Storia
partecipante al contest 1
su 24 ce la fa di ManuFury
Nick sul forum/ Nick su EFP (segnalare quello che si vuole avere sul
Banner):_Nica89
Tributo:Cecelia
Turno:sesto
Titolo
Storia:Lukaion
Pacchetto
(se presente): nessuno
Genere:angst
Rating:giallo
Avvertimenti:nessuno
Pairing
(se presente):nessuno
Note (facoltative): All’interno del testo, sono stati
riportati i pensieri di
Cecelia evidenziandoli in corsivo. Per quanto riguarda il linguaggio
è forse un
po’ più semplice e meno ricco di sinonimi delle
altre storie (soprattutto per
quanto riguarda il richiamo delle parole ragazzo/ragazza) se che
può essere un
limite, ma Cecelia ha 18 anni e nella mia mente l’istruzione
di Capitol City è
più mirata sulle caratteristiche produttive di ciascun
distretto, piuttosto che
su un’ampia cultura generale. Sul titolo: Lukaion era il
bosco sacro che circondava
il santuario dedicato ad Apollo
Licio che aveva come animale sacro proprio il lupo. Niente, era una
storia che
voleva essere molte cose (forse anche troppe e troppo diverse tra loro)
e
probabilmente per questo rimane un po’ più slegata
dalle altre.
Lukaion
Sobbalzo,
lasciando cadere il coltello che stringo
tra le mani. Le note dell’inno di Panem risuonano, mentre nel
cielo brilla
solamente il logo di Capitol City.
È la terza giornata senza caduti e questo mi spaventa: il
freddo e la neve ci
hanno spinto a nasconderci e trovare un riparo, piuttosto che ad
affrontarci
apertamente.
Sento
la tensione crescere e attanagliarmi lo
stomaco. Vorrei poter sfogare tutta l’ansia in un pianto
liberatorio, ma ho
paura che se iniziassi, non sarei più in grado di
controllarmi, così porto le
mani alla bocca e inizio a ululare.
So
quanto folle e pericoloso possa apparire questo
gesto, ma è l’unico modo per dare sfogo alle mie
emozioni. Inoltre, sembra
essere anche un discreto disincentivo per gli altri tributi ad
avvicinarsi al
mio nascondiglio, o almeno questo è valso per il ragazzino
del Distretto 5, che
il primo giorno è scappato terrorizzato lontano dalla
grotta, dopo aver sentito
i miei ululati. Il suo è stato l’ultimo colpo di
cannone sparato fino a questo
momento.
Il
buio della notte ritorna il padrone incontrastato
dell’arena, mentre il vento gelido continua a soffiare
furioso.
Mi spingo in un angolo più protetto della caverna, dal quale
riesco sempre a
sorvegliare l’ingresso e mi avvolgo meglio nel sacco a pelo
che ho trovato alla
cornucopia.
L’unico aspetto positivo è che ha smesso di
nevicare.
Nonostante il perenne stato di allerta, la noia e la stanchezza mi
riportano in
uno stato di torpore.
Quando
mi risveglio, intirizzita e tremante, la luna
brilla alta nel cielo.
Per qualche momento fatico a riconoscere il luogo nel quale mi trovo.
Ancora
intontita, cerco di riacquistare la sensibilità di mani e
piedi. Lentamente inizio
a sfregare tra loro le mani, soffiandoci sopra, attraverso la lana dei
guanti, nel
tentativo di scaldarle.
Sono
ancora intenta in queste operazioni, quando un
suono nuovo attira la mia attenzione, facendomi gelare il sangue nelle
vene.
L’ululato che segue, così diverso da quelli che ho
imitato io in questi giorni,
non lascia dubbi su chi – o cosa – possa esserne
stato l’autore.
Decido
di rimanere all’interno della grotta,
sperando che questa si riveli la scelta migliore. Cerco a tentoni il
coltello,
tenendo lo sguardo fisso verso l’imboccatura, dove intravedo
le grosse zampe di
un lupo.
Il
grosso ibrido si ferma davanti alla caverna,
annusando l’aria. Trattengo il respiro, come se questo
potesse bastare a non
rivelare la mia presenza. L’animale sta per entrare nella
grotta, quando
improvvisamente un rumore attira la sua attenzione.
