nell’azzurro intenso dello specchio e per poco non emise un urlo per lo spavento. Non c’era il suo riflesso. Al suo posto una ragazza dai capelli biondi e un fiocco azzurro in testa la guardava sorridendo e le porgeva la mano.
 
“Dove diavolo è finita? L’abbiamo persa!”. Thomas si guardava attorno disperato, non riuscendo a capacitarsene: un secondo prima era davanti a loro, un secondo dopo era scomparsa. Lena era inciampata, slogandosi la caviglia ed erano stati costretti a fermarsi. Nonostante le proteste della ragazza per rimettersi in piedi e cercare l’amica il Bianconiglio l’aveva costretta a stare a riposo. In effetti da quando erano capitati nella foresta non si erano riposati neppure un attimo, troppo presi dalla foga di ricongiungersi con gli altri…chissà dove erano finiti a proposito. L’ultima cosa che ricordava era che Dj aveva fatto levitare la teca che teneva al sicuro Francesca, e poi…le fiamme, il fumo, un urlo. A chi apparteneva quell’urlo? Gli occhi lacrimavano a causa di quella nebbia fastidiosa, mentre Lena si era seduta, tenendo stesa la gamba che le faceva male.
“Lasciami qui, Thomas, e vai a cercare Violetta!” lo implorò Lena, emettendo un gemito di dolore. “Ci manca solo che ci perdiamo tutti e tre!” sbottò il Bianconiglio. “Aspettiamo che la nebbia si diradi…Violetta non è stupida e non appena si sarà resa conto che non ci siamo tornerà sui suoi passi o si fermerà ad aspettare come noi che si possa vedere”. Si sedette di fronte a Lena incrociando le gambe e tirò fuori il cipollotto d’oro appartenuto al padre. Appoggiò lo spada al fianco, e se lo passò tra le mani. Non aveva mai pensato a cosa avrebbe fatto dopo essere fuggito. Da una parte ammirava tantissimo Andres e il suo spirito da leader combattente, ma sapeva anche che non avrebbe mai potuto ricoprire un ruolo simile. Era e rimaneva un codardo. Leon aveva il carisma, la capacità di combattere, lui no. Sarebbe stato solo una palla al piede per tutti…quindi che fare?
“Lena, tu cosa vuoi fare una volta finito tutto questo?” le domandò spontaneamente. Vide negli occhi di Lena la sua stessa confusione e incertezza, ma non ci mise molto ad ottenere una risposta.
“In realtà spero solo di trovare un lavoro al Palazzo di Picche…non sono mai stata una ragazza dai grandi propositi” ridacchiò amareggiata la ragazza, mentre si massaggiava la caviglia dolorante.
“Tu mi ci vedi a combattere in un esercito?”. Chiuse gli occhi aspettando di sentirsi preso in giro, ma non sentì nulla. Raprì prima il destro, poi il sinistro, e vide che Lena non sembrava affatto intenzionata a deriderlo. “Se è quello che desideri, perché no?”.  
“E’ questo il punto! Da quando ho questa spada mi sento invincibile, non penso ad altro che a combattere, ma temo che non sia un mio desiderio, come se fossi influenzato” sospirò. “Inoltre non ne sarei sicuramente all’altezza”. Lena gli prese la mano, scuotendo la testa. “Non capisco perché continui a sottovalutarti così. Da quello che mi hanno raccontato e che ho visto sei stato incredibile ed è stato merito tuo se sono riusciti a recuperare la spada”.
“E’ diverso, solo io potevo prendere quella spada! Non è mai stato merito mio”. Ecco, l’aveva detto. Non era stato davvero merito suo, lo sapeva bene, era stata solo fortuna. Chiunque al posto suo avrebbe potuto prendere la spada, era solo una questione di sangue, non di coraggio.
“Credi che chiunque dopo aver visto un serpente alto non so quanti metri sarebbe rimasto in quella stanza invece di fuggire a gambe levate? Perché continui a sminuirti? Accettalo, Thomas, sei una persona coraggiosa” disse Lena, accennando un sorriso. Thomas inclinò il capo di lato: non era un codardo? Quello che le aveva detto aveva senso, e forse era addirittura vero. “Quindi se è quello che vuoi, si, Thomas, puoi combattere come tutti gli altri”. Era la notizia più bella che potesse dargli. Preso dalla felicità, la abbracciò di slancio, rischiando di farla cadere per terra. Si separarono un po’ in imbarazzo: non avevano mai parlato in quel modo in anni e anni che si conoscevano. Stava per ringraziarla, quando sentirono qualcuno annaspare a pochi passi da loro.
“Violetta?” sussurrò Thomas, alzandosi in piedi e avanzando a tentoni nella nebbia, girandosi continuamente per essere sicuro di non perdere di vista Lena. Fece un passo, e sentì qualcuno afferrarlo da dietro. Sguainò la spada e fece per combattere, ma si fermò non appena riconobbe la sagoma di fronte a lui. Era Maxi. Si teneva il braccio e aveva il labbro sanguinante. Era davvero ridotto male, a stento si reggeva in piedi. Indossava l’elmo di Fiori, forse perché non gli fosse di intralcio.
“T-Thomas…”. Dalla bocca gli uscì un rivolo di sangue misto a saliva, che si affrettò a pulire con la manica del braccio, lasciando libero l’altro, che gli doveva fare un male atroce a giudicare dalla smorfia di dolore.
“Che succede, Maxi? Va tutto bene?”. Lo aiutò a reggersi in piedi e insieme raggiunsero Lena, che nel frattempo si era alzata, e cercava di camminare. Il dolore alla caviglia sembrava essersi affievolito, per sua fortuna. Maxi era ancora stordito e non riusciva a parlare. Ruotò gli occhi tutto intorno rabbrividendo. “L-la n-nebbia. Dobbiamo uscire da qui, dobbiamo andarcene”.
“Non possiamo, dobbiamo cercare Violetta!”. Il ragazzo sgranò gli occhi di fronte alla risposta di Lena e scosse la testa sempre più forte. “No, no, NO! La troverà, troverà tutti noi!”
Thomas pensava che stesse delirando: qualsiasi cosa gli fosse successa doveva essere terribile.
“La nebbia…è sua. E’ sua, serve a nscondersi” continuò a blaterare Maxi, tremando.
“Maxi, ma di che parli!”.
“Un mostro…terribile. E’…affamato. Vuole divorarci. La nebbia è per cogliere di sorpresa le sue vittime. Dobbiamo andarcene di qui!” 




















