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Autore: Queen of Superficial    14/10/2014    1 recensioni
"Anima. Ti sembran tempi per parlar dell'anima? Non ci sono più diavoli che la richiedano, preferiscono i titoli; è fuori moda, l'anima."
- Stefano Benni
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anima
ti sembran tempi per parlar dell'anima?
Non ci sono più diavoli
che la richiedono
preferiscono i titoli
è fuori moda l'anima

 

 

Seven things to die for

 

 

 

Mi sento un uomo senza senso, e non mi dispiace di non averne.”
- Emil Cioran

 

 

 

1.

 

Il tuo sorriso in veranda, nella penombra, nelle notti oblique illuminate dalle candele elettriche sulla spiaggia. Non ho mai capito la qualità di quella sabbia, la sua consistenza farinosa e spessa. Pangrattato. Pangrattato sotto le mie mani, tra i miei capelli, e tu incastrato in un ricordo, come un libro che stava per cadere da una mensola troppo piena ma si è fermato a metà della sua corsa perché ha trovato un ostacolo - forse un altro libro, o lo spuntone un po' sporgente di un soprammobile ben piantato – ed è rimasto lì, senza mai toccare terra. Nessuno che lo sposti, che lo tolga via o lo rimetta dove stava, perché la cosa sembra fin troppo casuale per esserlo davvero. Lo si lascia lì, quel libro che non è riuscito a cadere, come un segno, come un monito, un'istruzione divina il cui senso oscuro verrà svelato, forse, dal tempo. Intanto, resta lì. Sei rimasto lì anche tu, proprio come quel libro. Ti ho fermato in quel ricordo in veranda, come una stella cadente prima che iniziasse a precipitare. Così, eravamo in veranda. Sembrava che leggessi, ma non leggevo. Tutta la scienza del mondo era là, a un passo da me, e fumava guardando il mare. Senza voltarti, mi sorridesti. Lo sai che io mi perdo sempre in insignificanti dettagli e li ingigantisco fino a lasciare che mi controllino la vita, che mi spezzino l'anima in parti così minuscole che per rimetterle insieme ci vorrebbero operazioni chirurgiche troppo complicate. Sei dentro i miei geni, come un cromosoma impazzito che mi rende più sensibile al Creato. Mi sorridesti perché ti eri accorto che ti stavo guardando con lo stesso, concentrato rapimento con cui un meccanico guarda un motore. Mi dava fastidio quel rumore costante di batteria che era diventato il sottofondo immancabile di tutte le mie ore di studio e ricerca? No. Darei qualunque cosa per sentirlo ancora. Per la tua mano nella mia, in dormiveglia, con quella stretta forte che prescindeva la fase REM. Il tuo sorriso in veranda, dunque. Inatteso come una cometa e ipnotizzante come un mistero.

 

2.

 

