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Autore: PapySanzo89    12/10/2014    5 recensioni
Seguito di "Definisci il tuo posto intorno a me".
Sherlock Holmes ha problemi con la droga e John, finalmente, se ne accorge.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Beta: Yoko Hogawa

Seguito di:

Definisci il tuo posto intorno a me

Storia: Si svolge dopo la seconda puntata della terza stagione, la terza puntata non verrà presa in considerazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

On my own, pretending he’s beside me

And when I lose my way I close my eyes, and he has found me

Without him, the World around me changes,

The trees are bare and everywhere the street are full of strangers

I love him but everyday I’m learning all my life I’ve only been pretending!

Without me, his world will go on turning,

A world that’s full os happyness that I’ve never know!

I love him, but only on my own.

 

Les Miserables –On my own

 

 

 

 

 

 

John cammina a grandi passi nel soggiorno di casa sua con le mani dietro la schiena e fissa nervoso fuori dalla finestra la pioggia che cade placida. Sente come se ci fosse qualcosa che lo disturba ma nemmeno lui riesce a capire cosa questa sensazione sia. Si sente... irrequieto. Forse è la parola giusta, si sente come se dovesse fare qualcosa ma non la sta facendo, e questo lo infastidisce.

 

Ha finito tutto ciò che c’era da fare per l’arrivo della bambina (non hanno ancora scelto il nome, ce ne sono troppi, troppo banali, troppo scontati), ha dipinto le pareti della camera di un tenue giallo, è andato a comprare il seggiolino e delle tutine (aiutato da sua moglie, il solo pensiero di comprare da solo tutine per bambini gli faceva capovolgere lo stomaco e il cuore), si è informato sul latte in polvere migliore in circolazione nel caso Mary non possa allattare (e lei gli ha dato del iettatore, esortandolo a farla finita o pancione o meno lo avrebbe sbattuto fuori di casa a calci) e ora che ha finito, ora che non ha più nulla per la mente, è diventato tutto troppo tranquillo. Mary non partorirà prima di un paio di mesi, e lui non vede Sherlock da una vita.

 

Blocca il proprio passo e si ferma in mezzo al soggiorno e gli sembra quasi di avere una sottospecie di realizzazione. Ecco cos’è che lo fa innervosire e lo infastidisce: il non vedere Sherlock.

Evita di dirlo ad alta voce, evita quasi di ammetterlo persino a se stesso, ma diavolo, lo ha creduto morto per due anni e ancora adesso fatica a rendersi conto che sia davvero lì, vivo e vegeto, e il non sentirlo gli fa solo crescere l’ansia, la sensazione che in realtà tutto quello sia soltanto una sottospecie di sogno da cui si sveglierà per ritrovare la sua vecchia vita e nuovamente Sherlock morto. Sperava che la sensazione sarebbe svanita prima o poi, sperava che occupandosi di altro avrebbe iniziato a rendersi conto che, anche se non si vedevano costantemente, la cosa era normale. Invece pare che la cosa lo preoccupi -non può fare a meno di preoccuparsi per Sherlock- e il fatto davvero preoccupante è che Mary pare saperlo. Lei sa sempre tutto.

 

“John...” le dice infatti lei, seduta sulla poltrona mentre tenta di leggere un libro, distratta però dal marito che cammina e sbuffa come un toro per il soggiorno. “Stai tentando di buttare giù la casa a suon di sbuffi?” Beh, forse questa cosa non la sa, in fin dei conti.

 

John scuote la testa e finisce col stendere le labbra in un sorriso. “No, scusa, pensavo a Sherlock. Non lo vedo da una vita.”

 

Mary chiude il libro tenendo il segno con l’indice e inarca un sopracciglio, sorridendo “Sarà passato a malapena un mese.”

 

Quarantadue giorni, la corregge mentalmente e si stupisce da solo di aver tenuto conto senza essersene nemmeno accorto. Si ritrova ad annuire e continua a camminare per il soggiorno. Fuori impervia un diluvio che sembra non voler smettere almeno per i prossimi dieci anni e l’umore di John pare conformarsi a quel tetro scenario.

 

“John...” Mary richiama nuovamente la sua attenzione e il marito si volta a guardarla. “Va’ da lui. Non capisco cosa tu stia aspettando.” Il marito la guarda e la sua espressione si fa quasi sorpresa. Mary rotea gli occhi e gli sorride con quella sua aria furbetta. “Non abbiamo nulla da fare, ci siamo portati avanti con i lavori per la bambina e non ho intenzione di tenerti in casa con un umore del genere. Fuori dai piedi!” dice ridendo ed indicandogli la porta. “E poi io e lei staremo benissimo, non credo intenda nascere così presto...”

