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Autore: Kafkaesque    15/10/2014    5 recensioni
Buon sangue mente. Mente con costanza, con discrezione, mente con le labbra appoggiate a un bicchiere di cristallo, ma il vetro non si appanna.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abraxas Malfoy, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy | Coppie: Lucius/Narcissa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Questa storia è per Tiffany, il pavone da combattimento, perché è stato sacrificato per il BuonSenso Superiore




 
 
Buon sangue
 
 
 
 

 
Sua madre è un’ombra elegante, sempre nell’angolo giusto della stanza. Porta solo gioielli che risaltino l’azzurro dei suoi occhi e i suoi capelli sono così biondi che nessuno se ne accorgerà, il giorno in cui diventeranno bianchi. Suo padre ha la pelle chiarissima, sull’incavo del collo sembrerebbe quasi trasparente, e ogni tanto ha dei capillari rotti sugli zigomi. Ha una malattia di cui Lucius non sa nulla, eccetto che sulla caviglia destra ha un livido che non può guarire, e che non è una debolezza. Sua padre dice spesso, Buon sangue non mente, ma deve chiedere spiegazioni prima di capire. Buon sangue? È il loro. Lucius annuisce e suo padre dice, Bravo ragazzo.

(Buon sangue mente. Mente con costanza, con discrezione, mente con le labbra appoggiate a un bicchiere di cristallo, ma il vetro non si appanna. Buon sangue a tavola non beve, si bagna le bocca e la tampona col tovagliolo, resta l’impronta perfetta di rossetto e vino; ma ci sono ore fatte solo di corridoi deserti e camini quasi spenti, e allora finisce bottiglie a grandi sorsi, di nascosto, ma senza mai macchiarsi il vestito)
 
Sua madre si veste sempre di seta e di azzurro, così che sorge il dubbio (Lucius la guarda, ha sei anni e già le parla come fosse qualcosa di fragile) prima o poi: forse qualcuno ha scelto i suoi occhi per lei, perché li potesse abbinare ai suoi diamanti blu? Sua madre si veste sempre di azzurro, chiarissimo, e le macchie di vino si vedrebbero subito – ma non ci sono. I suoi genitori sono fatti per stare insieme, uno di fianco all’altro, in un ritratto. Si amano perché hanno gli stessi colori, si vede bene quando ballano insieme al centro di un salone, al centro di una festa. Sì, suo padre le dice che la ama e non la chiama mai per nome, la chiama cara quando sono soli e la Signora Malfoy quando deve presentarla a qualcuno. Ci si stringe le mani coi guanti, sempre. Sua madre porta guanti come quelli di suo padre, neri, lucidi, e troppo rigidi perché il freddo possa entrare o uscire. Suo padre li indossa giorno e notte; Lucius non ricorda di averlo mai visto senza, e il perché, sente gli ospiti mormorare, è che basterebbe un taglio, un taglio solo. Allora riaffiora una memoria vaghissima, lontana, di suo padre che sfoglia un libro, e poi sangue e sangue sulle pagine.
 
*
 
Sua madre è la padrona di casa, mani candide fatte per sistemare fiori nei vasi, e forse è per questo che non è padrona di se stessa: si può avere solo un ruolo, in questa vita, o così sostiene suo padre. Ci sono le varie ancelle petulanti che chiama amiche, la circondano nei corridoi trottando senza grazia, ridacchiando, e anche quello è un ruolo; poi se ne andranno e non guarderanno il cancello della villa chiudersi. Poi c’è sua madre, cammina sempre sui tappeti per non far rumore, ma ogni tanto sposta i soprammobili e toglie tutti i quadri del salone. Allora gli antenati fissano il soffitto dal pavimento di marmo, e ci sono i loro occhi azzurro vernice a ricordarle ciò che la segue da ogni superficie riflettente della casa. Un giorno, Lucius la trova sola, in mezzo alla stanza, a fissare i muri spogli. Ha sempre pensato che le pareti a villa Malfoy fossero di un bianco incorruttibile, ma ogni bianco è piuttosto grigio in confronto alle ombre candide sotto le cornici. Evidentemente, esiste dello sporco che non si vede.
Lucius guarda sua madre che guarda le pareti.
 
*
 
Sangue è una parola importante, e Lucius impara in fretta. I suoi capelli sono della giusta tonalità di biondo, i suoi occhi della giusta tonalità d’azzurro, i suoi lineamenti simmetrici da cinque generazioni. Suo padre dice, Ce l’hai nel sangue, e ancora, Il sangue non è acqua. Lucius guarda sua madre e ascolta suo padre, crede a tutto quello che dice perché dice solo la verità.
 
Ragionando per assurdo, se suo padre stesse mentendo – se il sangue fosse acqua, sua madre probabilmente sarebbe un fiore. Ma. (I fiori crescono in vaso, in giardino, il glicine disperato sui cancelli, nei lucchetti) Che pensiero sciocco. Bravo ragazzo, dice suo padre, Sangue del mio sangue.
 
*
 
Una dama non si tocca neanche con un fiore, questo è l’ennesimo detto di suo padre. Ne ha uno per tutte le occasioni, e Lucius li capisce ora: ha otto anni e sa già cosa aspettarsi da ogni giorno della propria vita, sa già cosa indosserà al proprio matrimonio o al funerale di sua madre, perché gli abiti da cerimonia sono tutti in un armadio al secondo piano, avvolti da teli di lino. Suo padre conosce ogni massima e ogni proverbio; se sono stati ripetuti fino ad oggi, varrà la pena ripeterli anche domani. Sulla poltrona, lascia che sua madre si sieda sulle sue ginocchia, in silenzio. Alla luce del camino sembrano personaggi di un dipinto, pennellate di rosso come ombre e lo stesso blu per gli occhi, immobili e sfocati finché il fuoco non si spegne.
 
