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Autore: RandomWriter    11/10/2014    9 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
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RIASSUNTO DELLA PUNTATA PRECEDENTE
 
Il dottor Hogan mette i coniugi Travis di fronte ad una scelta: far affrontare a Sophia un rischiosissimo intervento a cuore aperto oppure lasciarle qualche giorno in più di vita, con la consapevolezza dell’inesorabilità della morte. Peter e Amanda sono disorientati: la donna non riesce ad accettare l’idea che nell’arco di un paio di giorni non vedrà più la figlia, così propende per tenerla in vita finchè sarà possibile; Erin invece ripensa alla sorella e ricorda un fatto accaduto anni prima che aveva portato Sophia a battezzarla “il suo pilastro”. Riscoprendo in sé una determinazione e forza insospettabili, la ragazza si precipita dai genitori e riesce a persuaderli a tentate l’intervento.

 
 


 
CAPITOLO 35:
LA SPERANZA È UN SOGNO FATTO DA SVEGLI

 
“siamo stati compagni di stanza all’università. Già all’epoca si vedeva che era uno sopra la media”
“pensi che accetterà di addossarsi la responsabilità di un simile intervento? Del resto dovresti contattarlo subito affinché domani la ragazza possa essere sotto i ferri”
“beh, New York dista un’ora e mezza di auto da qui… se accettasse, il problema non sarebbe il tempo quanto la burocrazia: bisognerebbe sentire se la struttura in cui opera in Inghilterra gli concederà l’autorizzazione per questo intervento”
Il dottor Hogan sospirò pesantemente:
“non so se valga la pena avvertire i Travis di questa possibilità dal momento che è così remota”
Il suo collega si sporse dall’altro lato della scrivania, schiacciando entrambe le mani contro la superficie liscia.
“senti Edward, facciamo così” affermò risoluto il “io lo chiamo e vediamo cosa mi dice. Tu nel frattempo senti cosa hanno scelto i Travis… verrò a riferirti la risposta di Wright appena sarò riuscito a mettermi in contatto con lui”
 
Quella mattina, nonostante il deficit di sonno che accumunava quelle cinque persone, la famiglia Travis si presentò alle dieci in punto in ospedale.
Pam e Jason erano saliti con la macchina del ragazzo e si erano adattati ad attendere i familiari nella sala d’attesa. Erin seguì i genitori fino allo studio del dottor Hogan, in cui il medico li stava aspettando.
 
Il medico guardò intensamente le tre persone davanti a lui. Il capofamiglia gli aveva appena concesso l’autorizzazione ad operare la figlia.
 “è quello che avrei fatto io” affermò Hogan e dopo qualche ulteriore scambio di battute, si congedò dalla famiglia Travis per predisporre le procedure finalizzate al trasferimento di Sophia all’ospedale di Allentown che sarebbe avvenuto nel pomeriggio.
L’operazione sarebbe stata eseguita l’indomani mattina, alle dieci, esattamente a ventiquattr’ore di distanza da quel colloquio.
 
Una volta ricongiuntisi a Pam e Jason, i Travis li aggiornarono su quanto era stato loro comunicato e stabilirono di recarsi tutti insieme nel pomeriggio a trovare Sophia all’ospedale di Allentown.
“il dottor Hogan ci ha assicurato che sarà sveglia, l’importante è non farla affaticare” si raccomandò Peter poi guardò la moglie e la figlia e le esortò a seguirlo in macchina per tornare a casa. Non c’era altro che potessero fare in quell’ospedale che presto anche la loro Sophia avrebbe lasciato.
Jason e Pam invece, che quella mattina non erano riusciti a fare colazione, affermarono che si sarebbero intrattenuti al bar e li avrebbero raggiunti successivamente.
Alla coppia allora si unì anche Erin, dal momento che doveva andare in bagno, così i suoi genitori si incamminarono verso il parcheggio, con la speranza di riuscire a recuperare qualche ora di riposo una volta a casa.
 
Erin percorse i corridoi, quegli stessi che poche ore prima aveva attraversato con il cuore dilaniato. L’inquietudine non l’aveva di certo abbandonata ma ora che era stata presa una decisione, sentiva che in lei era germinata una piccola speranza.
 
Una volta uscita dal bagno, passò per la sala d’attesa del secondo piano da cui avrebbe preso l’ascensore per raggiungere la zia al bar.
Superò un poster appeso alla destra del suo campo visivo ma anziché tirare dritto, si arrestò: il manifesto pubblicizzava un’importante fondazione di privati nata per sostenere la ricerca scientifica. Nella seconda parte del foglio si elencavano le varie linee di ricerca in cui erano destinati i fondi raccolti e la ragazza li lesse con attenzione:
“per fortuna che c’è ancora qualcuno che presta attenzione a queste cose” commentò una voce maschile alle spalle di Erin.
La ragazza si voltò, trovandosi davanti un uomo non particolarmente alto, sotto il metro e settantacinque che la guardava con curiosità. Non poteva definirsi bello ma nei suoi occhi c’era qualcosa di tremendamente affascinante e carismatico, così come nei lineamenti virili del volto. Aveva una mascella squadrata, un mento largo e la fronte spaziosa, solcata da due segni orizzontali.
 “l’ho spaventata?”
“n-no… spaventata no” chiarì Erin “mi ha preso alla sprovvista… diciamo che mi ha sorpresa” ammise infine, cercando di riprendersi dall’imbarazzo.
“veramente è lei che ha sorpreso me. Stava osservando con molto interesse questo poster. Si è addirittura avvicinata a leggere le parole qui in basso” spiegò l’uomo, indicando dei caratteri in piccolo.
Erin si grattò la guancia, incapace di giustificare l’interesse che quello strano tizio le stava dedicando.
Non sembrava avere più di cinquant’anni ma quella differenza di età più che allarmarla, la metteva in soggezione. Era decisamente una persona singolare se si fermava a parlare con una ragazza solo perché aveva scoperto quest’ultima a fissare un poster.
“la verità è che questo è un settore in cui mi piacerebbe lavorare” spiegò Erin. Anche se avevano scambiato appena un paio di battute, quell’uomo aveva un’aria rassicurante al punto da concederle una certa confidenza.
“la ricerca scientifica?” ripetè lui piacevolmente sorpreso.
“esatto”
L’uomo annuì e le diede le spalle, allontanandosi verso il corridoio:
“allora le auguro di realizzare il suo sogno signorina”
Erin si morse il labbro e ribatté:
“non è un sogno”
A quell’obiezione l’uomo fu costretto a girarsi, tornando a fissare la sua giovane interlocutrice.
“come prego?”
“non è un sogno” ripetè la ragazza con convinzione “è un’ambizione… è il traguardo a cui arriverò. Non sono più così piccola da potermi permettere di parlare di sogni”
Lo sconosciuto rimase senza parole, poi sorrise leggermente, confondendo la ragazza per quella smorfia così affettuosa, quasi familiare.
“è stato un piacere scambiare quattro chiacchiere con lei signorina” concluse con un sorriso gentile e tornò a incamminarsi nella direzione che aveva intrapreso.
Erin fissò quelle larghe spalle farsi sempre più piccole man mano che la figura si allontanava da lei. Spostò poi lo sguardo verso il manifesto e sorrise leggermente.
 
Anche se le quattro del pomeriggio sembravano non arrivare mai, finalmente i Travis si trovarono di fronte alla porta della stanza di Sophia.
Nell’ospedale di Allentown era stata trasferita in una stanza speciale di cardiologia dove ogni macchinario era predisposto per interventi analoghi a quello a cui sarebbe stata sottoposta la paziente il giorno successivo.
La famiglia inspirò profondamente.
Prima di entrare l’infermiera che aveva preparato la ragazza li aveva avvertiti che Sophia era sveglia ma che non poteva affaticarsi troppo.
La prima ad entrare in quella stanza fu Erin.
Oltre la parete del bagno, finalmente la vide.
 