 

John guarda la moglie e si chiede cosa dovrebbe fare. Sa che Mary non ha alcun tipo di problema a rimanere a casa da sola, ma comunque si fa qualche remora prima di decidere che sì, ha ragione lei e lui vuole vedere Sherlock. Almeno per sapere come stanno andando le cose, non si sentono più nemmeno per messaggio.

 

In realtà, gli dice una voce della sua coscienza, Sherlock gli ha scritto un paio di volte, ma lui è stato troppo impegnato per rispondere o dava risposte estremamente brevi che stroncavano la conversazione sul nascere.

 

Che merda di amico che sono, pensa, mentre prende la giacca, dà un veloce bacio sui i capelli di Mary e corre fuori dalla porta, salvo poi ricordarsi che piove a dirotto e allora torna indietro, prende un ombrello e inizia a correre lungo la strada.

 

***

 

Il muro in mattoni rossi di Baker Street gli appare davanti imponente e per un attimo si sente quasi in colpa per essere passato di lì solo ora. Gli sembra di non camminare in quella via da un tempo immemore e qualcosa di simile al dispiacere si fa strada nel suo petto.

Sbuffa fuori l’aria e apre e chiude il pugno della mano sinistra, sgranchendosi poi le dita.

Prende fuori le chiavi del 221B (non le ha mai restituite a Sherlock, lui non le ha mai chieste indietro e John non se l’è sentita di separarsene) e apre il pesante portone. La prima cosa che lo colpisce è uno sgradevole odore che non riesce ad identificare e alza gli occhi al cielo (sperando che Sherlock non abbia distrutto qualche mobile durante qualche suo esperimento), mentre la seconda cosa che nota è che la signora Hudson non è in casa. E così probabilmente Sherlock si è dato alla pazza gioia. Fantastico.

Sbuffa tra sé e sé sorridendo e scuotendo la testa: quell’uomo non cambierà mai.

 

Inizia a salire gli scalini con un sorriso divertito e l’odore acre si fa sempre più forte. Stupido, pensa John, avrebbe perlomeno potuto aprire le finestre. E poi d’improvviso ferma il suo passo a qualche gradino dalla porta d’ingresso, tendendo l’orecchio.

Nessun rumore esce dall’appartamento, l’odore di chiuso e qualcos’altro di altrettanto sgradevole è talmente forte che non è possibile che Sherlock sia rimasto lì senza pensare di far cambiare l’aria, sarebbe stato strano persino per lui, e quel silenzio è tutto fuorché rassicurante.

 

Gli ultimi passi li fa correndo e si affretta ad aprire la porta dell’appartamento, sbattendola con estrema forza e chiamando a gran voce il nome di Sherlock.

Sherlock che trova seduto in poltrona, con la pelle di uno strano colore che va ben oltre il pallido, la barba sfatta di diversi giorni, i vestiti spiegazzati e la manica arrotolata della camicia fin sopra il gomito, dove spunta un laccio ipodermico che John nota con un senso di oppressione all’altezza dello sterno.
Lo raggiunge in poche falcate e si china nella sua direzione, gli preme due dita contro la carotide ed una parte di lui ha talmente tanta paura di sentire il cuore di Sherlock non battere più che la sua mano inizia a tremare leggermente, finché le pulsazioni –lente, così lente- si fanno sentire e John crede che crollerà a terra per il sollievo e perché le ginocchia paiono non volerlo reggere più. Non si era nemmeno accorto che stava respirando quando è entrato, il petto che si alzava e abbassava quasi impercettibilmente. Ma non ha tempo di lasciarsi andare in quella maniera, ne avrà dopo, quando Sherlock si sveglierà e lui potrà farlo andare in coma con le proprie mani a suon di sberle.

Gli solleva le palpebre e controlla le pupille, tenta di svegliarlo con dei piccoli schiaffi e il suo mondo crolla quando, una parte di sé, realizza che lo stava per perdere. E lo stava per perdere davvero questa volta, sotto il proprio naso, di nuovo.

 

 

 

 

Sherlock è seduto sul divano, appoggiato a John che legge tranquillamente il giornale e ogni tanto fa una pausa per bere il suo caffè (che si sta raffreddando) e fargli qualche coccola. Sherlock all’inizio finge di essere infastidito dalla cosa ma alla fine, dopo diversi minuti, va a scontrarsi contro quella mano di sua iniziativa quando vede che John la sta ritirando e lo fa come se fosse l’unica cosa al mondo che vorrebbe fare. Per sempre.

John a quel punto ride, lascia cadere il giornale sul basso tavolino di fronte a loro e prende Sherlock per un fianco, portandoselo addosso.

 

“Sai, potresti semplicemente chiedere invece di fare il sostenuto.” gli dice, passandogli una mano tra i capelli e portandoglieli indietro in un gesto affettuoso.

