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Autore: A lexie s    14/10/2014    4 recensioni
Chi non conosce il Titanic?! E' una delle mie grandi passioni, non solo in termini filmistici.
Non ci troviamo sulla Jolly Roger, bensì sull'imponente piroscafo affondato nel 1912, ma sempre di una nave si tratta.
Le vicende seguono, più o meno, quelle del film (dico più o meno perché ovviamente ci saranno delle novità).
Dal capitolo: Erano trascorsi settantotto anni ed Emma poteva rivederlo nella propria mente, ogni ricordo era nitido come se davvero si trovasse lì. La consistenza della ringhiera fredda e bagnata dalla rugiada, l’odore di vernice fresca e il rumore del mare. Il Titanic era considerato la nave dei sogni e lo era, lo era davvero.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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TITANIC

Capitolo 6
 
Ci sono giorni in cui ci si sveglia con l’assoluta convinzione che tutto possa andare bene, mentre altri in cui si crede che nulla possa aggiustarsi.
Tutto rimane lì, instabile sul filo del rasoio, nessuna mossa può essere fatta per non rischiare di cadere da una parte o dall’altra. Si finisce per rimanere in bilico, nell’indecisione e nella paura.
Rimanere fermi, cercando di stare in equilibrio nella mediocrità della propria vita o cadere giù sperando di atterrare su qualcosa di meglio? Magari sperare di non cadere affatto, bensì di riuscire a spiegare le ali e volare.
Emma non sapeva perché quel giorno si sentisse così diversa, forse per quello che era successo la sera prima o che sarebbe potuto succedere. Non sapeva ancora cosa volesse dalla vita, ma sapeva ciò che non voleva.
Quella convinzione divenne così tangibile in lei, così presente e forte da convincerla a rischiare.
Neal si era recato da lei la sera precedente, avanzando chissà quale pretesa, ed era stato deciso e duro.
Lei era la sua fidanzata e avrebbe dovuto smetterla di comportarsi in modo tanto sconsiderato, esigeva il suo rispetto ed anche il suo amore.
“Non posso amarti solo perché è quello che vuoi” gli aveva risposto in maniera scontrosa, ritraendosi rispetto alla posizione in cui si trovava lui.
“Potresti almeno fingere meglio” le aveva intimato lui, cercando un contatto che lei non era disposta a dargli.
“Posso provarci, ma adesso lasciami sola” quella richiesta non l’aveva sorpreso molto, si aspettava che lei reagisse così. Era così testarda, caparbia, forte. E lui l’amava per questo, ma riconosceva di aver sbagliato con lei.
Aveva cercato di bloccare il suo spirito libero per legarla a lui, cosciente che la sua famiglia fosse in difficoltà e che lei non avesse altra scelta.
Aveva creduto di poter essere ricambiato un giorno, ma quello non era amore, era possessione.
“Come vuoi” aveva acconsentito, avviandosi verso la porta e chiudendola alle sue spalle, dopo aver ammirato per un’ultima volta i lineamenti perfetti della ragazza.
 