(Suo padre non si toglie i guanti prima di cominciare a urlare, basta una parola sbagliata nel silenzio, e le cuciture di fil di ferro lasciano un marchio come per magia, con un rumore sordo, dalla pelle nera dei guanti alla pelle bianca del volto di sua madre. Il rosso non ti dona)
 
Mai con un fiore, ragazzo. Lucius si guarda allo specchio e pensa di aver già visto il proprio volto da qualche parte, in un ritratto vecchio di secoli, i propri occhi appesi alle pareti in colori pieni di crepe. Bravo ragazzo, mormora.
Con un fiore certamente no. Si chiede se le spine contino, però. (Il rosso non ti dona, mormora Lucius al soffitto – in realtà non emette alcun suono e poi si vergogna, anche se è solo, nella sua stanza buia tutta velluto; in realtà è solo per provare, provare come suonerebbe sulle sue labbra, la voce di suo padre sulla sua lingua)
 
*
 
Una sera suo padre gli racconta che suo padre, il nonno che Lucius ha visto più volte in una cornice che in carne e ossa, era stato un sostenitore di Grindelwald ai tempi della guerra. Kryptes Malfoy, filantropo e pacifista, aveva anche sostenuto economicamente l’approvvigionamento di diversi reparti in Bulgaria. È un segreto, naturalmente. Confido che tu ormai sappia tenere la bocca chiusa.
Un’altra sera stanno cenando, c’è carne bianca nei loro piatti e il coltello è lucido contro la pelle nera dei guanti di suo padre, e all’improvviso qualcuno urla; un uomo urla. È un grido che li raggiunge flebile e attutito, e viene dal basso, un dolore lontanissimo sotto il tappeto persiano. E ancora, e ancora. Lucius apre la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma suo padre lo ferma con uno sguardo freddo. Suo padre mastica piano l’ultimo boccone di carne e poi si alza, lascia la stanza. Lucius lo intravede estrarre la bacchetta nell’atrio, ma con la sinistra – si chiede cos’abbia nell’altra mano, ma poi guarda il posto che suo padre ha lasciato e tra le posate ci sono tre forchette e due coltelli. Certo, vorrebbe parlare, ma c’è questo, questo silenzio, e sua madre appena sente una porta chiudersi in lontananza si versa altro vino nel bicchiere e beve, con gli occhi chiusi.
 
Una settimana dopo, sempre all’ora di cena, una squadra di Auror si Materializza ai cancelli di Villa Malfoy chiedendo di un certo Bysshe Shatterclam, un attivista nato-Babbano che aveva avuto degli screzi con Abraxas Malfoy, durante una campagna anti-discriminazione dello status magico – sanno forse qualcosa riguardo la sua scomparsa? Lo spero, aggiunge il capo-Auror, un uomo dagli occhi severi, perché comunque abbiamo un mandato di perquisizione.
Non trovano nulla, ovviamente. Ovviamente, i sotterranei sono vuoti, inutilizzati da anni, solo un ricordo dei vecchi tempi; volete qualcosa, del the? No, grazie. Chiedono a sua madre se abbia notato qualcosa di strano nei giorni precedenti e lei scuote la testa, sbatte le ciglia, prende un bicchiere e lo porta alle labbra anche se è vuoto.
Ogni giorno è un’altra lezione da imparare: buon sangue non mente, ma dietro le labbra chiuse morde il vetro del calice, e sorride intorno a un silenzio mostrando tutti denti; buon sangue non si nasconde, ma perché dovrebbe confessare? Quando se ne vanno, la cena riprende e suo padre mastica carne al sangue, mai così di buon umore; sfiora con le dita il collo di sua madre, la bacia sulle labbra, Nessuno sa quanto io ami questa famiglia.
 
So che l’hanno ucciso, so che è successo qui, il capo-Auror lo prende in disparte, poco prima che lascino l’atrio; ha la bocca storta, e lineamenti anonimi da Mezzosangue, Puoi fare la cosa giusta. Loro non possono più, ma tu sì, tu hai ancora tempo. Silenzio.
(Non ci sono urla nascoste sotto il tappeto persiano, giuro, non c’è neanche un filo di polvere)
                                                                                                                                                           
*
 
A undici anni prende il treno per Hogwarts, sua madre alla stazione gli posa le labbra sulla fronte e respira, solo per un attimo. È fredda, lo guarda con quegli occhi abbinati al suo mantello, e a Lucius vengono in mente domande che non c’entrano nulla, che non gli è mai importato fare, come Perché odi i quadri, perché dai l’acqua ai fiori, perché non fai rumore? Poi suo padre gli posa una mano sulla spalla e dice, gonfiando il petto, Siamo già fieri di te. Ricordati: hai già imparato tutto ciò che c’è da imparare, ragazzo. Non lasciare che qualche Babbanofilo mezzosangue ti dica il contrario. Ascolta tuo padre.
Lucius ascolta suo padre, e il treno parte e lui non li saluta dal finestrino, non li guarda allontanarsi abbracciati sui binari. Non ce n’è bisogno, non gli mancheranno: c’è una parte di loro che lo consola anche quando non ci sono, e per vederla basta pungersi la punta di un dito con una spilla.
 