 

Sherlock inarca un sopracciglio e sbuffa. “Non faccio affatto il sostenuto. Altrimenti non farei questo.” E detto ciò va a cingere il collo di John con le braccia e gli appoggia il viso nell’incavo fra lo stesso e la spalla, strusciando affettuosamente la guancia sul lembo di pelle lasciato scoperto dal maglione di John.

 

John ride e gli bacia i capelli, massaggiandogli con una mano la schiena. “Fortunatamente abbiamo trovato cosa fare quando ti annoi per la mancanza di casi. Sono quasi commosso di essere messo a confronto con un caso da otto.”

 

Sherlock in quel momento pensa che il caso potrebbe anche essere da dieci, ma che se dovesse fare una scelta tra il caso e John non avrebbe alcuna difficoltà a scegliere. Un caso complicato, che quasi nessuno al mondo (in fin dei conti non si può dimenticare di Mycroft) potrebbe riuscire a risolvere lo eccita in maniera indegna, gli fa lavorare il cervello e lo mantiene attivo per diverso tempo, facendo così in modo che il coma vegetativo dei restanti giorni non sia poi così insopportabile. Ma John… John con la sua sola presenza, la sua rabbia quando fa qualcosa che non va, i suoi gesti rassicuranti quando è stato ferito, le sue risate che iniziano sempre per prime quando fa una battuta sarcastica che nessun altro può o vuole capire, semplicemente John riesce a rendere tutte le giornate qualcosa di sopportabile. Quindi quale sarebbe la difficoltà nello scegliere?

 

Qualcuno bussa alla porta dell’appartamento e fa destare Sherlock dai propri pensieri mentre John alza la testa con fare interrogativo.

 

“Che sia un cliente?” domanda John e fa per alzarsi ma Sherlock lo tiene intrappolato giù con le braccia ancorate al busto. Ha una brutta sensazione all’altezza dello stomaco, qualcosa che gli fa pensare che no, quella porta non la vuole aprire.

 

“Se la signora Hudson non lo ha accompagnato vuol dire che è entrato senza permesso. Facciamo finta di non esserci e vedrai che se ne andrà.”

 

Il bussare si ripete, ma questa volta più forte.

 

John scocca la lingua contro il palato e lo guarda male, ma comunque sussurra. “Sherlock, ma che ragionamento è? Se è davvero qualcuno che si è introdotto senza permesso dovremmo fare qualcosa, e poi perché dovrebbe bussare? Non ha senso!”

 

Sherlock sa perfettamente che John ha ragione, ma semplicemente non vuole andare ad aprire la porta. Ha una sensazione orrenda alla bocca dello stomaco, e nonostante lui non creda assolutamente alle ‘sensazioni’ questa volta vuole dare loro ascolto.

 

Sherlock!” il consulente sbarra gli occhi e guarda John, che è ancora sul divano cinto dalle sue braccia, e quindi si domanda com’è possibile che la voce fuori dalla porta assomigli proprio a quella del suo blogger.

 

John si irrigidisce sotto le sua braccia e con un movimento quasi meccanico riprende il giornale in mano e torna a leggere. “Forse hai ragione tu.” mormora, “Forse non sono io la persona che deve andare ad aprire la porta, questa volta.”

 

Sherlock!” questa volta la voce urla e i colpi alla porta si fanno ancora più forti e una parte di lui ha quasi paura che il legno ceda sotto quelle percosse. E lui non vuole. Dannatamente non vuole.

 

“Sherlock, vai ad aprire.” Gli dice John, quello seduto accanto a lui, quello che si è fatto improvvisamente più distante, e Sherlock non vuole lasciarlo, non vuole abbandonarlo, non vuole alzarsi da quel divano. Vuole rimanere lì.

 

Ti prego, fammi rimanere, pensa, prima che i colpi alla porta diventino talmente forti e dal rumore talmente basso da fargli quasi rizzare i peli sulle braccia.

 

E poi John gli bacia i capelli, gli fa una carezza sulla guancia e dopo gliela bacia. “Vedi di fare il bravo questa volta.”

 

E la porta viene buttata giù.

 

 

 

 

Sherlock apre gli occhi, la vista è offuscata, gli sembra di avere qualcosa che assomiglia a un sottile strato di nebbia davanti a lui, ma la prima cosa che scorge oltre quel velo è il viso di John. John.

 

Oh, grazie a Dio, John. Pensava di averlo perso. Chissà cos’è successo.

 

“Sherlock!” la voce di John sembra sollevata e lui non capisce il perché, stavano così bene fino a poco prima, quale sarebbe il problema?