Distesa su quel letto bianco e anonimo, c'era Sophia. La sua Fia.
Il materasso era stato rialzato in corrispondenza della zona toracica in modo che la paziente potesse stare comodamente seduta.
Dietro ad Erin comparvero i genitori che a stento trattenevano l'emozione mentre Pam chiudeva le fila.
Il quartetto era un crogiolo di sentimenti che andavano dalla commozione alla gioia. Nessuno sapeva cosa dire o forse, aspettavano tutti che fosse la paziente a parlare.
“yo!” li salutò scherzosamente Sophia, lasciando per un attimo basiti i suoi visitatori.
Era la ragazza di sempre: con il sorriso perennemente stampato sulle labbra e una leggerezza nei comportamenti che rasentava la sfrontatezza.
“ti sembra questo il modo di salutare la gente?” ridacchiò Erin.
In quella particolare circostanza tutte le domande e le accuse che per mesi aveva indirizzato alla gemella erano scomparse. Le mani le sembravano prudere tale era il desiderio di lanciare le braccia al collo, tuttavia doveva desistere dal compiere azioni avventate, che potessero compromettere la delicatissima salute della sorella. Nonostante il suo viso allegro infatti, Erin notò gli occhi stanchi circondati da occhiaie violacee.
Sophia scrollò le spalle.
“embè, che dovrei fare? Quelle facce da funerale che avete voi? Su con la vita!” sdrammatizzò.
La sorella rise e con lei il resto della famiglia. Sembrava che tutti avessero dimenticato di sollevare lo sguardo verso quella tremenda spada di Damocle che pendeva sopra il corpo della giovane paziente.
“come stai amore?” le chiese Amanda accarezzandole i capelli.
“ho il cuore a mille”
La madre le lanciò un’occhiataccia, incapace però di rimproverarla.
“sei sempre un vulcano Sophia” commentò Pam.
“a proposito zia, di chi era la voce con cui stavi parlando prima?" si incuriosì  "ti ho sentita salutare qualcuno prima di entrare”
Pam arrossì mentre Erin la aggiornò con tono malizioso:
“la zia si è trovata il ragazzo”
La gemella spalancò gli occhi e con essi anche la bocca, tale era la gioia che una simile notizia aveva suscitato in lei:
“oh, quindi mi hai portato uno zio? Perché non me lo presenti?”
“i dottori si sono raccomandati di non farti affaticare tesoro” intervenne il padre, che per tutto quel tempo non aveva aperto bocca.
“mica devo fare un incontro di sumo contro di lui” obiettò la figlia, facendo sorridere tutti “mi basta vedere come è fatto”
“è molto carino” le sussurrò la madre, guadagnandosi un cipiglio alzato da parte di Peter.
Pam sorrise e uscì dalla stanza per andare a recuperare Jason. Dopo un rapido scambio di battute, i Travis sentirono dei passi e il rumore della porta che veniva aperta.
Quando il veterinario entrò nella stanza, Sophia emise un fischio di apprezzamento, osservando quel giovane uomo alto e affascinante accanto alla zia.
Jason sorrise lievemente in imbarazzo a causa di tutte quelle attenzioni che si erano concentrate su di lui e si presentò:
“piacere di conoscerti, sono Jason”
La paziente sollevò l’avanbraccio, gesto tipicamente suo per salutare le persone e ricambiò i convenevoli:
“Sophia… tu Jason che lavoro fai?”
“sono un veterinario”
La ragazza si voltò istantaneamente verso il padre e affermò convinta:
“papy, mi iscriverò a veterinaria!”
Le donne risero sommessamente, mentre Peter sbottò:
“quando la smetterai di prendere decisioni a caso?”
“non mi hai mai voluto comprare un cane, così almeno ne avrò sottomano quanti ne voglio”
“non ha senso come ragionamento Fia” commentò Erin divertita.
Le sembrava assurdo, al limite del paradossale, quel clima allegro e sereno che sua sorella era riuscita a creare in quella stanza, nonostante la gravità dell'imminente intervento.
“allora diciamo che se tutti gli studenti di veterinaria sono come Jason, troverò sicuramente la motivazione per andare ai corsi” replicò prontamente Sophia.
Jason arrossì, spiazzato dai modi così diretti e spontanei della ragazza a cui invece la sua famiglia era fin troppo abituata. Tuttavia, nonostante il dono naturale della paziente di creare attorno a sé un’atmosfera festosa, Amanda non riuscì a trattenere una smorfia amara e ansiosa:
“non sei preoccupata tesoro? Il dottore è venuto a spiegarti-“
“so già tutto” la interruppe la figlia, guardandola dritta negli occhi “so quanto è rischioso ma lo voglio fare… anche se quel 2% di probabilità mi sta un po’ sulle palle” ammise, ma questa volta nessuno dei presenti ridacchiò o la rimproverò per quel linguaggio.
Indistintamente, tutti scrutavano la giovane paziente con un'espressione rammaricata e solidale.
“eddai! Se non sono preoccupata io, non dovete esserlo voi!” li incoraggiò, gesticolando animatamente “e poi lo sapete che io odio omologarmi alla massa, mi piace essere l’eccezione… vedrete… rientrerò in quel piccolo 2% che ce la fa” promise, facendo l’occhiolino.
Avrebbero voluto credere che il destino di quella ragazza fosse davvero nelle sue mani e che bastasse la sua eccentricità a strapparle dalla morte, ma non potevano certo lasciarsi convincere da una simile battuta.
Se non altro Sophia era serena: era pronta ad affrontare l'imminente intervento con coraggio e ottimismo, tali da contagiare in parte anche i suoi familiari.
 
Dopo un po' entrò nella stanza un'infermiera e li invitò a lasciar riposare la giovane paziente.
A turno abbracciarono Sophia che, approfittò della situazione per guadagnare una stretta anche da Jason.
L’avrebbero rivista l’indomani, prima di essere anestetizzata per l’operazione.
Prima che scomparisse dal loro campo visivo, la ragazza lasciò impressa nella mente della sua famiglia la luminosità di un sorriso che in diciassette anni non era mai cambiato.
 
Peter fu l’ultimo a chiudersi la porta alle spalle e cercò lo sguardo della moglie:
“ce la farà. È forte” le disse, stringendola a sé. I due coniugi non avevano bisogno di parlarsi per capire cosa pensasse l'uno e l'altra. Jason e Pam si incamminarono in testa a quella piccola processione, mentre Erin fungeva da silenziosa chiudi fila.
Non avevano fatto neanche dieci passi che richiamò l'attenzione della madre:
“mamma… ho dimenticato una cosa nella stanza di Sophia”
La psicologa si voltò e con lei il resto della compagnia:
“d’accordo, va pure a prenderla, ti aspettiamo qui”
“no, ci vediamo in sala d’attesa” li liquidò, tornando sui suoi passi.
Non aveva il tempo per spiegare alla madre che ciò che aveva dimenticato non poteva essere recuperato materialmente: Erin aveva semplicemente scordato quanto Sophia odiasse far preoccupare gli altri.
 
La ragazza aprì lentamente la porta.
Nella stanza non c’era traccia dell’infermiera ed Erin non pensò di annunciare la sua visita. In lei era annidato il presentimento che sua sorella si aspettasse di vederla nuovamente lì.  Era una sensazione indefinibile dalla logica ma solo chiamando in causa quel sentimento fraterno che lega persone cresciute insieme.
Sophia aveva la ginocchia al petto e la fronte appoggiata su di esse. Scrutarne l'espressione era impossibile, oltre che inutile: era disperata.
La giovane paziente avvertì un tocco delicato sfiorarle la schiena ma non alzò il capo. Non aveva bisogno di farlo per sapere che sua sorella era lì accanto a lei.  Sapeva che in un modo o nell’altro Erin avrebbe sentito le sue lacrime:
“perché fai sempre la dura Sophia?” la rimproverò dolcemente,  mentre la sua mano si muoveva con grazia su quelle spalle così curve e fragili.
Nella stanza quel silenzio così malinconico cominciò ad essere interrotto da singhiozzi intermittenti da parte di Sophia.
“ho paura Erin” mentre la sua schiena sussultava in modo irregolare.
“lo so” ammise la sorella, senza smettere di accarezzarla.
Sophia si asciugò gli occhi e finalmente sollevò lo sguardo.
Aveva gli occhi arrossati a causa di quelle lacrime salate e disperate, che si era sforzata di non versare davanti ai genitori:
“non lo dire a mamma e papà” le raccomandò.
“certo” la rassicurò Erin, sedendosi di lato sul materasso.
"perché a me Erin? Cosa ho fatto di male?" sbottò Sophia ad un certo punto "non sarebbe stato meglio morire sul colpo? A questo punto cosa vuoi che sia un 2% di speranza? Serve solo a prolungare l'agonia"
"non dire così Fia"
"cosa dovrei dire allora?" replicò la gemella, fuori di sé "la mamma può fare tutti i discorsi che vuole sulla religione e la fede, ma la verità è che se sono qui vuol dire che qualcuno vuole che io smetta di vivere e francamente questa realtà ineluttabile non la accetto"
Le lacrime e i singhiozzi le impedirono di proseguire, così Erin si limitò a stringerle la mano:
"ti sbagli Sophia... il fatto che tu sia ancora qui vuol dire che ti è stata data un'altra possibilità"
"è una possibilità inutile visto che non posso giocarmela Erin!"
"per te sarà anche inutile, ma per noi è l'unico scoglio al quale possiamo aggrapparci per non annegare nella disperazione... non mi vedrai piangere né disperarsi finchè non sarai uscita da quella sala operatoria"
Erin guardava la sorella dritta negli occhi, con determinazione. Aveva già versato le sue lacrime ora il suo dovere era quello di asciugare quelle della sorella.
"ricordati che ti sono vicina Fia. Lo dici sempre che ti sto troppo addosso... e non sono ancora pronta a lasciare la tua mano, perciò se cercherai di mollare la presa, ti stringerò più forte"
 


 
 
“mi scusi, sto cercando il primario”
L’infermiera alzò annoiata lo sguardo dalle cartelle che stava consultando. Ai pazienti e visitatori dell'ospedale non era chiaro che lei non era una segretaria e quel genere di informazioni non erano di sua competenza.
Bastava che la vedessero impegnata dietro quel banco e subito la trattenevano con richieste che non avrebbe potuto soddisfare.
L’uomo che aveva davanti la fissava dritta negli occhi, aspettandosi una risposta e lei si voltò verso un impiegato, quasi a scaricarli simbolicamente l'onere di occuparsi di quel visitatore.
Aveva altro di molto più importante da fare: il primario l'aveva avvertita che si sarebbe presentato il noto dottor Wright, un’eminenza del settore cardiochirurgico.
Appena si era diffusa la voce che l’illustre medico avrebbe varcato la soglia dell'ospedale di Allentown, tutto il personale era andato in fibrillazione. Voci di corridoio parlavano di un uomo basso e un po'ingobbito, ma dalla mente sveglia e attenta.
“mi dispiace ma è molto occupato” venne liquidato l'anonimo ospite dall'impiegato.
Di certo si trattava di un visitatore molto ingenuo se sperava di poter incrociare una simile autorità ospedaliera. L'impiegato venne poi distratto da una seconda figura che con non noncuranza, passò davanti al primo interlocutore.
Quest’ultimo però non si arrese né palesò l'irritazione per essere stato trattato in modo così sbrigativo:
“posso facilmente immaginare quanto sia occupato, ma vede, ho un appuntamento con lui” insistette, accavallando le sue parole su quelle della donna accanto a lui. Quest’ultima gli lanciò un'occhiata infastidita ma si limitò a tacere, consapevole di non essersi assicurata che l'uomo che la precedeva avesse chiuso la conversazione.
“ne dubito altamente” replicò acidamente l'infermiera “il primario oggi solo un appuntamento e si da il caso che sia con un noto dottore”
L’uomo sorrise pazientemente e replicò:
“mi scusi, mi rendo conto solo ora di non essermi presentato: sono il dottor Wright”
 