L'odore di foresta di conifere della sua vestaglia sotto la mia guancia rotonda e inquieta di bambina. Concordiamo che non siamo d'accordo, diceva, ogni qualvolta con fervore la contraddicevo. La donna che ti ha amato in maniera più sottile e intelligente di quanto non abbia fatto io, il tuo completamento naturale. Onde lunghe sulle spiagge e lei che faceva la maglia con gli occhiali in punta al naso, in pieno agosto. Una persona che la sera sapeva scrollarti di dosso tutto quello che sapevi, quello che ti era stato detto e quello con cui non riuscivi a convivere. Il cielo notturno sopra i tetti della città che ci faceva da rifugio e trapunta, e noi fermi a osservare le stelle. Gli argonauti non sanno stare senza un'Ursa Major a cui puntare, dicevi, saggio, troppo tatuato, troppo intelligente e troppo grande per me, per le mie penne e i miei rosari, le preghiere travestite da racconti scritte a tarda notte al tavolo della cucina, quel tavolo a cui ti facevo le torte di mele tagliandole storte, fette di frutta troppo grosse per cuocere. Ma cuocevano, perché – me lo dicesti tu – non vale mai la pena di fare le cose diversamente da come le sai fare, e andava bene quel mio fare tutto alla rovescia. Ti sedevi al mio fianco, e mi guardavi riflettere, mi ascoltavi pensare e fumare, buttando frasi incisive e senza senso sopra i fogli del ricettario. Poi lei non si stupiva di trovare citazioni di Emil Cioran scritte a margine della ricetta per le patate in camicia. Sorrideva, senza chiedersi perché. James, ti chiamava, guarda un attimo gli spinaci. A noi due sono cadute le cose di mano per una vita: erano amori, cucchiai, caffettiere bollenti, chiavi di casa, punti del discorso, ricordi troppo intensi, portacenere di cristallo e sogni infrangibili. Ti cadeva il mestolo nel lavandino, ma lei ti apriva il cassetto della pasta davanti alle gambe e ci metteva un canovaccio aperto, così, qualunque cosa ti cadesse, sarebbe atterrata sul morbido e tu avresti potuto riprenderla in mano senza sentirti un deficiente con la coordinazione occhio-mano di uno con la sindrome dell'orecchio sensibile. È tutto un grande addio, un giorno Gondrand passerà, te lo dico io: col camion giallo porterà via tutto quanto, e poi più niente resterà del nostro mondo.

 

3.

 

L'odore delle cose. Essere svegliati dal profumo del caffè, venire colta alla sprovvista in una notte insonne sul balcone dalla fragranza intensa del pane appena sfornato dal fornaio in cima alla via. Ah, la fuga nella vita, chi lo sa che non sia proprio lei la quintessenza? Sì, sì, di noi si può fare senza. Sorridevo, pensando parole di canzoni. Andiamocene via, James, ti dicevo. E dove andiamo? Io volevo andare a vedere le palme della California. Volevo sedermi su una spiaggia davanti all'oceano e contemplare, nella distanza, le onde lunghe infrangersi al largo. Volevo osservare la vita dalla posizione privilegiata di una che ormai aveva capito che, qualunque cosa si faccia, si sbattono gli stinchi sempre più o meno negli stessi punti, e che le cose che ti fanno male a dieci anni probabilmente a venticinque avranno lo stesso effetto devastante. Non è che uno invecchia o cresce quando deve compilare il 740, James. Uno cresce quando ama talmente tanto qualcuno da non essere disposto a lasciarlo andare, da mettersi di faccia al cielo e alla terra urlando che non pensassero che gliela farai passare liscia. Bisogna avere la morte negli zigomi e sfidare l'ineluttabile, per crescere davvero. Poi non è che vinci o perdi, non funziona così. Però ti ritrovi certi odori calcificati nella memoria. L'odore della pelle di tua madre, della vestaglia di tua nonna, del profumo maschile della tua migliore amica, del mare, del sale, la fragranza spessa del sole, l'odore della stanza di quand'eri bambina, del sapone sulle mani dell'uomo che hai amato di più al mondo. Sì, sì, di noi si può fare senza. C'è tutta una gamma di odori incastrati nel mio naso che mi aspettano da qualche parte, in uno stravagante altrove dove tu ci sei anche se non ci sei. Dove io, te, i ricordi, la nonna, ce ne stiamo seduti su una spiaggia a guardare il mare senza dirci niente, ché ci siamo già detti tutto in un'altra vita.

 

4.

 

La forza di legge dell'inatteso. Quelle cose che ti capitano proprio quando sei voltata da un'altra parte, in tutt'altre faccende affaccendata. Certi amori che ti prendono a sprangate nei denti, che non fanno nessun giro, se ne restano lì. I libri che cadono ma non arrivano a terra. I cieli che non sfumano in alcun orizzonte. Luci di stelle cadenti così intense e fiammeggianti che ti bruciano la cornea. Il salto che fai quando all'improvviso, nel silenzio notturno, attaccano in lontananza i fuochi d'artificio. I giorni in cui dai il meglio di te in maniera assolutamente spontanea e non premeditata, senza alcuno sforzo. Is someone getting the best of you?, mi hai chiesto spesso e volentieri. Ci provo, ti ho detto, sul serio, ti ho detto. Stai attenta però. Ci provo.