Sul treno, tutti conoscono il suo cognome, si presentano solo per stringergli la mano. (Senza guanti, ma per quello ci sarà tempo) Lucius lo sa perché è quello che fa anche lui: rivede certi tratti somatici, certi volti come fantasmi con nomi sempre nuovi, i lineamenti marcati dei Black e gli occhi pallidi degli Avery e la corporatura sottile dei Nott; Piacere di conoscerti, anche se li conosce da sempre.
Suo padre gli raccontava delle Sacre Ventotto prima di andare a dormire, tra le mani guantate una prima edizione de’ Il Canone dei Purosangue di Cantankerus Nott: se una storia fa addormentare un bambino con un sorriso sulle labbra, qualcuno potrebbe dire, è una fiaba. Lucius è fortunato, però, perché l’unica fiaba che gli sia mai servita per sorridere è la propria vita.
E adesso, le Sacre Ventotto, eccole qui: sui manoscritti venivano ricamate a fili d’oro e rame e argento, e ora sono bambini, raccolti e disposti su un unico vagone come per una mostra. Lucius li guarda e sa che, al di là delle loro voci e risate infantili e tutto ciò che li rende individui, il loro sangue in un calice sarebbe trasparente, senza terra sul fondo.
 
*
 
Nei corridoi di Hogwarts vede sangue diluito, sporco, più Mezzosangue insieme di quanti non ne abbia visti in tutta la sua vita, e sente nostalgia delle sale deserte della Villa, del vuoto intorno a lui come il più prezioso dei lussi. Ora capisce: per questo a tavola si stava troppo distanti, per questo i letti erano troppo grandi.
Il primo giorno di scuola, Lucius si siede sullo sgabello in mezzo alla Sala Grande, la schiena dritta e le gambe leggermente accavallate, e il Cappello sussurra dentro la sua testa, Un altro Malfoy? Vediamo, vediamo: un altro Malfoy. Certo, ci sarebbe dell’intelligenza, dell’ambizione, e anche, sì, della lealtà… Ma, pff, sono nascoste, prima dovresti trovarle. Un altro Malfoy – questo è tutto quello che si vede. Nient’altro. Un po’ triste, non trovi? Il Cappello non sembra voler sentire una risposta perché subito urla, Serpeverde!
Sotto lo stendardo verde-argento, i suoi compagni di Casa applaudono e si alzano per lui, un Malfoy, un  vero Malfoy, ma il Cappello ha esitato, ed è una cosa che tornerà a tormentarlo, col tempo.
 
Nei corridoi di Hogwarts Lucius non è quello che urla insulti, quello che spintona, che cerca rissa; è quello che passando di fianco a un gruppo di Sanguesporco si tappa il naso con due dita, quello che distoglie lo sguardo con disgusto, che ride la sua risata candida quando una ragazzina Mezzosangue inciampa per dieci rampe di scale. Nulla di quello che fa è particolarmente giusto, ma neanche particolarmente sbagliato, ed è questa la vera definizione di “superiore”.
 
Nel letto vicino al suo dorme Eamon Avery, è un ragazzino con gli occhi pallidi e un sorriso ingenuamente crudele sempre stampato sulle labbra. Ho sentito dire che tuo padre è emofiliaco, una sera si china verso di lui, con fare cospiratorio.
Lucius non sa neanche cosa significhi, “emofiliaco”, dev’essere nell’elenco di parole che vivono in casa con loro senza farsi notare, come muffe dietro i quadri, sotto i tappeti. (come “non siamo migliori di nessuno” o “siamo peggiori di tanti”, mormorato appena, quasi lo scricchiolio di finestre dimenticate aperte e porte socchiuse di notte, e poi il rumore di pelle e pelle e cuoio e pelle, sua madre non fa mai rumore e come potrebbe difendersi, con le sue mani bianche da fiori? Alla fine è un problema d’estetica, il rosso davvero non le dona) Buon sangue sorride cortese e sceglie sempre la frase giusta, Le persone direbbero qualsiasi cosa sul nostro conto.
È una malattia ereditaria, lo sapevi? Avery lo ignora, Se cominci a sanguinare, non finisci più.
Basterebbe un taglio, basterebbe sfogliare un libro, basterebbe mettersi dei guanti.
Basterebbe una rosa, Avery conclude, e sorride quando nota il modo in cui Lucius chiude gli occhi per un solo istante, Pric, con una spina. Poi, dopo un attimo, Ahah, Malfoy, non avrai mica paura di averla anche tu, vero? Tranquillo, non si trasmette mai da padre a figlio.
 
*
 
L’anno scolastico finisce in fretta, ed è una strana sensazione tornare alla Villa, perché ad Hogwarts i giorni scorrevano uno in fila all’altro insieme alle ore, ma nella casa in cui è nato esistono solo l’intensità con cui il sole periodicamente colpisce l’argenteria nel salotto, e il momento in cui bisogna accendere le abat-jour. Quando torna, gli Elfi Domestici portano al piano di sopra le sue valige e Lucius si guarda intorno, e nulla, nulla è cambiato. Suo padre con un braccio attorno alle spalle strette di sua madre, i quadri alle pareti, l’odore di profumi francesi spuzzati sui polsi e di stanze sempre chiuse, Bentornato.
 
