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Autore: akalice_yu    14/10/2014    1 recensioni
Una cosa fluff sulla SoMa che mi è mi è venuta così...
Tratto dal primo capitolo:
"Improvvisava. Stava chiaramente improvvisando. Tuttavia non ce se ne rendeva conto, data la tanta sicurezza dell’artista. Non furono pochi, in ogni caso, a distorcere il naso di fronte a, per i miei orecchi, tanta bravura…".
E ora vi lascio alla storia. Buona lettura!
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1. Di tasti bianchi e neri...
 
Era un pomeriggio d’inverno. Avevo circa nove anni, e, come ogni brava studentessa, facevo i miei compiti, non curante della silenziosa atmosfera che si poteva respirare in quei momenti. Avrei dovuto finire quegli esercizi, assegnatimi per casa, entro l’ora di cena. Saremmo dovuti andare a teatro ad assistere a un prestigioso concerto di musica classica per strumenti orchestrali, quella sera, e io non avevo alcuna intenzione di far attendere i miei genitori.
"Mamma, da grande voglio suonare il violino."
Attirai l’attenzione dell’aggraziata figura in modo esuberante. La suddetta mi guardò sorpresa: non avevo mai dimostrato troppo interesse per la musica, ma poi mi guardò dolcemente e alla stessa maniera mi sorrise, rispondendomi: “Se sarà quello che vorrai fare, tesoro, sono sicura che ci riuscirai.”
Quella sera si dimostrò forse la più proficua per imparare ad apprezzare il dolce suono dell’archetto strofinante le altrettanto poetiche corde di quello strumento tanto agognato. Il teatro godeva di un’acustica straordinaria, nonostante fosse pieno.
“La famiglia violinista degli Evans presenta il nuovo talento di questo straordinario quartetto…” lesse mio padre sul volantino nel mentre, aspettando l’inizio dello spettacolo “Beh, sembra interessante!”.
Durante la pausa di metà concerto, ci venne annunciato che il successivo, straordinario talento sarebbe stato il più piccolo ed esordiente membro della famiglia, quanto unico. Di fatto, quest’ultimo avrebbe suonato con uno strumento difficilissimo per un normale bambino di dodici anni. Ma era questo il punto: non si trattava affatto di una famiglia normale, bensì di un’intera generazione di musicisti.
Partì una sonata. Una sonata soave e lieve, che riecheggiava attraverso i tasti candidi… candidi come i capelli del ragazzo, in netto contrasto con i suoi occhi scarlatti. Tutti, in sala, erano chiaramente in visibilio. Certo, tutti tranne me. Trovavo quella musica spenta, apatica, identica a tante altre di famosi autori ottocenteschi. Fu quella nota che mi colpì. Una nota che stona in un’intera sinfonia può sembrare sbagliata, o almeno non se a questa se ne aggiungono tante altre, che, seppur nella loro dissonanza con il precedente ritmo, possono dare più di un senso a quell’unica nota che spezzò il mio respiro. Improvvisava. Stava chiaramente improvvisando. Tuttavia non ce se ne rendeva conto, data la tanta sicurezza dell’artista. Non furono pochi, in ogni caso, a distorcere il naso di fronte a, per i miei orecchi, tanta bravura… Rimasi incantata al sentore di quella melodia così strana, così diversa da tante altre, al punto di non voler credere, quando le esili dita del giovane si staccarono dalla tastiera del pregiato strumento, che quell’incanto fosse già finito.
Nel mentre del ritorno a casa, pensai molto a quel giovane e alla sua bravura, anche arrossendo a tratti, ma senza saperne il motivo. Piena di entusiasmo, infine, rivolsi a mia madre un sorriso, declamando ingenuamente:
“Sai, mamma, ho cambiato idea: da grande voglio suonare il pianoforte.”
   
 
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