Quella situazione diventava sempre più intollerabile, non vedeva Killian da mezza giornata e sentiva già la mancanza della sua risata sfacciata e delle sue labbra calde quando si muovevano insieme alle sue.
Sua madre contava sul fatto che lei sposasse Cassidy, doveva sacrificarsi per salvare la famiglia. Salvare!
Che strano verbo, lei doveva salvare qualcun altro e se stessa contemporaneamente, mentre ogni pezzo del suo spirito si frantumava sotto quella costante pressione.
Non poteva davvero rinunciare a ciò che era, non poteva vivere con quel peso. E non riusciva nemmeno a rinunciare a lui. Si era sentita più libera in quei quattro giorni trascorsi insieme che in tutta la sua intera vita.
Killian le mostrava la bellezza del mondo attraverso quello sguardo azzurrino, la caparbietà del suo spirito tanto simile al suo, la fiducia nella vita ed il calore di due mani forti che ti stringono.
Cose che non aveva mai provato, emozioni che non aveva mai vissuto.
Ed era questo, oltre al fatto che fosse inappropriato e che stesse ferendo sua madre, che le faceva paura. Il provare queste emozioni per un uomo che conosceva da poco tempo e non saperle gestire.
Non era riuscita a controllarsi il pomeriggio precedente in quello stanzino, perché lui era a pochi centimetri da lei, il suo alito caldo le riscaldava il volto ed il suo profumo le inebriava i sensi.
Ed era giusto, così giusto, maledettamente giusto che si trovasse lì con lui e che lo baciasse con tutta la passione di cui era capace. Poi, la paura era riaffiorata e lei si era tirata indietro ancora una volta.
Non voleva e non poteva continuare a vivere così e lui aveva ragione, quello spirito che era così forte in lei si sarebbe indebolito fino a non lasciare più traccia della donna che era.
Non era disposta a perderlo come non era disposta a perdere se stessa, e poteva sembrare stupida o incosciente o qualsiasi altra cosa, ma non avrebbe permesso più agli altri di manipolarla.
Si alzò velocemente dal letto ed indossò un vestito semplice, non chiese nemmeno a Ruby di acconciarle i capelli, aveva bisogno di fare una cosa e doveva farla velocemente. Lasciò che i boccoli le scivolassero sulle spalle e si diresse verso il primo ascensore.
Era euforica, felice, continuava a camminare rapidamente per evitare che la paura la bloccasse, ma dentro di sé sapeva che ormai aveva scelto di vincerla.
Si bloccò nel corridoio della terza classe, non sapeva quale fosse la sua stanza. Che stupida!
“Emma?” Una voce alle sue spalle attirò la sua attenzione. Si voltò ed incontrò lo sguardo caldo di una bella ragazza, la riconobbe subito. Regina si avvicinò con passo calmo e le chiese cosa stesse facendo.
“Sto cercando la stanza di Killian, devo parlargli” disse sicura la ragazza.
“Parlargli eh?” Replicò la mora con un sorrisetto sghembo, “ad ogni modo si, è in camera con Robin ed io stavo giusto andando da lui, dobbiamo andare a fare una passeggiata di sopra” chiarì sorridente, sembrava davvero felice.
Si fermarono di fronte ad una porta bianca con il numero venticinque inciso sulla placca in ottone. Regina bussò dolcemente alla porta e salutò Robin con un leggero bacio, prima di spostarsi e di permettergli di vedere che non era sola.
“Andiamo” disse, tirandolo per il braccio e conducendolo fuori. Quello non disse nulla, ma lasciò un sorriso ad Emma prima di farsi trascinare via.
“Robin, la porta potresti anche chiuderla!” Urlò Killian, alzandosi dal letto ed avvicinandosi alla parete che aveva di fronte e fu in quel momento che la vide.
Era rimasta lì, ferma. Le mani cadevano libere lungo ai suoi fianchi, il viso un po’ accaldato ma comunque bellissimo.
“Che stai facendo qui?” Domandò il ragazzo, portandosi le mani nelle tasche dei pantaloni e dondolando un po’ sui talloni. Vederla gli faceva bene e male contemporaneamente, come quando si aspetta qualcosa per tanto tempo e poi quando finalmente si ottiene, si finisce per perderla nuovamente. Però forse non era un paragone adeguato, infondo lei non era mai stata sua, le sue labbra quel pomeriggio però dicevano altro.
Emma non disse nulla, si limitò a guardarlo in quegli occhi che tanto le erano mancati e a ritrovarvi se stessa.
Si mosse velocemente, un passo deciso e lo baciò, lasciandolo sorpreso e immobile.
Le mani andarono velocemente dietro la sua nuca, tirò una ciocca di capelli neri vedendo che non si muoveva, spaventata dalla possibilità che lui non la volesse più. Stava per staccarsi, quando lui si riscosse, le impedì di allontanarsi e la portò su di sé.