L’estate comincia tre giorni dopo il suo ritorno, il cielo è blu e bianco, e pranzano tutti fuori, sul tavolo in giardino, un cesto di fragole al centro della tovaglia di pizzo. Il glicine sprigiona un aroma intenso, che il caldo rende spiacevolmente dolciastro.
Ho sentito che i Valpurga si stanno rafforzando, dice suo padre, e c’è un’espressione indecifrabile negli occhi che Lucius ha ereditato. Sento che presto arriverà un cambiamento. Voldemort, si fa chiamare – è un Mezzosangue, d’accordo, ma sa quello che dice, sa che la sua specie è disgustosa. Sei d’accordo, Lucius?
Certamente, non deve neanche pensarci, rompe la sua fetta di millefoglie al miele con la punta della forchetta.
Riesco a vederti guidare la rivoluzione, tra qualche anno, sorride suo padre, la punta dei guanti sporca di fragole,  E ripulire il mondo–
Caro.
Lucius e suo padre, entrambi voltano la testa lentamente; questo ronzio di fondo, pensano entrambi, sono le api, è l’estate che è piena di insetti.
Caro, ripete sua madre, con il bicchiere sospeso davanti alle labbra e lo sguardo posato sulla torta nel piatto di portata, c’è del miele che gocciola sul tavolo. Non penso che Lucius sia pronto per – non penso che tu debba parlargliene…
 
Nulla è cambiato e questo è il buon sangue, è questa fiducia in qualcosa che non potrà non succedere, questo narcisismo dell’inevitabile, lascia chiazze color vino su una tovaglia di pizzo, così meravigliosamente difficili da pulire.
 
*
 
A settembre, tutto da capo. I suoi genitori sono perfetti alla stazione, tutti sicuramente lo stanno invidiando, perché sono ricchi e belli e giovani e uguali e oh si amano così tanto. Lo baciano sulla fronte e si baciano, vestiti di blu oltremare, Lucius non li guarda quando il treno parte, di nuovo; conosce ogni giorno della propria vita perché per ogni occasione ha già camicia e completo abbinato, riposti nell’armadio di noce al secondo piano.
Sul treno ci sono volti nuovi, altri nomi e rami di alberi genealogici troppo lontani dalle radici. Riconosce un bambino grazie ai suoi zigomi larghi, uno Yaxley sicuramente, un Carrow per la fronte bassa, e un Dolohov per gli occhi leggermente vicini; questo è il suo talento, vedere il sangue da lontano. Si presentano e lui annuisce. Nel secondo scompartimento, però, una bambina gracile si alza per stringergli la mano e Lucius non capisce chi possa essere. Non può essere una Greengrass, non può essere una Lestrange; ha capelli biondo cenere, quel colore che diventa bianco e nessuno se ne accorge mai, e occhi diafani. C’è un nome scontato e familiare per quegli occhi, ma–
Black, dice lei, ha una voce delicata, gli fa venire in mente quegli oggetti in vetro che si rompono sempre nei modi più impensabili. Gli stringe la mano senza forza, ma con le dita rigide.
Non sembra, Lucius risponde, ma finisce lì. Non ci pensa più, non le dice, Penso di averti già visto in un ritratto, in quel corridoio sempre troppo buio.
 
(Solo molto tempo dopo, solo anni dopo, si accorge di non averla mai sentita pronunciare il proprio nome, e di non averglielo mai chiesto: non sa se le sue labbra si socchiudano intorno alla doppia sibilante – e come lo pronuncia, come un nome di donna, o un nome di fiore?)
 
*
 
Il suo nome è Narcissa e non è importante, non sono importanti i suoi occhi e le sue ciglia così chiare da sembrare trasparenti, non è importante il modo in cui si copre la bocca con le mani il più possibile, quando pensa, quando ride; la vede seduta sul velluto verde della Sala Comune ed è come non vederla. Nella Sala Grande si siede di fianco alle sorelle, e Andromeda ha un’eleganza fiera, Bellatrix ha una bocca scura sempre storta in un sorriso e nessuno può ignorarla; ma Narcissa, Narcissa è così insignificante, con i suoi capelli raccolti e la sua bellezza spenta da mattina di febbraio. Lucius le parla e lei ha ben poco da dirgli. Non dovrebbe neanche essere una Black: le mancano gli occhi neri, e il nome di una stella.
 
(Ma c’è qualcosa di adulto nel modo in cui si muove, di definitivo, una certa consapevolezza delle conseguenze, ce l’ha nello sguardo: sa cosa succede quando cade un bicchiere. Come chiunque, si potrebbe obbiettare; ma conoscere il cuore delle fratture un attimo prima che si rompa, be’, è tutta un’altra cosa. Anche lei sa cosa indosserà domani e domani e alla fine del mondo, un vestito senza maniche azzurro apocalisse, e se per Lucius è un talento, per Narcissa è un difetto. Lucius ha imparato tutto questo grazie a suo padre, Narcissa per una propria naturale, inevitabile debolezza. Si pensa che un fiore lo conosca, l’effetto farfalla.
Buon sangue sa. Per questo si guardano di sfuggita, ignorandosi. Lucius controlla sempre che i loro occhi siano dello stesso blu. Lo sono)
 
Il suo nome è Narcissa e, davvero, non è importante. O almeno, finché suo padre non gli annuncia che ha solo due anni per fidanzarsi, e sua madre (abbassa lo sguardo) oh ne sarebbe così felice. Allora viene quasi naturale pronunciarlo piano, in una camera vuota, scriverlo di fianco a Malfoy su carta intestata per capirlo meglio. Lo scrive in una calligrafia allungata, e questo è importante, la costanza alfabetica di L, M, N in grandi curve d’inchiostro sul loro invito di nozze; è importante il fatto che i loro abiti saranno bianchi, e i loro occhi saranno uguali e i loro sorrisi saranno uguali. Narcissa indosserà i diamanti blu di sua madre.
 
Bravo ragazzo, questo è suo padre, le sue mani piene di tagli che non potranno mai guarire del tutto nascoste nei guanti neri, Ottima scelta, il sangue dei Black è tra i migliori. Si stringono la mano, che è un modo come un altro per firmare un contratto.
 
