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Autore: Acinorev    12/10/2014    8 recensioni
"«Lei lo sa?»
Harry chiuse gli occhi e trattenne il fumo un po' più a lungo.
«No».
«M-»
«Devo andare», lo interruppe. «Tieni la bocca chiusa», lo ammonì senza traccia di durezza, ma come alla ricerca di una promessa.
Attaccò la chiamata senza aspettare una risposta, senza volerla."
Missing moment collocato tra "Little girl" e "High Hopes".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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And then what?
 


"I was out on the town, so I came to your window last night.
I tried not to throw stones, but I wanted to come inside.
Now I'm causing a scene thinking you need a reason to smile.
Oh no, what have I done?
There's no one to keep me warm."


3.07 am

Il bagliore caldo dei lampioni appena riverniciati dipingeva Broad Street di placidità. Gli alti palazzi in mattoni rovinati, che costeggiavano entrambi i lati della stretta via a senso unico, dormivano silenziosi e statuari, ormai privi della vitalità che li aveva stancati durante il freddo pomeriggio.
Rade automobili erano abbandonate in parcheggi frettolosi e non sempre precisi, che in altre occasioni avrebbero finito per intralciare il traffico scatenando svogliate discussioni. Anche il pub in fondo alla strada aveva già chiuso, allontanando la possibilità che la quiete potesse essere interrotta.
Era una notte senza stelle e bugiarda, perché resa tale solo dalle luci della città di Bristol, numerose e accecanti: unica testimone, era sin troppo silenziosa ed imparziale per poter essere apprezzata fino in fondo. Harry alzò il viso verso il cielo e lo osservò a labbra serrate, chiudendo per un attimo gli occhi come per ricercare un consiglio.
Scosse la testa con un sospiro nervoso, spostando lo sguardo sulla propria auto.
«Che cazzo sto facendo», sussurrò rivolto a se stesso, passandosi una mano sul viso stanco. I suoi capelli risentivano ancora del cuscino contro il quale erano stati schiacciati fino a pochi minuti prima. Il maglioncino di un rosso scuro, che aveva frettolosamente afferrato per sostituire la tuta con la quale dormiva, era troppo leggero per quell'ora e quel periodo dell'anno. Non si era nemmeno premurato di allacciare decentemente i lacci delle Nike che indossava, i responsabili del fastidio che sentiva sulla pianta del piede, sotto la quale erano finiti.
«Cazzo», ripeté, respirando profondamente e voltandosi per varcare il portone di casa e tornare al suo appartamento. Nel suo letto. A dormire. Come una persona sana di mente avrebbe fatto.
Si sedette sul marciapiede, invece, con la schiena appoggiata al muro dall'intonaco maltrattato e le ginocchia piegate. Continuava a muovere nervosamente le mani, giocherellando con l'anello spesso che portava all'indice sinistro: sperava che il tergiversare l'avrebbe portato ad una scelta corretta e razionale, non dettata esclusivamente dal proprio istinto. Lo stesso istinto che sentiva pulsare al centro del petto da diverse ore e che non l'aveva lasciato chiudere occhio, mentre si rigirava tra le coperte senza poter trovare pace o sollievo.
Allora perché, contro ogni suo sforzo, il suo corpo sembrava essere programmato nel compiere quell'unica follia che lui stava tentando di respingere? Non avrebbe potuto definire in altro modo il groviglio di determinate intenzioni che lo stavano animando: erano folli, irragionevoli e sorde a tutti i suoi richiami.
Mordendosi il labbro inferiore, restò con le palpebre abbassate per diversi minuti, fino a dimenticare la brezza gelida che lo faceva rabbrividire.
«E va bene», esclamò velocemente, in uno sbuffo di resa. Si alzò dal marciapiede e afferrò le chiavi dalla tasca posteriore dei blue jeans, prima di avvicinarsi alla sua auto ed infilarsi al suo interno, sia per ripararsi dalle basse temperature, sia per mettere a tacere la propria impulsività.



