Film > The Avengers
Ricorda la storia  |       
Autore: Sheep01    12/10/2014    5 recensioni
E dire che gli mancavano meno di tre mesi alla pensione. Meno di tre fottutissimi mesi. Aveva programmato tante di quelle cose da fare per soffocare l’angoscia di finire come tanti ex colleghi che andavano a smaltire gli ultimi, pigri anni di vita in qualche bettola, a sfondarsi lo stomaco di whisky a giocare a carte, a raccontare le storie dei bei tempi andati, a lamentarsi del tempo e del degrado della gioventù odierna. E invece guarda un po’ che cosa gli doveva capitare.
Una di quelle robe che era sicuro di non aver visto nemmeno in Vietnam quando non era che un ragazzino irascibile, strafatto di canne. Morti ne aveva visti tanti, certo. Morti che ritornavano in vita e sembravano guardarti come fossi un cheeseburger, proprio mai.
---
Atlanta: un misterioso esperimento scientifico si conclude bruscamente con un incidente dalle conseguenze inaspettate.
Nel giro di pochi giorni, un'epidemia mondiale prende a serpeggiare per il paese, cominciando a decimare la popolazione...
Genere: Avventura, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Disclaimer: Tutti i personaggi citati non mi appartengono, ma sono proprietà Disney e Marvel.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

 

Prologo

 

Atlanta, Georgia

 

Erano le ventitré e trenta di un mercoledì di fine aprile.

La serata era fresca e portava il profumo delle rose piantate tutt'intorno al piazzale dei laboratori di ricerca scientifica.

Il dottor Bruce Banner non riuscì a fare a meno di pensare che il suono dello sblocco dell'allarme della sua vecchia Opel si diffondeva come la serena promessa di un rientro, piuttosto che come un'eco che andava a disperdersi nella desolazione di un parcheggio notturno.

Non aveva fatto altro che pensare a Betty per tutto il giorno. Al fatto che avrebbe tardato, di nuovo, per via di quel nuovo progetto governativo.

Non avrebbe avuto particolari problemi ad affrontare straordinari più o meno massacranti, ma dal giorno in cui aveva scoperto che la moglie aspettava un bambino, i suoi ritmi di vita avevano subito una brusca virata e il pensiero di lasciare a casa da sola una donna al sesto mese di gravidanza, adesso gli dava una certa preoccupazione.

Tirò fuori il cellulare e lo fece squillare un paio di volte, prima che, dall'altra parte della cornetta, rispondesse un'assonnata voce femminile.

“Ehi, Bruce...”

“Ti ho svegliata?”

“No... mi ero solo assopita di fronte alla televisione. Dove sei?”

“Sto tornando a casa...”

“Oh, bene... così ceniamo insieme.”

“Non hai mangiato?” si preoccupò immediatamente, un braccio appoggiato al tettuccio della macchina e la mano a massaggiarsi gli occhi stanchi.

“No, lo sai che non mi piace mangiare da sola”

“Farò il prima possibile allora. E' andato tutto bene oggi?”

“Tutto bene...” riuscì a percepire il sorriso di lei dal suo tono di voce e ne fu rassicurato, “a parte le caviglie gonfie e il fatto che sdraiata sul letto sembro una balena spiaggiata.”

“Dovremmo proprio levare quello specchio dalla camera da letto.”

“Perché mai? Lo sai quanto ami l'autocommiserazione.”

Bruce sorrise e si lasciò scivolare di dosso il mal di stomaco che non lo aveva lasciato un solo istante da quella mattina. Come se percepisse un disastro imminente o, nello specifico, che qualcosa andasse storto nella gravidanza. Preoccupazioni più che giustificate, gli avevano assicurato. Lui però non riusciva ancora a farci l'abitudine.

“Dai papino, torna a casa... ho bisogno di un massaggio ai piedi.”

“Sarò lì prima che tu riesca a dire: massaggio ai piedi.”

“Allora dovrai muoverti... ho la lingua veloce.”

Riattaccò la cornetta che ancora stava ridendo, prima di scivolare nella sua macchina, assaporare la comodità del sedile della sua vecchia Opel Corsa e... rendersi conto di aver dimenticato la cartelletta con gli appunti che aveva intenzione di esaminare, quella sera stessa, prima di andare a dormire.

“Merda...” sospirò, accasciandosi per un solo istante per recuperare energie in vista dell'ultimo, inutile sforzo della serata, maledicendosi per la dimenticanza. Avrebbe potuto fregarsene, richiudere la portiera di quella maledetta macchina, ingranare la prima e sgommare lontano da quel luogo che risucchiava le sue giornate come un vampiro. Invece riemerse da quell'auto - che si augurò avrebbero finalmente sostituito con qualcosa di più pratico quando sarebbe nato il piccolo - e tornò sui suoi passi per rientrare nei laboratori.

Salutò di nuovo Ralph, il guardiano di notte, intento a guardarsi la replica di qualche film in bianco e nero in seconda serata e di nuovo su per gli ascensori deserti.

