Libri > Shadowhunters
Ricorda la storia  |      
Autore: CheshireMad    16/10/2014    1 recensioni
‘‘Jace gli diede dei buffetti sulla guancia e si ritrovò a guardarlo dritto negli occhi: due pozzi scuri, quasi del tutto neri. Due abissi. E lui era lì, a guardarli dall'alto come un aquila che vola formando dei cerchi in aria.’’
{ATTENZIONE: spoiler}
Questa fanfiction potrebbe contenere rilevanti informazioni sulla trama della saga dal momento che è ambientata in un breve lasso di tempo che si svolge nel corso del quarto libro: Città degli angeli caduti.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jace Lightwood, Simon Lewis
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Simon guardò Jace. — Non torni all'Istituto, vero? — gli chiese.
Jace scosse la testa. — Hai bisogno di protezione. Chi lo sa quando potrebbero di nuovo tentare di ucciderti?
— Questa tua idea di evitare Clary ha davvero preso una svolta epica — dichiarò Simon alzandosi. — Tornerai mai a casa?
Jace lo guardò. — E tu?{1}
Simon dovette ammetterlo: non ne aveva idea. Sua madre lo aveva letteralmente cacciato di casa – o meglio, era stato costretto ad ipnotizzarla con uno di quei suoi strani nuovi poteri da vampiro per non farle dare di matto alla scoperta di cosa lui fosse diventato – e adesso viveva in quell'appartamento di Alphabet City, su Avenue B, con Kyle, il nuovo cantante della band. Simon si chiese se le avrebbero cambiato il nome almeno altre tre o quattro volte, quella settimana, come per festeggiare l'arrivo dell'ultimo membro. Clary sosteneva che con lui il numero delle fan sarebbe aumentato, persino raddoppiato, ma il doppio di uno, ripensò Simon, resta comunque due.
— Pensi di ripulire quel casino o deve farlo il tuo nuovo coinquilino? — domandò Jace con tono serio ma anche... ironico. Parlava di se stesso? Be', comunque aveva ragione: Simon aveva lasciato cadere la sua ultima bottiglia di sangue quando Kyle, l'innoquo e affascinante ragazzo sempre pronto a rassicurare chiunque gli stesse intorno con uno dei suoi innocenti sorrisi, si era rivelato essere un Praetor Lupus, una sorta di mammina-lupo-mannaro che si occupa dei giovani Nascosti rimasti "orfani", proprio come lui che non aveva dove andare, non sapeva cosa fare e non aveva la più pallida idea di come gestire quella che da allora sarebbe stata un'eterna vita di dannazione e sofferenza. Per non parlare del Marchio che portava sulla fronte, segno di salvezza ma anche di penitenza di cui molti, Kyle compreso, erano all'oscuro.
Ma ciò che al momento lo preoccupava davvero erano principalmente due cose. La prima: la sua scorta di sangue era terminata nello stesso istante in cui quei frammenti, che prima formavano una bottiglia, si erano sparsi sul pavimento del salotto mentre il restante fluido rosso, denso, freddo e appiccicaticcio schizzava dappertutto. Jace, in compenso era stato abbastanza accorto da fare un balzo indietro evitando di sporcarsi. La seconda cosa che dava a Simon più preoccupazioni di qualunque altra, allo stesso tempo, era proprio Jace. Sarebbe rimasto lì, in quell'appartamento. Con lui. Avrebbe potuto dormire sul divano... che adesso però sembrava la tela di un artista contemporaneo con troppa tempera rossa da sprecare e troppa poca fantasia.
Ignorando il risolino beffardo di Jace, Simon entrò in cucina e ne tornò con una scopa ed una paletta.
— Mi astengo da eventuali battute sulle tue abilità nello spazzare, ok, Diurno{2}?

— Vieni, entra pure, ma non toccare nulla! — ironizzò Simon nell'aprire la porta della propria camera, una "scatola" bianca, vuota e asettica come non aveva mai visto prima in vita sua. Era arrivato a chiedersi se la sensazione che provava a stare lì dentro fosse la stessa che avrebbe avuto nel dormire dentro una bara come i vampiri del vecchio cinema. La verità era che l'ex-coinquilino di Kyle aveva portato via con sé tutte le proprie cose – forse anche il letto, se ce n'era stato uno, lasciando solo un materasso giapponese. L'unico oggetto "di troppo" era lo zaino di Simon abbandonato in un angolo della stanza, sotto l'unica finestra.