“quanto ci mette Erin? Sono dieci minuti che è lì dentro” calcolò Peter sedendosi su una delle sedie disposte nella sala d'attesa del reparto.
“evidentemente c’era qualcosa che doveva dire a Sophia” spiegò Amanda. Aveva ormai capito che sua figlia le aveva rifilato una scusa per poter restare un po' da sola con sua sorella. Anche Jason e Pam seguirono l'esempio di Peter e si accomandarono accanto a lui, mentre la moglie continuava a scrutare il corridoio. A quell'ora c'era un via vai di amici e familiari che avevano approfittato dell'orario delle visite mattutino per salutare i propri cari.
Jason fu il primo ad accorgersi delle due figure che stavano puntando dritto verso di loro e toccò il ginocchio di Pam. La donna dapprima lo osservò senza capire, poi seguì lo sguardo del suo ragazzo. Quella sequenza di azioni non sfuggì ai due coniugi che si concentrarono sui due uomini che si stavano avvicinando.
Il più vecchio dei due indossava un camice bianco e aveva un atteggiamento autoritario, di chi è abituato ad essere trattato con una certa riverenza. L'individuo accanto a lui invece era più giovane e aveva un'espressione poco amichevole. Indossava anch'egli il camice ma diversamente dal suo panciuto collega, lo teneva sbottonato, lasciando intravedere il maglione sottostante.
“i signori Travis?” indagò il più vecchio, rivolgendosi a Peter.
Quest'ultimo annuì e si alzò in piedi, seguito dal resto dei presenti.
“sono il primario di questa struttura: dottor Jones" si presentò, stringendogli sbrigativamente la mano e volgendo un cenno altrettanto fugace al resto dei familiari "mentre questo signore è il dottor Wright, uno dei migliori cardiochirurghi in circolazione”
Agli occhi dei quattro, quella seconda figura era passata in secondo piano, poiché eclissata dall'austerità del vecchio accanto a lui.
Era un uomo sulla cinquantina, con un fronte spaziosa e dai tratti facciali molto marcati. Non aveva i lineamenti che potevano definire un uomo bello, ma sicuramente carismatico. Il modo in cui fissava le persone davanti a lui era diretto e senza alcun pudore o timore, quasi riuscisse a leggere gli aspetti più reconditi della loro personalità.
“il dottor Wright è stato contattato da un suo ex compagno di università, il dottor Cooper, collega del dottor Hogan che vi ha assistito nell’ospedale di Fogelsville” spiegò il primario.
“il dottor Cooper sapeva che in questi giorni ero a New York per un convegno internazionale di cardiochirurgia, ma in realtà lavoro a Londra” spiegò il dottor Wright, intromettersi nella conversazione.
Aveva una voce profonda e calma, che infondeva un sentimento analogo in chi la ascoltava. “fortunatamente l’ospedale di Allentown è sotto la gestione di quello di New York con cui l’ospedale in cui lavoro io ha da sempre adottato uno stretto rapporto di intercollaborazione"
Il dottore venuto dall'Inghilterra era consapevole che tutti quei dettagli erano secondari per le persone che aveva davanti così andò dritto al punto:
"i miei superiori mi hanno dato l’autorizzazione ad eseguire questo intervento e se voi non avete nulla in contrario, non intendo sottrarmi al mio dovere di medico”
 
Fu sulle ultime parole che Erin fece il suo ingresso nella sala d’attesa.
Riconobbe all’istante nell’uomo che stava parlando con i genitori, lo sconosciuto con cui aveva scambiato qualche chiacchiera quella mattina stessa, nell’ospedale di Fogelsville. Diversamente dal loro primo incontro però, indossava un immacolato camice bianco nelle cui tasche teneva ficcate le mani.
Peter si voltò verso la figlia e la esortò ad unirsi al gruppo. Erin affrettò i passi, attirando l'attenzione dei due medici.
“lei è mia figlia Erin”
I due annuirono e si presentarono:
“è un piacere rivederla signorina” commentò poi il dottor Wright.
Appena aveva visto giungere la ragazza, aveva abbandonato l'espressione burbera e sostenuta con cui si era presentato alla sua famiglia “come stavo spiegando ai suoi genitori, mi sono proposto per eseguire l’intervento di sua sorella”
“metteremo Sophia nelle sue mani dottore” esclamò prontamente Amanda.
Laddove la logica non possa trovare terreno fertile, è l’istinto a dominare la mente di una persona e quel giorno tutti sentirono che quell’uomo, dall’aria così distinta e riservata, era degno della loro fiducia.
“non sappiamo come ringraziarla” aggiunse Pam.
“è il mio dovere come medico” commentò asciutto Wright.
Erin rimase a guardare affascinata quell’uomo: avrebbe avuto in mano le sorti della sorella, quelle mani così grandi e virili avrebbero determinato se il cuore della sorella sarebbe tornato a pulsare in modo normale.
 
Ormai erano più di ventiquattr’ore che non riusciva a riposare come il suo fisico avrebbe voluto: l’angoscia per quanto sarebbe accaduto alla gemella era quasi soffocante. Nell’arco della giornata le era capitato di appisolarsi, ma si trattava di appena un paio d’ore durante le quali le era concesso il privilegio di non tormentarsi per l’indomani. Quando però veniva strappata da quel rassicurante mondo onirico, in Erin tornava la consapevolezza che quell’incubo perdurava.
Il suo animo era dilaniato tra la necessità di credere nel dottor Wright, nella sua fama come chirurgo e la logica spietata imposta dalla statistica che le imponeva di prepararsi al peggio.
Si rigirò più volte nel letto, chiedendosi cosa avrebbe dovuto dire a Sophia quando erano rimaste sole, se avrebbe dovuto consolarla in qualche altro modo, se poteva tranquillizzarla con parole più appropriate.
La verità era che lei stessa stava morendo di paura. Davanti alla gemella aveva nascosto tutta la sua disperazione, ma dentro di sé sentiva solo la voglia di urlare al mondo quanto fosse ingiusto.
Incapace di addormentarsi, accese la luce del comò e recuperò il cellulare.
Dopo qualche rapido gesto, arrivò alla casella della posta.
Nessuna mail da Castiel.
Notò solo allora l’icona dei messaggi e vide che Rosalya le aveva scritto qualche ora prima.
Erano passati appena pochi giorni da quando aveva lasciato Morristown eppure alla ragazza sembravano trascorsi mesi. Lesse frettolosamente il messaggio:
 
“so cosa è successo con Iris ma per caso oggi ho incontrato Ambra. Mi ha spiegato come stavano le cose: lei conosceva già tua sorella giusto? Allora perché in questi giorni non ti sei fatta viva?”
 
Erin sospirò rassegnata. A quel punto non aveva più senso celare la verità così la sua risposta fu schietta e immediata:
 
“perché Sophia sta morendo”
 

