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Autore: Evee    12/10/2014    2 recensioni
Seto Kaiba aveva finalmente capito due cose.
La prima era la ragione per cui fosse sempre stato tanto ossessionato da quella carta.
La seconda era il perché sentiva che non si sarebbe mai potuto innamorare di nessun'altra che non fosse lei.
Ma quello che non sapeva ancora era che presto l'avrebbe incontrata di nuovo... Anche lei infatti lo stava cercando, anche lei lo voleva vedere.
Ma lo voleva vedere morto.
[ Blueshipping ]
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisara, Seto Kaiba
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dark Blue Saga'
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Evee's corner

 

H^o^la!!!

Premetto che era da un po' che avevo in mente di lanciarmi nell'impresa di scrivere una long-fic su Seto e Kisara, per offrir loro quel degno e meritato happy ending che invece il Takahashi-sensei ha loro negato. Un'onta che mai gli perdonerò perché, se la tragica conclusione della loro storia d'amore nell'Antico Egitto ha avuto il pregio narrativo di renderla ancora più forte e commovente, non giustifica perché non permettere loro di ricongiungersi almeno nel futuro. E per davvero, non sottoforma di ologrammi che trovano il tempo che trovano.

Se avete deciso di leggere questa storia immagino che anche voi la pensiate come me, ma vi avverto: difficilmente sarà come ve l'aspettate, perché a dire il vero il risultato è ben diverso da come l'immaginavo persino io, sia per stile che per contenuto. Anzi, non nascondo la grossa difficoltà in cui mi sono trovata al momento di classificarla per genere, rating, avvertimenti etc al momento della pubblicazione... Per cui se, come temo, ho fatto degli errori di valutazione non esitate a segnalarmeli, provvederò subito a porvi rimedio.

Quanto al merito della storia, è ambientata indicativamente un anno dopo la conclusione della Saga della Memoria, in ideale prosieguo della versione animata che, pur con tutti i suoi difetti, ha dedicato a questa storyline molta più attenzione del manga. Narrazione a PoV alternati, come mio uso e costume. Inoltre ogni capitolo avrà lo stesso titolo di alcune canzoni di Nick Lachey, di cui troverete il ritornello in apertura e la mia modesta traduzione in chiusura. Le parole mi sembravano azzeccate con la storia, e l'idea mi è parsa un buon filo conduttore. A proposito, volevo anticipare che il titolo della prima, “Shades of Blue”, ha un duplice significato: letteralmente si traduce “sfumature di blu”, ma “blue” può alludere anche a stati d'animo di tristezza e depressione. Capirete il perché di questa precisazione con la lettura...

Inoltre volevo tranquillizzarvi sulla questione aggiornamenti: avverranno regolarmente ogni domenica. Infatti ho voluto iniziare a pubblicare la storia solo quando l'avessi conclusa del tutto, onde evitare interruzioni causa blocco dello scrittore...

Concludo ringraziandovi di cuore di essere qui e dandovi appuntamento alla prossima settimana (sempre se vorrete continuare a seguirmi)... In ogni caso mi farebbe piacere avere il vostro parere al riguardo, sono dell'avviso che i complimenti fanno bene all'autostima ma solo le critiche aiutano davvero a migliorare!

Kisses,

- Evee

 

The White Lady

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who lost her soul

 

I - Shades of blue

 

{Baby, all these shades of blue
Where I wait for you
Pray love reaches through
All these shades, shades of blue
When you close your eyes
Feel me by your side
And I will wait for you
In all these shades of blue
Here in all these shades of blue
}

 

Era passato quasi un anno ormai, dall'ultima volta che aveva duellato.

Quel pensiero gli attraversò la mente di ritorno dal lavoro, nello scorgere al di là del finestrino un paio di ragazzi impegnati in uno scontro nel bel mezzo della Piazza dell'Orologio. Guardando le loro espressioni si ritrovò a rivivere emozioni ormai sopite: l'adrenalina nelle vene, la passione per il gioco, la voglia di vincere. Gli mancavano quelle sensazioni, ma non poteva più permettersi di provarle di nuovo.