Fece scivolare il badge nel lettore e la porta del suo ufficio si aprì, rivelando una scrivania talmente incasinata da fare concorrenza a quella dei suoi anni del college in periodo d'esami. Non era cambiato poi molto da quegli anni, a parte le striature grigie che avevano preso ad invadergli la testa. Ad altri era andata peggio: erano diventati calvi.

Fece un cenno al tecnico di laboratorio che stava uscendo da una delle porticine adiacenti.

“Straordinari stasera, Bannerino?”

“Non scherziamo, Neil... ho solo dimenticato una cosa.”

“Allora buona serata e saluti alla signora.” con l'aggiunta finale di un colpo di tosse.

“A te...”

Bruce frugò a lungo fra le scartoffie, prima di trovare i suoi appunti e, dopo essersi ripromesso che il giorno dopo avrebbe fatto ordine, fu pronto per tornare veramente a casa.

Richiuse i cassetti rimasti aperti e si infilò la cartellina sotto al braccio quando un rumore sordo simile a quello di un corpo che cade, fuori dal suo ufficio, non catturò la sua attenzione.

“Neil?” indagò allungando il collo. Si sporse nel corridoio trovandolo deserto: il bagliore accecante delle luci artificiali nel candore di due pareti asettiche. Tutt'intorno, il silenzio.

Spense la luce del proprio ufficio e ne uscì non del tutto persuaso di esserselo solo sognato.

“Neil... sei tu?” di nuovo nessuna risposta.

Fu solo quando gli parve di percepire un prolungato lamento, che non riuscì più a catalogare l'episodio come frutto della sua immaginazione.

“Neil? Ti sei fatto male?” andò cauto verso il laboratorio in cui aveva catalogato e esaminato provette per tutto il pomeriggio assieme al suo team di scienziati. Sbirciò attraverso i vetri senza trovare traccia alcuna del collega. Le luci della stanza ancora accese, i macchinari di sperimentazione ancora in esecuzione.

“Dannazione Neil, non ho tempo di stare a giocare...” sibilò, mentre la sua coscienza gli impediva comunque di fregarsene. Avrebbe dovuto chiamare la sorveglianza e fargliela pagare a modo suo a quell'imbecille di Neil, ma qualcosa lo spinse a estrarre di nuovo il badge e aprire la porta del laboratorio senza starci a pensare due volte.

“Non ho voglia di scherzare”, annunciò, la voce che cercava di essere minacciosa o quantomeno di far capire che non era affatto in vena di stupidaggini e di certo neanche di subirne. Neil era una di quelle persone che spesso e volentieri si facevano beffe di lui, solo per rimarcare quanto buona fosse la sua indole. Ma erano finiti gli anni del liceo ed erano finiti gli anni in cui si faceva deridere dai compagni per essere solo colpevole di avere una mente troppo sveglia e una predilezione agli studi. Neil doveva essere dalla sua parte, invece, a quanto pareva, i cazzoni non smettono mai di saltare fuori in qualsiasi fase, in qualsiasi ambiente della tua vita.

Si guardò attorno senza trovare niente di particolarmente anomalo, il nervosismo che risaliva stizzito a tormentarlo come e più di quello stesso pomeriggio. Non aveva veramente tempo per quelle stronzate, doveva accantonare quella sua stupida premura, tornare a casa dalla sua Betty, aiutarla con la cena, farle quel massaggio ai piedi che...

… di nuovo quel lamento.

Un lamento prolungato, innaturale tornò a reclamare prepotentemente la sua attenzione. A infrangere il monotono ronzio dei macchinari, a serpeggiargli lungo la schiena in un brivido d'inquietudine.

Sentì l'agitazione tramutarsi in qualcosa di meno terreno, più viscerale. Un formicolio alla base del collo a scandire il battito improvvisamente inquieto del suo cuore.

“N-Neil... ?”

Dovette aggirare il tavolo di metallo in mezzo alla stanza, per vederlo. Lo trovò riverso al suolo, il camice sparpagliato tutt'intorno.

“Cristo santo!” la razionalità aveva improvvisamente scacciato la paura e in un attimo gli fu accanto, cercando di comprendere quale fosse la natura del suo evidente malore. Erano giorni che gli sembrava afflitto da un gran brutto raffreddore ma da qui a svenire…

“Neil, mi senti? Neil?” cercò di rigirarlo nella sua direzione, con cautela, per capire se ancora stava respirando, quando si sentì afferrare per la gola dalla stretta innaturale della sua mano.

“C-cazzo!” cercò di divincolarsi senza particolare successo. L'uomo sembrava aver acquisito una forza del tutto fuori dal comune. Sentì la gola scricchiolare sotto la sua presa e non parve comprendere lo stato di cose finché non riuscì, finalmente, a scorgere il suo viso.