Strinse la sua vita con una mano, mentre con l’altra le accarezzò il viso in modo dolce. Quel bacio divenne subito appassionato, Killian chiuse la porta con un calcio mentre Emma insinuava una mano sotto la sua camicia leggera. Lo spinse sul letto e si lasciò cadere su di lui che prontamente ribaltò la posizione catturandola sotto la sua morsa.
Si staccarono per riprendere fiato, tutto intorno a loro sembrava avere un colore diverso, più chiaro e cristallino. Lui percorse il suo profilo con le dita, soffermandosi a tracciare il contorno di quelle labbra umide che tanto adorava baciare.
“Che ci fai qui, Emma?” Ripeté, sospirando piano per la paura che lei potesse fuggire via di nuovo.
“Avevi ragione” ammise la ragazza, abbassando lo sguardo sulle sue labbra e avvicinandosi per riprendere a baciarlo.
“Come sempre, tesoro, ma a cosa ti riferisci di preciso?!” La stuzzicò, mordendole il labbro inferiore e beandosi dei respiri mozzati che le provocava.
“Sei davvero egocentrico” Emma rise, tornò subito sicura di sé e riprese ad approfondire il bacio.
“Ma non mi hai risposto” si lagnò Killian, facendo scivolare una mano languidamente sulla sua schiena coperta dalla leggera stoffa del vestito.
Lei gli aprì la camicia con fervore, facendo saltare anche qualche bottone e lui rimase lì a guardarla incantato dalla sua sicurezza, “non dovevo allontanarti” mormorò sulla sua bocca, passando ad insinuarvi la lingua subito dopo. Scese a baciargli la mandibola ed il collo, facendosi strada verso il suo petto. “Già” concordò Killian, accarezzandole i boccoli che ricadevano scomposti intorno a lui.
“Stai con me, Emma” quelle parole uscirono quasi come una preghiera, un bisogno, un’urgenza di averla sua e di tenerla con sé, più vicino come se i loro corpi potessero fondersi insieme e le carni bruciare sotto il tocco dell’altro.
“Si” acconsentì, risalendo quella scia di baci fino a giungere nuovamente alle sue labbra, “si” ripeté decisa, sorridendo subito dopo e facendo ridere anche lui. Si ritrovarono a ridere in quella situazione così surreale, così appassionata e dolce.
Poi le risate vennero nuovamente sostituite da una scintilla che balenò nello sguardo di Killian e lei colse subito, tornando seria a sua volta e aspettando che lui parlasse. “Mi rendi così felice” disse, la dolcezza di quella frase le riscaldò il cuore velocemente e avrebbe voluto davvero rispondere, magari sussurrargli che era lui ad averla salvata più volte e che le faceva avere ancora speranza, ma non riuscì a dire nulla e preferì semplicemente sfiorare il suo naso e accarezzargli la fronte mentre lo guardava con commozione.
Rimasero fermi per qualche attimo in quella posizione, poi lei fece passare la camicia sulle sue braccia per toglierla lentamente mentre continuava a non abbandonare il suo sguardo. Killian le aprì il vestito facendolo scivolare malamente a causa della posizione, tanto che lei dovette scacciarlo via con i piedi e lo stesso fece con i pantaloni di lui. Le mani di Killian percorrevano tutto il suo corpo, lasciando delle scie infuocate che la riscaldavano dentro mentre spazzava via l’ultima stoffa e la lasciava completamente nuda in balia del suo sguardo rovente.
“In una stanza di terza classe, eh?” Mormorò dispiaciuto, di certo lei non era abituata a trovarsi in luoghi come quello e lui avrebbe davvero voluto poterle dare di più.
Emma colse subito quella scintilla di tristezza che gli aveva attraversato gli occhi, gli accarezzò il viso con il palmo aperto della mano e cercò di catturare il suo sguardo. “Hey, guardami. Non c’è nessun altro posto in cui vorrei essere in questo momento, davvero.” Giurò con una sincerità disarmante.
Si avvicinò per baciarla nuovamente, mentre con una mano le accarezzava le natiche e con l’altra faceva scivolare l’ultimo indumento che li divideva. Si unì a lei lentamente, appoggiandosi ad un gomito per non gravarle addosso. La lentezza fu presto sostituita dalla passione di entrambi, i tocchi frenetici, le carezze roventi, gli occhi che si cercavano e le labbra che si sfioravano continuamente.
“Emma..” Sussurrò una volta, due volte, tre volte. Il suo nome usciva così dolcemente dalle sue labbra che la ragazza non si stancava mai di ascoltarlo e la dolcezza era accompagnata sempre da quello sguardo languido e quel sorriso sghembo che amava già, nonostante fossero passati solo pochi giorni da quando lo aveva conosciuto.  
“Oh, Killian” ricambiò, un attimo prima che la passione sconvolgesse entrambi e che si accasciassero insieme ancora uniti in un unico corpo.
 