(Lucius immagina il loro ritratto. Sa come sarà perché conosce la loro intera esistenza, e gli abiti che indosseranno ai propri funerali. Pensa che un paio di occhi azzurri possano imparare la solitudine, chiusi in una cornice. Ma due paia di occhi identici? No, ed è uno dei tanti motivi per cui la sceglie. La loro coerenza cromatica lo salverà)
 
*
 
Cygnus Black è così felice del fidanzamento, dopo la vergogna della maggiore invaghita di un Babbano, avere una Malfoy née Black come figlia minore sembra una fortuna impensabile. È tutto così semplice, non ci sono ‘ma’, non ci sono dettagli; scopre che Narcissa ha detto ‘sì’ solo qualche attimo prima di chiederglielo ufficialmente davanti a tutti, e solo per qualcosa di strano e rassegnato nei suoi occhi (se rassegnato avesse tutte le sfumature di affilato, e le proprietà di un metallo) che lo provoca a continuare – è così che le mette al dito quell’anello d’argento, che non vuol dire nulla, nulla. Narcissa ha il polso sottile, quattordici anni, e le dita lunghe. Lucius non è nervoso, ma per un istante cerca di infilarglielo sull’indice, e forse quella è la prima volta che lei gli sorride, gli rivela con un cenno il suo errore. Non ha un bel sorriso, gli incisivi leggermente accavallati, ecco perché si copre sempre la bocca con le mani. È bella con le labbra chiuse, rosa, e lui non la ringrazia neanche in silenzio.
 
*
 
A scuola continuano ad ignorarsi, e può darsi che lei ogni tanto sfiori l’anello. Ogni tanto.
Un giorno dormiranno nello stesso letto, e si osserveranno in bianco e nero, di notte.
 
*
 
Sua madre muore in silenzio, e nessuno se la sente di aggiungere Così come ha vissuto. Muore di infarto, ed è così raro, per una donna. Sembra che stia dormendo, gli dicono molti degli invitati al posto delle condoglianze, e Lucius stringe mani e mani coi suoi guanti nuovi, Forse, dice, Da lontano.
Lucius svuota tutti i vasi della Villa, e lascia i fiori sulla bara di sua madre. Al proprio funerale, sua madre porta il vestito blu di raso che aveva scelto anni prima, ma prima di andarsene suo padre le sfilerà i diamanti blu dalle orecchie; Lucius indossa un completo nero e grigio pronto da sempre nell’armadio di noce, e stringe un bastone tra i guanti neri. Il bastone non l’aveva mai previsto, e non è una bella sensazione, è una sensazione, e decide che lo userà ancora. Quando cammina fa rumore, tum, tum, il bastone sul selciato, ad ogni passo, un nuovo cuore di legno lucido e argento, lui farà rumore, per tutto il resto della sua vita.
 
Narcissa vestita di nero sembra troppo pallida, il rossetto scuro di Bellatrix applicato oltre il contorno delle sue labbra, i suoi occhi chiari senza ciglia. Lucius le stringe un braccio con un po’ troppa forza; i guanti lasciano l’impronta della cuciture sulla sua pelle bianca, durante il Requiem aeternam, e, no, il rosso non è proprio un colore da donna. Narcissa è l’ultima a dirgli che le spiace ed è la prima a cui Lucius non dice grazie: è quasi un segno di rispetto, a buon sangue non si mente. Suo padre pronuncia l’elogio funebre e ricorda a tutti quanto lei, Cara, La Signora Malfoy,  fosse una rosa (un’alcolista uno stupido silenzio) una santa, piange con gli occhi e non con la voce. Che è già qualcosa, Lucius lo sa: lui non ha pianto proprio.
Spostano sua madre nel mausoleo di famiglia, e c’è un certo fatalismo nei posti vuoti intorno a lei, come nel sangue che affluisce nel braccio di Narcissa seguendo l’ombra di una mano e nel suo rossetto quasi nero e nella sua voce quando dice, Andiamo.
 
(Quella notte Lucius attraversa i corridoi senza far rumore e prende le bottiglie di sua madre e beve, e lo trova disgustoso, e le fa scoppiare a colpi di bacchetta, il vino sporca e il vetro taglia e lui forse grida, ma se lo fa è una volta sola. Sua padre non dice nulla. Il giorno dopo è tutto pulito, ma, a cercare bene, uno potrebbe trovare delle schegge piantate nei tappeti, macchie di vino nel profilo delle cornici)
 
*
 
Finisce la scuola e, quando esce da Hogwarts per l’ultima volta, Lucius è amato da circa un quarto della scuola, e conosciuto da circa i quattro quarti della scuola. È un'immagine, vedete: c’è una nuova generazione di purosangue, e ora il vento sta cambiando. Non si parla di guerra, ma di grandi movimenti sociali, quel domino di causa-effetto che lui non ha voglia di seguire con lo sguardo – a che scopo? È semplice. Sa che sarà una rivoluzione del sangue, e gli basta. Se c’è una cosa che non cambia mai nel tempo, lo Zeitgeist della civiltà intera, è che qualcuno nasce migliore degli altri, e che i migliori devono governare; non bisogna chiamarlo privilegio, ma diritto. I Mezzosangue cadranno, per la legge del più forte, per la legge del buon sangue.
È troppo giovane per unirsi ai Valpurga, ma di poco, pochissimo. Bravo ragazzo.
 
*
 
Si sposeranno a fine febbraio, perché febbraio è il mese dei colori freddi, della luce bianca, delle maniche di pizzo; scelgono l’ultimo giorno di febbraio perché c’è un certo fascino, un certo lusso, nello sposarsi in un giorno che spesso non esiste. Narcissa è diventata la donna che tutti si immaginavano sarebbe diventata: alta, sottile, pallida. Il suo collo brilla sempre di gioielli e ha imparato a tenere le proprie labbra rosa confetto, a tenerle chiuse.
 
