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Autore: _Nica89_    13/10/2014    2 recensioni
La sessantunesima edizione dei giochi, l'arena ghiacciata e il pubblico di Capitol City assetato di sangue che ha visto scorrere soltanto all'inizio dei giochi. Cosa si saranno inventati gli strateghi per movimentare un po' la situazione? Il tutto raccontato da Cecelia, tributo del Distretto 8.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cecelia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Tributo:Cecelia
Turno:sesto
Titolo Storia:Lukaion
Pacchetto (se presente): nessuno
Genere:angst

Rating:giallo
Avvertimenti:nessuno
Pairing (se presente):nessuno
Note (facoltative): All’interno del testo, sono stati riportati i pensieri di Cecelia evidenziandoli in corsivo. Per quanto riguarda il linguaggio è forse un po’ più semplice e meno ricco di sinonimi delle altre storie (soprattutto per quanto riguarda il richiamo delle parole ragazzo/ragazza) se che può essere un limite, ma Cecelia ha 18 anni e nella mia mente l’istruzione di Capitol City è più mirata sulle caratteristiche produttive di ciascun distretto, piuttosto che su un’ampia cultura generale. Sul titolo: Lukaion era il bosco sacro che  circondava il santuario dedicato ad Apollo Licio che aveva come animale sacro proprio il lupo. Niente, era una storia che voleva essere molte cose (forse anche troppe e troppo diverse tra loro) e probabilmente per questo rimane un po’ più slegata dalle altre.

 

 

Lukaion

 

Sobbalzo, lasciando cadere il coltello che stringo tra le mani. Le note dell’inno di Panem risuonano, mentre nel cielo brilla solamente il logo di Capitol City.
È la terza giornata senza caduti e questo mi spaventa: il freddo e la neve ci hanno spinto a nasconderci e trovare un riparo, piuttosto che ad affrontarci apertamente.

Sento la tensione crescere e attanagliarmi lo stomaco. Vorrei poter sfogare tutta l’ansia in un pianto liberatorio, ma ho paura che se iniziassi, non sarei più in grado di controllarmi, così porto le mani alla bocca e inizio a ululare.

So quanto folle e pericoloso possa apparire questo gesto, ma è l’unico modo per dare sfogo alle mie emozioni. Inoltre, sembra essere anche un discreto disincentivo per gli altri tributi ad avvicinarsi al mio nascondiglio, o almeno questo è valso per il ragazzino del Distretto 5, che il primo giorno è scappato terrorizzato lontano dalla grotta, dopo aver sentito i miei ululati. Il suo è stato l’ultimo colpo di cannone sparato fino a questo momento.

Il buio della notte ritorna il padrone incontrastato dell’arena, mentre il vento gelido continua a soffiare furioso.
Mi spingo in un angolo più protetto della caverna, dal quale riesco sempre a sorvegliare l’ingresso e mi avvolgo meglio nel sacco a pelo che ho trovato alla cornucopia.
L’unico aspetto positivo è che ha smesso di nevicare.
Nonostante il perenne stato di allerta, la noia e la stanchezza mi riportano in uno stato di torpore.

Quando mi risveglio, intirizzita e tremante, la luna brilla alta nel cielo.
Per qualche momento fatico a riconoscere il luogo nel quale mi trovo. Ancora intontita, cerco di riacquistare la sensibilità di mani e piedi. Lentamente inizio a sfregare tra loro le mani, soffiandoci sopra, attraverso la lana dei guanti, nel tentativo di scaldarle.

Sono ancora intenta in queste operazioni, quando un suono nuovo attira la mia attenzione, facendomi gelare il sangue nelle vene.
L’ululato che segue, così diverso da quelli che ho imitato io in questi giorni, non lascia dubbi su chi – o cosa – possa esserne stato l’autore.

Decido di rimanere all’interno della grotta, sperando che questa si riveli la scelta migliore. Cerco a tentoni il coltello, tenendo lo sguardo fisso verso l’imboccatura, dove intravedo le grosse zampe di un lupo.

