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Autore: ABadDream    13/10/2014    0 recensioni
Dal testo:"Fui avvolta da una luce accecante -Maddy- sussurrai, lei mi carezzò una guancia e mi sorrise, poi piombai di nuovo nel buio.
Poco a poco mi risvegliai nella mia cella. Urlai. Non mi sarei mai risvegliata da quell'incubo."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sorrido ma in realtà sto morendo dentro. I miei amici, o presunti tali, non lo capiscono. Credono che nella mia vita sia tutto rose e fiori, ma non è vero: io sto male e la mia vita fa schifo. Adesso siamo in un bar, seduti ad un tavolino e parliamo di cose inutili. Mi alzo e con una scusa vado in bagno, mi siedo sulla tavoletta e scopro il polso. 
Perché non la faccio finita una volta per tutte?
Sarebbe semplice, basterebbe affondare la lametta più profondamente, ma non ci riesco, sono troppo codardo, oppure sto semplicmente aspettando qualcuno che mi venga a salvare. Rimetto la lametta in tasca e torno da quelli che dovrei considerare miei amici,ma che in realtà non mi conoscono. Loro non riescono a leggere la richiesta di aiuto nei miei occhi, tiro dritto per uscire dal locale, senza salutare nessuno, neanche quando sento che mi chiamano. Non mi volto, continuo a camminare fino alla porta, quando la apro vengo investito da un vento gelido che mi confonde ancora di più le idee. Una volta arrivato alla macchina mi ci siedo dentro e poggio la testa sul volante, i pensieri si sovrappongono, le emozioni si confondono tra loro e il corpo è percorso da brividi. Faccio un paio di respiri e aspetto di calmarmi prima di avviare il motore.
Quando mi sento più calmo comincio a guidare senza avere in mente una meta precisa, però ad un tratto, riconosco una stradina e la imbocco. Dopo pochi minuti mi ritrovo di fronte ad un parco. Uno di quei parchi sgangherati dove i giochi cadono a pezzi e sono tutti arrugginiti, il terreno è cosparso di aghi e mozziconi di sigaretta e le panchine sono imbrattate di frasi oscene scritte con colori sgargianti. Spengo la macchina e scendo. Vado verso le altalene dove mi accorgo che c'è una ragazza che stona con il lerciume di questo posto. Porta dei jeans stretti, una camicetta bianca con sopra un giacchettino di pelle e delle scarpe nere lucide con il tacco. Sta fumando una sigaretta e la sua mano trema leggermente, ma non riesco a vederla in faccia perché è coperta da una cascata di capelli castani. Mi avvicino e, silenziosamente, mi siedo sull'altalena libera. 
-Mia madre mi portava sempre in questo parco quando ero piccolo- non so perché ho detto questo. Non sono riuscito a collegare il cervello alla bocca in tempo e mi è uscita questa frase.
Lei mi guarda in modo torvo e poi stiracchia un sorriso. Ha gli occhi tutti arrossati e una lacrima traditrice le scende sulla guancia: ecco perchè tremava.
-Qui sono stata rapita all'età di 5 anni- dice, poi fa un tiro dalla sigaretta. Rimaniamo lì nel silenzio più assoluto, interrotto solo dal rumore provocato dal passaggio del vento tra le fronde degli alberi.
-Beh io vado- dice la ragazza. Se ne va ed io rimango a guardare il posto vuoto vicino a me. Dopo qualche minuto mi riscuoto e torno in quell'Inferno, chiamata più comunemente casa. Arrivo e già sento le urla isteriche di mia madre e i borbottii di mio padre. Alzo gli occhi al cielo e spero che i miei fratelli siano andati a nascondersi. Entro e vado in camera mia senza salutare nessuno, lì trovo Emiliano e Federico addormentati sul mio letto. Controllo, sono pieni di lividi. Mi giro e guardo il mio riflesso nello specchio, l'immagine che mi rimanda mi fa venire il voltastomaco. Io volevo uccidermi lasciando le due cose più importanti della mia vita in balia della belva. Prendo un borsone e lo riempio con i miei vestiti. Poi vado nella camera dei miei fratelli e faccio lo stesso, ma ci aggiungo anche qualche giocattolo. Finito torno in camera mia, mi sdraio accanto ai miei angeli e sprofondo in un sonno senza sogni. Mi sveglio con la pioggia che batte contro i vetri, guardo la sveglia: sono le 02.34. Mi stropiccio gli occhi e vado in bagno, nel frattempo sveglio Emilaino e Federico, intimandogli di fare silenzio. Scendiamo le scale e infilo la testa in soggiorno, mio padre è spaparanzato sul divano con una bottiglia di vodka vuota in mano, mia madre è per terra con la faccia rivolta verso il soffitto, gli occhi tumefatti sono chiusi e un rivolo di sangue le esce dal labbro superiore. Probabilmente è svenuta, ma anche se fosse morta non mi interesserebbe. Entro nel salotto e cerco il portafoglio di mio padre. Quando lo trovo prendo tutti i soldi che ci sono dentro. Faccio tutto molto lentamente per paura di fare troppo rumore e svegliare la belva. Quando ho preso tutto esco e guido i miei fratelli in cucina dove mia madre tiene un barattolo con dentro dei soldi per le emergenze, ma che in realtà usa per comprarsi la droga. Prendo anche quelli e usciamo dalla porta sul retro. Facciamo tutto questo in un silenzio religioso. Saliamo in macchina e partiamo sempre senza una meta precisa da raggiungere, ma quello che ci importa è allontanarci il più possibile da quell'Inferno.