Semplicemente, farlo gli era diventato insostenibile.

Da quando aveva scoperto della sua vita passata e della vera ragione del suo legame con il Blue-Eyes White Dragon, non riusciva più ad evocarlo senza che gli provocasse una visione di quella donna. I primi tempi aveva cercato di non farci caso, dicendosi che era solo una suggestione passeggera, ma non fu così. Era sempre stato ossessionato da quella carta, e sentiva che stava iniziando a diventarlo anche da lei. A volte la sognava, perfino. Il suo ricordo non sembrava volergli dare tregua, pertanto aveva dovuto rimuovere il problema alla radice: aveva smesso di giocare a Magic and Wizards. Se non l'avesse fatto, sentiva che presto avrebbe finito per impazzire, o quantomeno avrebbe dovuto iniziare a farsi vedere da uno psichiatra.

Alle persone che gli avevano chiesto attoniti per quale ragione l'avesse fatto, Seto non era riuscito a dare una risposta convincente, nascondendosi dietro alla mancanza di tempo o sostenendo di non avere più l'età per simili passatempi. D'altronde solo Yugi e pochi altri erano riusciti ad intuire e comprendere la verità: non poteva più giocare quella carta, ma non poteva nemmeno giocare senza di essa... Quel drago bianco era il cuore di tutto il suo deck, non avrebbe potuto sostituirlo con nessun altro mostro. Un tempo credeva che quella sua infatuazione fosse determinata unicamente dal fatto che era la carta più potente del gioco, motivo per cui, se voleva diventare imbattibile, avrebbe dovuto possederla in tutti i suoi esemplari. E poi lui era il migliore, era il solo a meritare il privilegio di utilizzarla. Per questo aveva fatto di tutto per distruggerne ogni altra copia, come un'amante geloso che non può tollerare di vedere la propria donna assieme ad altri.

E alla fine aveva scoperto che quella metafora non avrebbe potuto essere più azzeccata.

Amava quella carta come aveva amato quella giovane donna, in modo assoluto ed incondizionato. Non importava se nel frattempo l'Industrial Illusions ne aveva messe in commercio altre ben più forti, per lui era insostituibile e non se ne sarebbe mai separato. E non l'aveva fatto: anche se aveva chiuso per sempre con i duelli, continuava a portare con sé i suoi tre Blue-Eyes, protetti in una piccola custodia, riposti nella tasca interna della sua giacca. Proprio vicino al suo cuore.

Eppure non era una persona sentimentale, lui. Considerava gli oggetti materiali solo per il loro valore economico e per l'uso che ne poteva fare, per poi disfarsene quando esaurivano il proprio scopo. Ma quelle non erano delle semplici cose, quelle carte avevano un'anima. L'anima di quella giovane che si era sacrificata per lui, 3000 anni prima.

Poteva costringersi a non pensare a lei, ma questo proprio non poteva dimenticarlo.

 

***

 

Guardò l'acqua gelida scorrerle lungo la pelle, impassibile.

Il motel dove si era fermata per la notte era un posto talmente squallido che avrebbe dovuto attendere almeno una decina di minuti prima che la temperatura dell'acqua potesse risultare tollerabile, ma a lei non importava. Aveva bisogno di una doccia, e subito. Aveva bisogno di sentirsi pulita. Certo, non poteva sperare di cancellare in quel modo quello che aveva fatto, lo sapeva bene. Aveva macchiato la sua anima in modo indelebile, ma non era che un altro segno da aggiungere alle tante colpe che già si portava dietro. Ormai la sua anima l'aveva persa, e molti anni prima. Ma ancora non riusciva a tollerare che il sangue le sporcasse la pelle, a ricordarle nella maniera più brutale i resti della vita che aveva appena sottratto con tanta indifferenza. Non era senso di colpa, no. Aveva solo fatto il suo dovere, e l'aveva fatto bene, come sempre. Tanto, non conosceva quell'uomo. Tanto, ogni secondo, da qualche parte del pianeta, un cuore cessava di battere. Il fatto che in quel secondo ciò fosse avvenuto per mano sua, era stato solo una pura fatalità. Qualcuno l'avrebbe definita come un'ingiustizia, ma c'era forse giustizia, in quel mondo? Se c'era, lei non l'aveva mai conosciuta.