Inviò il messaggio e lasciò scivolare il cellulare sul materasso, sfuggendo alla sua presa.
Chiuse gli occhi inspirando profondamente e sentì il profumo della madre che quella mattina le aveva cambiato la federa del cuscino.
Il telefono vibrò pochi minuti dopo, facendola sobbalzare: era Rosalya.
Sorpresa che l’amica fosse sveglia alle due di notte, Erin afferrò immediatamente l’apparecchio.
In realtà non sapeva cosa dirle, troppe cose erano accadute in così poco tempo:
“Erin come stai?” si preoccupò Rosalya, dalle cui parole scaturì una tale ansia ed apprensione che sembravano estranee alla sua personalità.  
“come mai sei sveglia a quest’ora?” aggirò la domanda l’amica.
“mi è preso un attacco di diarrea ed è un’ora che sono seduta sul water” sbottò l’altra, mentre la mora non sapeva se ridere di una pessima battuta o se stesse parlando seriamente. Poco dopo sentì il rumore di uno sciacquone che veniva tirato e i suoi dubbi svanirono all’istante “manco avessi bevuto quella poltiglia schifosa che aveva fatto Castiel per mio fratello”
Erin dapprima cercò di trattenersi, poi scoppiò a ridere. Rise come non le capitava da giorni, come non succedeva da quando l’amico aveva annunciato la sua decisione di partire. Non che le parole di Rosalya fossero state particolarmente buffe ma semplicemente la mora sentiva un disperato bisogno di ridere.
L’amica rimase alquanto perplessa, incapace di giustificare quella reazione esagerata. Stava per obiettare irritata, il messaggio di Erin risultava una presa in giro a quel punto, ma poi la risata della sua interlocutrice si deformò in un singhiozzo, fino ad arrestarsi definitivamente in un pianto inconsolabile.
Pianse con il telefono appoggiato sul cuscino, quasi dimenticandosi che dall’altra parte c’era qualcuno che la stava ascoltando:
“Erin…” la richiamò la voce preoccupata di Rosalya.
La mora inspirò profondamente cercando di calmarsi e riavvicinò il cellulare all’orecchio.
“cosa è successo?” sussurrò Rosalya, mentre rientrava nella sua stanza.
Erin si inumidì il labbro inferiore, assaporando il gusto salato delle lacrime che avevano raggiunto la sua bocca.
Riuscì infine a raccontare all’amica ciò che era accaduto negli ultimi due giorni, chiudendo la narrazione con l’epilogo che gli attendeva l’indomani:
“e che ora sarà l’intervento?” precisò Rosalya.
“alle undici”
La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo poi ripetè la domanda che aveva fatto all’inizio della telefonata:
“e tu come stai?”
“meglio ora che ho parlato con te Rosa” replicò Erin con gratitudine.
Quando era precipitata nello sconforto, aveva subito pensato a Castiel ma l’amico non si era degnato di risponderle… eppure la ragazza sapeva di essere circondata da amici preziosi come Rosalya che in una situazione del genere sarebbero stati pronti a consolarla.
“avresti dovuto chiamarmi scema… a proposito… hai sentito qualcuno dopo che Iris è stata da te?”
“no”
“neanche Castiel?”
replicò sorpresa l’amica.
“gli ho scritto ma non ha risposto”
“gli hai scritto cosa?”
“che Sophia sta morendo”
“e lui non ti ha risposto?” incalzò Rosalya sempre più basita.
Erin mugugnò un’affermazione e le parve quasi di vedere inarcare la schiena come un gatto e cominciare a soffiare:
“QUELLA MALEDETTA CONSERVA DI POMODORO AMMUFFITA! NON HO MAI PENSATO CHE AVESSE UN CERVELLO, SIA CHIARO, MA ALMENO UN CUORE SÌ! QUANDO DISTRIBUIVANO LA SENSIBILITÀ, QUELLO ERA ALLA FILA DELLE PATATINE, TE LO DICO IO! STUPIDO KETCHUP UMANO! SE AVESSI I SOLDI, GIURO CHE PRENDEREI IL PRIMO VOLO PER BERLINO SOLO PER SCOVARLO E PESTARLO A SANGUE, ALMENO FAREBBE PENDANT CON I CAPELLI! CHE CAZZO VUOL DIRE CHE NON TI HA RISPOSTO? SPERO PER LUI CHE GLI ABBIANO TAGLIATO LE MANI, ALTRIMENTI CI PENSERO’ IO E FINCHE’ CI SONO, MI ASSICURERO’ DI CASTRARGLI ANCHE QUALCHE ALTRA PARTE: NON RIUSCIREI A SOPPORTARE DELLE SUE COPIE IN MINIATURA IN FUTURO!”
Rosalya continuò con la sua filippica per altri cinque minuti finchè Lysandre cominciò a picchiare sulla porta della sua stanza:
“Lya stai parlando di nuovo nel sonno!” la rimproverò, pensando di svegliare la sorella.
Quest’ultima scattò in piedi e si fiondò alla porta, sorprendendo il fratello:
“quanto idiota è il tuo amico?”
“che ti prende?” le chiese assonnato e incapace di intuire chi fosse il soggetto della frase:
“Castiel, rispondi: quanto è idiota?”
“non credo esista una scala dei valori che comprenda il suo livello di idiozia… comunque calmati: domani devo svegliarmi presto” la rimproverò il ragazzo, trattenendo uno sbadiglio.
“ah sì giusto… ma scusa non puoi dire a Violet di trovarvi più tardi?” obiettò lei, continuando ad ignorare l’interlocutrice dall’altro capo del telefono.
“sono stato io a proporre quell’orario”
La sorella scrollò le spalle, quasi a dirgli “fatti tuoi” e liquidò il fratello.
Dal cellulare sentì dei versi e subito riportò il telefono all’orecchio:
“scusami stella… mi sono fatta pr-“
Erin stava ridendo.
Per la seconda volta, quell’amica così impulsiva e collerica le aveva scatenato una risata spensierata che questa volta, fortunatamente, non sfociò nelle lacrime.
“mi sei mancata Rosa… tu e tutti gli altri” ammise infine.
L’amica sorrise, poi commentò:
“almeno Nathaniel si sarà fatto vivo immagino no?”
Erin si zittì. Evidentemente Iris aveva trascurato di raccontarle che tra lei e il biondo era finita. Da un lato la ragazza apprezzò la sua amica per aver rispettato la sua privacy, ma dall’altro avrebbe preferito non doverne parlare in quel momento:
“Rosalya…”
“sì?”
“Nathaniel mi ha lasciata”
Non arrivò nessuna risposta dall’altro capo del telefono.
Erin rimase in attesa, mentre Rosayla aveva cominciato a torturare un lembo della coperta:
“mi dispiace. Quando è successo?”
“quando lui e Iris sono venuti qui due giorni fa”
“e tu come stai?”
“me lo chiedi un po’ troppo spesso oggi” ridacchiò Erin.
“Erin… sul serio… come l’hai presa?” insistette la stilista.
Tenendo lo sguardo fisso sul soffitto, l’amica spiegò:
“Nathaniel mi ha aperto gli occhi… non era innamorata di lui. Mi sono resa conto che avevo una concezione molto infantile dell’amore. Mi sono sbagliata su di noi, su quello che provavo per lui…sono un’idiota” concluse con un sospiro amaro. Dentro di sé, la mora era piuttosto sorpresa per la reazione dell’amica. Si aspettava per lo meno un po’ di stupore, invece la ragazza sembrava più che altro amareggiata.
Rosalya si mise seduta sul letto, grattandosi le sopracciglia.
“Erin…”
“dimmi” la incoraggiò l’amica, perplessa per l’enfasi con cui aveva accentato il suo nome.
“quando torni a Morristown, c’è una cosa che devo dirti”
 “non puoi dirmela ora?”
“preferisco guardarti in faccia”
“d-d’accordo” replicò incerta.
Le due ragazze rimasero per qualche istante in silenzio, ognuna persa nelle proprie riflessioni, finchè Erin cominciò:
“Rosalya, posso chiederti un favore? È una cosa che mi è venuta in mente poco fa parlando con te”
“spara” incalzò l’altra, sollevata nel sentire che avevano spostato la conversazione su un altro argomento.
“potresti avvertire tu Ambra dell’operazione di Sophia?”
“Ambra?” ripetè delusa e allarmata, intuendo dove volesse andare a parare l’amica.
“sì… lei e mia sorella non si sono mai viste di persona e domani potrebbe essere l’ultima occasione. Dille che venga per le dieci”
“non ho il suo numero però”
“nemmeno io. Potresti quindi chiederlo a Nathaniel? Io non me la sento ancora di scrivergli”
Rosalya deglutì a fatica.
Ecco che si era trovata incastrata in una posizione alquanto scomoda: contattare Nathaniel, specie dopo il modo brusco con cui aveva declinato il suo invito ad accompagnarlo ad Allentown, era fuori luogo ma non poteva neanche negare un favore ad Erin.
“in un modo o nell’altro la avverto, non preoccuparti”
“grazie Rosa”
Ci avrebbe pensato con calma una volta ultima la conversazione con l’amica ma intanto, preferiva non pensare a quella spinosa questione.
“vuoi che domani venga in ospedale anche io?”
“ti ringrazio, ma se le cose dovessero andare male, odio piangere davanti alle persone” chiarì la mora, accarezzando il coniglietto di peluche.
“andrà tutto bene Erin” affermò decisa l’amica.
“speriamo”
Rosalya sospirò mentre l’amica venne attraversata da una curiosità che le offrì l’occasione per sdrammatizzare:
“cos’è questa storia che tuo fratello e Violet hanno un appuntamento?”
“non è un appuntamento” la freddò “in centro hanno aperto una casa del tè e sono gli unici a volerci andare, tutto qui… chi invece ha delle novità interessanti è Iris”
“Iris?”
“ha conosciuto un tizio ieri”
“davvero?”
Quella notizia, oltre che sorprendere Erin, le migliorò l’umore. Conosceva l’amica e ormai sapeva quanto fosse selettiva e categorica nel giudicare l’altro sesso.
“beh, conosciuto è una parola grossa in realtà” ammise Rosalya soppesando le parole “diciamo che l’ha visto, ecco”
“è ancora arrabbiata con me?” indagò Erin, accantonando la rivelazione che era appena giunta alle sue orecchie.
“sì, ma perché non ho avuto modo di spiegarle quello che mi ha detto oggi Ambra. Vedrai che le passerà”
“e tu? Ci eri rimasta male quando Iris ti ha detto di Sophia?”

“no”
“davvero?”
“non sei tu quella che deve farsi perdonare Erin”
La mora rimase in silenzio mentre Rosalya chiudeva gli occhi:
“c’entra con quello che vuoi dirmi quando ci vedremo?” tirò ad indovinare l’altra.
“esatto”
“non vuoi proprio dirmelo ora?”
Rosalya si morse il labbro: era combattuta. Non le piaceva discutere al telefono, lei era quel tipo di persona che risolveva la questioni guardando in faccia chi aveva davanti, anche quando aveva qualcosa da farsi perdonare. Tuttavia la sua amica le aveva appena rinnovato la possibilità di scaricarsi la coscienza una volta per tutte.
“io sono innamorata di Nathaniel… da sempre”
Finalmente si era decisa ad ammettere quella scomoda verità di cui, fino a quel momento, aveva fatto parola solo con Alexy. Non le fu difficile immaginare la reazione dell’amica dall’altro capo del telefono: gli occhi di Erin si spalancarono e la ragazza si mise seduta sul materasso, facendo cigolare le assi del letto.
“cosa?”
“è così. Ma per lui sono solo un’amica” riepilogò secca.
“gliel’hai mai detto?”
“no, ma è sempre stato lampante: pensa che è stato lui a fare da cupido tra me e Leigh”
Erin si grattò la nuca, ancora senza parole per quella rivelazione:
“e il tuo ragazzo? Non l’hai mai amato Rosa?” quasi la recriminò.
Li aveva visti insieme, erano affiatati, innamorati, fatti l’uno per l’altra; evidentemente Rosalya non la pensava allo stesso modo:
“io amo Leigh e dopo che ho tagliato i ponti con Nathaniel a causa della lite con Debrah, ero convinta di averlo davvero dimenticato... poi sei arrivata tu e per un motivo o per l’altro, mi sono trovata ad averci a che fare di nuovo. Così, ho ricominciato a pranzare con Nathaniel, parlare con lui e soprattutto, rendermi conto che ne ero ancora innamorata, pur volendo bene anche a Leigh… la cosa assurda però è che ho finito per affezionarmi a te Erin… e non riuscivo a vederti come una rivale… così ho pensato che se tu fossi diventata la sua ragazza, io avrei potuto metterci davvero una pietra sopra. Sembravi la persona giusta per Nath”
Erin stava per obiettare ma Rosalya continuò:
o meglio, è quello che pensavo prima di vederti con Castiel”
Sentendo pronunciare quel nome, la mora si irrigidì.
Non aveva scordato l’accusa che le aveva rivolto il biondo ma non aveva ancora dedicato del tempo per riflettere sulla questione: Sophia e il suo incidente avevano avuto la precedenza e lei non si sentiva abbastanza lucida da poter fare chiarezza nel suo cuore. Intanto la confessione di Rosalya proseguiva:
“quando in gita Iris ti ha suggerito che secondo lei ti eri innamorata di Nathaniel io ho agito solo nel mio interesse… lo so, sono stata una stronza… perdonami… Iris sarà anche una cara amica ma quanto a ragazzi ci capisce quanto me di fisica nucleare… così l’ho appoggiata, ho voluto sperare che tra te e Nath funzionasse, così anche il mio rapporto con Leigh sarebbe migliorato”
“ e invece…” mormorò Erin.
“e invece amo troppo Nathaniel da non riuscire più a stare con Leigh”
La mora scosse il capo sollevandolo verso l’alto.
“ti sbagli Rosa” la corresse “il punto è che non ami abbastanza Leigh da dimenticare Nathaniel”
L’amica rimase in silenzio, riflettendo su quelle parole, pronunciate con una tale serietà da farla rabbrividire. Aveva sempre pensato che il problema fosse il suo amore non corrisposto per Nathaniel ma Erin le aveva appena indicato una diversa prospettiva: erano i suoi sentimenti per Leigh a non essere abbastanza stabili da poter tenere in piedi la loro relazione:
“per essere una con una vita sentimentale incasinata, fai delle osservazioni sagaci Erin” ridacchiò amaramente.
Erin sorrise leggermente, mentre Rosalya, un po’ titubante, indagò:
“non sei arrabbiata con me?”
“non mi hai mica obbligata a stare con Nathaniel, è stata una mia scelta Rosa, non hai nulla di cui sentirti in colpa”
Le sue parole sincere bastarono a tranquillizzarla. Forse era a causa dell’imminente operazione della sorella che Erin si dimostrava così arrendevole e accomodante ma a prescindere dal motivo, finalmente Rosalya cominciava finalmente a sentirsi in pace con sé stessa.
“senti Cip” la chiamò affettuosamente “che ne dici se da oggi in poi basta con i segreti? Ci diremo tutto, senza peli sulla lingua?”
Erin sorrise, dapprima per il soprannome di cui scoprì di sentire la nostalgia, poi per la piega che stava prendendo la loro chiacchierata:
“affare fatto
Rosalya staccò per un attimo il cellulare dall’orecchio e sbirciò l’ora:
“stella sono le tre… forse dovrei lasciarti andare a nanna: il fatto che io non abbia sonno non mi autorizza a privarti del tuo”
“nemmeno io riuscirò a dormire stanotte” sospirò Erin “invece parlare con te mi sta facendo un sacco bene”
Un sorriso dolcissimo illuminò il viso di Rosalya: quell’espressione tanto bella quanto rara era la manifestazione di quanto quella ragazza fosse affezionata alla persona all’altro capo della linea telefonica. Per lei era una gratificazione indescrivibile sentirsi d’aiuto per qualcuno: in passato Alexy era l’unico a farla sentire così importante, ma da quando Erin Travis si era intrufolata nella sua vita, Rosalya aveva capito che anche lei poteva guadagnarsi l’affetto altrui.
“allora continuiamo” squittì allegramente.
E così fu per tutta la notte.
Le due amiche continuarono a chiacchierare del più e del meno, senza mai sfiorare i nomi di Sophia, Nathaniel o Castiel. Rosalya le raccontò della sua idea circa il vestito che avrebbe sottoposto al giudizio di Pam quando questa sarebbe rientrata a Morristown mentre Erin le descrisse la sua città, con la promessa di ospitare lei, Iris e Violet per un futuro pigiama party.
Si salutarono dopo tre quarti d’ora quando il fisico spossato della mora pretese di essere risarcito dell’enorme carenza di sonno che stava accumulando; anche la stilista sentiva che finalmente Morfeo era venuto a prenderla per trascinarla nel suo mondo.
Quella notte spensero la conversazione ma non il sorriso sereno che l’una era riuscita a regalare all’altra.
 