 

“Sherlock, giuro che ti ammazzo con le mie mani!” mh, una minaccia piuttosto sentita, ma non si ricorda di aver fatto nulla di male. Sente i passi di John allontanarsi e vorrebbe dirgli di non andare da nessuna parte, ma sente tutto il suo corpo pesante, quindi aspetta semplicemente che ritorni lì e lo faccia di sua spontanea volontà. Infatti i passi di John si fanno sentire pochi istanti dopo.

 

La nebbia che ha davanti pian piano si dirada e lui inizia finalmente a dare un contorno alle cose. Nell’appartamento c’è puzza di chiuso, le tende sono tirate e pochissima luce riesce a filtrare, illuminando a malapena il pavimento fino alla sua poltrona nera. Oh, quindi si trova seduto sulla poltrona di John, per quale motivo? È molto più scomoda della sua.

 

John torna nel suo campo visivo e gli porge un bicchier d’acqua. “Bevi!” le sue ultime frasi sono quasi tutte perentorie e probabilmente capirebbe il perché se la sua testa non fosse così pesante. Poi prende il bicchiere dalla mano di John e appena appoggia il vetro alle labbra si accorge di qualcosa che la sua psiche ha evitato di vedere con tutte le sue forze.

 

La fede di John.

 

Sherlock fa cadere il bicchiere e tutto ciò che il suo stomaco ha ingurgitato così com’è entrato ora sta uscendo, sporcando il tappeto sotto di sé e facendo imprecare John che corre via e torna con un panno bagnato che gli poggia sulla fronte mentre con un altro gli pulisce la bocca.

 

“Maledetto… maledetto bastardo. Cosa diavolo stavi pensando di fare?!” gli urla contro John, mentre gli passa il panno umido con delicatezza su tutto il viso e gli sposta i capelli dalla fronte.

Sherlock non risponde. Non ha davvero cosa dire. Cerca di spostare il viso da quei tocchi rassicuranti ma è troppo debole anche solo per fare un movimento e comunque John non sembra intenzionato a lasciarlo andare.

 

John, dal canto suo, è riuscito ad esaminare le braccia di Sherlock e gli è quasi venuto da piangere. Come, come diavolo ha potuto ridursi così in poco più di un mese? Cos’è successo che gli ha fatto prendere una decisione così stupida e pericolosa?

 

“Giuro… giuro che ti vorrei strangolare.” gli dice mentre torna di nuovo in cucina e sciacqua il panno, poggiandosi un attimo al lavello e stringendo i pugni, mordendosi la guancia, cercando di ricomporsi un attimo. Butta fuori l’aria e lascia che il suo stomaco assorba tutta l’ansia e il terrore che lo hanno colto quando ha visto Sherlock in quelle condizioni, poi torna nel soggiorno e poggia nuovamente il panno sul viso di Sherlock, che mormora qualcosa.

 

“Cosa?” chiede, perché non sente, ma sarà meglio per Sherlock che quelle siano delle scuse e che siano anche piuttosto convincenti.

 

“Vattene via.” mormora di nuovo Sherlock, ma questa volta la voce è più chiara. John ferma la sua mano e con quella si ferma tutto il suo corpo; stupidamente crede che anche il suo cuore si sia fermato per qualche istante ma poi una rabbia cieca lo pervade e si alza, gettando a terra la pezza bagnata.

 

“Puoi pure scordartelo.” Dice, con il tono di voce decisamente alterato, e va ad aprire le finestre per far cambiare l’aria. “Tu sei pazzo. Sei totalmente pazzo se pensi che ti lascerò in queste condizioni. Mycroft sta arrivando.” Perché è ovvio che l’abbia chiamato, che altro poteva fare?

 

Sherlock mugola qualcosa e John si volta a guardarlo. Guarda quella figura solitamente austera, solida e molto spesso brillante trasformata in un mucchio di vestiti sgualciti, pelle dal colore malato e del tutto ripiegato su se stesso, la testa ciondolante sul petto. John sente il cuore sprofondargli e lo stomaco contrarglisi. Torna da lui e gli solleva il viso, guardando quelli occhi solitamente di un azzurro brillante essere a malapena riconoscibili come suoi. Gli accarezza una guancia e tenta un sorriso che però non gli esce bene per niente. “Puzzi. Hai un odore terribile. Devi assolutamente farti un bagno.”

 

È evidente che Sherlock vorrebbe rispondere perché muove le labbra, ma niente esce da loro e John cerca di leggere il labiale ma è fuori allenamento e dubita che Sherlock stia pronunciando le parole correttamente. Forse sta addirittura delirando.

 

“Sei uno spettacolo pietoso.”