 

 

5.

 

La voce di quelle persone che riescono a tirare fuori il meglio del meglio di te. La parte buona dei crostacei che tutti siamo, così arroccati nelle nostre armature che poi finiamo per non far più passare alcuna luce. La voce di Brian che urlava appeso a un cancello. Il suono della risata dei tuoi migliori amici, quei balsami vocali che solo a sentirli ti placano tutta la mareggiata di dubbi e refusi che ti affolla il cervello. Finché non dicono davvero qualcosa, almeno. Appena danno voce ai loro pensieri, inevitabilmente ti incazzi come una pecora. Ma come diavolo fate a partorire certi ragionamenti inefficaci, imbecilli? Come fanno? Come facciamo tutti. Senza applicarci. Storditi, disorganizzati e sempre vagamente amareggiati nei confronti del Creato. Innamorati del vuoto pneumatico lasciato da certe persone dopo che se ne sono andate, viviamo in una costante risacca di ricordi che fanno un rumore sordo, intellettuale, come le onde sul bagnasciuga e ci rendono elettrici, nevrotici. Però abbiamo sempre le voci. La tua, per me, ha il suono della vita che avrei potuto vivere ma non ho vissuto e anche di quella che, invece, ancora sto vivendo. Il timbro gracchiante di Matthew, che sembra tanto far parte di quelle zero persone che, nella vita, ti capiscono davvero. Invecchierai senza cambiare mai, perdonerai a tutti e non a te, aspetterai come tuo solito finché verrà la luna a prenderti, e parlerai di me con tutti quanti, so che parlerai, e che ci credo e che son l'unico dirai, ma sbaglierai, me l'ha ripetuto fino allo spasimo, quella tua voce impossibile. Ma non è vero, James, non mi sbaglio. Io non sbaglio mai.

 

6.

 

Le lavastoviglie. Le lavastoviglie caricate a tarda notte, con il cuore di traverso nello stomaco e davanti agli occhi una lunga litania di cose che non sono andate come avresti voluto, al centro della quale brilla, come una pietra preziosa, l'assoluta certezza di essere stata molto fortunata. Una ragazza molto fortunata. Molto amata, in maniera un po' bizzarra ma senza dubbio efficace. Certo, l'amore non è mai un concetto universale, anche se tu dicevi che risponde a dei canoni oggettivi dai quali non si può divagare troppo, altrimenti si casca in tutti quei surrogati cancerogeni e inefficaci dell'amore, tipo la dipendenza o l'egoismo. Io ho avuto moltissimo, dalla vita. Soprattutto l'amore. Certo, non è sempre stato perfetto e forse quasi mai come lo volevo io, e magari l'ho pagato, anche caro, certe volte. Però, vedi, paghiamo le tasse anche sulla casa in cui viviamo, su tutto, paghiamo le tasse, nella vita, pensavo mentre caricavo quell'ultima lavastoviglie. Perché non pagarle anche sull'amore, in fin dei conti? Tanto l'amore, come Shakespeare, è uno di quei concetti che non puoi mai del tutto infilare dentro una quadratura precisa, sta un po' ovunque e risponde a molti aggettivi e moltissimi avverbi. Ci vuole un po' di pazienza, per lasciare che l'amore dia un senso alla vita. So che sai che intendo. Le lavastoviglie, la formazione shakespeariana, l'amore – anche quello che poi hai pagato caro – sono tutti privilegi dei quali uno non dovrebbe mai sottovalutare l'importanza.

 

7.