Come ieri mattina mi ritrovo davanti a quel parco. Spengo la macchina e guardo nello specchietto: i miei fratelli dormono. Metto le mani sugli occhi e comincio a pensare. Cosa possiamo fare? Dove possiamo andare? Sono immerso così profondamente nei miei pensieri che non mi accorgo della figura che si sta avvicinando alla macchina. Sento la portiera del passeggero aprirsi e mi giro improvvisamente, pensando fosse qualche malintenzionato. Invece è lei: la ragazza di ieri.
Sale e mi guarda. -Dove stavi pensando di andare?- mi chiede.
-E a te che cazzo te ne frega?- so di essere stato sgarbato ma non mi interessa.
-Nulla, basta che mi porti con te.- dice distogliendo lo sguardo dal mio.
-Ok, ma ad una condizione.- il suo sguardo si fa attento -Devi raccontarmi la tua storia. So che ti sembrerà una domanda insensata, ma ho le mie motivazioni per farla. Primo non sono nelle comdiziomi di guidare, le ultime 24 ore sono state troppo pesanti, sia emotivamente che fisicamente. Secondo, volglio sapere con chi viaggio.- 
La ragazza mi guarda seria -Se ti piacciono le storie tristi.- risponde facendo un sorriso stiracchiato.
-Io stesso sono una storia triste.- rispondo. La guardo e lei comincia a raccontare, la sua voce è decisa e non lascia trasparire alcuna emozione , ma nei suoi occhi si legge tutto il disprezzo e il dolore che ha vissuto.
-Mi chiamo Lilith, ho 18 anni e all'età di 5 sono stata rapita in questo parco.- io non la interrompo e lei prende un respiro profondo. -Era una calda giornata di luglio e indossavo un vestitino azzurro molto leggero. Mia madre era seduta sulla panchina a leggere una di quelle squallide riviste con le pagine patinate mentre io e la mia migliore amica facevamo un castello di sabbia. Come quel tizio con la barba bianca e gli occhi gentili riuscì a portarci fuori e a farci salire sulla sua macchina rimane ancora un mistero. Forse ci siamo fidate perché assomigliava a Babbo Natale. Non lo so.- si blocca e il suo sguardo si fa vacuo, delle lacrime silenziose scendono sulle guance arrossate. Dopo pochi minuti si riscuote e il suo sguardo torna ad incrociare il mio. Riprende il suo racconto da dove si era fermata -Il ricordo di come siamo arrivate a quella casa in mezzo alla campagna è ancora più confuso, ma forse ho capito perchè, quando siamo salite sulla macchina ci ha offerto delle caramelle e un succo. La testa è diventata pesante, ho chiuso gli occhi e quando gli ho riaperti mi sono ritrovata in una stanza, ero da sola. Maddy la mia migliore amica non c'era. Ricordo di aver cercato di aprire la porta, ma era chiusa a chiave. Ho urlato che volevo mia mamma, ma l'unica risposta che ho ricevuto è stata una risata distorta. Oddio, quella non era una risata umana, ma di una bestia. Se chiudo gli occhi riesco ancora a sentirla. Da li a qualche giorno è cominciato l'Inferno. È venuto in camera e mi ha preso per mano, mi ha portato in salotto dove c'era Maddy, aveva gli occhi gonfi come se avesse pianto. Mi ha fatto stendere sul divano. Maddy si è alzata per cercare di mettersi davanti a me. Credo per difendermi. Lui si è alzato e gli ha tirato un pungo ed è caduta in terra, svenuta. Ho cominciato a dimenarmi, ma lui era più grosso, mi ha bloccato e mi ha alzato il vestito e poi... E dopo... - si copre la faccia con le mani e comincia a singhiozzare. Solo ora mi accorgo che ho smesso di respirare, allungo le braccia e la tiro verso di me le sussurro che va tutto bene e che non le succederà niente. Quando si è calmata riprende a parlare, ora nella sua voce si sente una nota di disperazione -Ogni giorno era uguale all'altro, ogni giorno un abuso, ogni giorno un livido nuovo fatto da un nuovo giochino inventato dal nostro carnefice, ogni giorno noi lottavamo. Io lottavo. Maddy lottava. Fino a che... Fino a quando...