Film > Le 5 Leggende
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Autore: AngelsOnMyHeart    10/10/2014    2 recensioni
Sequel della fanfiction "Cuore di Tenebra"
Due anni sono passati dall'ultimo attacco di Pitch Black ai danni dei Guardiani e dei bambini di tutto il mondo, un massimo sacrificio è stato dato per arrestare la sua avanzata e garantire una pace duratura.
Ma il tempo porta il cambiamento e, con esso, un nuovo nemico sta per emergere, lasciando alle sue spalle delle menti perse nell'oblio.
Joel, un ragazzino sulla soglia dell'adolescenza, sembra essere in qualche modo collegato alla nuova entità, finendo per essere perseguitato da visioni su di essa.
I Guardiani si troveranno nuovamente costretti ad unire le loro forze per affrontare, ancora una volta, chi mette a repentaglio le gioie dell'infanzia, e non solo, dovranno mettere da parte vecchi rancori per il bene dell'impresa.
Riuscirà la purezza di un ricordo a rimettere insieme i pezzi una mente ormai andata in frantumi?
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Cinque Guardiani, Nuovo personaggio, Pitch, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo I

Rosso di sera...non sempre è quel che si spera.




ASAHIKAWA-GIAPPONE (In un qualche giorno di Febbraio)
Jack Frost, il ridente Spirito del freddo e Guardiano del Divertimento, stava beatamente lasciando che un gelido vento lo trascinasse a Nord del Giappone, precisamente nella fredda isola di Hokkaido ad Asahikawa, sede del famoso Snowfestival, al quale non mancava mai di fare più di qualche visita ogni anno, per osservare entusiasta i magnifici lavori fatti con la neve.
Ah! Quante volte si era vantato con gli altri Guardiani, specie con Calmoniglio, dicendo di essere stato lui ad ispirare quel festival, tenendo spesso a precisare “accidentalmente”, dandosi delle arie.
Che fosse vero? I Guardiani in realtà ne dubitavano ma, per non farlo sentire in imbarazzo, lasciavano che lo Spirito continuasse a raccontare quella sua storiella, fingendo meraviglia ogni volta...tutti tranne Calmoniglio ovviamente.
Una volta raggiunta la sua destinazione, Frost si lanciò in picchiata verso la periferia della città, ammirando così, da vicino, le imponenti sculture e, perché no, aiutare, forse anche un po' troppo, gli scultori nel loro delicato lavoro.
Era alle prese con una piccola scultura rappresentante un drago con il suo cavaliere seduto sul dorso, al quale non era ancora stata completata una gamba, quando le risa di un gruppo di bambini giunsero alle sue orecchie, distraendolo e facendo cadere su di un pover'uomo una bel chilo di neve sul capo, facendogli dare il benvenuto ad un bel raffreddore.
I piccoli, avvolti nei loro pesanti cappotti colorati, erano intenti a rincorrersi e pronti ad intavolare una sanguinosa battaglia a palle di neve.
Come poteva rifiutare un invito così allettante?
Con un balzo li raggiunse, piantando il suo bastone ricurvo nella neve ed accucciandovisi sopra, con i suoi rossi piedi scalzi, per scrutare la situazione dall'alto.
La battaglia era iniziata!
La neve volava ovunque, colpendo, spesso e volentieri, qualche malcapitato passante, ma le risa dei piccoli scaldavano talmente tanto quell'aria invernale che nessuno si sentì di dir loro qualcosa.
Frost fu abbastanza soddisfatto.
Sembrava una delle sue tante spensierate giornate. Sembrava...
Poco lontano, vide un altro bambino, che fino a quel momento era rimasto in disparte, cominciare a farsi vicino.
:-Oh! Bene bene- commentò tra se e se- un altro prode guerriero è giunto per decidere le sorti della battaglia!-. Scherzò.
Era pronto a lanciare contro il piccolo una palla di neve, quando si accorse di qualcosa che non andava.
Sulla sua testa, infatti, stava aleggiando una strana essenza dalle sfumature rosso-violacee.
Non riuscì a comprendere di cose si trattasse fino a quando il bambino, seppure di una corporatura piuttosto piccola, non si avventò su un ragazzino più grosso, iniziando a colpirlo a suon di pugni sul viso. Allora capì che, qualunque cosa fosse, non era nulla di buono.
Fortunatamente la lite venne subito placata dal repentino intervento dei genitori.
Il bambino che aveva attaccato briga aveva il volto visibilmente distorto in una smorfia sconvolta mentre il ragazzino più grande piangeva, volgendo il capo verso l'alto. Alcune gocce di sangue macchiarono la candida neve.
Lo Spirito rimase ad osservare la scena in un silenzio tombale, le risa ormai erano cessate e nella sua testa stavano andando a crearsi domande alle quali, da solo, non sarebbe stato in grado di dare una risposta.
Motivo per cui, a malincuore, abbandonò la ridente città e lasciò che il vento lo trasportasse al Polo Nord dal suo caro amico North, ma voi lo conoscerete meglio come Santa Clause.

