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Autore: Alwaysadreamer    11/10/2014    0 recensioni
La vita è fatta di alti e bassi, raggi di sole e temporali. La vita è un circolo vizioso, un attimo prima pensi di essere felice e quello dopo ti ritrovi a chiedere a te stessa che cosa hai fatto di male per essere finita in questa merda.
Quando passi la maggior parte del tempo a “vivere” felice e serena non ti accorgi che tutto ciò è solo una condizione precaria e che tutto il tuo mondo potrebbe crollarti addosso a momenti.
Abigail viveva una vita perfetta, troppo perfetta per essere reale. La vita aveva progettato qualcosa di brutto anche per lei, ed ora si ritrova nella clinica più bella e stimata di tutta l'Australia per ricominciare da capo.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“God knows what is hiding in those weak and drunken hearts , guess the loneliness come knocking. No one needs to be alone, oh singin’
People help the people.”

                                                                                                                          -Birdy, People help the people.

La vita è fatta di alti e bassi, raggi di sole e temporali. La vita è un circolo vizioso, un attimo prima pensi di essere felice e quello dopo ti ritrovi a chiedere a te stessa che cosa hai fatto di male per essere finita in questa merda.   
Quando passi la maggior parte del tempo a “vivere” felice e serena non ti accorgi che tutto ciò è solo una condizione precaria e che tutto il tuo mondo potrebbe crollarti addosso a momenti.
Ecco, io ero così. Vita perfetta, popolarità, tanti amici, buona famiglia alle spalle e così via, e ora? Beh, ora mi ritrovo davanti alla clinica più bella e mastodontica di Sydney. Una specie di collegio per figli di genitori ricchi che si ritrovano in bilico tra la vita e la morte o l’autodistruzione e l’oblio.
«Vi voglio bene» furono le ultime parole che rivolsi ai miei genitori prima di lasciare ufficialmente tutto quello che avevo alle spalle e ricominciare da zero. Attraversai la porta a vetri cercando di farmi forza. Trascinai il trolley per tutto l’ampio atrio, portando sotto braccio i documenti necessari all’ultima fase dell’iscrizione li dentro. Arrivai al bancone ansimando, ormai anche il minimo sforzo mi veniva difficile.
Passai i documenti alla receptionist posta dietro al bancone bianco. Osservandomi meglio intorno, tutto li dentro era bianco, ma non aveva propriamente la tipica aria da ospedale forse per le vetrate trasparenti che davano sull’oceano, o forse per la scalinata elegante oppure per i divanetti neri posizionati qua e la. Tutto appariva incredibilmente piacevole alla vista eppure c’era un piccolo dettaglio che stonava con tutto ciò che mi circondava, i ragazzi che ci camminavano dentro. Il pensiero di apparire anche io agli occhi degli altri come loro apparivano ai miei mi fece rabbrividire. La signora dietro al bancone finì di compilare dei fogli che poi infilò accuratamente dentro ad una cartellina azzurra.
«Come mai le cartelline hanno colori diversi?» chiesi incuriosita dall’innumerevole quantità di cartelline colorate che mi circondavano.
«Ogni..ehm..disturbo viene classificato con colori diversi» rispose semplicemente la donna, non doveva avere più di quarant’anni ed i suoi grandi occhi verdi trasmettevano una strana ed inquietante tranquillità. Hanno ragione a dire che gli occhi sono importanti nella comunicazione. «Comunque la tua camera è al terzo piano, numero 394» continuò porgendomi la chiave.
«Grazie» risposi senza alcuna emozione. Aspettai che arrivasse l’ascensore perché portare la valigia fino al terzo piano avrebbe richiesto troppo sforzo.
Arrivata in camera rimasi abilita. La stanza era semplicemente stupenda, ampia e resa ancor più luminosa dalle pareti bianche. La parte più bella era la parete completamente formata da una vetrata con la vita sull’Oceano, vita più alta rispetto a quella offerta nell’atrio ed ancor più mozzafiato. Sydney vista da quassù appariva ancor più bella. Per quanto riguarda l’arredamento era un po’ più semplice, due letti, uno poggiato al muro e l’altro vicino alla vetrata, separato da essa soltanto da un comodino. Vi era una scrivania di legno e due semplici armadi posti uno vicino all’altro. Vicino alla scrivania c’era una porta, l’aprii e mi ritrovai nel bagno, spazioso ma non esageratamente grosso, composto da una doccia bella ampia, un lavandino ed un water, senza troppi fronzoli inutili. C’era un’unica finestrella, anch’essa affacciata sul Pacifico.
Per ora ero da sola, non avevo ancora conosciuta la mia coinquilina anche se, ad essere sinceri, non ne avevo tanta voglia. Ormai mi ero abituata alla solitudine, me l’ero creata, questa situazione ed ora non volevo sforzarmi a ritornare tra le persone. Tutti dicono che le persone aiutano le persone, eppure, la maggior parte delle volte sono proprio le persone a buttarti giù, a far si che tu ti autodistrugga.