 

John a quella voce alza gli occhi e va ad incontrare quelli duri come il ghiaccio di Mycroft Holmes che sta guardando il fratello con una smorfia quasi disgustata. Infine si volta verso la porta d’ingresso a fa cenno a degli uomini di entrare. Come John non si sia accorto di nessuno di loro gli è ancora un mistero.

 

“Venite dentro e mettete a soqquadro tutto. Tutto. Non tralasciate nemmeno un angolo della casa.”

 

Gli uomini annuiscono e si dividono, chi salendo al piano di sopra chi entrando direttamente in cucina o in camera di Sherlock, fino a ché due di loro si avvicinano a John e gli chiedono di spostarsi cortesemente di parte, così da lasciarli lavorare.

 

John inarca un sopracciglio e guarda quelli che sono evidentemente due dottori avvicinarglisi, poi solleva gli occhi verso il maggiore degli Holmes che fa un semplice cenno d’assenso, così si leva dai piedi e guarda i medici sollevare Sherlock il più lentamente possibile e trascinarlo sul divano mentre lo stesso Sherlock cerca di divincolarsi, senza successo.

Si gira poi per riportare gli occhi su Mycroft che lo sta guardando di rimando con aria indecifrabile, questo almeno finché non sente un verso d’insofferenza e alza lo sguardo verso il fratello e allora la maschera che è solito portare s’incrina leggermente e John può vederci oltre tutta la stanchezza e la rassegnazione che il maggiore degli Holmes prova.

 

John non sa nemmeno cosa dire, si sente quasi a disagio al suo fianco e non ne capisce il motivo, non è mai stato così. Ma dice l’unica cosa che gli viene in mente in quel momento.

 

“Grazie per essere venuto.”

 

Gli occhi di Mycroft si spostano nuovamente su di lui e questa volta non gli cela quello che prova: delusione e sconforto.

 

“Grazie per avermi chiamato.” Per un po’ cala il silenzio e John pensa che non ci sia altro da dire, ma poi Mycroft continua. “Ero in viaggio di lavoro dall’altra parte del mondo, sono tornato questa mattina alle cinque, non ho pensato che andando via un paio di settimane lui potesse….”

 

John capisce dove l’altro voglia andare a parare e lo ferma con un’alzata di mano e quando parla la sua voce è dura.

“Questa volta non ci sono giustificazioni che tengano per quanto lo riguardano. È un cazzo di uomo adulto, non gli si può sempre correre dietro come con i bambini. E non… non così.

Si volta e poggia gli occhi sul corpo pallido di Sherlock, poi vede la camicia ripiegata poggiata con cura a terra (come se quell’indumento non sarebbe stato polverizzato nel giro di qualche ora, da lui) e il corpo bianco e magro del consulente. Tanto magro, decisamente troppo magro. Quand’è tornato dall’aldilà il suo corpo era decisamente più muscoloso di quando l’aveva visto prima che succedesse la questione Moriarty, e adesso invece è addirittura più magro di quando vivevano insieme, tutti i muscoli spariti, tutti i chili che aveva preso persi nuovamente, lasciandolo solo emaciato e con le costole prominenti.

In quanto tempo è diventato così? E perché non se n’è accorto?

 

Sherlock si volta sul divano, cercando di divincolarsi dalla stretta dei dottori che tentano di tenerlo fermo e, quando ci riesce, vomita di nuovo. John è lì in pochi passi e questa volta è lui a chiedere agli altri di lasciarlo un attimo col paziente.

 

Sherlock è sudato, trema e l’odore di acido che trasuda dalla sua pelle gli fa capire che è in crisi d’astinenza.

 

Di già, pensa e una parte del suo stomaco si contorce mentre il suo cuore si stringe nel petto e fa dannatamente male.

 

Urla a qualcuno in cucina di portargli un altro panno umido e quando quello arriva lo porta alla bocca di Sherlock, pulendogliela di nuovo e passandoci la parte pulita sulle labbra per reidratarle.

 

“Ringrazia Dio che non sei entrato in overdose o ti avrei tirato fuori dal coma solo per fartici ricadere.” Bisbiglia, più a se stesso che a Sherlock che non lo sta minimamente ascoltando.

 

I due dottori si allontanano per andare da Mycroft e riferirgli che avrà bisogno di essere reidratato con delle flebo siccome al momento non riuscirebbe a tenere nulla nello stomaco e che passata questa prima crisi dovranno prendere in seria considerazione l’idea di chiuderlo in un centro per disintossicarsi, perché il suo stato è davvero grave e da solo non potrebbe mai uscirne.

Fortunatamente sembra non aver avuto un blocco renale e l’unica cosa che si può fare al momento è aspettare.

 

John stringe i denti e pensa che quello era in grado di diagnosticarlo anche lui e che sperava in qualcosa di meglio dagli uomini di Mycroft, ma intanto copre Sherlock con la trapunta della sua vecchia poltrona e lo trae leggermente a sé per fargli smettere di battere i denti dal freddo (anche se in realtà freddo non è).