 
 
“Voglio che tu faccia una cosa per me” disse trascinandolo dall’altra parte del corridoio, mentre nell’altra mano teneva l’album con i carboncini del ragazzo.
“Sono sempre disponibile, tesoro” asserì, lasciandosi trascinare e stringendo con decisione le dita attorno alla sua mano.
“Ci siamo appena rivestiti, Killian. E poi dovresti essere stanco.” Lo provocò, fermandosi e avvicinandosi a lui mentre con un dito gli lasciava delle scie lungo il petto.
“Sono sempre pronto e smettila di fare questo” ribatté, bloccando il suo polso e alzandolo all’altezza della sua spalla.
“Questo?” La sua voce divenne fintamente innocente, mentre il suo viso si avvicinava sempre di più a quello di Killian.
“Si, mi fai impazzire” ammise, facendola ridere e schioccando un bacio leggero sulle sue labbra ancora dischiuse.
Poi Emma tornò a prendergli la mano e ricominciò a trascinarlo verso gli ascensori.
Salirono rapidamente fino alla suite della ragazza ed entrarono, “potrebbe beccarci” disse Killian spostandosi verso i divanetti che ornavano il salotto.
“No, questa è l’ora della partita di poker, ma dobbiamo finire prima che venga a cercarmi per il pranzo.”
“Finire?” La interrogò ridendo.
“Voglio che tu faccia una cosa” si avviò verso la cassaforte e girò la manopola rapidamente inserendo il codice per aprirla. Tirò fuori un cofanetto in pelle e lo aprì davanti ai suoi occhi, “voglio che tu mi ritragga con questa addosso, solo con questa addosso” concluse, mentre Killian deglutiva platealmente.
“Ecco spiegata la presenza dei carboncini” rise.
Sistemò il divanetto trascinandolo sotto la luce per avere una vista migliore, posizionò i cuscini e poi passò ad affilare i suoi carboncini. Pochi minuti dopo, Emma uscì con indossò solo un accappatoio che fece scivolare languidamente lungo il suo corpo, poi prese la collana e la porse a lui per invitarlo ad aiutarla.
Si stese sul divanetto e lui le suggerì la posizione più comoda ed adatta per il ritratto, poi prese il blocco e cominciò il suo disegno.
“Ti dirò che faccio parecchia fatica a rimanere concentrato” ammise, staccando gli occhi dal foglio e fissandola sorridendo.
“Oh, stai già arrossendo” lo prese in giro lei, sorridendo, prima che lui le ricordasse di rimanere ferma.
“Poi non dovresti preoccuparti di quello” aggiunse con malizia.
Rimasero in silenzio per il resto del tempo, lui continuava a tratteggiare il suo profilo con polso fermo, poi passava a sfumare le ombre con il dito ed il ritratto acquisiva sfumature nuove. Emma invece continuava a pensare a quanto le cose sembrassero diverse dal giorno precedente, il cigno raffreddava il suo collo facendola rabbrividire più volte, cosa che cercò di nascondere per evitare le battutine del ragazzo.
“Ecco fatto” disse lui quando ebbe finito, firmò il ritratto e lo ripose in una custodia di cuoio. Si avvicinò a lei e la baciò lentamente prima di porgerglielo, “ecco a lei, signorina.”
 
 
Emma ripose la collana nell’astuccio in pelle e scrisse un biglietto, la calligrafia chiara diceva: “Così potrai tenerci entrambe in cassaforte”.
Li porse a Killian, “puoi riporli tu in cassaforte, mentre mi vesto?” Il ragazzo annuì e lei si avviò nell’altra stanza.
Tornò qualche minuto dopo con un vestito chiaro che le fasciava il corpo dolcemente ed i cappelli sempre sciolti, si avvicinò al ragazzo che era rimasto seduto sul divano e gli porse la mano invitandolo ad alzarsi.
“Andiamo” gli strinse la mano, le loro dita s’incastrarono perfettamente infondendo calore, pace e amore ad entrambi. Quel momento venne spazzato via velocemente da qualcuno che bussava alla porta.
Sussultarono preoccupati dall’eventualità che fosse Cassidy, o peggio sua madre. Poi Emma prese coraggio e chiese, sentendo la voce cristallina di Ruby dall’altro capo della porta.
“Ruby sei tu” spalancò la porta con sospiro di sollievo e l’abbracciò. La ragazza rimase sorpresa, ma ricambiò con un sorriso prima di notare la figura di Killian qualche passo più indietro.
“Per favore, se mi cercano per il pranzo menti dicendo che sto male” la pregò, tenendo le sue mani in una stretta rassicurante, Ruby annuì e si fece da parte mentre i due lasciavano la stanza.
 