— Fa come se fossi a casa tua — concluse facendo spazio a Jace per lasciarlo entrare. Lui, di tutta risposta, si guardò intorno con interesse e fischiò.
Poi senza voltarsi, disse: — Mi piace, sai? Minimalista. È un po' un misto tra la mia camera all'Istituto ed il frigorifero di Magnus!
Già, Jace aveva anche convissuto con Magnus Bane, il sommo stregone di Brooklyn, quando l'Inquisitrice lo aveva messo agli "arresti domiciliari" — con conseguente scarso successo. Era come se a Jace, in fin dei conti, piacesse ambientarsi in luoghi sempre nuovi, ma al contempo la cosa lo rendeva visibilmente insofferente, disorientato. Lo Shadowhunter si limitò ad avvicinarsi alla finestra senza aggiungere altro. Non c'era granché da vedere, a parte forse l'insegna al neon di un ristorante cinese dall'altra parte della strada.
— Non è Project Runaway, certo, ma è comunque una buona alternativa alla tv spazzatura, no? — azzardò Simon, ma Jace rispose semplicemente con un grugnito di approvazione. — Be', io faccio una doccia, va bene?
Gli schizzi del sangue imbottigliato avevano raggiunto i suoi zigomi, tanto che adesso sembrava davvero un famelico e spietato vampiro sazio della sua ultima preda — cosa alquanto falsa, considerando il brontolio del proprio stomaco. Jace emise un altro rantolo; era come ipnotizzato dalla vista che gli era offerta da quel vetro un po' sporco, su cui era visibile il suo riflesso, serio e pensieroso. Simon avrebbe voluto chiedergli se ci fosse qualcosa che non andava, ma in fondo che motivo avrebbe avuto proprio Jace, che non lo aveva mai sopportato dal loro primo incontro, di confidarsi con lui? Scuotendo la testa, uscì dalla camera e socchiuse la porta.

Quando Simon rientrò, Jace era precisamente dov'era stato lasciato: non si era mosso di un millimetro, ma se ne accorse solo ora che il cigolio della porta lo aveva ridestato dai suoi continui sogni – o incubi – di morte e sangue. Pensava che una volta sconfitto Valentine, incarnazione delle sue potenziali peggiori paure, non avrebbe più avuto quei brutti pensieri, ma c'era qualcosa che ogni volta lo ritrascinava in quell'abisso. Cosa? Cosa!? COSA!?, si torturava Jace.
— Non danno mai la pubblicità, eh? — fece Simon da qualche parte alle sue spalle. Jace si voltò e quasi arrossì nel ritrovarselo mezzo nudo, con solo un asciugamano azzurrino legato attorno alla vita, al centro della stanza e con le mani sui fianchi. Ricomponendosi, tentò di mantenere l'espressione più distaccata e impassibile che gli veniva, ma c'era qualcosa... qualcosa che lo tradiva. Per la prima volta nella sua vita, Jace aveva capito sul serio cosa fosse l'invidia. Doveva ammetterlo: per quanto magro e pallido come un fantasma, Simon faceva la sua porca figura. Non aveva i suoi addominali scolpiti, ovvio, o due bei pettorali, o dei bicipiti abbastanza sviluppati, ma nella sua semplicità era presente un elemento invisibile che lo rendeva attraente persino per i restrittivi criteri narcisisti ed egocentrici di Jace. Avrebbe potuto pensare a qualsiasi cosa, qualsiasi, ma tutto ciò che gli passò per la testa fu: "I vampiri possono avere... erezioni?".
— Sì, be' — continuò il vampiro in questione – che con molta probabilità, anche se nudo, non soffriva il freddo di metà ottobre – come se mi avesse letto nel pensiero, azzardò subito Jace nella propria testa. — Magari hanno ragione quando dicono che ci si rincretinisce stando troppo davanti alla tivù.
Jace scosse la testa, ritrovando le parole. — Ascolta, non ho nulla contro il nudismo o contro chi lo pratica, ed è vero che siamo tutti maschi qui dentro, ma no, grazie, non mi farò coinvolgere: io i pantaloni preferisco tenerli.
Anche Simon scosse il capo. Gli si avvicinò con indifferenza e si abbassò. Jace deglutì, quando notò che l'incavo nella schiena dell'altro, chino davanti a lui, terminava un po' troppo in altro e che l'asciugamani lasciava scoperto un tratto di fondoschiena. Trattenne il respiro per una decina buona di secondi, poi finalmente Simon riemerse con degli indumenti in mano, presi dallo zaino che, notò Jace un po' troppo tardi, si trovava esattamente accanto al suo piede sinistro.