Il mattino successivo, mentre i deboli raggi di un sole invernale colpivano silenziosi il pavimento in legno, Erin sentì il contatto delicato di una mano sulla sua spalla:
“tesoro è ora” le sussurrò dolcemente Pam.
La ragazza aprì pigramente gli occhi che cominciò a strofinare con una certa insistenza. Nel suo corpo si combatteva una strenua battaglia tra il suo bisogno fisiologico di tornare a dormire e l’ansia per ciò che sarebbe accaduto di lì a poche ore.
Alla fine fu quest’ultima ad uscirne vincitrice e così Erin si alzò dal letto, mentre Pam abbandonava la stanza.
Controllò il cellulare trovando un messaggio da un numero sconosciuto.
 
“ciao Erin, sono Ambra.
Mi ha appena chiamato Iris. Mi ha detto dell’intervento di Sophia. Vorrei vederla prima dell’operazione. Pensi sia possibile?”
 

L’sms era stato inviato appena pochi minuti prima, così Erin, ancora con la bocca impastata dal sonno, chiamò la bionda; dopo un paio di squilli a vuoto, sentì che dall’altro capo Ambra aveva accettato la chiamata:
“Ciao Ambra. Ho appena letto il messaggio” la informò la mora.
“Ciao. Grazie per avermi chiamato” mormorò la bionda “come sta Sophia?”
“tra un’ora saremo da lei. L’abbiamo vista ieri e sembrava serena” mentì la mora. Non poteva certo confessarle quanto il realtà la sorella fosse terrorizzata per l’intervento a cui sarebbe stata sottoposta. Tuttavia, nonostante il tentativo di Erin di occultare la verità, Ambra commentò:
“chissà come sta veramente dentro di sé”
Quella semplice frase l’aveva spiazzata: quella ragazza, che solo da poche settimane aveva cominciato a conoscere per davvero, aveva un acume e una sensibilità insospettabili.
“comunque sei la benvenuta. Sono sicura che anche a mia sorella farà piacere vederti… del resto”
“non lo dire” la interruppe la ragazza, intuendo la conclusione della frase “ce la farà. Ne sono sicura”
Erin annuì. La risolutezza della bionda quasi la commosse. Aveva bisogno di essere circondata da persone positive e forti, che le infondessero quella sicurezza che, quando era da sola, cominciava a vacillare pericolosamente.
 
“ehi Rosa, ho chiesto a Nathaniel il numero di Ambra e l’ho avvertita, come mi avevi chiesto. Secondo te dovremo andare anche noi all’ospedale?”
Iris inviò il messaggio all’amica e sospirò. Faticava a credere a quanto era successo quella sera stessa in cui lei ed Erin avevano litigato e si sentiva terribilmente dispiaciuta per non esserle rimasta accanto in un momento così difficile.
 
Ambra era lì.
Secondo Google Maps, Allentown distava un’ora di macchina dalla sua città eppure lei era riuscita a ricoprire quella distanza in un tempo molto inferiore.
Dietro quella porta grigia che le sbarrava la strada, c’era Ravenclaw11, la ragazza che mesi prima l’aveva salvata dall’abisso della solitudine. Le sembrava assurdo essere così vicina dal raggiungerla e al contempo dal perderla. Ce l’avrebbe fatta. Era ciò che continuava a ripetere da quando Iris quella mattina le aveva raccontato ciò che aveva saputo da Rosalya.
Accantonato lo stupore nel riconoscere la voce della sua compagna di classe, Ambra aveva cercato di rimanere calma ragionando sul da farsi: aveva dapprima avvertito Erin per poi organizzare la sua partenza alla volta di Allentown. Alla volta di Sophia.
Anche se Erin le aveva detto che oltre che sorelle, erano pure gemelle, la bionda non riusciva a figurarsi Sophia con un aspetto identico alla mora: Ravenclaw11 doveva avere un’aria più sbarazzina, eccentrica, alternativa: qualcosa che testimoniasse la sua personalità fuori dagli schemi.
“Ambra…” si sentì chiamare da lontano.
La bionda si voltò e notò che era stata la sua compagna di classe a chiamarla. Anche la voce di Sophia sarebbe stata uguale a quella che aveva appena pronunciato il suo nome. Dietro alla mora, facevano seguito i suoi familiari.
“mamma, papà, lei è Ambra, un’amica di Sophia” la presentò Erin mentre la ragazza salutava educatamente.
“grazie per essere venuta” la abbracciò Amanda commossa.
Ambra rimase spiazzata per quel gesto d’affetto: nella sua vita poteva contare le volte in cui la madre l’aveva abbracciata, mentre ora quella sconosciuta si era presa tutta quella libertà con lei, senza pudore o indecisione. Avvertì sulla sua pelle quanto quella donna stesse soffrendo e rispose a quella stretta, cercando di incoraggiarla a modo suo.
Erin sorrise cercando di non farsi vedere dalla bionda: non capiva perché continuasse a nascondere quel lato così sensibile e dolce del suo carattere dal momento che rappresentava uno degli aspetti più belli della sua personalità.
Peter fu il primo a varcare la soglia della stanza, seguito dal resto della compagnia.
“Susy adesso comincia la processione”
Ambra udì quel commento divertito riconoscendo un timbro vocale simile ma non identico a quello di Erin: in quel tono di voce c’era una cadenza più acuta e allegra rispetto a quello della sua compagna di classe: era un modo di parlare che si sarebbe aspettata da Sophia.
Quando finalmente quest’ultima si materializzò davanti ai suoi occhi, la bionda la vide voltata verso l’anziana compagna di stanza, distesa anch’essa sul letto d’ospedale.
Sophia teneva la schiena appoggiata contro la testiera e sorrideva allegra.
Appena si accorse della presenza di Ambra, la giovane paziente corrugò la fronte e la fissò incuriosita.
La nuova arrivata arrossì a disagio e rispose con un cenno imbarazzato della mano, sollevando le prime tra dita a formare un tre:
“Lady Serpeverde!” esclamò Sophia sbigottita mentre la bionda avvampava.
“sempreverde?” ripetè Peter confuso, guardando la moglie aspettandosi da lei una spiegazione per quella curiosa uscita.
“sei tu vero?” insistette la paziente entusiasta “quello è il saluto dei personaggi di The Owl!”
“sei più nerd di quello che sembri Ambra” scherzò Erin mentre la bionda cercò di fulminarla con lo sguardo ma finì per lasciarsi sfuggire una smorfia divertita.
“sì, sono Ambra” confermò la ragazza, con un sorriso imbarazzato.
“finalmente ci conosciamo!” proruppe Sophia contenta “mi dispiace però che sia in circostanze così poco simpatiche”
“parleremo dopo l’operazione vedrai”
“questa tua vena ottimistica non l’avevo mai colta” ammise Sophia divertita.
La presenza di Ambra era decisamente un’eventualità che non aveva considerato. Sapeva che era fuori discussione che quel giorno ricevesse la visita di altri parenti al di fuori della famiglia dal momento che erano tutti troppo lontani da Allentown. Quella comparsa fuori programma era una graditissima sorpresa ed era proprio a causa sua che Sophia non riusciva a smettere di sorridere.
“sei di ottimo umore tesoro” commentò Amanda.
“oh beh, quando mai non lo sono?” replicò prontamente la figlia.
“a che ora verranno a prepararti per l’intervento?” chiese Pam.
Sophia si voltò verso Susy, la signora che occupava il letto che il giorno prima era vuoto, e chiese:
“tu Susy hai capito quello che ha detto l’infermiera? Io le ho detto “sì, sì” ma in realtà non capisco niente di quello che dice quella là”
“Sophia, non ci si rivolge così alle persone più grandi” la rimproverò Peter per il modo in cui si era relazionata con la sua anziana compagna di stanza.
“oh, non si preoccupi, a me fa solo piacere” lo tranquillizzò la vecchietta “mi fa sentire giovane… comunque tesoro, nemmeno io l’ho capito… sono anche un po’ sorda”
Gli ospiti sorrisero indulgenti. Nessuno era sorpreso dal rapporto armonioso che si era instaurato tra le due pazienti: il carattere solare e spigliato della giovane aveva finito per contagiare anche una persona conosciuta appena ventiquattr’ore prima.
“quell’infermiera parla con uno strano accento” si giustificò Sophia, tornando a rivolgersi ai familiari “le prime volte le chiedevo di ripetere quando mi parlava, poi mi sono arresa e ho finito per dirle sempre di sì… anche se questa strategia si è rivelata controproducente ieri sera”
“perché?” chiese Erin divertita. Conosceva fin troppo bene la capacità della sorella di cacciarsi nelle situazioni più buffe e ridicole.
“è venuta dirmi che c’era un problema con la cena e ha aggiunto una cosa che non ho capito, chiedendomi se mi andava bene lo stesso. Le ho detto di sì ed è tornata con una pappetta della Plasmon! E voleva pure che la mangiassi!”
Tutti scoppiarono a ridere mentre la paziente continuava a protestare circa l’ingiustizia di cui era stata vittima. Il gruppo si trattenne un altro po’ finchè comparve un’infermiera dall’aria burbera e poco socievole. Borbottò qualcosa di incomprensibile, confermando ai presenti che si trattava proprio della donna di cui aveva parlato Sophia. Anche se le parole non erano state articolate in modo chiaro, era intuitivo quale fosse il messaggio che era incaricata di trasmettere: dovevano congedarsi dalla paziente.
Peter e Amanda riuscirono a capire che il dottor Wright li stava aspettando nel suo studio per delle ultime indicazioni così si strinsero attorno alla figlia.
Peter la abbracciò nel tentativo di dirle qualcosa ma la voce gli uscì roca e Sophia, tamburellandogli il palmo sulla schiena, lo anticipò:
“lo so papà… grazie”
L’uomo si staccò a malincuore, chiedendosi se quello era il loro ultimo abbraccio e passò il testimone alla moglie; Amanda inspirò l’odore della sua bambina, imprimendolo nella memoria come un marchio a fuoco. Le passò la mano lungo la colonna vertebrale, avvertendo il contatto con le costole sotto la stoffa.
“non avere paura Sophia. Pregherò per te” le sussurrò con le lacrime agli occhi.
La ragazza, che generalmente si irritava per quel genere di discorsi, si limitò a sorridere.
Ora che porta dell’aldilà era così vicina, non riusciva a mantenere il suo atteggiamento cinico e spavaldo. Sorrise dolcemente e guardando la madre negli occhi, bisbigliò:
“allora potrò dormire sonni tranquilli”
I coniugi furono costretti ad uscire per primi e vennero ben presto raggiunti anche da Pam e Jason. Quando toccò alla zia avvicinarsi alla nipote, quest’ultima si raccomandò:
“tienitelo stretto zia” facendola sorridere e con lei anche il suo ragazzo.
Il tempo era sempre meno, poiché l’infermiera attendeva sulla soglia così Sophia posò lo sguardo su Ambra:
“grazie per essere venuta”
“sono contenta di averlo fatto” le sorrise Ambra. Avrebbe voluto abbracciarla anche lei ma quel gesto era così estraneo e sconosciuto alla sua natura, così ci pensò l’amica a rompere il ghiaccio:
“e tu un abbraccio non me lo dai?”
Le difese della bionda svanirono all’istante e accantonando l’imbarazzo, restituì a Sophia quella stretta di cui entrambe avevano bisogno.
“cavoli, mi sarebbe piaciuto disegnare un po’ adesso. Mi sento ispirata” mugolò poi la ragazza “peccato che non ci sia manco una penna in giro”
“lo farai dopo l’operazione” la consolò Ambra. Sophia non rispose ma sul suo viso si materializzò un dolce sorriso. Erin ne poteva facilmente intuire i pensieri e si limitò ad imitare l’espressione della sorella: era commovente, oltre che incoraggiante, quanto Ambra credesse nel successo di quell’operazione. Quando anche lei lasciò la stanza, le due gemelle si trovarono sole, l’una accanto all’altra.
“come hai fatto a trovarla?” le chiese Sophia.
“è una storia lunga … ci sarà tempo dopo per raccontartela”
La gemella cambiò posizione e si distese supina sul materasso. Sentiva che la schiena cominciava a farle male poiché era rimasta seduta a lungo contro la testiera del letto.
Teneva lo sguardo fisso sul soffitto sopra di lei, sapendo che in quel momento Susy si era appisolata e che solo la sorella poteva sentirla:
“sai, dopo che sei stata qui ieri, mi sono sentita più serena. Credo davvero nelle tue parole. Andrà tutto bene, lo sento”
La sorella si commosse e intrecciò le sue dita in quelle della ragazza accanto a lei.
allora Fia, ti aspetto”
“non lasciarmi andare Erin” la supplicò Sophia, voltando lo sguardo verso la sorella.
Il colore delle loro iridi era così simile eppure i loro occhi non erano uguali, non lo erano mai stati: Sophia aveva un modo tutto suo di osservare le persone, mirando dritto alla parte più nascosta dei loro sentimenti.
“te l’ho promesso Fia… non mollerò mai la presa” e strinse quanto più intensamente potè quella mano così saldamente abbracciata alla sua.
 