Erano le 5 e mezza del pomeriggio e ancora nessuno si era fatto vivo nella stanza. Il sole stava pian piano scendendo, creando giochi di ombre e luci fantastici. Guardai la tabella con gli orari base della giornata affissa alla bacheca posta sopra la scrivania. La cena sarebbe stata alle sette, il che voleva dire che avevo ancora un’ora e mezza per poter andare a dare un’occhiata in giro, giusto per controllare dove si trovavano le stanze principali, quelle in cui sarei dovuta andare quotidianamente. Presi la piantina e mi chiusi la porta della stanza alle spalle. Aspettando l’ascensore studiai per bene le stanza del piano terra, quello dell’atrio. Optai per andare a vedere il salottino. Quando si aprirono le ante dell’ascensore entrai. Non era da sola, con me c’era anche un ragazzo, sui diciotto anni probabilmente. Era davvero bello.
«A che piano ti devi fermare?» mi chiese, cogliendomi di sorpresa.
«Ehm, al piano terra» risposi. Potei giurare di essere arrossita, era passato tanto tempo da quando qualche mio coetaneo mi aveva rivolto la parola che per un po’ ho pensato di essere diventata invisibile. Non m’aspettavo che qualcuno mi rivolgesse la parola già dal primo giorno qua dentro.
«Sei nuova giusto? Non ti ho mai vita qua dentro» disse sorridendomi. Cavolo, che bel sorriso, e i suoi occhi..indescrivibili. Stavo entrando in uno stato di trance.
«Si, primo giorno» risposi cercando di collegare il cervello.
«Uh, piacere, io sono Michael, te?» chiese porgendomi la mano.
«Abigail» risposi ricambiando la stretta.
«Cavolo, sei così magra..» affermò mollandomi dolcemente la mano. La situazione si stava facendo imbarazzante.
«Anoressia» risposi solo. L’ascensore si fermò e si aprirono le porte, uscii velocemente, facendo un cenno con la mano al ragazzo.
«Aspetta!» disse avvicinandosi a me. Era tanto più alto di me ed era pallidissimo, come se la sua pelle non avesse mai visto un raggio solare. «Ti serve un aiuto per orientarti? Dove vorresti andare?» chiese. Non volevo essere accompagnata da una balia, però non potevo neanche rimanere chiusa dentro la mia bolla di vetro per il resto della vita, dopotutto i miei genitori mi avevano mandato li dentro per ricominciare e dovevo provarci fin da subito.
«Uh grazie, il salottino dove rimane?» chiesi a mia volta. Michael non disse nulla, si limitò ad imboccare un corridoio per poi infilarsi nella prima porta.
«Eccolo qua. Accomodiamoci pure a quel tavolo la, sempre che tu ne abbia voglia» disse. Stava prendendo troppa confidenza e, per quanto potesse essere bravo ed educato, non volevo aprirmi troppo con qualcuno. Le cicatrici di un passato recente bruciavano ancora.
«No…preferisco tornare in camera ora, devo ancora sistemare la valigia ora che ci penso.» risposi allontanandomi da lui di qualche passo.
«Va bene, ci si becca in giro, Abigail» disse salutandomi con la mano.

Feci il percorso a ritroso verso la camera con la figura del ragazzo in testa. La cosa che più di tutte mi aveva colpito era il suo pallore, messo ancor più in evidenza dai capelli neri. A pensarci meglio lui sapeva, a grandi linee, il mio “problema” ma io ero totalmente ignara di cosa potesse aver lui.
Arrivai in camera ed iniziai a disfare la valigia, posando ordinatamente i vestiti negli appositi ripiani, poi occupai con il beauty uno scaffale del bagno lasciando l’altro libero per la mia ancora ignota coinquilina. Quando finii di sistemare il tutto approfittai della mezz’ora ancora libera per stendermi un attimo sul letto e godere appieno dello spettacolo offerto dalla vetrata.
Ad un certo punto qualcuno entrò nella stanza. Sentii passi lenti, come se la ragazza strisciasse i piedi per terra. Mi misi a sedere sul letto, voltandomi per vedere in volto colei con la quale averi diviso la camera per tutto l’anno.
«Sempre figo qua dentro» disse lei. «Piacere io sono Freya, è il quarto anno qua dentro, dovrò essere la tua “guida” e soffro di un disturbo bipolare» aggiunse,per poi sbuffare un “tutti gli anni la stessa solfa”.  Lasciai cadere li il discorso.
Fu lei a parlare dopo dieci minuti. «Vieni, andiamo a mensa»

«Probabilmente non sai come funziona qua, ci sarebbero un sacco di nozioni da imparare, ma le apprenderai a loro tempo, per ora devi sapere che non è facile farsi degli amici, il più delle volte si instaurano rapporti di amicizia tra persone con lo stesso disturbo. Non ho mai visto i ragazzi malati di cancro, con ragazzi con disturbi come noi. C’è solo un’eccezione..» disse entrando nella mensa. Vidi il ragazzo di oggi pomeriggio, sempre sorridente. Salutò sia me che Freya. «Michael» concluse lei.


Angolo autrice:

Ciao a tutti! Eccomi qua con la mia prima long, wooo. Spero che la storia vi incuriosisca un minimo e che non mi lanciate i pomodori in testa :( Se qualcosa non è chiaro, don’t worry, man mano che la storia prenderà vita tutto sarà più chiaro :D Okay, non aggiungo altro anche perché sto facendo un monologo che probabilmente nessuno leggerà ahah. Detto ciò, buona giornata! <3
   
 
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