4.32 am

L'autogrill al quale si fermò, dopo un'ora e venti di viaggio, era piccolo e deserto. L'insegna illuminata di rosso era troppo imponente rispetto all'edificio che sovrastava: sicuramente necessitava di una restaurazione, ma a lui importava soltanto che avesse del caffé.
Entrò al suo interno con lo sguardo basso, incurante di ciò che lo circondava e dell'attenzione che aveva suscitato nei pochi impiegati a lavoro, carichi di sonnolenza e stupiti nell'adocchiare un cliente a quell'ora di notte. Si avvicinò alla cassa per ricevere lo scontrino e poter ritirare la sua ordinazione, con il portafoglio sottile in una mano e le chiavi dell'auto strette nell'altra.
«Hai bisogno di carburante, eh?»
Harry osservò la donna che gli stava di fronte, intenta a digitare il prezzo del caffé senza zucchero appena ordinato, con un sorriso divertito sul volto magro: avrà avuto una quarantina d'anni, portati male. I capelli bruni con la ricrescita bianca erano raccolti in una coda disordinata, mentre gli occhi piccoli e neri erano truccati eccessivamente, forse nel tentativo di nascondere l'avanzare dell'età o i segni della stanchezza.
Non rispose se non con un sospiro appena più profondo, poi si spostò al centro del bancone e porse alla stessa donna lo scontrino che gli era appena stato consegnato: si sentiva un idiota. Sia perché non riusciva ancora a capacitarsi di ciò che stava facendo, sia perché quella stupida procedura era davvero stupida, soprattutto se era l'unico stupido cliente in quell'autogrill.
«Ti consiglio di masticare qualcosa, mentre viaggi», esordì lei ancora una volta, dandogli le spalle mentre preparava la sua ordinazione. Quando si voltò, Harry lesse il suo nome sul cartellino che le pendeva sul petto poco formoso: Caroline. «Aiuta a rimanere svegli».
«E le chiacchiere sono un altro stratagemma?» ribatté svogliatamente, senza marcare le parole con cattiveria o dispetto, tanto che Caroline si sentì libera di ridere bonariamente.
Harry non la guardava, non si era nemmeno seduto sugli sgabelli che gli stavano di fianco. Voleva soltanto introdurre della caffeina nel proprio corpo, inveire contro se stesso e dimenticare almeno per un secondo il viso che gli torturava la mente.
«Per qualcuno funzionano», rispose lei, prendendo a pulire la superficie lucida davanti a sé.
Ma non per lui, soprattutto non in quel momento. Per questo motivo la ignorò senza preoccuparsi dell'impressione che le avrebbe dato: soffiò sul caffé fumante e si nutrì del suo profumo, bevendo il tutto in pochi sorsi nervosi.
Caroline probabilmente aveva capito di non aver molte possibilità di far conversazione, quindi si era allontanata per sedersi su una sedia dietro al bancone, dove aveva preso a limarsi le unghie. Harry si sentì un po' più libero e rilassò le spalle.
Uscì a passi svelti senza ricambiare i saluti di cortesia e si appoggiò alla parete dell'autogrill, recuperando una sigaretta dal contenitore che portava con sé in tasca. L'accese frettolosamente, osservando con scarsa attenzione il parcheggio deserto che gli stava di fronte, ed aspirò del fumo avidamente, fino a riempirsene i polmoni bisognosi.
Pochi istanti dopo, arrivò a rimpiangere di non aver assecondato la parlantina di Caroline: sentiva la necessità di parlare con qualcuno, anzi, di dire a qualcuno ciò che stava per fare.
Afferrò il proprio telefono e cercò nella rubrica il numero che gli interessava, avviando subito la chiamata ed aspettando con un piede che batteva a terra e la sigaretta che si consumava lentamente tra le sue dita. Dovette ripetere quel gesto per due volte, prima di ricevere una risposta.
«Pronto?»
La voce di Zayn era bassa e graffiata, testimone del fatto che stesse dormendo e che non avesse apprezzato quella piccola interruzione. Probabilmente non aveva nemmeno controllato il mittente della chiamata.
«Sto venendo a Bradford», esclamò Harry velocemente, come se pronunciare quelle parole potesse essere un sollievo ben più intenso di quello immaginato.
Udì dei rumori indistinguibili ed un respiro più profondo. «Harry?» domandò l'amico dall'altra parte della cornetta, con un tono confuso e stupito.
Lui non rispose e si accese un'altra sigaretta, senza nemmeno aver terminato del tutto la precedente.
«Hai cambiato idea», sussurrò Zayn. Non gli chiese perché, né cercò spiegazioni riguardo l'ora tarda: sapeva che non avrebbe ricevuto una risposta esauriente, che poteva tranquillamente immaginare da sé.
«No», lo contraddisse Harry, come punto sul vivo. «Non lo so», si corresse subito dopo, abbassando la voce. Non riusciva ancora a capire quale fosse il suo reale obiettivo, ma sentiva l'istinto irrefrenabile di tornare.
«Lei lo sa?»
Harry chiuse gli occhi e trattenne il fumo un po' più a lungo.
«No».
«M-»
«Devo andare», lo interruppe. «Tieni la bocca chiusa», lo ammonì senza traccia di durezza, ma come alla ricerca di una promessa.
Attaccò la chiamata senza aspettare una risposta, senza volerla.