Sfregò le sue braccia con il sapone, sciogliendo quegli schizzi color porpora ormai rappresi. Li sfregò con tanta forza che, quando li ebbe lavati via del tutto, la sua pelle diafana e delicata era tutta arrossata. Quando non sentì più l'odore metallico del sangue e percepì che la temperatura dell'acqua si era intiepidita, si portò completamente sotto il getto della doccia per bagnarsi anche i capelli. Ma mentre li stava risciacquando dallo shampoo si accorse del colore scuro che aveva assunto. Si rabbuiò, contrariata. Anche quella volta, nonostante i suoi sforzi, la tinta le era venuta via al primo lavaggio. Ormai aveva perso il conto del numero di volte che aveva provato a colorarsi i capelli, ma era tutto inutile: era come se si rifiutassero di accettare qualunque altra tonalità che non fosse la loro.

Quanto odiava quel colore.

Quel bianco era così candido, immacolato. Di una purezza che non aveva nulla a che fare con lei e che, anzi, era quasi paradossale. E poi attirava eccessivamente l'attenzione, quando lei avrebbe preferito rimanere nell'ombra, passare inosservata. Nel suo lavoro, se ti facevi notare eri morto. E lei si era già fatta notare fin troppo. La “White Lady”, la chiamavano.

Quanto odiava quel soprannome.

 

***

 

Quanto odiava quei ricevimenti.

Tutto quello sfarzo fine a se stesso, le chiacchiere vuote, i sorrisi di cortesia gli erano semplicemente insopportabili. Seto non voleva né era mai stato bravo a socializzare con altre persone, figuriamoci a fingere di volerlo fare. Di solito evitava quel genere di eventi con cura, eppure quella volta non era riuscito a rifiutare.

L'invito gli era arrivato solo qualche giorno prima, una lunga busta elegante che aveva trovato sulla sua scrivania, nascosta tra la posta del giorno. Il mittente era la Childhood Foundation, un'organizzazione no-profit intenzionata ad organizzare una serata di beneficenza, in particolare una raccolta fondi a favore di alcuni orfanotrofi disagiati, e che pertanto si chiedeva se anche il presidente della Kaiba Corporation l'avrebbe voluta onorare con la sua presenza. In realtà, Seto sapeva bene che la partecipazione a cui davvero teneva non era la sua ma quella dei suoi soldi, cionondimeno aveva accettato lo stesso. Era per una buona causa, in fondo.

Tuttavia la sua propensione per quella serata si dissolse rapidamente, dopo soli cinque minuti da quando era entrato nel lussuoso hotel prescelto come location. Le facoltose persone presenti sembravano avere come principale preoccupazione quella di esibirsi davanti a chi era più ricco e famoso di loro, non certo di provvedere alle sorti dei piccoli orfani. Quanta ipocrisia. D'altronde poteva benissimo immaginare quello a cui sarebbe andato incontro: se uno vuole davvero fare una donazione si limita a firmare un assegno, non è necessario che lo faccia anche alla presenza di un centinaio di persone a meno che, ovviamente, non interessi di più proprio mettersi in mostra.

Si ritrovò costretto in un giro di presentazioni che gli parve interminabile, e che sapeva avrebbe recato la sgradevole conseguenza che tutta quella gente, di cui non gli interessava nulla e tanto meno ricordare il nome, si sarebbe sentita autorizzata a parlargli come se lo conoscessero. Ed infatti ben presto le semplici strette di mano vennero sostituite da vuote conversazioni, che si protraevano con insistenza a dispetto della sua scarsa partecipazione, ridotta a quel minimo essenziale giusto per non offendere attuali o potenziali controparti per la sua società. Per quanto fosse sociopatico era pur sempre un uomo d'affari, e aveva imparato che inimicarsi direttori di banca e amministratori delegati era una pratica alquanto pericolosa: per concludere un buon accordo talvolta bisogna anche sforzarsi di sorridere e mordersi la lingua.