La
bestia snuda le zanne e il suo ringhio mi penetra
nelle ossa, paralizzandomi. Quello che accade in seguito è
talmente veloce da
non sembrarmi reale: due tributi scappano fuori da alcuni cespugli poco
lontani. Il lupo scatta e taglia loro la strada, spingendoli verso la
mia
direzione.
La
prima a essere attaccata è la ragazza. Il suo
alleato cerca di soccorrerla, ma i suoi sforzi servono a poco, contro
le fauci
del mostro.
Rimango
immobile, paralizzata dalla paura e incapace
di articolare qualsiasi suono. Stringo ancora il coltello, ma le mie
mani
tremano talmente tanto che non sarei nemmeno in grado di difendermi.
«Simon!» urla la giovane, mentre cerca di
proteggersi dagli artigli
dell’animale.
«Rachel,
lo stiletto!» prova a suggerirle l’altro,
mentre agita la sua lancia per tenere a distanza il lupo. Ma, appena la
lama
della ragazza sfiora la pelle dell’animale,
l’ibrido si avventa nuovamente su
di lei, trascinandola nella neve.
Immediatamente
le sue urla saturano l’aria. Chiudo
gli occhi, sperando che questo possa bastare per rendere il tutto meno
reale,
ma il buio non fa altro che amplificare l’incubo nel quale mi
trovo.
Oltre alle grida di dolore di Rachel, in parte coperte dai feroci
ringhi del
lupo, riesco a sentire le fauci dell’animale fratturare le
ossa della
malcapitata.
Sento
Simon urlare il nome della compagna in agonia.
Riapro gli occhi, incapace di sopportare oltre la cecità. Lo
spettacolo che mi
si presenta davanti è raccapricciante. L’ibrido
non sembra particolarmente
toccato dai colpi di lancia del ragazzo, al quale risponde solo con
poche
zampate, per deviare l’arma.
Sta
giocando! Scopro
con enorme terrore, osservando le mosse del
lupo. Non ha intenzione di ucciderli, non
ancora. Questa nuova consapevolezza aggiunge orrore
all’orrore.
Anche
Simon sembra aver capito quale sia il suo
ruolo in questo spettacolo e cerca – per la prima volta
– di abbandonare la sua
alleata e di fuggire, nella speranza di riuscire a salvarsi.
Rachel, ormai allo stremo delle forze cerca ancora di lottare, ma
l’ibrido lo
azzanna al collo, strappandole un ultimo grido, prima di lanciarsi
all’inseguimento del ragazzo.
Col
cuore in gola, rimango a osservare l’esterno,
dove il corpo della ragazza in agonia è rimasto nella neve.
Trattengo a stento
un conato di vomito, mentre un silenzio surreale cala sulla radura.
Ho paura che il mostro creato da Capitol City possa tornare e che io
possa
subire la stessa sorte, eppure, qualcosa mi spinge verso la ragazza
moribonda.
È
la necessità. Cautamente, con passo malfermo, esco
allo scoperto. Devo agire velocemente, se voglio tornare
all’interno della
caverna.
La neve, illuminata solo dal chiarore della luna, si fa sempre
più scura, man
mano che mi avvicino alla giovane, ormai incosciente.
In
un primo momento la supero, puntando lo zainetto
che è rimasto a pochi passi da lei, poi torno verso il suo
corpo. La sola idea
di quello che sto per compiere mi fa star male. Mi asciugo la bocca,
prima di slacciarle
la giacca.
Il
freddo improvviso le fa aprire gli occhi e tenta
di ribellarsi al mio scempio, con l’unico risultato di
riempirsi la bocca col
suo stesso sangue.
Il colpo di cannone esplode, confermando la sua morte. Non posso
più indugiare
oltre, così la spoglio della giacca e dei guanti, poi
arranco fino alla mia
caverna.
Quando
sono finalmente al sicuro dentro il mio
nascondiglio, il disprezzo verso quello che ho fatto mi colpisce come
un pugno
allo stomaco. La paura e l’adrenalina lasciano il posto alla
vergogna e al
senso di colpa ed io inizio a tremare violentemente, incapace di
fermare la
crisi isterica nella quale sono caduta.