(E nonostante tutto c’è qualcosa di inflessibile in lei, nessuno sembra farci caso: vista di profilo Narcissa sembra una figuretta Art Nouveau, tutta azzurri tenui e bianchi ottenuti col piombo, e da lontano è solo un soprammobile d’alta società, coi suoi collier e unghie rosa smussate e il suo francese sofisticato, forse troppo vino nel bicchiere. Lui la guarda da vicino, la conosce con la punta dei guanti. È come sua madre, ma non è come sua madre. Narcissa è seta, e vetro, e acciaio – tutte cose che potrebbero diventare un’arma, con le giuste motivazioni)
 
Dopo il matrimonio, ci sarà il ballo, e solo dopo il banchetto. Saranno gli sposi a dare il via alle danze, e la cosa non lo preoccupa particolarmente. Narcissa sembra costruita per ballare. Del resto, c’è dell’equilibrio nelle sue gambe sottili, le sue spalle strette: e, se è bella, è bella proprio perché non cade mai, mai, pur camminando quasi in punta di piedi e con una curva convessa tra le scapole, sempre leggermente inclinata all’indietro. Gli invitati li vedranno belli, ricchi e felici, li vedranno ballare al centro del salone, ed è tutto ciò che ricorderanno della sposa per il resto della loro vita: Narcissa nel vestito di sua madre e le sue ossa da ballerina.
 
Si vedono due giorni prima della cerimonia, per fare le prove. Narcissa ha le caviglie fasciate strette e un abito cremisi, e lo segue con quel sorriso a labbra chiuse che ormai le riesce quasi naturale. Lucius si ricorda che dovrà baciarla, e si ricorda che, dopotutto, è un’estranea, con degli occhi familiari e forse un modo pericoloso di rompersi. Nelle ultime tre battute di Chopin, sente chiaramente l’ultima delle sue costole sotto le dita, attraverso il tessuto, e c’è una metafora biblica da qualche parte, ma non bisogna cercarla, davvero.
Per favore, non vestirti più di rosso, questo dice quando la musica si ferma. Narcissa annuisce.
 
Druella Black poi gli racconterà di come Narcissa fosse una pessima ballerina, impresentabile, e di come avesse passato quasi un mese ad allenarsi da sola, nella sala coi lampadari più alti della loro casa, anche di notte, finché poi non le si erano gonfiate le gambe, e aveva cominciato a camminare storta. Non vuol dire nulla. Questa è la storia che suo padre gli raccontava per farlo addormentare, e non c’è nessuna morale.
 
*
 
Il matrimonio va esattamente come doveva andare, ridono per le foto e mangiano la torta, e sull’altare si respirano tra le labbra, davanti a Dio e a chiunque sia abbastanza prestigioso da aver ricevuto l’invito. Lucius indossa un completo blu e bianco che conosce da quando ha sei anni, e Narcissa indossa il vestito bianco e azzurro di sua madre e i diamanti blu della defunta suocera. Capiscono entrambi di non amarsi quando devono ballare, Lucius pensa alle sue caviglie fasciate e a Narcissa vestita di bianco in un salone buio a ignorare la luna, a piegarsi e ripiegarsi per lo stesso inchino; e lei non lo guarda negli occhi, appena la musica finisce si stacca da lui, si sfiora i polsi sottili, come per controllare che manette dorate non le abbiano lasciato lividi durante il loro valzer; ma d’oro, sul suo corpo, c’è solo il suo nuovo anello.
 
(Quella notte arrivano quasi a capirsi, e senza luce sono entrambi dello stesso nero. Così dovrebbero ritrarli, nessuna cornice, neri e giovani e esitanti, e al buio lui non è un bravo ragazzo e lei non è il nome di un fiore. Il buio non è un colore e il sangue è solo una deduzione del cuore)
 
La mattina del primo di marzo è fredda, troppo fredda per essere la vigilia della primavera. Narcissa è già sveglia, ma la Villa è grande ed inutile cercare chi ci si vuole perdere. Questo, almeno, è quello che dice sempre suo padre. Gli basta scostare le tende per scoprire che Narcissa è in giardino.
 
Non sono abituata a tanto verde, spiega, senza alzare gli occhi dalle rose. Il vestito che indossa è troppo leggero, si può quasi vedere la brina arrampicarsi sulle sue dita.
Vuoi tagliarne qualcuna? dice lui, e dentro di sé si chiede cosa si possa trovare di romantico in un fiore; lui vede disposizioni geometriche di petali carnosi, e macchie lasciate dai parassiti, macchie lasciate dal gelo. Potresti tenerle in un vaso.
Non ne vale la pena, e Narcissa sfiora una rosa con un dito, che cosa sciocca da fare, infantile; si taglia la punta dell’indice con una spina. Non dice nulla, solo, Andiamo dentro? Tiene la mani davanti a sé per non sporcarsi il vestito di sangue.
 