6.43 am

Quando parcheggiò in una delle vie familiari di Bradford, il cielo si stava schiarendo, grazie all'alba che presto avrebbe segnato l'inizio di una nuova giornata, ed era macchiato da nuvole spesse e scure, minacce di un temporale imminente.
Aveva accostato lungo una strada non molto trafficata, che aveva scelto con accuratezza per qualsiasi evenienza: non sapeva a cosa sarebbe andato incontro e con quale reazione avrebbe dovuto confrontarsi, quindi preferiva avere una scappatoia nascosta a tutti.
Era stanco: faceva fatica a tenere gli occhi aperti, perché il sonno era più di quanto avesse sperato e perché l'attesa non migliorava la situazione. Ancora seduto all'interno della sua auto, aveva abbassato di poco il sedile in modo da poter raggiungere una posizione più confortevole: l'abitacolo sapeva di fumo e probabilmente anche i suoi vestiti.
Sperando di potersi abbandonare ad un riposo anche stentato, impostò la sveglia sul cellulare quasi scarico e chiuse gli occhi. Aveva ancora una quarantina di minuti e doveva a tutti i costi fingere che non fossero nemmeno un secondo.
Quaranta minuti.
Un battito di ciglia.



7.21 am

Il segreto era prefissare piccoli e ciechi traguardi.
Harry cercava di non pensare a quale fosse lo scopo della sua presenza lì, delle sue gambe tese e delle borse sotto gli occhi socchiusi. Piuttosto, passava il tempo a concentrarsi sugli obiettivi che l'avevano portato dove adesso si trovava: scendere le scale di casa, raggiungere l'uscita dell'autostrada e non addormentarsi. Fare benzina, trovare parcheggio a Bradford e sentire la sveglia. Insipide tappe che lo aiutavano a distrarsi, a rimandare l'inevitabile consapevolezza della sua volontà, che presto o tardi l'avrebbe colpito in pieno.
Così, anche in quel momento, si ostinava ad aspettare il rumore di passi a lui familiari e non la persona alla quale appartenevano. Solo un rumore, una prova che poteva concedergli il beneficio del dubbio ancora per minuscoli ed insignificanti istanti, ma che almeno gli lasciava ancora del tempo. Una prova che lo teneva un po' più lontano dal suo reale obiettivo, ma non troppo.
Appoggiato ad un traliccio in legno alto quasi quanto lui, Harry si sosteneva con la spalla sinistra al palo robusto dell'elettricità, posto all'angolo della via: le strade erano deserte ed il freddo pungente. Era questione di minuti, ormai, ma gli sembrava di essere in quella posizione da mesi e la sua tolleranza stava cedendo.
Per placare l'agitazione, recuperò l'ennesima sigaretta e cercò l'accendino nelle tasche dei suoi blue jeans. 
Accadde all'improvviso.
Tanto concentrato nell'attesa di quei passi, il fiato gli si mozzò in gola, quando a precederli fu un profumo. Lo ricordava più intenso e forse più delicato, ma non gli importava, perché la sensazione che ne derivava era sempre la stessa e lui non era pronto a scoprirlo.
Restò immobile, come pietrificato nel ricordo che aveva riscoperto tanto attuale.
Emma sbucò alla sua sinistra, dall'angolo della strada ed in silenzio, proseguendo verso il marciapiede opposto senza notare la sua presenza. Aveva legato i capelli in una coda alta, lasciando scoperti il collo sottile e le orecchie occupate dagli auricolari dell'iPod, e ad Harry sembravano di una tonalità più chiara: spontaneamente strinse i pugni con delicatezza, come se fossero stati immersi tra quegli stessi capelli. Con le iridi indecise e caute, si soffermò sul suo corpo minuto e su ogni particolare che potesse carpire nell'arco di qualche istante: ripercorse le gambe snelle fasciate da un paio di jeans scuri, ricordando quando per la prima volta le aveva strette e marchiate. Si chiese quanto pesasse il suo zaino su quelle spalle cosparse di lentiggini, che forse portavano ancora l'impronta dei suoi baci. Le osservò le mani, con le dita affusolate e avide, cercando di sentirle ancora su di sé.
E poi lei scomparve dalla sua visuale, nascosta dal muretto di recinzione della villa che stava costeggiando. Harry sbatté più volte le palpebre e arrivò a dubitare di quel momento, come se avesse potuto essere un'allucinazione dettata dalla stanchezza: era successo tutto così in fretta, da non lasciargli nemmeno il tempo di realizzare di averla avuta di nuovo a nemmeno un metro di distanza, di aver di nuovo respirato il suo profumo, di aver posato gli occhi su ciò che per mesi era stato il loro soggetto preferito.
Eppure quella era la realtà ed Emma non era più sua: era convinto dell'intensità dei sentimenti racchiusi nel suo cuore giovane e caparbio e sapeva che non potevano essersi affievoliti molto, da quando si erano separati. In quel momento, sarebbe stato così facile raggiungerla mentre si dirigeva a scuola, sempre allo stesso orario, e bloccarla per un polso, come innumerevoli volte era già successo; sconvolgerla di nuovo, obbligarla ad accettare ancora una volta la sua presenza ed il suo significato. Sarebbe stato dannatamente facile, ma era proprio quello il problema.
Sospirò sonoramente e serrò la mascella, i pugni, il cuore, come per resistere alla punta di dolore che lo stava infastidendo. La sigaretta ancora spenta gli cadde distrattamente a terra, lui la prese a calci con rabbia e si voltò con una mano tra i capelli.