 

John alza di poco il corpo di Sherlock e tenta di sedersi più comodamente sul divano così da poterselo poggiare addosso senza tenere entrambi in una posizione scomoda e d’un tratto Sherlock –quello stesso Sherlock che lo stava mandando via fino a pochi minuti fa- gli si rannicchia contro e gli afferra il maglione tra le mani, continuando a tremare e mormorare cose sconnesse tra loro mentre sembra così fragile che John ha quasi paura si possa rompere.

 

Alza di più il plaid e va a coprirlo del tutto: nessuno dovrebbe poter vedere Sherlock in quelle condizioni, nemmeno lui, nemmeno Mycroft che in quelle condizioni –o peggio- lo ha già visto.

 

***

 

Sherlock si è addormentato, stremato, sul divano, così John ha potuto attaccargli la flebo –proibendo agli altri di avvicinarsi nuovamente- e lasciarlo riposare in santa pace e si è rintanato in cucina con un Mycroft stanco e con delle occhiaie profonde come non ne ha mai viste.

 

Rimangono in silenzio perché l’atmosfera è talmente pesante e surreale che entrambi sperano sia semplicemente uno scherzo. Poi Mycroft parla.

 

“Lo porterò in una struttura specializzata, come l’ultima volta. Dovrò anche chiamare l’ispettore Lestrade e fargli sapere che Sherlock non sarà più disponibile per un po’ di tempo. E ben che meno lo sarà dopo se continuerà su questa strada.”

 

John guarda il legno scuro della tavola della cucina e non risponde, stringe solo le mani fino a far sbiancare le nocche e poi volta di poco il viso per guardare la sagoma dormiente di Sherlock.

 

“Non te lo lascerà fare. Non si farà rinchiudere da nessuna parte, né rinuncerà ai casi.” Dice, e sa che è la verità: lo sanno entrambi.

 

Mycroft sospira e si passa una mano tra i capelli. John non lo ha mai visto in questo stato e dubita che Mycroft si faccia vedere molto volentieri in determinate situazioni, quindi sposta nuovamente lo sguardo al tavolo e gli lascia la sua privacy.

 

“Non c’è altro che possiamo fare. Anche se dovessi mettercelo dentro a forza e buttare via la chiave. Per quanto riguarda i casi non li può pretendere e questo lo sa, ad ogni modo mi impegnerò io personalmente a dare una mano a Scotland Yard, così da impedire loro di avere casi irrisolti, se questo sarà necessario.” Mycroft ora si massaggia gli occhi e resta per un attimo con la mano ferma sulla fronte, esausto nel corpo e nell’anima.

E John sa che non può sobbarcarsi anche questo, sa che Mycroft –nonostante quello che dice Sherlock- è un uomo impegnato e ha già molto a cui pensare e davvero non può permettersi anche questo.

 

“Almeno spero che questa specie di ricatto funzioni come l’ultima volta e lo riporti sulla retta via. Anche se temo che i problemi siano ben altri in questo momento…” Mycroft volge nuovamente lo sguardo verso di lui ed è come se stesse tentando di dirgli qualcosa, qualcosa che a lui è sfuggito e pare non cogliere. Gli occhi lo scrutano con attenzione e il viso pallido è mortalmente serio, John sta per aprire bocca e chiedergli cosa intende dire e di che problemi sta parlando quando il suo cellulare squilla.

 

Il nome di Mary compare sul display e lui impreca tra i denti, voltandosi a guardare l’orologio e notando che si sono già fatte le nove e mezza di sera. Si è completamente scordato di lei.

Si prende la radice del naso tra pollice ed indice e fa un respiro profondo mentre risponde alla moglie che gli dice ridendo che poteva anche avvisare che avrebbe dormito fuori.

John si scusa e non la lascia nemmeno finire di parlare raccontandole per sommi capi cos’è successo nel pomeriggio e la voce della moglie, dall’altra parte del telefono, si fa preoccupata.

 

“Ora come sta? Vuoi che venga a darti una mano?”

 

John riflette sulla richiesta. In fin dei conti Mary è un’infermiera, ma di nuovo il pensiero che qualcuno veda Sherlock in quelle condizioni lo fa desistere dall’accettare.

 

“Credo che non sarebbe felice dal farsi vedere ridotto in questo stato, ma grazie dell’offerta. È un problema se stanotte resto qui?” la domanda, per quanto lo riguarda, è retorica, sua moglie potrebbe anche dirgli che sì, è un problema, che lui rimarrebbe con il culo incollato a quella sedia comunque. Ma sa che Mary non gli direbbe mai di no, soprattutto per quanto riguarda Sherlock.