*
 
È così che vivono: sempre pronti ad uscire di casa, con gli stessi colori, con le luci accese dietro di loro, con qualcosa con cui stupire il mondo. Dopo il loro matrimonio, c’era stata un’impennata di cerimonie tra giovani coppie di maghi purosangue, e tante cose sono un caso, ma non questa. Vedi? Noi siamo la Moda, Narcissa sorride senza alcun calore, solo rossetto pallido e labbra. Il suo sorriso è come un nastro, una lama, e ha ragione: l’imitazione è la più sincera forma di adulazione, e se Kate Greengrass si tinge i capelli di biondo, se i Carrow esibiscono pavoni nei giardini della loro villa, se la guerra si apre piano, come i petali di un fiore, e tutti si voltano verso di loro, e aspettano – che cosa, quindi?
Narcissa conta le rose in giardino e Lucius scende le scale scandendo ogni passo con il bastone, suo padre li guarda vivere dalla finestra, non porta più i guanti, ha mani da vecchio che tremano un po’, sotto il peso dei lividi. Si fanno fare un ritratto, un autunno, e il pittore per i loro occhi usa gli stessi pigmenti di blu, lo stesso chiaroscuro per i loro volti, foglie secche per la filigrana del vestito di lei. Nella realtà del quadro, sono bellissimi e disumani (in un senso che scivola in entrambe le direzioni, le loro iridi a specchio, più che umani, meno che umani), e potrebbero essere perfetti. Quando si parla di due oggetti non bisogna usare amore, ma appartenersi.
 
Così vivono: con lenzuola di seta, bicchieri vuoti, con le mani di Lucius sulle sue gambe, per aiutarla a infilare i collant; Lucius scrive al Ministero, brucia sangue di Mezzosangue nei salotti privati e tutti ridono, la guerra sta cominciando, indossa pantaloni troppo stretti e si buca i guanti con una spilla per trovare la propria pelle; Narcissa in négligé bianca, le mani segnate dalle rose, lui le insegna a giocare a scacchi e lei sceglie i neri (c’è un motivo, dita bianche su pezzi neri e guanti neri su pezzi bianchi) sempre, come sempre perde e sempre lui le sfiora la mano quando sta per sacrificare la propria regina – sono martiri o sono annoiati? Ogni giorno è solo un altro giorno, e non succede niente, niente, immagini ricorrenti.
 
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Suo padre sembra ritrovarsi, il giorno che Voldemort si Materializza davanti alla Villa. La storia va avanti. Si chiamano Mangiamorte, ora, i suoi seguaci, e molti sono già stati marchiati. Pensavo che una famiglia di sangue così potente fosse pronta a unirsi a questa giusta causa, Voldemort dice, e c’è qualcosa di piacevole nel suo sorriso, nonostante il suo volto sia cadaverico e ci sia un che di serpentino nei suoi tratti. Suo padre gli stringe le mani senza guanti, quando Voldemort se ne va, ribadendo, Ci vedremo presto.
Lucius, ti ricordi anni fa, come ne avevamo parlato? parla troppo veloce, e forse invecchiare è proprio questo, riuscire a vedere il proprio padre come un bambino. Come tua madre ne fosse felice?
(lui ricorda un’altra versione della storia, miele e sangue sulla tovaglia)
Ti ricordi, Lucius? suo padre ha un sorriso da visionario, e lui non può che dire, Sì, certo.
 
Narcissa non ha espressioni, solo il viso perfettamente truccato, le ciglia ben evidenti, Non andare, dice. Voldemort ha detto che se vorranno unirsi agli altri Mangiamorte, dovranno farlo questo pomeriggio, e il Marchio sarà definitivo.
Anch’io credo nel nostro sangue, ma eliminare i Mezzosangue non servirà a nulla, ecco l’acciaio, nella sua voce sottile, Narcissa è così debole, così pericolosa. Viviamo in alto perché siamo sulle loro spalle. Trasformarli in cadaveri ci farà solo cadere. Lucius ha già sentito questo discorso, tanto tempo prima, da una voce molto più sommessa, quasi una continuazione del silenzio– (Neanche con un fiore, neanche con le spine di una rosa)
Lo schiaffo lascia cuciture rosse sulla sua pelle, e lo sente anche lui, gli brucia la mano. Ora sa come suo padre si è procurato la maggior parte dei suoi lividi. Lucius non può chiederle scusa, e le labbra di Narcissa tremano un istante, scoprendo i denti. Le esce sangue da una narice, e lei non l’asciuga, lascia che le attraversi le labbra e le scorra fino al mento, il fil rouge di tutta la loro storia; ed è più forte di Lucius, togliersi i guanti e fermare il sangue con un dito. Questo è sufficiente. Lei gli sfila il fazzoletto di seta dal taschino, e se lo porta al naso. Starò con te, poi dice.  Mai dimenticare che Narcissa Malfoy sa ballare con le caviglie slogate.
 
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I cancelli di Villa Malfoy si aprono alle sei di sera, e non sono loro ad aprirli. Insieme a Voldemort ci sono una ventina di altri Mangiamorte, ma tra questi solo Eamon Avery, Greengrass e Yaxley devono essere marchiati. C’è un silenzio religioso, e solo una luce accesa, è così difficile riconoscerci la case in cui è nato. La voce di Voldemort è sincera, suadente, dice che dovranno essere pronti ad uccidere e tutti annuiscono, sì, sì, con forza, dice che dovranno essere pronti a morire, e questa volta annuiscono senza respirare, più per vergogna che per diventare eroi. Ma non dovranno avere paura, perché lui ha già torturato, ha già massacrato centinaia di persone, certi numeri dovrebbero rassicurarli, nevvero? C’è solo una fazione in questa guerra: chi lo sostiene. Gli altri non lo sanno ancora, ma sono già morti. I suoi occhi sono cremisi e non c’è neppure una sola bugia. Dovrete chiamarmi ‘Signore’. Lucius, in piedi davanti a lui, seziona il proprio orgoglio e pensa che una delle grandi vittorie della sua vita sarà non lasciare che le proprie mani tremino nei successivi dieci minuti.
 