 
 
“Emma, ci sei?” Urlò Cassidy, sbattendo ripetutamente il pugno contro il legno della porta. Si guardò intorno, tutto sembrava tranquillo, mise le mani nelle tasche dei pantaloni aspettando qualche minuto prima di ricominciare ad imprecare verso la stanza.
“La signorina non sta bene” gridò Ruby, spaventata dall’idea di aprire la porta e trovarselo davanti, “la raggiungerà più tardi” aggiunse per levarselo definitivamente di torno.
Neal rassegnato decise che era il momento di andare via, non voleva rischiare di farsi udire da tutto il resto dei signori che si trovavano su quel piano, anche se la maggior parte doveva ormai essere nella sala da pranzo.
 
Ore 21:30.
Neal tornò a bussare ripetutamente alla porta, “so che sei lì” disse serio, “Emma, aprimi o sfondo questa maledetta porta” la sua minaccia giunse duramente alle orecchie di Ruby, spaventandola, e così aprì, seppur con riluttanza.
“Dov’è?”
“Non lo so” rispose, spingendosi sempre più vicino al muro, si sarebbe sotterrata se avesse potuto.
“E’ con lui” sputò l’uomo tra i denti, battendo un pugno sul muro e facendo cadere un quadro sul pavimento. Poi si avviò verso la cassaforte per vedere se mancasse qualcosa, afferrò la copertina di cuoio e l’aprì rivelando il suo contenuto.
Una lettera gli scivolò tra le mani e quelle parole s’incisero in lui pesantemente. Prese il disegno, lo accarezzò piano e poi pensò di strapparlo, fermandosi all’ultimo.
“Va via!” Intimò alla ragazza che era ancora alle sue spalle e poi chiamò Jefferson.
“Trovali” gli ordinò, “e fai tutto il necessario per riportarla qui, subito!” Gridò furente, afferrando la collana e nascondendola nella tasca del lungo cappotto nero.
 
 