 
* * * *


LINCOLN- MISSOURI (Sempre Febbraio)
:-Joel?-.
Il giovane sobbalzò sulla sua sedia, lasciando cadere il suo cucchiaino nella tazza e facendo schizzare il suo latte e qualche cereale tutto attorno.
Sua madre, Karen, lo stava chiamando da circa un minuto, fissandolo dritto in volto con i suoi occhi neri.
:-Stai sognando ad occhi aperti?-. Gli chiese mentre si allungava, con una tovaglietta, ad asciugare la tavola.
Lui annuì distrattamente, distogliendo lo sguardo da davanti a se e tornando a concentrarsi sulla sua tazza di latte e cereali.
:-Sogni spesso ad occhi aperti di recente, hai niente da dirmi?-. Continuò a chiedergli mentre si alzava per versarsi un'altra tazza di caffè. Il ragazzo le rispose con una scrollata di spalle, scuotendo il capo, mentre cercava di mandare giù qualche cucchiaiata della sua colazione.
:-Magari c'entra qualche graziosa fanciulla?-. Aggiunse infine scherzando.
Joel mandò quasi di traverso il boccone a quella domanda.
:-No, no! Non si tratta assolutamente di questo!-. Esclamò arrossendo, facendo così scoppiare a ridere sua madre. Aveva una bella risata, al ragazzo piaceva ascoltarla.
:-Una ragazza con lo “Gnomo”? Ma non scherziamo!-. Esclamò Grace, sua sorella maggiore, annunciando il suo ingresso nella stanza ed andandosi a sedere proprio di fronte a lui.
Aveva la pelle abbronzata e degli occhi da cerbiatta, dal taglio orientaleggiante, su un sottilissimo viso ovale, incorniciato da un caschetto nero.
:-Il giorno in cui porterà a casa una ragazza preparatevi al peggio. La fine sarà vicina!-. Continuò, con tono teatrale e catastrofico, mentre si versava un bicchiere di succo d'arancia.
:A-ah! La solita spilungona spiritosa!-. Le rispose il fratello minore, facendole la linguaccia.
:-Suvvia non litigate voi due o finirete per perdere l'autobus-. Li riprese pacatamente il padre, distogliendo per un'istante l'attenzione dai suoi documenti e sfilando gli occhiali, rivelando due occhi grigio azzurri, un mento glabro e dei corti capelli brizzolati.
:-Non preoccuparti Tim, li accompagno io andando a lavoro-. Disse sua madre, baciando il marito sulla fronte mentre afferrava la sua ventiquattro ore.
:-Ci vediamo a pranzo?-. Gli chiese.
:-Certo che sì, ho in mente un pranzetto con i fiocchi!-. Rispose tornando a distrarsi sui fogli e cancellando, per la quindicesima volta, la stessa frase che stava scrivendo e riscrivendo dalla sera precedente.
Joel fissò in silenzio il suo quadretto familiare, per poi alzarsi da tavola per andare a mettere sciarpa e cappotto, soddisfatto di avere una così bella famiglia.
Certo, alle volte i “pranzetti” del padre erano un po' dei pacchi bomba ma ogni tanto qualcosa di buono ne usciva, specie se dovevano rimediare ordinando una bella pizza a domicilio.
:-Ehi ma non hai finito i tuoi cereali! Non sono i tuoi preferiti?-. Gli chiese sua madre, guardando la tazza del figlio.
Il ragazzo si girò verso il posto dove sedeva un attimo prima, il quale sarebbe dovuto essere vuoto ma, invece, sulla sedia stava quella figura.
La stessa che qualche istante prima contemplava in silenzio, proprio di fronte a lui, al posto dove ora sedeva la sorella, prima che sua madre lo chiamasse.
Le sembianze erano quelle di una donna ma non era umana.
Il suo corpo non era fatto ne di carne, ne di ossa ma bensì di una strana sostanza, densa e fumosa, che partiva da un bianco pallido, sul quella che sarebbe dovuta essere la sua pelle, l'unica parte di quel corpo a sembrare meno intangibile, per finire, infine, con delle sfumature che andavano su varie gradazioni di viola sia sui vestiti che sui capelli, i quali mutavano ogni volta.
Nessun altro in quella stanza sembrava essere in grado di vederla, escluso lui ovviamente.
La donna stava immobile, fissando il vuoto davanti a se, volgendosi infine, in maniera parecchio lenta ed inquietante, lasciando aleggiare la fluttuante massa di capelli lunghi per la stanza, verso il ragazzino, mostrando i suoi grandi occhi rossi.
Il suo volto pareva essere privo di qualsiasi espressione, salvo un sorriso che le si andò a formare ad un angolo delle sottili labbra, rendendo il tutto ancora più angosciante.
:-Lascia fare a me, li finisco io-. Disse il padre, allungando una mano sulla tanto discussa tazza e, così facendo, attraversando l'etereo corpo della donna che si dissolse in una sottile nebbiolina, svanendo nel nulla dal quale era venuta.
La madre dei due ragazzi stava per aggiungere qualcos'altro ma quando i suoi occhi caddero sul suo orologio da polso, si dimenticò di ogni cosa, afferrò un toast portandolo velocemente alla bocca e corse verso i figli, borbottando qualcosa, mentre masticava il boccone, che i ragazzi, oramai abituati a sentirla parlare il “mastichese”, lo interpretarono come un “Muoviamoci che siamo in ritardo!”
:-Io mi siedo davanti!-. Disse Grace, infilandosi il cappotto e seguendo la madre.
Joel si soffermò ancora un istante a guardare il posto, ora vuoto, prima di decidersi a uscire di casa.
Quella donna poteva essere anche sparita, vero, volendo sarebbe potuta non riapparire mai più. Ma in cuor suo, Joel lo sapeva, percepiva la sua presenza, nascosta in qualche angolo remoto della sua mente.