Quando finalmente i suoi interlocutori vennero distratti dall'inizio di un discorso di ringraziamento da parte degli organizzatori della serata, ne approfittò per allontanarsi e, individuato un angolo poco affollato, si andò a sedere ad un tavolo vicino all'open bar.

-Cosa posso portarle, signore?- domandò un cameriere dall'altro lato del bancone, fraintendendo il suo comportamento e supponendo che fosse andato lì con l'intento di bere qualcosa.

Seto gli rivolse uno sguardo scocciato, ciononostante decise comunque di ordinare un Vodka Martini. Beveva raramente, per lo più in occasioni formali in cui non poteva rifiutarsi di farlo senza offendere i suoi commensali, perché non gli piaceva che la sua mente si lasciasse annebbiare dall'alcool. Ma in quel momento era proprio quello che gli serviva, se voleva trovare la forza di resistere fino alla fine di quella serata o, quantomeno, fino al momento in cui altri invitati avessero iniziato ad andarsene e avrebbe potuto seguirli senza apparire maleducato.

Quando il cameriere fu di ritorno con il suo cocktail, il discorso di benvenuto si era già concluso e aveva lasciato spazio alla voce di una giovane cantante, che si mise ad intonare parole lente e malinconiche, accompagnata da una musica soffusa. Seto non poté fare a meno di rendersi conto di quanto potesse apparire deprimente in quel momento, neanche fosse un fallito sceso fino al bar della strada per affogare i suoi dispiaceri nell'alcool. Lui era un vincente, una persona ricca, intelligente e di successo, non gli si addicevano simili comportamenti autodistruttivi. Era sicuro di sé e soddisfatto della sua vita. Eppure, in quel momento era lì, con la sola compagnia di un bicchiere mezzo vuoto...

-Scusa, per caso hai da accendere?-

Non si degnò nemmeno di voltarsi verso la persona che gli aveva parlato.

-Non fumo.- replicò secco.

Né avrebbe mai fumato, o assunto droghe. Non voleva sentirsi dipendente da qualcosa, specialmente se si poteva rivelare anche dannoso per il suo corpo e le sue funzionalità intellettive. Caffeina a parte. Ma quella non era che una necessaria fonte di sostentamento per potersi dedicarsi appieno alla sua unica e sola dipendenza: quella dal suo lavoro. A volte si chiedeva se il termine workaholic fosse stato coniato appositamente per lui.

-Peccato.- continuò quella, sedendosi al suo fianco -Ma sono certa che ci sono altre cose, che abbiamo in comune.-

Questa volta Seto si voltò a guardare infastidito la sua interlocutrice, una giovane donna la cui caratteristica più evidente era il fatto che indossava un vestito talmente attillato e succinto da lasciare ben poco all'immaginazione. Chiaro indice di quanto fosse apertamente disponibile nei confronti dell'altro sesso o, con parole molto più chiare e concise, una puttana. Se lo fosse solo per quella sera o anche di professione l'avrebbe scoperto presto, dato che quel tentativo di approccio nei suoi confronti era fin troppo inequivocabile. Non era certo la prima ragazza che cercava di sedurlo. Sapeva di essere una preda ambita per il suo patrimonio da svariate arrampicatrici sociali, e comunque anche se non veniva riconosciuto era pur sempre un ragazzo di bell'aspetto, come gli confermavano le svariate teste femminili che puntualmente si giravano a guardarlo al suo passaggio. Di recente una rivista di gossip aveva persino deciso di collocarlo sul podio della classifica degli uomini più sexy di tutto il Giappone. Per cui, se avesse voluto farsi qualcuna avrebbe dovuto soltanto pescare nel mucchio.

-Non credo proprio.- rispose quindi, sperando bastasse a farla desistere.

Non bastò. Quella donna gli si avvicinò ancora di più, fino a sfiorargli la gamba con una mano.