- altra crisi di pianto, questa volta più forte -Tre anni che eravamo rinchiuse la dentro. Tre anni d'inferno. Quel giorno eravamo distrutte, denutrite e piene di lividi. Non riuscivamo nemmeno ad alzarci. E lui pretendeva che ci alzassimo e ci vestissimo bene perché sarebbero venuti degli amici a giocare con noi. Io non volevo, non ci riuscivo, lui è andato nell'altra stanza e ha preso una frusta, con alla fine dei chiodini, si è messo a gambe aperte sopra di me e ha cominciato ad urlare che se non mi alzavo mi avrebbe uccisa. Io... Io ce la mettevo tutta ma non ci riuscivo ed è arrivata la prima frustata. Sentivo il dolore fin dentro alle ossa e pregavo di morire presto. Aspettavo il secondo colpo, ma non è mai arrivato. Maddy si era alzata e si era messa davanti a me per farmi da scudo e si prese la frustata al posto mio. Non so come fece a resistere alle frustate che seguirono. Mi ricordo il suo sangue che schizzava dappertutto e l'odio negli occhi del nostro carnefice. Alla fine la spezzò. Maddy cadde a terra priva di sensi, lui uscì dalla stanza con un ghigno perverso stampato sulla faccia. Mi trascinai fino ad avere la mia faccia sopra la sua.- si ferma per prendere fiato. -Ricorderò per sempre quello che successe dopo. Maddy alzò una mano per accarezzarmi il volto e mi disse "non lasciarti spezzare da quella bestia, tu sei forte, vivi, fallo per me".-rimanemmo per un po' in silenzio, io per riordinare le idee e lei per non lasciarsi sopraffare dal dolore -Lui entrò poche ore dopo con un sacco nero e ci mise dentro la mia migliore amica, minacciò di uccidermi se avessi osato fare ciò che aveva fatto Maddy. Furono altri 3 anni d'inferno e poi... Poi riuscii a scappare. Lui si era dimenticato di chiudere la porta a chiave. Ricordo che corsi fino a svenire. Mi risvegliai in un letto di ospedale, i miei genitori erano vicino a me e piangevano. Io raccontai tutto alla polizia nei minimi particolari, anche della morte di Maddy, ma lui non fu mai trovato.- finì la sua storia e tornò ad affondare la testa nell'incavo del mio collo -Rimasi altri 4 anni rinchiusa in un ospedale psichiatrico per le conseguenze di ciò che avevo passato.-
Non so per quanto rimanemmo in silenzio a cullarci nel nostro abbraccio, cercavamo la forza per andare avanti a combattere. Poi sciolsi l'abbraccio e la guardai in modo deciso pronto a dare una svolta alla mia vita e alla sua. -D'accordo ora scegli una meta. Possiamo andare ovunque tu voglia l'importante è rimanere insieme- lei mi guarda, in fondo ai suoi occhi si può scorgere la paura per quello che potrà accadere -Non mi interessa dove andiamo l'importante è che sia il più lontano possibile da questo posto-Sospettavo che la storia raccontata non fosse finita, ma che fosse semplicemente l'inizio. Mi limitai ad accendere la macchina e guidare nel freddo della notte. 
Sentii il cigolio della porta che si apriva, il rumore di passi che si avvicinavano e il dolore per il calcio che mi assestò la belva. Era stato tutto un sogno. Il ragazzo, l'idea di libertà, forse anche la morte della mia migliore amica. Aprii gli occhi e presi un respiro profondo. La folata di alcool e altri odori nauseabondi mi fece quasi vomitare,mi affrettai a chiudere il naso e a guardarmi intorno. Ero sola. A parte lui. Ero sola. Maddy era morta, quello non era stato un sogno. Mi prese per i capelli e mi trascinò fuori dalla cella. Mi mise al centro di una stanza poco illuminata con altre due bestie che si volevano sfamare con il mio corpo. Chiusi gli occhi e aspettai che tutto finisse. Da brava repressi i conati e non graffiai nessuno, se lo avessi fatto ne avrei subito le conseguenze. Una volta tornata nella mia cella ripensai al sogno. Come potevo sperare di uscire da quell'incubo? Non ero forte, Maddy si sbagliava. L'unico modo per riuscire ad avere una vita mia e non soffrire più sarebbe stato morire. Mi guardai attorno, la stanza contava solo un materasso con un lenzuolo buttato sopra, una sedia, una ciotola per cani e uno specchio, mi soffermai a guardare l'immagine che mi rimandava: una ragazza minuta, gli occhi scavati e spenti, le labbra screpolate e i capelli di un castano spento. Lui aveva messo quello specchio per ricordarmi sempre chi sono: una schiava, una puttana, un gioattolo che quando annoierà verrà buttato, proprio come se niente fosse. Gli tirai un pugno e si ruppe in mille pezzi. Presi quello più affilato e mi scoprii i polsi. Mi morsi la lingua per non urlare. Vedevo il sangue uscire dalla mia carne e sul mio volto si dipinse un vero sorriso, poi piombai nel buio.
Fui avvolta da una luce accecante -Maddy- sussurrai lei mi carezzò una guancia e mi sorrise poi piombai di nuovo nel buio. Poco a poco mi risvegliai nella mia cella. Urlai. Non mi sarei mai risvegliata da quell'incubo.
  
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