Il Marchio è un teschio nero inchiostro, che vomita centimetri e centimetri di un serpente, macchiando gran parte della pelle dell’avambraccio. Avery urla per un minuto intero, fiotti di sangue che scorrono lungo il tatuaggio, e Voldemort pulisce la punta della sua bacchetta con uno straccio, impassibile.
Narcissa gli stringe le dita come una morsa. Si è coperta il livido sul volto con la cipria. Possiamo ancora andarcene, tiene il collo dritto e non lo guarda, le labbra serrate, ma è questo che vorrebbe dirgli. Ascoltami.
Lucius, lo esorta Voldemort, gli fa cenno di avvicinarsi con un dito bianco, la pelle così tirata da lasciar intravedere le sagome delle falangi (e niente sangue). Narcissa non gli lascia la mano, per un secondo, per due, per troppo; un errore da dilettante. Per questo arrossisce; solo da un lato del viso, però, ed è così che si tradisce.
Narcissa, vero? Che splendida donna, sei contento di lei, Lucius? e Lucius prega che non si avvicini, fa’ che non si avvicini, Sì. Quegli occhi brillanti fissi su di lui, non deve deglutire, Sì, Signore, ripete. Sente una sensazione spiacevole, qualcosa di viscido che gli scivola oltre gli occhi per entrargli nella testa, e pensa solo con qualche secondo di ritardo, Legilimanzia. Voldemort sorride, si accosta alla donna con passi misurati, e le porta una mano sul volto. Con un pollice le toglie la cipria. Quando parla, fa in modo che il suo tono suoni sincero, affettuoso, fa in modo che possano sentire tutti, Sai che non ti ama, spero, Cissy.
 
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Lucius non ha prove, ma qualcosa gli dice di essere stato quello che ha urlato di più, quando la bacchetta gli si è posata sulla pelle. Sa solo che Voldemort è rimasto dentro la sua testa tutto il tempo e non ha sorriso a nessuno quanto a lui.
 
*
 
Solo ora capiscono quanto fossero innamorati della noia, ora che ogni loro giornata appartiene a qualcun altro e tutto è stato spostato, contaminato. Voldemort proclama Villa Malfoy, col permesso di suo padre, il quartier generale dei Mangiamorte (quale simbolo migliore del potere? Belli, ricchi, felici), e ordina che i quadri siano tolti dalle pareti. Ci vuole solo qualche settimana perché le macchie dietro i quadri assumano il colore del resto della parete. Bianco, ma meno bianco. C’è dello sporco che non si vede.
 
E Narcissa. Narcissa, quando vede i loro mantelli neri entrare, sale al piano di sopra. Torna nel mezzo di una riunione, aprendo la porta con la sicurezza di una padrona di casa, vestita di rosso acceso.
Questa non è una rivolta, è la loro guerra, ormai, Lucius avrà tutta la gloria che desidera, basta stringere i denti e non lavarsi la pelle dell’avambraccio fino a farla bruciare; questa non è una rivolta, non c’è nulla da notare, non è importante. Non guardatela mentre si siede accanto a lui.
 
(Se potesse usare un Giratempo, probabilmente non lo userebbe per tornare al giorno precedente e dire a Voldemort quanto esattamente si sia sbagliato su di loro. Ma)
 
Non guardatela mentre si siede accanto a lui, per mesi. Con un cadavere sul tavolo su cui pranzavano. Con Lucius che torna a casa dopo aver torturato nove uomini. Il mondo fuori dalla finestra diventa sempre più grigio, nessuno cura le rose in giardino, e i suoi vestiti sempre più rossi. A volte pensa che si farà uccidere, occhi senza ciglia e sorrisi a denti coperti, sempre nell'angolo sbagliato della stanza. A volte pensa che dovrebbe andarsene. A volte, semplicemente, pensa al nome di quel fiore che deve spaccare il ghiaccio per sbocciare, l’unico che vede l’inverno.
 
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Questa è la loro storia, e non c’è alcuna morale, e se la si racconta troppo tardi non lascia più dormire.
 
Lucius la vede arrivare, col suo abito color sangue, con le maniche di veli, e si toglie i guanti prima di offrirle la mano. Penso che questo sia il tuo colore. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Note:

Allora, questa storia e i problemi di caratterizzazioni: una cosa sola. Forse perché ho cambiato modo di scrivere, forse perché sono supersfaccettati dolci-un-po'-salati, forse perché bo', ma ho trovato difficile caratterizzare tutti. Della madre di Lucius non si sa nulla, neppure il nome. Di Abraxas non si conosce solo la caratterizzazione, per cui me lo immagino come un nobilastro piuttosto rozzo, Lucius è uscito un damerino perché aveva il DNA fashion. A proposito di genetica: l'emofilia è una malattia da nobili (si pensa che "sangue blu" possa venire da quello, per i lividi diffusi) perché l'inbreeding la favorisce, ed è vero che i padri emofiliaci non possono mai trasmettere la malattia ai figli maschi, perché sta sul cromosoma X, grazie Mendel, sei proprio una bella persona. Poi, altra  roba: questa storia non ha davvero una morale, nessuno redime nessuno. Non tutti i riferimenti e i parallelismi hanno un senso, è così perché sì e loro sono cacchette fredde e neutrissime e io li amo con passioneH. L'amour non doveva neanche esserci, in questa storia, ma è sbucato perché in questo periodo mi sanno di OTP e fluff sofisticato. Lo stile è un po' strano perché sto cambiando testa io: spero sia un passo avanti e non un passo indietro. Non ci sono mai le virgolette per i dialoghi perché volevo un effetto un po' freddo, da film in bianco e nero, che ci sia riuscita è 'nartra cosa.
 
 
 
 
 

 
  
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