-Io credo di sì, invece.- gli disse, guardandolo in modo suadente -Anche tu sei solo, e ti stai annoiando... Potremmo dedicarci ad attività molto più divertenti, insieme.-

Per un secondo, Seto fu quasi tentato di accettare quella proposta. Era pur sempre fatto di carne, e non era insensibile al fascino femminile. E per quanto avesse dei modi volgari, quella era sicuramente una donna bella e desiderabile, sembrava quasi una fotomodella. Sarebbe stata l'ideale come scopata di una notte, aveva un fisico perfetto e sicuramente anche l'esperienza. Forse era davvero giunto il momento che si decidesse ad andare con qualcuna, anche solo per iniziare a farsene un po' anche lui. Inoltre, saranno stati i fumi dell'alcool, saranno stati i suoi occhi blu, ma per un momento gli parve persino di riconoscere in lei un viso familiare, e a lui caro. Ma fu solo l'impressione di un attimo. Ritornò subito in sé e senza rispondere si alzò dal tavolo, abbandonandovi il suo bicchiere vuoto e quella donna.

Non aveva bevuto abbastanza per accettare quella proposta, e quegli occhi non erano abbastanza blu.

 

***

 

Stava ancora finendo di mangiare la sua cena, un pezzo di pizza ormai raffreddato e secco, che un suono infranse il silenzio di quel momento.

Per quanto fosse stato improvviso, nulla ad un occhio esterno avrebbe dato ad intendere che ne fosse rimasta sorpresa: non un sussulto, un battito di ciglia. Se lo aspettava. A volte passavano solo pochi giorni, a volte mesi interi, ma se c'era una certezza nella sua vita era che presto o tardi il suo cellulare si sarebbe messo a squillare.

Lasciò cadere la crosta della pizza nel cartone, si leccò le mani per togliere il troppo unto di cui erano impregnate, quindi estrasse dalla tasca un iPhone grigio metallizzato. Con un gesto fluido zittì la suoneria e rispose alla telefonata, senza neanche controllare da parte di chi fosse. Tanto, c'era solo una persona che aveva quel numero, la stessa che gli aveva dato quel cellulare per potersi mettere in contatto con lei.

-Sì?- disse, con una sfumatura d'attesa.

-Ho un problema.- annunciò la voce di quell'uomo -Spero che tu riesca a risolverlo. Definitivamente.-

Socchiuse gli occhi, rabbuiandosi. In altre parole, qualcuno gli aveva fatto un torto, o comunque si stava rivelando troppo fastidioso. Qualunque fosse la ragione, lei non la chiedeva mai, né la voleva sapere. D'altronde la sua unica preoccupazione non era il perché, ma il come ucciderlo.

-Consideralo già fatto.- rispose seccamente.

-Bene. Ti ho appena inviato tutti i dettagli.- aggiunse, per poi congedarsi con il suo usuale fare lascivo -A presto, mia cara.-

Conclusa la telefonata, toccò subito l'icona che lampeggiava sul display, ad annunciarle l'arrivo di una e-mail. Nessun oggetto, nessun testo. Solo un allegato. Le bastò un'occhiata alla dimensione del file per intuire che quella volta si trattava di una persona importante. Fece scivolare l'indice sullo schermo per aprirlo, pronta a studiarsi il profilo del suo prossimo bersaglio.

Il suo presentimento si rivelò fondato: si trattava effettivamente di un pezzo grosso, il presidente di una famosa multinazionale. I suoi occhi si soffermarono a guardarne la foto. Così tante responsabilità, eppure così giovane... Un suo coetaneo, per giunta. Ma, d'altro canto, nemmeno lei conduceva una vita che si potesse considerare adeguata alla sua età. Non l'aveva mai fatto. Comunque si trattava solo di una banale considerazione, quella circostanza non l'aveva certo impressionata al punto da farle avere dei ripensamenti, né le avrebbe causato dei rimorsi una volta portato a termine il suo compito.

Alla fine, morivano tutti nello stesso modo.

 

[piccola, tutte queste sfumature di blu
dove ti aspetto

prega che l'amore riesca ad oltrepassare
tutte queste sfumature, sfumature di blu
quando chiudi gli occhi
sentimi al tuo fianco
e ti aspetterò
in tutte queste sfumature di blu
qui in tutte queste sfumature di blu]

 
   
 
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