“Ormai si saranno accorti della tua assenza” mormorò Killian, mentre continuavano a passeggiare sul ponte. Avevano pranzato nella sala di terza classe, il loro primo pranzo insieme quanto alla cena avevano deciso di saltarla. Emma annuì, consapevole che Ruby non poteva averli trattenuti fino a quell’ora. Mille domande affollavano la sua mente, come avrebbero trascorso il resto dei dieci giorni che servivano per arrivare in America?!
Non lo sapeva, davvero non sapeva come avrebbero potuto farlo, ma sapeva che non voleva tornare indietro e non si pentiva della sua scelta.
“Ci stai ripensando?” Domandò preoccupato, stringendo un po’ di più la sua mano per rassicurarla e perché voleva tenerla sua quanto più poteva.
Già sua, la sentiva così ormai.
“Mai” promise Emma, bloccandosi e gettando la testa sul suo petto caldo, “non so come faremo, però.”
“Troveremo un modo. Solo promettimi che qualsiasi cosa succeda, quando arriveremo in America scenderemo insieme.”
“Lo prometto.”
Si avvicinò per sfiorare piano le sue labbra quando alle sue spalle scorse la figura di Jefferson che guardava da un’altra parte, non li aveva ancora notati. Emma si bloccò e fece un cenno a Killian, quando l’uomo li vide e cominciò a correre verso di loro.
“Andiamo” gridò Killian, afferrandole la mano e trascinandola verso una porta. Continuarono a correre, aprendo porte a caso quando arrivarono nella parte inferiore della nave dove si trovavano le caldaie.
“Scusate” mormorarono ridendo agli uomini che lavoravano e poi continuarono a correre aprendo una porta poco lontana da lì.
Avevano seminato Jefferson ed adesso si trovavano in una stanza piena di valige, al centro vi era anche un auto nera.
Killian porse la mano ad Emma e l’aiuto a salire dietro, mentre lui prese il posto del conducente.
“Dove la porto signorina?” Chiese alzando il mento e guardando indietro.
“Sull’isola che non c’è” sorrise lei e lui rimase fermo a fissarla. “Non vuoi crescere, hai paura che ti vengano le rughe?” Domandò ridendo.
“No, ma potresti essere il pirata che viene a salvarmi e potremmo stare insieme, lontano da tutti, sulla tua nave.” Concluse, spiegando le sue teorie. Davvero aveva detto questo? Killian sorrise, un sorriso genuino che illuminò anche il suo sguardo. Aveva sempre amato i pirati ed il pensare alle sue parole gli aveva messo una profonda ilarità.
“Sai, ho sempre pensato che Capitano Uncino non fosse il cattivo della favola, non prendermi per una sciocca” mormorò imbarazzata, intrecciando le braccia attorno a lui e facendo ricadere le mani sul suo petto.
“E’ incredibile. L’ho sempre pensato anche io.” Killian sorrise e si lasciò trascinare sul sedile posteriore. Le labbra di lei reclamarono con urgenza le sue, mentre l’allegria lasciava il posto ad una rinnovata passione.
“Qui?” Sussurrò lui, sorridendo maliziosamente sulla sua bocca.
“Qui.” Confermò lei, sbottonandogli la camicia.
La temperatura era piuttosto bassa in quella parte della nave, si spogliarono a vicenda e si strinsero più forte per riscaldarsi, si unirono magicamente come la prima volta e allo stesso modo provarono quella sorta di comprensione reciproca, pace e benessere.
“Hai freddo?” Chiese Emma, cullandolo contro il suo petto e accarezzandogli piano i capelli scuri.
“No” mentì Killian, appoggiando una mano al vetro della macchina e  lasciandolo un po’ appannato. Si aiutò con quello per sollevarsi un po’ di più e per incatenare il blu nel verde di lei, rivedendo in quello sguardo la sua casa.
Sentirono una porta che sbatteva dalla parte opposta e si riscossero rivestendosi velocemente. Non potevano uscire da dov’erano entrati, visto che quasi sicuramente qualcuno doveva aver indicato a Jefferson il loro nascondiglio. Si guardarono intorno e scorsero una piccola porta bianca dall’altra parte della stanza, così optarono per quella soluzione e corsero lì.
 

“Guardate bene lì dietro” ordinò Jefferson, a lui si erano uniti dei membri dell’equipaggio che aveva pagato profumatamente. Tutti cominciarono a cercare i due ragazzi in quella grande stanza, spostando varie valigie e dei mobili che erano stanziati lungo l’estremità sinistra.
Controllarono più volte senza ottenere risultati, non vi era nessuna traccia di loro, nessun segno del loro passaggio.
“Guardi qui!” Esclamò Peter, uno dei membri più giovani dell’equipaggio. Era scaltro ed intelligente, ma quel suo viso da bambino celava l’infamia che si nascondeva nel suo animo.
Attirò l’attenzione di Jefferson che si avvicinò all’auto nera ed aprì la portiera lentamente, godendosi il momento in cui li avrebbe beccati, del resto non c’era altra spiegazione. Eppure non erano nemmeno lì, il sorriso cattivo gli morì sulle labbra rese scure dal freddo.
“Si sono divertiti a quanto pare.” Mormorò Peter, indicando il vetro ancora appannato dell’auto.
“Non possono essere andati lontano” constatò, trascinando un dito su quel vapore condensato.
 