NOTA AUTORE: Hola a tutti! Finale da brividi! Innanzi tutto mi scuso come sempre per il ritardo, per non aver risposto alle recensioni e tutto. Il problema è che lo studio sta diventando davvero pesante, sarà perché se tutto va bene prendo la laurea triennale quest'anno *incrocia le dita*, sarà che i corsi stanno diventando sempre più tosti e i professori sempre più esigenti...insomma, perdonatemi, davvero. Cerco di fare il possibile, e so che non è abbastanza, ma io ci provo, posso dire solo questo. Detto questo, non mi posso soffermare troppo a commentare, ma qualcosa va detto. A parte il finale inquietante (almeno per me lo è), il gruppo si è diviso in seguito alla magia dell'elmo che ha rivelato un nuovo potere di cui nessuno era a conoscenza...che anche la spada nasconda qualcos'altro? Lo vedreeeemo :3 Nel finale Violetta si trova a tu per tu con l'immagine che credo abbiate capito tutti essere un Alice molto giovane...mentre gli altri si ricongiungono a Maxi, scoprendo così di essere caduti nella trappola di un mostro feroce. Degli altri invece non si sa proprio nulla: che fine hanno fatto Andres e Emma? E gli altri? A chi appartiene quell'urlo che ricorda Thomas? Qualcuno ha perso la vita nello scontro con il drago? Ovviamente, voi non sapete nulla (e lo scopo è proprio questo), e va bene così per ora xD
Mi prendo un secondo per commentare la scena di Leon...PARTE IL DOLORE PURO. Meno male che all'inizio c'è quel flashback dolce, perché poi per il resto...D: Adesso che Leon è pieno di aspettative e tutto felice...*piange* Cosa succederà? Anche questo lo vedremo (purtroppo :'(). E niente- ancora tanta azione per i nostri amici, adesso addirittura separati e finiti chissà dove. Ahhhhhhhhh, quante cose ancora! Nel prossimo capitolo capiremo qualcosa sul passato di Alice e- niente, basta chiacchiere, che qui spoilero troppo (e Ali se ne approfitta xD)...grazie a tutti voi per il supporto, per recensire o anche semplicemente leggere. Grazie di cuore! :3 Con affetto,
syontai :3 
  
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