— Che c'è? — chiese Simon perplesso.
— Nulla — rispose Jace, che subito si voltò nuovamente verso la finestra, le guance in fiamme. Era mai possibile? Lui, che non aveva mai paura di nulla, adesso arrossiva per uno stupidissimo malinteso?
Simon ghignò e con un lieve strattone tirò via l'asciugamanti, per poi lanciarlo in testa a Jace, che incredibilmente non reagì ma anzi rimase fermo.
— Ehi, biondino...
— Cosa c'è? — rispose Jace con la sua solita scontrosità.
Si tolse il panno ancora umido dai capelli e lo guardò. Era accanto a lui, fortunatamente vestito, e teneva in mano qualcosa che all'ombra soffusa della camera pareva nero, con un laccetto bianco ad un'estremità messo in risalto dalla luce della luna. — Ho pensato che non puoi dormire con quei vestiti, perciò ti presto una delle mie tute, e se vuoi anche una maglietta.
— Se proprio muori dalla voglia che anch'io mi spogli, puoi chiederlo e basta. Senza troppi giri di parole.
— Jace...
— Non ho intenzione di dormire, comunque.
— Be', dovresti — ribattè Simon.
— Da quando in qua ti interessi della mia salute?
— Da quando tu hai deciso di farmi da guardia del corpo, obbligandomi a sopportarti ventiquattro ore su ventiquattro. E per inciso, una guardia, se non dorme abbastanza, non può far bene il proprio lavoro.
Lo sguardo d'ambra di Jace era un misto di incredulità e diffidenza, come se non fosse sicuro di potersi fidare di lui, di quella – in un certo senso – dimostrazione d'affetto che solo Clary era stata capace di dargli in vita sua.
— E comunque — riprese Simon. — Io non giro con una guardia del corpo che ha delle borse sotto gli occhi. Peraltro sono quasi certo che quelle che hai lì domattina saranno Gucci. Potresti persino regalarne una a Clary, se le piacesse quel genere di cose.
Jace si trovava al centro di un enorme conflitto tra assoluta irritazione e "grazie, Simon". Optò per la seconda, e lui gli sorrise.
— Se ti senti a disagio, non ti guardo — cantilenò mentre si lasciava cadere a faccia in giù sul materasso morbido.

Cinque minuti dopo, Jace sembrava un normalissimo Mondano pronto ad andare a letto per potersi svegliare presto il mattino dopo e prepararsi per la scuola. Se non fosse stato per i vari marchi neri che gli percorrevano disordinatamente le braccia, scomparendo sotto le maniche della maglietta bianca per rispuntare dal colletto.
— Sei carino — lo prese in giro Simon. — Mi ricordi me al mio primo pigiama party a casa di Clary. Inutile dire che eravamo gli organizzatori e anche gli unici invitati...
In qualche modo, l'idea di Clary con lui, da soli, anche se probabilmente soltanto a sei anni, lo infastidiva ma lo faceva anche stare tranquillo. Ammise a se stesso, ma non lo avrebbe mai detto a nessuno, che Simon era veramente un buon amico. Per Clary. Non per lui. Loro non si sopportavano.
Jace si sedette sul davanzale della finestra e lo guardò. — E adesso?
— E adesso magari scendi da lì, vieni a letto, e passiamo il resto della notte a raccontarci storie dell'orrore su vampiri che rubano biscotti e cose del genere.
— I vampiri rubano biscotti? — sbottò Jace.
— Solo quelli senza tracce d'aglio o acqua santa.
— Io non ci dormo nel tuo stesso letto, Simon. Che sia chiaro.
— So che nei vostri duri allenamenti vi viene insegnata l'arte del dormire sulle finestre, ma se vuoi farmi da guardia non sperare che ti faccia stare in quelle condizioni per tutta la notte. Dài, muovi il culo e vieni qui.
Jace si mosse sul davanzale, sfregando il fondoschiena sul vetro. Simon gli lanciò un'occhiata infuocata.
— Potrei costringerti a farlo, Jace. E non potresti reagire.
Automaticamente entrambi pensarono al Marchio di Caino segnato perennemente sulla fronte di Simon. Jace si sporse in avanti e atterrò in pochi istanti sui piedi nudi. Aveva messo scarpe e vestiti da parte, vicino allo zaino.
— Sei sicuro che la cosa non ti dia fastidio? — gli chiese. — Alec diceva spesso che russavo e che lui non riusciva ad addormentarsi, quand'eravamo piccoli.
