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Autore: Krysna    11/10/2014    1 recensioni
In una società divisa tra Diurni e Notturni, due vampiri si ritrovano. Il furto del più grande dono del dio dei Diurni cerca di separarli, e hanno un unico luogo per non poter essere altro che Enzo e Krysna, e non Diurno e Notturna: un albero cavo, simbolo del loro passato.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Enzo odiava stare seduto. La morbidezza della seggiola gli dava sui nervi. Era stato il primo ad arrivare, quella mattina. Si era sentito così stupidamente eccitato. I suoi genitori, Diurni fino al midollo, lo avevano spronato a dare il meglio di sé. Eppure lui non lo voleva quel ruolo. Gli era stato imposto. Quando Horatio, due giorni prima, era morto, Ferdinando e Marie ne erano stati entusiasti. Enzo, il prossimo capoclan sarai tu!, dicevano. Ma sul serio: qual è il vampiro sano di mente che si candiderebbe di sua spontanea volontà? Essere capoclan era una maledizione. Horatio era rimasto solo. All'inizio erano in quattro, come sarebbero sempre dovuti rimanere. Quattro elementi, quattro corpi celesti, quattro capiclan. Il quattro era il numero perfetto. I due soli di Mitra e le due lune di Gione lo confermavano. Senza uno dei soli, Gione  avrebbe prevalso, e i Diurni sarebbero stati spazzati via. Ma senza una delle lune, Gione sarebbe stato sconfitto, e Mitra avrebbe fatto estinguere i Notturni. Quindi era inevitabile che Horatio soccombesse presto. Uno alla volta, gli altri undici vampiri entrarono in sala, tra cui una vampira alta e bionda, che gli lanciò un'occhiata acida. Enzo avrebbe voluto che l'imbottitura della seggiola lo inghiottisse. Si costrinse a smettere di tamburellare le dita sul ginocchio e ad assumere un atteggiamento sicuro di sé. Così gli avevano raccomandato i suoi genitori più volte. Certo però che si vergognava: ventott'anni compiuti, e ancora sottostava al loro dispotismo. Un'umana entrò dalla porta di servizio con in mano un vassoio carico di calici e un coltello. Fece il giro dei presenti, offrendo il polso e accennando al coltello, ma era solo una formalità: chi era il pazzo che non si nutriva a dovere prima del colloquio? L'umana si fermò davanti a lui, ed Enzo scosse la testa in segno di rifiuto. Non gli piaceva approfittare degli umani, per quanto loro sapessero che il loro compito era quello di servire il clan. Poi quell'umana in particolare... era difficile anche solo guardarla. Tralasciando la profonda cicatrice che le solcava il volto, somigliava in maniera inquietante a lei. Lei... chissà come stava, se aveva trovato qualcuno. In tutti quegli anni, aveva pensato a lui? Due novizi entrarono nella sala, tenendo sulle spalle un oggetto coperto da un pesante drappo rosso. I vampiri sussultarono. Quello era lo Scranno di Mitra, la maledizione dei capiclan. Enzo all'improvviso ebbe paura. Nessuno, oltre ai sacerdoti, ai candidati e ai capiclan poteva vedere lo Scranno. Era un oggetto sacro. Mitra lo aveva donato al suo popolo perché sconfiggessero i Notturni, e così era stato. Certo, dopo era stata stipulata la pace, ma i capiclan Diurni di certo avevano più potere degli adoratori di lune. E ora tutti i vampiri in sala avrebbero visto lo Scranno in azione. Il sommo sacerdote vi si sarebbe seduto e si sarebbe infilato nelle loro menti, carpendone ogni segreto, ogni pensiero, ogni desiderio più recondito. Enzo si guardò intorno: i vampiri che sino a poco prima lo avevano guardato con aria di superiorità ora tremavano. Lui invece era calmo, per quanto sapesse che la lettura poteva essere dolorosa. Eppure, lui era certo che quando il sommo sacerdote gli avesse frugato la testa avrebbe scoperto che non era adatto a diventare capoclan. E sarebbe tornato a casa. Magari sarebbe anche andato a vedere il nuovo appartamento, l'avrebbe preso e la sua vita si sarebbe svolta tranquillamente, continuando a fare l'avvocato senza dover lasciare il proprio posto di lavoro per una responsabilità che non aveva mai voluto. Dalla pesante porta in mogano entrò il sommo sacerdote. Be', quel titolo certo gli si addiceva. Emanava un potere immenso. Non era altissimo, ma la sua imponenza lo faceva sembrare tale. La lunga veste