Erin si chiuse la porta alle spalle e raggiunse la zia e Jason, pochi passi più avanti. Il cellulare vibrò e si trovò nella casella dei messaggi un sms di Ambra:
 
“sono venuta con mio fratello. Nathaniel è fuori dall’ospedale, vicino alla fontana. Se vuoi parlargli, lui è lì”
 
Nel messaggio della ragazza, era implicito il fatto che fosse a conoscenza della rottura del loro rapporto.
Nonostante la frenesia degli ultimi giorni, Erin aveva riflettuto sui suoi sentimenti per il suo ormai ex ragazzo e aveva maturato la consapevolezza di quale fosse la loro vera natura.
Finalmente aveva le idee chiare e la bionda le aveva offerto l’occasione per scusarsi con il fratello e per dirgli quelle parole che l’ultima volta non volevano uscire dalla sua bocca.
“tu dove sei?” le messaggiò mentre usciva dalla struttura ospedaliera.
Dopo qualche minuto, arrivò la risposta:
 
“sto andando a comprare un album da disegno per Sophia”
 

La superficie fredda e ghiacciata della panchina in pietra scoraggiava chiunque dal sedersi su di essa. Nathaniel quindi si era rassegnato a restarsene in piedi con la sigaretta in bilico tra le labbra.
Fumava raramente e soprattutto quando era solo. Il fumo gli dilatava le vie aeree facendolo sentire più leggero. Quando Ambra gli aveva raccontato dell’incidente della sorella di Erin, era rimasto disorientato: si sarebbe sentito fuori luogo a presentarsi davanti alla sua ex ragazza per darle il suo appoggio, eppure la sua natura premurosa e gentile lo spingeva a comportarsi da uomo. Di fronte alla sua indecisione, era stata la sorella a trascinarlo in macchina e a spronarlo ad incontrare Erin: se non l’avesse fatto, se ne sarebbe sicuramente pentito.
Ora però si trovava da solo, al freddo, nel giardino fuori dall’ospedale e senza macchina, poiché la sorella l’aveva sequestrata per fare una commissione in centro, ordinandogli di aspettarla lì.
Nonostante i modi decisi e autoritari di Ambra, Nathaniel aveva sorriso remissivo: nel suo tono di voce non c’era più quell’antipatia che allontanava le persone. Dopo l’incidente di Lin, la ragazza era cambiata e, anche se si sforzava di non darlo a vedere, aveva cominciato a preoccuparsi anche per chi la circondava.
Sospirò, aspettandosi di vedere Erin da un momento all’altro: era facile intuire il piano della sorella, così si sbrigò a finire di aspirare la sigaretta della quale si sbarazzò gettandola per terra.
Pensare alla mora l’aveva innervosito e quel gesto non era conforme al suo atteggiamento rispettoso delle regole. Guardò quel mozzicone appiattito dalla suola della sua scarpa e sbuffò: non riusciva a lasciarlo lì per cui lo raccolse e lo gettò nell’apposito contenitore.
 