 

“Certo che no, allora ci sentiamo domani.” Infatti gli risponde e John tira un sospiro di sollievo cercando di non farsi sentire. Si augurano la buonanotte e il silenzio torna a regnare nella stanza.

 

“Posso affidarle mio fratello allora, John?”

John alza gli occhi dal cellulare che ha appoggiato sul tavolo e li posa su Mycroft, che lo sta ancora guardando con quell’espressione indecifrabile.

 

“Certo. Rimango io qui con lui. Non esiterò a chiamarti nel caso succeda qualcosa, quindi credo sia meglio che tu vada a dormire. Ordini del medico.” John tenta di scherzare e incredibilmente vede le labbra di Mycroft fare un timido tentativo di sorriso.

 

“Allora la ringrazio dottore.” Dice alzandosi e recuperando l’ombrello poggiato al tavolo. “Domani vedrò di trovare una struttura qualificata a–”

 

“A tal proposito Mycroft…” lo interrompe John e non sa nemmeno lui cosa sta dicendo esattamente, sa solo che l’idea di Sherlock rinchiuso in un centro, da solo, senza nessuno che si prenda davvero cura di lui perché lo vuole e non perché è stato pagato, senza nemmeno un amico, senza probabilmente la possibilità di ricevere visite e senza casi a portata di mano lo fa semplicemente soffrire. È un’idea che non lo farebbe dormire la notte, e di questo è assolutamente certo. “Credo davvero che non sia la cosa migliore per Sherlock, se lui non vuole fare una cosa non la farà, che tu lo voglia o no. Tenterà di scappare e se non ce la farà ricomincerà appena uscito, o peggio.”

 

Mycroft emette un singolo suono di sconforto. “Lo so, ma è l’unica cosa che posso fare.”

 

“Starò io con lui.” Ed è lì che John capisce dove il suo discorso voleva andare a parare fin dall’inizio e che è un’idea totalmente folle e stupida ma, stranamente, non se ne pente. Nonostante abbia una moglie incinta a casa che lo aspetta.

 

Mycroft ferma il suo passo e resta immobile a guardarlo, saldo come una statua. “Questo è molto… amichevole da parte sua, John. Ma in questo momento ‘stare con lui’ vorrebbe dire abitare qui ventiquattrore su ventiquattro. Di certo non posso permettermi di lasciare Sherlock da solo anche per qualche minuto –Dio solo sa cosa potrebbe fare- figuriamoci per delle ore. Ha una moglie che tra qualche mese partorirà e come ha detto lei…” Mycroft alza lo sguardo e lo porta al soggiorno, sul divano dove Sherlock sta dormendo, “Di sicuro Sherlock non vorrebbe farsi vedere in queste condizioni, quindi dubito che vorrebbe vedere sua moglie in giro per casa, nel caso avesse pensato ad una soluzione simile.” E Mycroft non guarda più John, resta con lo sguardo posato sul fratello e in pochi istanti la sua mente è lontana da lì, si vede dalla rigidezza delle spalle e dalla piega amara della bocca.

 

John non ha pensato di portare Mary lì (per quanto a Sherlock piaccia definirlo tale non è un idiota fino a quel punto), in effetti John non ha minimamente pensato a cosa fare con Mary, ma forse una soluzione può essere trovata.

 

“Mi trasferirò qui e farò in modo che Sherlock segua la cura, del resto non è una soluzione definitiva e, se Sherlock ha bisogno di totale attenzione, beh, sarà quello che avrà.» prende un attimo di pausa e ripensa ai lavori che mancano da fare a casa –non sono molti, ma ci sono- pensa a Mary da sola, al pancione enorme che le impedisce quasi di chinarsi per prendere degli oggetti da terra, quindi figurarsi fare qualcosa di ancora più faticoso. «Però Mycroft, non posso lasciare mia moglie da sola, non me la sento e non lo voglio quindi devi trovare qualcuno che vada a darle una mano. Qualcuno che la segua e che le dia una mano per qualsiasi cosa le serva. Non lo accetterà, e di questo sono sicuro al novanta percento, ma vedrò d’insistere. E Sherlock dovrà fare pace con il fatto che ogni tanto verrà qui, è mia moglie e non posso pretendere che capisca l’intera faccenda senza muovere un dito.”

 

John forse non ha idea del guaio in cui si sta cacciando, sa che dovrebbe prima tornare a casa e parlarne con Mary, chiederle se la cosa gli sembra assurda, se non vuole che lo faccia, ma resterà lì quella notte e Sherlock si sveglierà probabilmente a breve e non ci sarà modo di parlarne con calma.

 

Mycroft alza un sopracciglio e lo guarda con aria di sufficienza ma poi, e John è quasi sicuro che sia la prima volta che glielo vede fare, sospira, rilassandosi.