bianca e dorata lo ricopriva interamente, lasciandogli scoperte solo le mani e il viso. Avanzava sicuro, scortato da due guerrieri, ricoperti di cuoio scuro e lucente e con una maschera nera sul volto. Erano inquietanti, ma Enzo li ammirava. Anche lui avrebbe voluto diventare un guerriero, fare parte di una squadra. Ma i suoi genitori, sin da quando era piccolo, lo avevano spronato più all'uso della mente che del corpo. E così, senza neanche accorgersene, si era ritrovato con una laurea in giurisprudenza. In effetti i guerrieri ormai non servivano più al loro scopo, venivano chiamati semplicemente per combattere i crimini dei civili. I Notturni erano molto pacifici. La loro linea genetica prediligeva la calma e la pace nell'oscurità. Il sommo sacerdote fece un cenno ai due novizi, che sollevarono il drappo dallo Scranno. Si poté quasi udire il respiro trattenuto in sala. La storia di quel dono del cielo era una leggenda. Durante la guerra, secoli prima, i Notturni stavano sconfiggendo i Diurni. Ma Mitra aveva avuto pietà del suo popolo dandogli lo Scranno. Quell'anno si era offerto Pharsi, uno dei quattro capiclan, a sedere per primo, iniziando il ciclo di sedute che avrebbero man mano portato alla pazzia tutti i capiclan. Pharsi era riuscito a entrare nella mente dei capiclan Notturni, a capire la loro strategia e a sconfiggerli. E poi c'era stata la pace, finalmente. Enzo non era mai stato un civile praticante, eppure ora, davanti al potere che emanava lo Scranno, fu colto da una sorta di timore reverenziale. Ma subito si calmò: non avrebbero mai eletto lui. I due novizi lasciarono la sala, i guerrieri si misero a fianco della porta e il sommo sacerdote rimase in piedi davanti agli altri dodici vampiri. "Oggi" esordì, "è un giorno importante." Aveva una voce molto profonda, certo, ma anche musicale. "Il nostro ultimo capoclan, Horatio della città di Grele, è deceduto, come ben sapete. Il mio compito è quello di scegliere i nuovi quattro capiclan." Fece due passi indietro e indicò lo Scranno. "Lo Scranno di Mitra mi dirà quali di voi governeranno." Lentamente e con una sacralità quasi snervante, si sedette. Lo Scranno sembrava sul punto di sfasciarsi sotto il suo peso. Tralasciando il potere che emanava, era poco più di una sedia sbilenca e ritorta. Si narrava che Mitra l'avesse donato di quercia bianca, rifinita a bassorilievi di scene sacre. Nonostante ciò, a Enzo sembrava solo una vecchia sedia più grande del normale. Il sommo sacerdote chiuse gli occhi e strinse le dita bitorzolute sui braccioli, mentre le rughe profonde sulla sua fronte si accentuavano ancora di più. Uno a uno sondò la mente dei vampiri, partendo dall'ultimo dalla parte opposta ad Enzo. Tutti, uno dopo l'altro, iniziarono a manifestare segni di sofferenza: fronti corrugate, sudore, mascelle serrate. Eppure, quando arrivò a lui fu del tutto inaspettato. Prima di tutto, lo colpì il dolore alle tempie: fu penetrante, e lo percepì come un vortice che gli si conficcava nella mente. Chiuse gli occhi. Dietro le palpebre danzavano volute fumose, come nastri d'argento, che entravano e uscivano sinuose dal suo campo visivo. Il dolore iniziale si trasformò in una sorta di piacere vibrante, che convinse Enzo a lasciare la mente aperta. Man mano che il sommo sacerdote frugava nei suoi pensieri, gli saltarono davanti agli occhi le immagini di ricordi scovati. Uno di questi lo colpì e lo lasciò senza fiato. Un bosco umido. Una chioma riccia e scura grondante di pioggia. La sua figura danzava a rallentatore davanti a lui, quasi tremolante. Enzo sussultò. Era un ricordo che credeva di aver dimenticato. All'improvviso com'era arrivata, quell'invasione svanì. Enzo aprì gli occhi. Il sommo sacerdote lo guardava, e attraverso la barba candida sorrideva quasi impercettibilmente. Silenziosamente e con fare imperioso, uscì dalla stanza, mentre i due guerrieri rimanevano ai lati della porta. Enzo si guardó intorno: tutti, a parte la vampira bionda, sembravano ansiosi e preoccupati. Uno di loro aveva i gomiti appoggiati sulle ginocchia e la testa fra le mani. Enzo ripensó a quel ricordo. Era da tanti anni, ormai, che non pensava più a quel giorno.
   
 
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