 
“Elsa, vieni. Tocca a noi salire di vedetta.” Kristoff urlò oltre al vetro della cabina di comando per attirare l’attenzione della ragazza.
“Non capisco come mia sorella possa essere interessata a te, sei un tale rompiscatole.” Rispose scocciata la ragazza.
Elsa era l’unico membro donna dell’equipaggio, mentre la sorella si occupava di servire ai tavoli ai signori di prima classe. Era così aggraziata che l’avevano trovata perfetta per quel ruolo, mentre Elsa preferiva qualcosa di più tenace e duro, per questo aveva deciso di occuparsi di un altro settore.
Kristoff aveva aiutato entrambe ad ottenere il lavoro, del resto offrivano una bella paga ed avevano bisogno di soldi per allestire il matrimonio, mentre Elsa aveva bisogno di una somma che potesse garantirle gli studi.
“E’ il nostro lavoro, ed è quello che ci permette di sopravvivere quindi non abbiamo altra scelta.”
“Non dobbiamo accontentarci di sopravvivere, bisogna vivere. Mia sorella lo ripete sempre, ma ancora non ti è entrato in testa” mormorò scocciata, suscitando in lui una risata.
“Lo so bene, ma per adesso dobbiamo accontentarci di questo. Quindi muoviti e vieni di vedetta.” Le rivolse uno sguardo di rimprovero e si accinse a salire le scalette per posizionarsi in alto nel luogo che gli avrebbe permesso di vedere meglio se ci fossero stati iceberg in vista.
La ragazza lo seguì velocemente, prese posto vicino a lui e si fermò a scrutare il buio della sera.
Il mare era incredibilmente calmo ed il cielo terribilmente scuro. L’aria era gelida, benché non ci fosse freddo e quella sembrava sicuramente la serata più tranquilla del mondo.
“Il mare è troppo calmo, non è un buon segno.” Mormorò Kristoff, stringendosi le braccia intorno al corpo per scaldarsi, l’aria usciva dalla sua bocca condensandosi in una spirale di fumo grigio.
“Perché?” Chiese la ragazza, quello era il suo primo viaggio ed era la prima volta che svolgeva una simile mansione quindi doveva ancora fare esperienza, ma sicuramente sembrava tollerare il freddo meglio del suo collega.
“Perché non possiamo sentire le onde che s’infrangono contro il ghiaccio e la visibilità è piuttosto scarsa. Inoltre, abbiamo ricevuto degli avvisi di allarme iceberg, ma il comandante non ha voluto rallentare per vincere quel maledetto nastro azzurro.” Disse scocciato, portando una mano davanti agli occhi per cercare di vedere meglio.
“Nastro azzurro?” Lo interrogò impaziente, Elsa non era di certo un’esperta di competizioni navali ma se c’era qualcosa che sapeva era che non bisogna giocare con il ghiaccio.
Aveva rischiato di perdere sua sorella per colpa di quello, quando da bambine stavano pattinando sul lago ghiacciato la sera della vigilia di Natale. Pensavano che il laghetto fosse resistente, ma non era stato così. Il ghiaccio aveva ceduto ed Anna era caduta di sotto, e lei era troppo piccola per riuscire a tirarla fuori da sola.
Tre minuti, fu il tempo che impiegarono i genitori per tirarla fuori. Quattro minuti, per assicurarsi che stesse bene. Cinque minuti, per riuscire a calmare il battito del suo cuore impazzito.
I cinque minuti più lunghi della sua vita.
“Si, il premio riservato a chi percorre la traversata atlantica più veloce” chiarì, soffiandosi un po’ d’aria sulle mani fredde. Poi estrasse dei guanti neri dal cappotto e se l’infilò lentamente.
“Perché è così importante?” La curiosità aveva avuto la meglio, o forse stava solo cercando di fare conversazione con quello che di lì a poco sarebbe diventato suo cognato.
Insomma, doveva ammettere che alla fine era un bravo ragazzo. Le aveva trovato un lavoro, un modo per finanziarsi gli studi e soprattutto rendeva felice Anna, e questa era la cosa più importante per lei.
Dopo la morte dei genitori, lei era l’unica persona cara che le era rimasta.
Doveva proteggerla, era quello che si era ripromessa quando l’aveva vista stesa sul lago ghiacciato. Nessuno le avrebbe fatto del male.
Aveva fallito quando quell’imbusto di Hans l’aveva ferita ed usata, ma con Kristoff era diverso. Lui l’amava sinceramente. Il suo sguardo si riempiva di gioia quando parlava di lei, quindi doveva essergli grata per questo.
“Immagino per il potere” mormorò, i denti presero a sbattergli velocemente. Si strinse meglio nel cappotto pesante e tornò a guardarla.
“Puoi stare tranquillo Kristoff, io riesco a fiutarlo il ghiaccio!”


Autrice:
Ciao bella gente! :*
Dopo tutti questi fantastici momenti CaptainSwan nel telefilm, non ho saputo resistere ed avevo voglia di concedergli qualche momento felice. 
Volevo ringraziare tutte le persone che leggono la storia e quelle che recensiscono, inoltre un ringraziamento speciale a tutte le ragazze che sclerano con me. Siete fantastiche e vi adoro!
Adesso, fatemi sapere tutte le vostre supposizioni su quello che succederà. 
Un bacio!



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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