Stando attenta a non scivolare sul suolo ghiacciato, Erin percorse la rampa esterna e finalmente, a cinquecento metri di distanza, lo vide.
Indossava un cappotto largo e scuro, dal taglio sportivo e con un cappuccio. La ragazza aveva sempre pensato che il biondo fosse più affascinante con quel genere di look rispetto allo stile che lo identificava come segretario delegato dell’istituto. Si avvicinò in silenzio ma tenendo la testa alta:
“Ciao Nathaniel”
Il ragazzo si voltò, senza mutare la sua espressione.
 “mi dispiace per tua sorella Erin” esclamò diretto, non appena lei gli fu accanto. Non aveva nessun motivo per tergiversare o indugiare nell’esprimere la sua solidarietà.
“grazie per aver accompagnato Ambra”
“figurati”
Un soffio gelido li investì, ma nessuno dei due se ne curò. Il cielo era bianco, confermando le previsioni meteorologiche che avevano annunciato l’arrivo della prima neve mentre le cortecce degli alberi erano talmente scure, che il contrasto con lo sfondo era quasi pittoresco.
“Nath… devo chiederti scusa. Avevi ragione tu” mormorò Erin, guardandolo dritto negli occhi.
“su Castiel?” precisò il biondo, tracciando un arco con il piede sul suolo di ghiaia.
“su me e te” puntualizzò la ragazza con decisione “quanto a Castiel… non so… sono confusa e sinceramente non ci ho riflettuto abbastanza…ma non è di lui che voglio parlare ora”
Il ragazzo annuì e si ficcò le mani gelate nelle tasche foderate in pile.
 “credo di aver frainteso quello che pensavo di provare per te… mi sono aggrappata ad un’idea romantica e infantile dell’amore ma non credo che siamo fatti l’uno per l’altra”
La ragazza concluse quell’ammissione e attese che il biondo commentasse le sue parole. Nathaniel ispirò profondamente, sentendo l’odore del tabacco che aveva impregnato il bavero del cappotto.
“ci ho pensato anche io in questi giorni… e sono arrivato alla conclusione che non sei l’unica ad aver sbagliato Erin”
La mora aggrottò la fronte e attese che il ragazzo le esponesse le sue considerazioni:
“mi sono reso conto che nemmeno io ho fatto chiarezza con i miei sentimenti. Anche quando sono stato con Rachel e Melody, in realtà c’era sempre un’altra ragazza nella mia testa. Speravo di dimenticarla, ma non è mai stato così. Poi sei comparsa tu e credimi, ero davvero convinto che fossi quella giusta”
Erin era allibita: appena poche ore prima aveva sentito un ragionamento analogo: quell’idea del chiodo scaccia chiodo non era una strategia adottata solo dal biondo.
“questa ragazza è Rosalya?”
Aveva tirato ad indovinare, senza fare alcuna previsione su quale potesse essere la risposta che avrebbe ricevuto dall’altra parte. Vide Nathaniel sgranare gli occhi e arrossire colto alla sprovvista:
e tu come lo sai?”
La mora avrebbe voluto urlargli contro che i suoi sentimenti erano ricambiati e chissà da quanto tempo. Da sempre, le aveva detto Rosalya.
Trovava assurdo che i due fossero innamorati l’uno dell’altra e non si fossero mai resi conto della reciprocità di quei sentimenti.
“devi dirglielo! Nathaniel lei” e su quella parola Erin si morse la lingua.
Affondò talmente tanto i denti su di essa, da sentire dolore: non poteva essere lei a confessargli che l’amica era sempre stata innamorata di lui. Era la dichiarazione di Rosalya ed Erin non aveva nessun diritto di intromettersi.
“lei sta con Leigh” le ricordò il biondo “e lui è un mio amico”
Mentre Erin cercava di trovare un modo per replicare, il ragazzo pensò a Castiel: era quasi certo che la ragazza di fronte a lui fosse innamorata del suo migliore amico, ma aveva troppi pochi elementi per capire se lui la ricambiasse. In cuor suo sperò non fosse così: conoscendo l’amico, il fatto che Erin fosse diventata la sua ex, avrebbe spento nel rosso ogni speranza di poter essere ricambiato.
“e poi tra qualche settimana partirò quindi-”
“partirai?” lo interruppe Erin sconvolta.
Doveva ancora riprendersi per quanto il biondo le aveva appena confessato ma sembrava che lui non fosse soddisfatto dell’effetto che aveva sortito su di lei e pertanto aveva aggiunto un’altra novità alla lista degli argomenti di conversazione:
“sì a gennaio. Tempo fa ho aderito ad un progetto nazionale che permette agli studenti che vengono selezionati di entrare a far parte di un progetto convenzionato con l’Università della California. Si tratta di passare un breve periodo all’interno dell’ambiente del college, seguendo un paio di corsi di proprio interesse. Nel frattempo dovrò tenermi anche in pari con il programma del liceo ma quest’esperienza mi aiuterà a capire cosa voglio fare nel mio futuro”
Che Nathaniel sembrasse più maturo della sua età, era sempre stato un dato di fatto, ma la professionalità con cui spiegò ad Erin le direttive di quell’iniziativa, la colpirono profondamente: anche se non ne innamorata, non riusciva a non guardare con ammirazione l’uomo che le stava davanti.
“partirai anche tu quindi?”
Il ragazzo annuì mentre Erin abbassò il capo. Per lui era un’opportunità incredibile e si sarebbe sicuramente dimostrato all’altezza di quel privilegio. Era sinceramente orgogliosa per lui, così sorrise dolcemente:
“te la meriti una simile opportunità”
“mah, se lo dici tu” sorrise a sua volta il biondo, intenerendo la ragazza per la gentilezza di quella smorfia.
Erin lo guardò di sottecchi, poi sussurrò:
“posso abbracciarti Nath?... da amici”
Il biondo non replicò ma, senza smettere di sorridere, le restituì la stretta:
“da amici” ripetè.
Mentre si scioglievano l’uno dall’altra, Erin lo fissò dritto negli occhi e affermò:
“Nath ti prego, fammi una promessa”
Il ragazzo la guardò senza capire e la mora sussurrò:
“prima di partire devi dire a Rosalya quello che provi per lei”
 
“ehi amore, ci siamo sentiti dieci minuti fa? Tutto bene?”
Leigh sistemò un paio di vestiti sullo scaffale e ripiegò una maglietta abbandonata sul ripiano sbagliato. Durante le feste il lavoro triplicava ma almeno il giorno successivo l’avrebbe trascorso con la sua bellissima ragazza.
“Leigh… dobbiamo parlare”
L’espressione del ragazzo si corrucciò, stentando nel riconoscere in quella voce metallica, il timbro sensuale della sua Rosalya.
 
Quando Erin rientrò all’interno dell’ospedale, Ambra era giunta con un blocco da disegno e dei pastelli e aveva convinto il fratello a tornare a casa. Nella sala d’attesa fuori dalla sala operatoria, infatti non potevano sostare più di sei persone così mentre Nathaniel  tornava a Morristown, la sorella sarebbe rientrata in treno, una volta conosciuto l’esito dell’operazione.
Si presentò il dottor Wright che comunicò ai familiari che la paziente era stata sottoposta all’anestesia generale e che era già stata portata in sala operatoria. L’operazione sarebbe cominciata di lì a pochi minuti.
Ambra si sedette accanto a Pam, mentre Jason era impegnato in una telefonata con la sorella.
Peter cominciò a camminare avanti a indietro per il corridoio, mentre la moglie pregava in silenzio, tenendo gli occhi socchiusi.
Erin dapprima cercò di leggere una delle riviste lasciate a disposizione degli astanti ma nessun articolo le sembrava così importante da destare la sua attenzione.
Ripose il giornale al suo posto e chiuse il occhi: nel buio della sua mente, cominciarono a vorticare dei flash che la illuminarono a tratti: erano i suoi ricordi, alcuni di quei preziosi momenti trascorsi con la sorella:
 
“Sophia fa gli scherzi cattivi” mugolò Erin additando la sorella. La mamma spostò l’attenzione verso la sua figlia più scapestrata e sorrise:
“tesoro, lascia in pace tua sorella. Non vedi che la fai stare male?”
Sophia si avvicinò in silenzio, tenendo lo sguardo fisso sulla gemella. Per quanto vivace e peperina, aveva un animo buono ed evitava di prolungare i suoi scherzi, per non urtare troppo la fragile sensibilità di Erin. 
Sophia abbassò il capo e la voce e biascicò:
“mi dispiace”
 
“Soffy?” chiese Erin facendo capolino nella stanza. Il vestitino azzurro con le margherite svolazzò lievemente al minimo spostamento d’aria creatosi.
“non chiamarmi così. Non mi piace!” le ricordò Sophia, intenta a disegnare distesa sul pavimento.
“che stai disegnando?” si incuriosì Erin accucciandosi all’altezza della sorella. In quella posizione, le gambe cicciottelle tipiche dei bambini risultavano ancora più paffute e pertanto adorabili.
“perché devi sempre impicciarti di quello che faccio io? Non hai mai niente da fare tu?” la allontanò la gemella sbuffando infastidita.
Erin mise il broncio, delusa per quei i modi poco gentili. 
“volevo solo stare un po’ con te”
“stiamo anche troppo insieme. Mi soffochi”
“questa battuta l’hai copiata da Vento di Passione” ridacchiò Erin, pensando alla soap opera preferita della madre. Sperava di risultare conciliante e recuperare il buon umore della sorella ma il suo tentativo fallì:
“il fatto è che mi stai sempre appiccicata! Uffa Erin, possibile che tu non sappia stare un po’ da sola, senza di me?”
 
“va’ via!” le urlò Erin, serrando ancor di più la sua difesa.
Sophia, allergica di natura alle imposizioni, non eseguì quell’ordine. Tuttavia non forzò nemmeno la gemella ad uscire dal suo rifugio. Si sedette ai piedi del divano e rimase in silenzio.
Ad un certo punto sentì rotolare  una perlina sul pavimento di marmo. Raccolse quell’oggetto sferico e lo riconobbe immediatamente:
“si è rotto il braccialetto?” chiese sorpresa Sophia.
Erin non rispose, ma la sorella insistette:
“io so come ripararlo” le sussurrò.
 
Nell’ambiente era calato il silenzio più totale finché si udirono dei passi affrettati ed Erin avvertì distintamente la voce di sua madre che chiamava:
“SOPHIA!”
Alzò lo sguardo e vide la gemella che quasi rotolava giù dalle scale per avvicinarsi agli spalti, portandosi a pochi metri da lei.
“Erin lo so che puoi farcela! Non mi deludereeee!!”
“m-ma  cadrò” obiettò Erin che in quel momento notò la presenza di un foglio grande che la sorella brandiva tra le mani.
“se cadrai ti rialzerai”
 
“allora hai capito? Tu sei me e io sono te”
“magari” sussurrò Erin con un sorriso triste.
 
“sai mamma oggi ho scoperto una cosa molto importante…”
“e che cosa?”
“che potrò sempre contare su mia sorella… Erin è il mio pilastro”
 
"ti sbagli Sophia... il fatto che tu sia ancora qui vuol dire che ti è stata data un'altra possibilità"
"è una possibilità inutile visto che non posso giocarmela Erin!"
"per te sarà anche inutile, ma per noi è l'unico scoglio al quale possiamo aggrapparsi per non annegare nella disperazione... non mi vedrai piangere né disperarsi finchè non sarai uscita da quella sala operatoria"
Erin guardava la sorella dritto negli occhi, con determinazione. Aveva già versato le sue lacrime  ora il suo dovere era quello di asciugare quelle della sorella.
"ricordati che ti sono vicina Fia. Lo dicevi sempre che ti stavo troppo addosso... e non sono ancora pronta a lasciare la tua mano, perciò se cercherai di mollare la presa, ti stringerò più forte"
 
“sai, dopo che sei stata qui ieri, mi sono sentita più serena. Credo davvero nelle tue parole. Andrà tutto bene, lo sento”
La sorella si commosse e intrecciò le sue dita in quelle della ragazza accanto a lei.
allora Fia, ti aspetto”
“non lasciarmi andare Erin” la supplicò Sophia, voltando lo sguardo verso la sorella.
Il colore delle loro iridi era così simile eppure i loro occhi non erano uguali, non lo erano mai stati: Sophia aveva un modo tutto suo di osservare le persone, mirando dritto alla parte più nascosta dei loro sentimenti.
“te l’ho promesso Fia… non mollerò mai la presa” e strinse quanto più intensamente potè quella mano così saldamente abbracciata alla sua.
 
Erin si alzò, attirando l’attenzione dei presenti. Quella successione di scene le aveva fatto perdere la cognizione del tempo. Controllò sull’orologio e calcolò che erano già trascorse due ore e mezza dall’inizio dell’intervento.
Lo stomaco brontolava per la fame ma la ragazza lo ignorò. C’era un altro problema che doveva risolvere: la sonnolenza che si stava metastatizzando nel suo corpo. Non voleva dormire, non in quel momento. Doveva restare vigile per tenersi psicologicamente accanto alla sorella.
Annunciò che sarebbe scesa all’entrata dell’ospedale dove aveva notato la presenza delle macchinette e calcolò i soldi per un caffè. Si trattava di tenere duro ancora un altro po’: Sophia poteva uscire da un momento all’altro.
 