Seduto sul sedile posteriore dell'auto, Joel osservava distrattamente le poche goccioline di pioggia che scivolavano sul finestrino.
:-Ma quando la smetterà di piovere in questo modo?-. Si lamentò Karen, mentre si fermava ad un incrocio.
:-A me la pioggia piace!-. Le disse Grace, Joel si trovò d'accordo con la sorella, anche se, per lo più, aveva il sospetto che lo avesse detto solo per contraddire sua madre.
Mah! Chi li capiva gli adolescenti!
Il solo pensiero che presto anche lui avrebbe cominciato a fare parte di quel mondo un po' lo preoccupava. Il corpo che cambia, la crescita, i primi amori. Tutte cose che gli facevano desiderare ardentemente di non crescere mai.
Anche se, in quel momento, non era certamente quello il suo pensiero principale. Perché dalla sua mente non riusciva a scacciare l'immagine di quella giovane donna seduta alla loro tavola.
La madre gli aveva detto che ultimamente passava parecchio tempo a sognare ad occhi aperti, chiedendogli se la causa fosse una ragazza.
Beh...in parte poteva dirsi vera come cosa, solo che non lo era nel senso in cui lo intendeva lei.
Negli ultimi tempi passava parecchio tempo con l'aria assente, vero, ma questo non perché pensasse a qualche sua compagna di classe, dalle quali, sinceramente, non si sentiva ancora molto interessato, ma perché le sue attenzioni erano rivolte a quello Spirito dagli occhi rossi.
Non appariva sempre, anzi, alle volte passavano settimane, addirittura qualche mese, prima che riapparisse ma se prima aveva cominciato a percepire quella presenza, con la coda dell'occhio, come qualcosa di debole e molto lontano, ora la sentiva sempre più vicina e tangibile, senza contare che, negli ultimi tempi, le apparizioni avevano cominciato ad aumentare.
Ma non era tanto per la sua incolumità che temeva. Anche perché, pur mostrandosi ai suoi occhi, lo Spirito non aveva mai fatto nulla di male nei suoi confronti.
No, non aveva paura per se stesso ma per gli altri.
Perché lui lo poteva vedere, non sapeva come ci riuscisse ma vedeva chiaramente cosa facesse quella donna alla mente delle persone, ed era agghiacciante.
Per la maggior parte delle volte le immagini gli giungevano, come scene di un film, nel bel mezzo della notte, interrompendo i suoi bei sogni ma, per quanto queste visioni potessero essere terrificanti, non era esattamente un problema fino a quando non avvenivano nel bel mezzo di una cena o, peggio ancora, nel momento in cui un insegnante decideva di interrogarlo.
Perché si sa no?
Lo sappiamo tutti che gli insegnanti hanno quel loro radar che utilizzano proprio per queste situazioni. Meno il momento è propenso, più loro hanno un'irrefrenabile, incontenibile e prioritaria necessità di metterti in imbarazzo dinanzi a tutta la classe.
Per sua fortuna Joel era un ragazzino abbastanza sveglio ed in gamba, anche se quei suoi blackout sembravano voler dire il contrario, e con la sua irriverente simpatia, alla quale nemmeno gli insegnanti erano in grado di resistere senza farsi scappare almeno un sorriso, riusciva sempre a cavarsela per il rotto della cuffia.
Volendo, finché quella presenza non avesse cominciato ad entrare in contatto con lui, avrebbe continuato così senza problemi.
Solo che gli veniva, inevitabilmente, da chiedersi: sarebbe continuato veramente tutto così?
O quella donna si sarebbe stancata, cominciando a giocare con la sua testa come una pallina da ping pong, non accontentandosi più di apparire, ogni tanto, nella sua vita?
Molto presto e ad un alto prezzo, Joel avrebbe trovato la risposta a quel suo quesito.