Il grosso ibrido si ferma davanti alla caverna, annusando l’aria. Trattengo il respiro, come se questo potesse bastare a non rivelare la mia presenza. L’animale sta per entrare nella grotta, quando improvvisamente un rumore attira la sua attenzione.

La bestia snuda le zanne e il suo ringhio mi penetra nelle ossa, paralizzandomi. Quello che accade in seguito è talmente veloce da non sembrarmi reale: due tributi scappano fuori da alcuni cespugli poco lontani. Il lupo scatta e taglia loro la strada, spingendoli verso la mia direzione.

La prima a essere attaccata è la ragazza. Il suo alleato cerca di soccorrerla, ma i suoi sforzi servono a poco, contro le fauci del mostro.

Rimango immobile, paralizzata dalla paura e incapace di articolare qualsiasi suono. Stringo ancora il coltello, ma le mie mani tremano talmente tanto che non sarei nemmeno in grado di difendermi.
«Simon!» urla la giovane, mentre cerca di proteggersi dagli artigli dell’animale.

«Rachel, lo stiletto!» prova a suggerirle l’altro, mentre agita la sua lancia per tenere a distanza il lupo. Ma, appena la lama della ragazza sfiora la pelle dell’animale, l’ibrido si avventa nuovamente su di lei, trascinandola nella neve.

Immediatamente le sue urla saturano l’aria. Chiudo gli occhi, sperando che questo possa bastare per rendere il tutto meno reale, ma il buio non fa altro che amplificare l’incubo nel quale mi trovo.
Oltre alle grida di dolore di Rachel, in parte coperte dai feroci ringhi del lupo, riesco a sentire le fauci dell’animale fratturare le ossa della malcapitata.

Sento Simon urlare il nome della compagna in agonia. Riapro gli occhi, incapace di sopportare oltre la cecità. Lo spettacolo che mi si presenta davanti è raccapricciante. L’ibrido non sembra particolarmente toccato dai colpi di lancia del ragazzo, al quale risponde solo con poche zampate, per deviare l’arma.

Sta giocando! Scopro con enorme terrore, osservando le mosse del lupo. Non ha intenzione di ucciderli, non ancora. Questa nuova consapevolezza aggiunge orrore all’orrore.

Anche Simon sembra aver capito quale sia il suo ruolo in questo spettacolo e cerca – per la prima volta – di abbandonare la sua alleata e di fuggire, nella speranza di riuscire a salvarsi.
Rachel, ormai allo stremo delle forze cerca ancora di lottare, ma l’ibrido lo azzanna al collo, strappandole un ultimo grido, prima di lanciarsi all’inseguimento del ragazzo.

Col cuore in gola, rimango a osservare l’esterno, dove il corpo della ragazza in agonia è rimasto nella neve. Trattengo a stento un conato di vomito, mentre un silenzio surreale cala sulla radura.
Ho paura che il mostro creato da Capitol City possa tornare e che io possa subire la stessa sorte, eppure, qualcosa mi spinge verso la ragazza moribonda.

È la necessità. Cautamente, con passo malfermo, esco allo scoperto. Devo agire velocemente, se voglio tornare all’interno della caverna.
La neve, illuminata solo dal chiarore della luna, si fa sempre più scura, man mano che mi avvicino alla giovane, ormai incosciente.

In un primo momento la supero, puntando lo zainetto che è rimasto a pochi passi da lei, poi torno verso il suo corpo. La sola idea di quello che sto per compiere mi fa star male. Mi asciugo la bocca, prima di slacciarle la giacca.

Il freddo improvviso le fa aprire gli occhi e tenta di ribellarsi al mio scempio, con l’unico risultato di riempirsi la bocca col suo stesso sangue.
Il colpo di cannone esplode, confermando la sua morte. Non posso più indugiare oltre, così la spoglio della giacca e dei guanti, poi arranco fino alla mia caverna.

Quando sono finalmente al sicuro dentro il mio nascondiglio, il disprezzo verso quello che ho fatto mi colpisce come un pugno allo stomaco. La paura e l’adrenalina lasciano il posto alla vergogna e al senso di colpa ed io inizio a tremare violentemente, incapace di fermare la crisi isterica nella quale sono caduta.

  
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