3.12 pm

Non era tornato per lei, ma per se stesso.
Continuava ad essere egoista ed anche stronzo, come Emma l'avrebbe sicuramente definito, ma non riusciva a trovare traccia di altruismo nel suo gesto. Non che se ne fregasse, perché Dio! avrebbe pagato affinché fosse così, ma quella smania di mettere piede a Bradford era dettata solo dal nodo in gola che sentiva e che non riusciva a mandare via.
Emma gli mancava. Gli mancava in un modo che lo faceva incazzare terribilmente e che lo rendeva nervoso ad ogni ora della giornata. All'inizio aveva pensato o sperato che la lontananza ed il tempo avrebbero potuto essergli d'aiuto, che l'amore mai nato lo avrebbe spinto a dimenticarla un po' più velocemente, ma aveva dovuto presto ricredersi e maledirla.
Quindi eccolo lì, dopo tre mesi e con un nuovo appartamento a Bristol, appostato di fronte alla Haltow High School in attesa di rivederla: aveva lasciato l'auto ad un isolato di distanza, sicuro che Emma avrebbe potuto facilmente riconoscerla ad una prima occhiata, e si era seduto su una panchina dall'altra parte della strada.
Sapeva che avrebbe avuto soltanto pochi secondi per prendere una decisione e non sapeva cosa avrebbe scelto, una volta che l'avesse vista uscire dai cancelli. Le possibilità erano solo due: presentarsi a lei o scomparire di nuovo, senza nemmeno essere ricomparso.
Presentarsi, e poi? Chiederle di parlare o magari urlare direttamente? Baciarla per mettere a tacere quella mancanza che proprio non riusciva a sopportare? Gettarsi nuovamente in una relazione masochista che avrebbe continuato a ferirli per chissà quanto tempo, prima di poter essere considerata giusta? Baciarla di nuovo?
Scomparire. 
E poi?
I primi studenti iniziarono ad uscire dalle porte della scuola con una stanca euforia a rallegrare i loro volti adolescenziali. Harry respirò profondamente e si alzò in piedi, assottigliando gli occhi per vedere meglio a metri di distanza e tra la folla che si ingrandiva sempre più.
Emma comparve in lontananza mentre lui era distratto: la vide solo quando era già ai piedi delle gradinate, affiancata dai suoi soliti amici e da qualche altro compagno che non aveva mai visto. Stava ridendo liberamente, leggermente piegata su se stessa e con una mano a coprirle la bocca carnosa, quella che era in grado di pronunciare parole taglienti e sussurri arresi. Harry poteva persino ricostruire il suono della sua risata, in modo così dettagliato da non poter essere sicuro che fosse solo un ricordo: la ricordava bene, quell'ilarità che l'aveva sempre caratterizzata, così come avrebbe potuto disegnare il movimento delle sue labbra ad ogni sorriso o ad ogni guizzo di capricciosa stizza.
Vederla così spensierata lo paralizzò, anche se probabilmente era solo un momento, anche se probabilmente era solo una maschera con la quale voleva difendersi. E forse era per questo che non l'aveva mai cercato durante quei mesi. Forse si stava aggrappando a quei sorrisi per dimenticarlo e per andare avanti. Forse era troppo orgogliosa e forse aveva troppa paura. Non poteva credere che se lo fosse davvero lasciato alle spalle, perché semplicemente non sarebbe stato possibile: Emma viveva con una tale intensità, da risentirne per diverso tempo a seguire, ed Harry sentiva che quel tempo non era ancora giunto al termine.
Distolse lo sguardo come se fosse appena stato ferito e si voltò trattenendo il respiro. 
I primi passi furono così pesanti e difficili da spingerlo quasi ad arrendersi.
Eppure, mentre si allontanava, capì di non essere poi così egoista e che, probabilmente, camminare via da lei e da tutto ciò che insieme avrebbero rappresentato sarebbe stato il gesto più altruista che avrebbe mai potuto regalarle.