Un liquido scuro uscì con un flusso regolare e si depositò sul fondo del bicchiere di plastica marrone. Le palpebre cominciavano a chiudersi da sole e lo sforzo di tenerle sollevate sembrava immane.
Sentiva le spalle pesanti, il corpo spossato e sfinito. Per quanto ci provasse, non riusciva a ribellarsi da tutta quell’improvvisa e indesiderata stanchezza. Cercò di non pensare a tutte le ore di sonno che l’ansia le aveva rubato negli ultimi giorni e si concentrò sull’aroma inebriante del caffè.
Lo inspirò a fondo ma nemmeno questo fu sufficiente a destare i suoi sensi.
Anche se era nella hall dell’ospedale, non c’era anima viva e quel silenzio si conciliava perfettamente con il suo bisogno di dormire.
Tenendo saldamente il bicchiere in mano, si sedette su una delle sedie, sorseggiando un po’ di caffè il quale però era talmente bollente, da farla desistere dal continuare la degustazione; lo ripose su un ripiano accanto a lei, in attesa che si raffreddasse e si impose di chiudere gli occhi, solo per qualche istante.
Rimase lì seduta, aspettando di trovare la forza per alzarsi ma più passavano i secondi e più il suo corpo le risultava pesante.
“non dormire” ripeteva a sé stessa. Era solo questione di minuti, ne era sicura.
 
Sentì dei rumori e il cuore cominciò a martellarle in petto: il sonno era sparito all’istante. Aveva riconosciuto subito quel passo affrettato e il rumore dei tacchi di sua madre.
Amanda stava giungendo nella sua direzione, percorrendo un corridoio deserto e silenzioso.
Qualsiasi rumore o suono ad Erin sarebbe bastato, pur di non sentire quei singhiozzi silenziosi e al contempo assordanti che provenivano dalla figura che si stava avvicinando. Il suo corpo venne pervaso da un tremore incontrollabile e con un gesto involontario, la ragazza rovesciò il caffè posto accanto a lei.
Il volto di Amanda era stravolto dalle lacrime che scendevano copiose, annullando ogni dolcezza nel suo viso.
Il cuore di Erin continuava ad accelerare il battito, un pulsare che nella sorella non c’era più.
Quella tremenda maschera di dolore e lacrime era sempre più vicina ed Erin chiuse gli occhi, incapace di sostenerne la vista.
Nemmeno Amanda la guardava: teneva il capo chino con il terrore di vedere specchiata la sua espressione disperata nel volto di quella figlia che le avrebbe sempre ricordato quella che aveva appena perso.
 
“te l’ho promesso Fia… non mollerò mai la presa”
 
Le aveva mentito.
Sophia non ce l’aveva fatta.
Le era bastato distrarsi un attimo e non si era accorta della mano della sorella che le era scivolata via.
Non era stata abbastanza forte dal trattenerla.
 
“…non sono ancora pronta a lasciare la tua mano…”
 
Quella frase era carica di una tremenda e intollerabile verità: non era in grado di dirle addio, non poteva accettare di separarsi da lei per sempre. Non ce l’avrebbe fatta.
“Fia…” mormorò Erin con la voce invischiata nell’angoscia e nella disperazione.
Il suo corpo tornò a farsi pesante tanto da non riuscire a sostenere il peso della testa: sentiva che le forze la stavano abbandonando, soverchiate da una schiacciante sofferenza.
Sua madre era ancora lontana ma Erin non poteva più vederla a causa delle lacrime; serrò gli occhi e sperò di non udire le inevitabili parole che le avrebbero confermato che Sophia non c’era più.
Il busto della ragazza si sbilanciò di lato ma anziché accasciarsi sulla la sedia accanto, venne bloccato da qualcosa di solido e morbido:
“andrà tutto bene Erin”
Quella voce così bassa e calda sembrò bloccare il tempo.
Erin avvertì una carezza delicata sfiorarle i capelli e, incapace di sollevare le palpebre che le lacrime e la depressione avevano sigillato, rimase in ascolto.
“andrà tutto bene” ripetè quella voce, rassicurandola “fidati di me”
Sua sorella non c’era più eppure lei si sentiva un po’ più serena: una sensazione di protezione e sicurezza la pervase e sentì che il battito del suo cuore si stava normalizzando.
 
Dopo un po’ riaprì gli occhi e si staccò dal suo appoggio.
Disorientata, capì di essersi addormentata e scrutò la figura accanto a sé, sorprendendosi nel vedere suo padre.
Peter la guardava con dolcezza ma non c’era traccia di lacrime o tristezza nel suo volto.
“Sophia?” gli chiese più confusa che mai.
“è ancora in sala operatoria. Sono arrivato qui una decina di minuti fa e ti ho trovata che dormivi”
Con quella semplice frase, suo padre non solo le aveva fornito una spiegazione di quanto era accaduto ma le aveva appena restituito la speranza per poter tornare a credere. Sophia poteva ancora farcela.
Il caffè non si era mai rovesciato ma giaceva, ormai freddo, sul ripiano in cui Erin l’aveva riposto.
“torniamo Sophia?”
 
Arrivarono in sala d’attesa ed Erin scoprì che erano passate più di tre ore.
Recuperò il cellulare dalla borsa e trovò un accavallarsi di messaggi:
Il primo era di Iris:
 
“mi dispiace per tutto Erin, scusami. Sono stata una sciocca e non ti ho lasciato il tempo per spiegare. Ti prego, fammi sapere come sta tua sorella… e non esitare a chiamarmi se ne hai bisogno”
 
Alexy: “vedrai che ce la farà Erin. Facci sapere”
 
Lysandre: “quando vuoi, noi siamo qui”
 
Rosalya: “tu chiama che io arrivo”
 

Armin: “i miei superpoteri da gemello mi dicono che andrà tutto bene… ma del resto lo sai perché ce li hai anche tu no?”
Erin sorrise per la pessima ironia dell’amico e passò al messaggio più recente, quello di Violet:
 
“comunque vada Erin, non sarai mai sola”
 
“s-stanno uscendo” balbettò Amanda, notando del movimento oltre il vetro quadrato della porta.
Tutti si alzarono in piedi di scatto.
Ambra ed Erin si guardarono con apprensione e istintivamente, si strinsero la mano, l’una accanto all’altra.
Si intravedevano gli spostamenti dello staff medico impegnato ad abbandonare la sala operatoria e per ultimo il dottor Wright.
Tutto il personale sostò nell’anticamera per liberarsi dai guanti e dai camici sui quali c’erano delle macchie rossastre. Il cardiochirurgo guardò fugacemente all’esterno, oltre il quadrato di vetro e si tolse la mascherina.
Con il cuore in gola, i familiari della ragazza si avvicinarono ancora di più alla porta, nella trepidante attesa di sentire quale fosse l’esito.
Ancora pochi secondi e avrebbero avuto una risposta.
Wright comunicò qualcosa alla ferrista che annui mentre lui spinse la porta, trovandosi finalmente faccia a faccia con la famiglia della paziente. Le uniche sensazioni che si potevano leggere nel suo volto erano la stanchezza e lo sforzo che gli avevano procurato un simile intervento.
Sospirò profondamente, per scacciare la tensione che aveva accumulato e, finalmente, sorrise. Quella semplice smorfia bastò a inumidire gli occhi dei familiari che si abbandonarono ad un pianto di gioia quando sentirono le parole:
“l’intervento è andato bene: Sophia è salva”
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
 
Tanto per cominciare, è passata più di una settimana dal capitolo 34, eppure mi sembrano mesi  -.-‘’… giuro che non pensavo di avere così poco tempo da dedicare alla mia storiella :’(… spero di non aver perso per strada qualche lettrice :S
 
Passiamo ora al capitolo: prima di essere accusata di avervi fatto venire un infarto quando Erin sogna che l’intervento è andato male, sappiate che ero tentata a chiudere il capitolo con “ancora pochi secondi e avrebbero avuto una risposta” XD.. cioè della serie, posso essere davvero davvero sadica XD… ammesso poi che abbiate pensato che fosse vero, mi aspetto di tutto da voi, quindi non posso neanche escludere che abbiate capito che fosse un sogno -.-‘’.
Come avete potuto leggere, non ce l’ho fatta a “uccidere Sophia” e così ecco che anche questa volta l’ha fatto franca… è piuttosto fortunata questa ragazza.
Alla fine ho deciso di optare per un capitolo lungo visto che si tratta di un passo importante della storia. Con questo capitolo, si chiude ufficialmente questa prima sezione drammatica di In her shoes (non so ancora se ce ne saranno altre più avanti, visto che siamo ancora lontane dalla fine) però diciamo che nei prossimi capitoli cambieremo registro (ma non pensate che abbandonerò facilmente l’aspetto malinconico… finchè non torna Castiel non mi diverto u.u… -allora che cacchio aspetti a farlo tornare?!? N.d.Lettrici).
 
La frase che dà il titolo al capitolo : LA SPERANZA È UN SOGNO FATTO DA SVEGLI è un aforisma di Aristotele. Non sono stata lì ad indagarne il senso, ma ho pensato che calzasse con il fatto che mentre dorme, le speranze di Erin naufragano miseramente, al punto da materializzarsi nell’incubo che la sorella non ce l’abbia fatta; il fatto che dopo aver saputo che Sophia è morta, le basti una voceper tranquillizzarla, rientra nella “logica del sogno”: non so se sono io, ma i miei sogni non hanno né capo né coda, così ho pensato che potesse essere credibile che alla ragazza sia bastato sentire quella voce per tranquillizzarsi (nella realtà non sarebbe fattibile);  come avrete (credo) capito, ha sognato Castiel… quel “fidati di me” è una delle sue massime (alla Aladdin aggiungerei io) e, tanto per cambiare, anche nell’inconscio, il rosso sortisce un effetto calmante su Erin… con questo, ora che la gemella è salva, la nostra protagonista dovrà cominciare a guardare in faccia la realtà e con lei altri personaggi come Rosalya, Nathaniel… beh… come vedete ci sono ancora molte cose da chiarire, che “ci terranno occupate” nell’attesa del ritorno di Castiel ;).
Grazie per aver letto il capitolo ^^)
 
P.S. Credo avrete riconosciuto lo stile ma giustamente ci tengo a sottolineare che il disegno iniziale è di _Nuvola Rossa 95_ il quale secondo me è perfetto inserito in questo capitolo, in cui c’è stato un momento molto tenero tra le due gemelle ^^. Grazie L. :3
 
  
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