 
* * * *


La donna se ne stava seduta su di una panchina, tenendo le gambe accavallate, al suo fianco stavano due gemelli.
Era intenta a tenerli d'occhio quando all'improvviso una strana sensazione le provocò un solletico sulla nuca, costringendola a voltarsi alla sua destra, non incontrando nient'altro che un vialetto vuoto.
Ancora quella sensazione, come se qualcuno la stesse osservando.
:-Basta!- esclamò all'improvviso- Non posso lavorare così!-. E si alzò, battendo con forza i tacchi a terra.
Stava per andarsene quando si ricordò del lavoro che aveva da svolgere e, battendo una mano sulla fronte, tornò sui suoi passi.
I bambini erano intenti a gustarsi un bel gelato, nel caldo pomeriggio di un Febbraio australiano.
:-E' il momento di tornare a casa!-. Esclamò allegramente chinandosi su di loro, poggiando le mani sulle ginocchia.
Dai bambini non seguì alcuna risposta.
Si fece quindi più vicina, mettendo le sue labbra esattamente tra le loro orecchie, sussurrandogli qualcosa che, questa volta, parvero capire.
I coni caddero, spappolandosi contro il terreno e mescolandosi con la terra.
I due gemelli si alzarono e, tenendosi per mano, se ne andarono chissà dove mentre sulle loro teste stava una strana sostanza violacea.
La donna li guardò allontanarsi e sorrise.
:-Finalmente un po' di tempo libero!-. Esclamò stiracchiandosi e sgranchendo le gambe che andarono a dissolversi in una coltre di fumo, facendo lentamente scomparire anche il resto del suo corpo in un vortice violaceo.
Della sua presenza, in quel posto, rimase solo la risata.
   
 
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