4.02 pm

Casa di Zayn era un po' più piccola di quanto ricordasse, ma sicuramente più disordinata. 
Harry era seduto sulla sedia girevole accanto alla sua scrivania, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia ed i capelli disordinati a coprirgli la fronte corrugata. Zayn, invece, era sdraiato sul letto disfatto, con la schiena appoggiata ad un cuscino contro la testiera: i suoi occhi erano sicuramente fissi sulla figura imprevista dell'amico e sicuramente non cercavano di nasconderlo.
«Piantala», lo ammonì Harry, senza muoversi di un millimetro.
«Non sto facendo niente», ribatté l'altro, con falsa innocenza.
«Mi stai guardando», asserì con sicurezza.
«E tu sei seduto lì da un quarto d'ora, senza aprire bocca. È la mia camera, quella è la mia sedia e ho dovuto mentire alla mia ragazza per stare qui con te, quindi ho tutto il diritto di guardarti e di cercare di capire che diavolo ti passi per la testa», spiegò Zayn con calma studiata. Lo stava testando, provocandolo fino al punto di rottura.
Harry sbuffò e si abbandonò contro lo schienale della sedia, passandosi le mani tra i capelli, ma non rispose: sapeva resistere alle disperate tentazioni di un vecchio amico.
«Perché non le hai detto che sei qui? Perché non le hai parlato?»
«Per dirle cosa?» sbottò lui, gesticolando.
Zayn lo osservò in silenzio, per niente turbato dalla tensione contro la quale doveva confrontarsi. «Sei tornato, Harry», gli fece presente, come se non lo sapesse. «Hai guidato per tre ore e mezza in piena notte e l'hai praticamente seguita, nemmeno fossi uno stalker. Ci sarà pur qualcosa che ti ha spinto a fare tutto questo, qualcosa che potresti dirle».
Udire quelle parole gli provocò una strana sensazione, quasi non avesse ancora compreso ciò che era successo nelle precedenti dodici ore, nonostante le avesse vissute in prima persona.
«No, perché non è chiaro nemmeno a me», mormorò.
«Non ti sei messo in quella macchina con l'intento di riprendertela?»
Harry si morse un labbro e deglutì a vuoto. «No», disse a bassa voce. «Volevo solo... Vederla», continuò. La sua sincerità era difficile da compromettere, anche quando finiva per ferire se stesso per primo: non si era prefissato alcuna intenzione, come credeva Zayn, perché non era in grado di averne una certa e che potesse sentire giusta fin nelle ossa. Aveva semplicemente dato ascolto al suo istinto, che lo implorava di andare da lei anche solo per un istante: quello che ne sarebbe conseguito era un'incognita che non riusciva a risolvere. I motivi che lo avevano spinto ad andarsene erano ancora presenti, nulla era cambiato, quindi non poteva compiere una scelta priva di basi.
«E quando l'hai vista-»
«Mi sembri un fottuto psicologo», lo interruppe Harry, massaggiandosi il viso con le mani.
Zayn restò in silenzio, con una sottintesa soddisfazione ad aleggiargli negli occhi bruni, e aspettò che il resto venisse da sé.
«Vuoi sapere se vorrei tornarci insieme? Certo che lo voglio», esclamò esasperato, con la voce un po' più alta. «E sì, quando l'ho vista ho avuto voglia di andare da lei e di... Ma non posso, capisci?» Fece una pausa, determinata da un respiro profondo: il suo discorso era risultato sconnesso e lo infastidiva il non riuscire ad esprimersi al meglio. Scosse la testa e attese qualche istante, prima di riprendere. «Vorrei essermi reso conto di amarla, durante questi mesi, lo vorrei con tutto me stesso, ma non è successo. E non sono sicuro che potrei mai farlo: con che coraggio dovrei tornare da lei senza esserne certo? Le farei di nuovo del male o forse no, ma non voglio... Rischiare», concluse in un sussurro.
«Quando vi siete lasciati non la pensavi in questo modo», gli ricordò Zayn, senza alcuna critica nell'intonazione.
Harry sospirò ancora una volta, irrequieto. «Perché è più complicato di così», gli spiegò. «Lì si trattava di continuare una storia, mentre ora si parla di ricominciarne una. E per farlo ci vogliono delle basi, delle convinzioni. Invece io so che ci sono troppe differenze tra di noi e che non riusciamo a conviverci, quindi qualsiasi altra cosa io possa sentire non basta. Non basterebbe nemmeno a lei».
Emma l'aveva rifiutato anche quando non se ne era ancora andato, anche quando la stava implorando a modo suo di non lasciarlo, quindi perché avrebbe dovuto accoglierlo dopo tre mesi di silenzi? La sua indole l'avrebbe sicuramente messo in dubbio e ne avrebbe sofferto, cosa che Harry non voleva più permettere che accadesse. 
Forse avrebbe dovuto dire a Zayn che non solo Emma rischiava di soffrire, che la loro lontananza l'aveva fatto a pezzi in modo subdolo e lento. Forse avrebbe dovuto dirgli che il dolore che provava e che lo portava a guidare per ore nel mezzo della notte era molto diverso da quello che affliggeva Emma: perché lei gli aveva precluso una possibilità, gli aveva deliberatamente impedito di sentire qualcosa in più nei suoi confronti. L'aveva portato a tanto così dal cedere completamente, facendogli bramare un calore che sentiva in modo sempre più marcato in attesa di esserne logorato, per poi sottrargli qualsiasi speranza già labile. Lo aveva lasciato insoddisfatto, negandogli una speranza che fino ad allora aveva alimentato con ardore.
Forse avrebbe dovuto dirgli che anche lui non voleva più rischiare di soffrire.
«Va bene», esclamò piano Zayn, osservandolo attentamente.
Harry annuì lentamente, tornando ad appoggiare i gomiti sulle ginocchia e nascondendo il viso tra le mani.
«Già», sussurrò flebilmente. «Va bene». 