“Mi farebbe un enorme favore, John. Per quanto concerne sua moglie non ci saranno assolutamente problemi, me ne occuperò io personalmente.” John sta per ringraziarlo, ma Mycroft continua. “Domani le farò avere più scorte di metadone possibile e le restanti medicine necessarie.” Detto questo si volta, e se ne va senza aspettare risposta.

 

John rimane a bocca semi aperta per la risposta che stava per dare ma che è stata interrotta sul nascere e, alla fine, si passa entrambe le mani sulla faccia, chiedendosi che diavolo abbia veramente fatto.

È un’idea malsana e stupida e Sherlock non darà più ascolto a lui di quanto avrebbe fatto con chiunque altro. Se non parte da lui il voler disintossicarsi sarà un’impresa ardua.

Ma John è convinto di potercela fare, di poter capire cosa passasse per la mente di Sherlock e che cosa diavolo sia successo per farlo ridurre in quella maniera. Niente lo ha mai scalfito tanto, l’assenza di casi è sempre stata un terno all’otto, ma mai –mai- Sherlock si è buttato via in quella maniera.

Sherlock è una tra le persone a cui tiene di più al mondo: è il suo migliore amico, la persona che lo ha aiutato in un momento difficile della sua vita –o più d’uno- e non lo avrebbe lasciato così.

E, in fondo, si sente anche in colpa per non essersi accorto che Sherlock aveva bisogno di aiuto.

 

 

 

Sherlock apre gli occhi e la prima cosa che nota è la nuca di John, i suoi capelli biondi che ormai iniziano a tendere al grigio e il fatto che sia seduto a terra, con la schiena poggiata sul divano, e che se si scostasse di poco potrebbe sprofondare con il viso nel suo maglione e assaporare il suo odore. Ma ha gli occhi pesanti e le membra sembrano voler tener loro compagnia. Non ricorda cosa sia successo e la cosa è strana, ma forse è l’annebbiamento della stanchezza che lo sta rallentando. Stanco. Stanco per cosa? Forse hanno risolto un caso e alla fine hanno festeggiato un po’ troppo.

Però si fa forza e almeno tenta di parlare.

“John…” mormora, gli occhi socchiusi perché sente che il sonno tenta di impossessarsi di lui nuovamente. Ma John lo sente, perché si volta quasi di scatto verso di lui e gli fa un sorriso tirato. Forse qualcosa non va, ma ne parleranno più tardi.

John alza una mano e la porta tra i suoi capelli, massaggiandogli la cute e domandandogli qualcosa che però fa fatica a sentire, perciò ignora. Ecco, questo è perfetto, questa sensazione è perfetta.

“Ho fatto un incubo orribile, John.” Dice, e ripete il nome dell’amico perché gli dà conforto. “Ho sognato che ti sposavi e che lasciavi per sempre questa casa. Lasciandomi qua, completamente da solo e totalmente ignorato. Eri troppo occupato anche solo per rispondere ai messaggi o per seguirmi su un caso.” La mano che lo sta accarezzando vacilla per qualche istante ma Sherlock non ci fa caso perché poco dopo torna sicura ad accarezzargli i capelli, quindi deduce che John stesse semplicemente cercando qualcosa e si fosse distratto dal suo compito. “Eh eh, assurdo, lo so.” Dice e chiude gli occhi, davvero troppo stanco anche per i suoi standard.

Magari con una dormita passerà tutto e John lo prenderà di nuovo per i fondelli come al solito perché quando vuole riesce a dormire anche più di dodici ore filate. Sì, probabilmente andrà proprio così.

Intanto si addormenta di nuovo cullato dalla mano del suo dottore, al domani penserà dopo.

 

 

 

John continua ad accarezzare i capelli di Sherlock anche dopo che quest’ultimo si è addormentato e lo guarda, mentre l’altro dorme quasi sereno, con un peso sul cuore e un’acidità di stomaco affiorata dal discorso che ha appena fatto nel sonno. La testa gli scoppia, gli occhi si inumidiscono appena ma non permette a nessun sentimento di lasciar le sue pozze scure.

È tutta colpa sua. È davvero tutta colpa sua.

Sherlock trema leggermente e John lo copre con un’altra coperta, tirandolo a sé e abbracciandolo stretto. Si farà perdonare. Si farà perdonare perché Sherlock è importante e ha intenzione di dimostrarglielo con i fatti, siccome nessuno dei due è molto ferrato a parlare di sentimentalismo.

 

 

 

 

NOTE:

Non ce la facevo a lasciarlo così sofferente e volevo farci un seguitino T^T

Ci risentiamo a novembre <3

 

 

 

   
 
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