Sfigurato, pallido, gli occhi arrossati, lo sguardo spento, ma più di tutto furono le sue labbra e lo schiocco di quei denti che battevano mostruosamente, con la chiara intenzione di raggiungerlo per fare Dio solo sapeva cosa.

Bruce riuscì ad assestargli un calcio, proprio alla base del petto, riuscendo a liberarsi.

Si rimise in piedi, solo per rendersi conto che anche quello pseudo Neil lo stava facendo, e con una velocità tale che lo costrinse ad arretrare in rapida sequenza.

“Che cazzo ti prende?!” esclamò irrazionalmente. Aveva compreso, nel momento stesso in cui lo aveva guardato negli occhi che Neil era partito per la tangente.

Cercò di guadagnare la porta, con la chiara intenzione di rinchiuderlo lì dentro e chiamare, finalmente la sicurezza, ma l'uomo lo aveva di nuovo raggiunto. Un colpo sordo alla schiena e Bruce barcollò di lato, aggrappandosi in ultimo a uno dei tavoli da lavoro. Non poté fare altro che trascinarselo dietro in un fracasso di vetri infranti e lo sfrigolio metallico di macchinari elettronici. Gli crollò addosso tutto. E il suo viso, i suoi vestiti, i capelli striati di grigio furono ben presto inzuppati della mistura puzzolente di quel progetto ancora in fase di sperimentazione.

Non capì esattamente la dinamica di ciò che accadde dopo.

Il mondo si era fatto improvvisamente oscuro, il rumore dello schiocco delle ganasce di Neil era troppo vicino e la puzza di fumo aveva preso a invadere la stanza.

Avvertì una lacerazione alla base del collo, qualcosa di così doloroso che invece di farlo gridare gli strappò un silenzioso singulto.

Il suo corpo si irrigidì e quella sensazione allo stomaco divenne improvvisamente il fulcro di tutte le sue preoccupazioni.

Betty.

Casa.

Cena.

Massaggio ai piedi.

Betty.

Il bambino.

L'olezzo marcescente di una carogna che andava a male.

Alzò un braccio e la sua mano andò a stringersi attorno alla testa del fu collega.

Aprì gli occhi, mentre una furia cieca gli ottenebrava la mente.

Le ganasce ancora lì, una voragine oscura che voleva soggiogarlo.

Ma non glielo avrebbe permesso. Doveva tornare a casa.

Tornare dalla sua Betty, tornare dal suo bambino...

Serrò la presa attorno al cranio di Neil che ora sembrava così minuscolo, così misero, fra le sue mani, così fragile...

Si spezzò con uno schiocco liberatorio, lasciando schizzare a terra frammenti di ossa e materia cerebrale.

Bruce si rimise a sedere... e mentre le sirene dei laboratori scandivano l'orrore di quella sera di fine aprile, il ruggito del mostro scacciò l'ultimo stralcio di coscienza a cui lo scienziato si stava tenacemente aggrappando.

 

__

 

 

Note:

Ebbene sì. Mi sono data all'horror (più o meno). Qualcosa che vede coinvolti quegli strani esseri notoriamente chiamati zombie, ma che poi assumono connotazioni diverse a seconda del racconto che si vuole farne. Ed ecco... il mio non è che uno pseudo omaggio al genere. Un po' seguendo l'ispirazione di quel telefilm tanto di moda (e che ricomincia stasera!) sugli zombie. Un po' perché, complici le mie letture estive Stephen Kinghiane mi sono lasciata ispirare (non sono nemmen degna di allacciargli le scarpe, s'intende) da quel suo gran lavoro che è L'Ombra dello Scorpione. Quindi seguendo una mistura esplosiva di pensieri, ecco che è uscito fuori qualcosa che ricalca il tema di un mondo provato da visioni post apocalittiche ma che vede coinvolti i nostri Avengers... perché in questo tipo di storie, più che la dominante horror ci si concentra sulle persone. Su come cambia la visione del mondo e come la razza umana persevera a sopravvivere, a stringere legami, nonostante tutto.

Ringrazio Sere, al solito, perché con i miei deliri su The Walking Dead (e Daryl Dixon ahem), le ho fatto una testa tanta che alla fine l'ho convinta a vederselo. La storia, premetto, ha cominciato a leggersela prima di vedere suddetto telefilm, e quindi tanto di cappello. E un bacione.

Detto ciò, spero apprezzerete lo sforzo, perché è veramente la prima volta che mi cimento con il genere.

Pubblico il primo capitolo come regalo a me stessa. Perché oggi ho finito un lavoro particolarmente impegnativo che ha risucchiato tutte le mie energie del periodo. E una pausa per questo modestissimo hobby, me la volevo concedere. Chiamiamola la mia sigaretta celebrativa. Non fumo, ma pubblico fanfiction (che culo eh?).

Nel prossimo capitolo troveremo il resto della banda. Quindi la smetto di dilungarmi e... alla prossima (se lo vorrete) e che King me la mandi buona e senza mostri sotto al letto.

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Sheep01