 


Surprise!! (Più o meno ahah)
Avevo detto che avrei scritto questo missing moment ed eccolo qua, anche se dire che non mi piaccia è un eufemismo....
Ma insomma, tralasciamo le mie solite paranoie mentali e passiamo ad un piccolo commento: spero davvero di avervi fatto entrare almeno un po' nella testa e nei sentimenti di Harry, anche se ho qualche dubbio. Per me è stato difficile scrivere dal suo punto di vista, perché è come se lui fosse chiuso anche con se stesso (un esempio è il suo ostinato tentativo di non pensare al fatto di essere lì per Emma): insomma, mi sembra di non aver reso chiaramente ogni suo pensiero, perché lui stesso è confuso a riguardo e perché è un personaggio che si fa odiare per quanto è complicato nella sua semplicità!
Posso già anticiparvi che Emma non verrà mai a sapere di questo episodio: Harry non ne farà mai parola! Voi cosa pensate del suo comportamento e della sua scelta? Avrebbe dovuto fare diversamente? Oppure per una volta ha fatto qualcosa di corretto? Insomma, fatemi sapere i vostri pareri, perché ci tengo molto :)
Ah, volutamente non ho voluto raccontare la sua vita a Bristol: voi non sapete niente di lui, ora come ora, e dovrete aspettare che Harry stesso ne voglia parlare :) Questo capitolo è solo uno sprazzo di vita, un momento significativo, che non mi sembrava il caso di appensantire con raccontoni infiniti sulla sua nuova vita!
Spero davvero che vi sia piaciuto e che mi rivolgerete qualsiasi critica/apprezzato vi sentiate in dovere di farmi presente!

PS: i versi iniziali sono della canzone dei Fun "Out on town", che ho ascoltato recentemente e che ho collegato subito a questo missing moment!


Vi lascio tutti i miei contatti: ask - facebook - twitter 

Un bacione,
Vero.

 
 
  
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