 

I tentativi. Fai le cose, e poi sbagli. Sbagli in maniera così clamorosa che quasi sconfina nel comico, quel tuo tentativo di aggiustare tutto con il cacciavite sbagliato. I tentativi educano all'autoironia, alla gestione dei ricordi, a non far grattare la macchina quando scali la marcia. I tentativi sono fuochi d'artificio, e come i fuochi d'artificio devi sempre spararli verso l'alto, perché se punti davanti a te rischi di dare fuoco ai due anziani che abitano al primo piano del palazzo di fronte. Il profumo delle viole alle tue spalle mentre sorridevi in quella veranda e io sistemavo il vecchio ricettario di mia nonna, indugiando sulle citazioni di Emil Cioran scritte a penna a margine dei fogli era un tentativo di poesia fatto dal mondo al mio indirizzo. L'ho apprezzato davvero. Mi ha ricordato tutte le cose che tu e mia nonna avete fatto per me, quell'accenno indeciso di poesia. Perché, sai, quante volte non ce l'ho fatta più e non sapevo davvero dove guardare. Quante volte ho fatto la conta delle sfortune, soffermandomi sul modo assurdo e incoerente in cui la vita ti strappa le cose dalle braccia, e poi, tentativo dopo tentativo, ho scoperto di avere il diritto di non dare retta alle cose che mi infastidiscono. Ho scoperto anche il dovere di rendere giustizia ai sorrisi nelle verande e alle vestaglie delle nonne, e a tutto quel percorso a cazzo tramite il quale mi sei arrivato dentro al cuore senza passare per il cervello. Fotografate da Dio in persona, fotografie della tua assenza. Anche loro sono tentativi di fermare quello che, per natura, non può essere fermato. Però sono di una bellezza selvaggia e innegabile, i tentativi. Tutto il nostro essere umani è racchiuso nell'atto di tentare, in mille modi diversi e con mille diversi stati d'animo.

 

Il tuo sorriso in veranda.
La vestaglia di mia nonna.
L'inatteso.
L'odore delle cose.
La voce delle persone che tirano fuori il meglio di te.
Le lavastoviglie.
I tentativi
.
Mi hai chiesto le sette cose per cui, secondo me, vale la pena morire. Siccome per me vale la pena morire significa, per sillogismo socratico manco troppo misterioso, vale la pena di vivere, te le ho scritte perché tu possa rileggertele, ogni tanto. Per un attimo ho anche pensato di inserire nella lista quando avevamo cent'anni di meno, ma sarebbe stata una paraculata e le paraculate non sono da me. Anche perché chi ha voglia di ricordarsi del tempo in cui eravamo tutti fatti di nebbia? Poi quella si dirada e tu rimani solo davanti alle cose come stanno, i lenti passi delle persone che attendevi e che non sono più tornate, e invece io sono affezionata a quello che c'è ancora, in qualunque modo riesca a palesare la propria presenza. Tutto sfumava in un cielo sereno, quando avevamo cent'anni di meno.

 

Stai attenta a non arrivare il punto in cui non senti più il dolore, bambina. Accorgiti sempre di dove ti fa male e perché. Fatti sempre le domande alle quali non sai rispondere. Prendila con un po' di filosofia, anche se non l'hai mai voluta studiare. Carica le lavastoviglie, ricordati di lavare a mano le vestaglie, chiamali anche solo per sentire la loro voce che tira fuori il meglio del meglio di te. Vai a tentativi, da qualche parte devi pur arrivare. Sorridi spesso, perché c'è sempre qualcuno che ha bisogno di ricordarsi del sorriso in una veranda. Non aspettarti nulla, ma sii pronta a tutto. Registra le tracce degli odori che sai che vorrai portarti dietro, per sentirli anche quando non ce ne sono. Pensa con tenerezza a quel tuo evidenziatore sul libro che va a ritmo del doppio pedale della batteria ovattata dalle cuffie. E non ti preoccupare di fare le cose sempre alla rovescia, perché alla fine ti riescono tutte, qualcuna più qualcuna meno. Ricordatelo. Prometti di ricordartelo. E non aver paura di sbagliare, non puoi: certe cose sono come l'ipertensione arteriosa, ce le hai nel sangue.

 

 

 

 

Goodbye, Ruby Tuesday
who could hang a name on you
when you changed with every new day?
Still, I'm gonna miss you.”
- The Rolling Stones   

   
 
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