— Jace, Alec passava le notti a fissarti mentre dormivi — ribattè Simon serio ma con un sorrisetto obliquo stampato in viso. Lui non rispose; si limitò a sedersi sul materasso, accanto a lui che ora era steso a pancia insù.
— "Tieni i tuoi amici vicini e i nemici ancora di più", no?
— Simon, ti odio. E comunque pensavo fosse "tieni i tuoi amici vicini così hai qualcuno che guida mentre ti intrufoli di notte in casa del nemico per vomitargli nella cassetta delle lettere".
— Io non credo.
— Infatti scherzavo, idiota.
— Intendo... Io non credo che tu mi odi davvero, Jace. Trovo che questa storia della protezione sia più inquietante che commovente, se proprio vuoi saperlo, ma no, non riesco a pensarti come uno che mi odia. Se mi odiassi non saresti qui, tanto per cominciare.
— Penso che tu stia prendendo la cosa un po' troppo sul serio, Diurno: scherzavo. — scandì bene Jace. — Però se proprio ci tieni, ok, non ti odio. Anzi, una minuscola oltre che insignificante parte di me pensa anche di volerti bene. Sei contento?
— Direi soddisfatto, più che altro. Anche se...
Jace gli diede dei buffetti sulla guancia e si ritrovò a guardarlo dritto negli occhi: due pozzi scuri, quasi del tutto neri. Due abissi. E lui era lì, a guardarli dall'alto come un aquila che vola formando dei cerchi in aria. Allo stesso modo, nell'analizzare quelle iridi, non smetteva di muovere circolarmente lo sguardo, passando dalle sopracciglia agli zigomi asciutti, le labbra sottili e rosate – appena in contrasto con la pelle diafana –, e poi ai capelli che gli ricadevano sulla fronte e che coprivano il Marchio. Simon era maledetto, ma Jace avrebbe potuto dire diversamente di sé stesso, dal fondo di quell'abisso che era la sua coscienza?
Gli occhi di Simon invece, come quelli di un avvoltoio, era puntati sui suoi, che sapeva essere chiari e lucenti come il sole. Ironico. Luce e oscurità si fissavano nella penombra, ma c'era come una pulsione, un'atmosfera strana, in quella camera. Se avesse preso il pugnale che aveva lasciato tra i propri indumenti, Jace avrebbe potuto tagliare l'aria, densa di... tensione sessuale.
— Sai, tutte le volte che ci ritroviamo ad essere soli, mi rendo conto che... — cominciò Simon. Tutto fu rapido, forse durò appena una frazione di secondo, ma agli occhi di Jace, come estraniato dal proprio corpo, la cosa avvenne in un tempo illimitatamente dilatato. Si era letteralmente lanciato contro il viso di Simon e aveva poggiato le proprie labbra sulle sue. Immediatamente si staccò, gli occhi sbarrati per la sorpresa che provava lui stesso. Simon era palesemente interdetto e teneva la bocca appena schiusa. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma cosa? Non aveva mai neanche lontamente formulato il pensiero di una scena simile, eppure sentiva che no, non c'era nulla di sbagliato. Anzi, sì: Clary. Era la sua migliore amica, e stava con Jace. Ma Jace sembrava volesse lasciarla... E lui, be', aveva due ragazze ma non sapeva neanche sceglierne una. E non era nemmeno una scelta difficilissima: erano entrambe bellissime e straordinarie, eppure... Che fosse quella la causa di tutto? Del recente comportamento di Jace, della sua innaturale indecisione senza fine. E se..?
Non ci pensò due volte: Simon prese tra le mani il viso di Jace, le dita solleticate dai suoi capelli spettinati. E lo baciò, ma non come prima. Lo baciò. Come avrebbe baciato Isabelle. Come avrebbe baciato Maia. Come avrebbe baciato Clary, una volta. Ma adesso, tutto ciò che voleva era quel bacio. In fondo non sapeva davvero perché, e non sapeva spiegarsi come qualcosa del genere potesse arrivare così all'improvviso. Pensò involontariamente ad Alec e a Magnus. Quella era la loro vita, e sembravano felicissimi insieme. Alec aveva persino presentato lo stregone ai propri genitori. Vivevano una vita "normale", nella sua quotidiana anormalità fatta di magia e armi per uccidere i demoni. Sarebbe stato così anche tra lui e Jace? Un Nascosto ed uno Shadowhunter?
La pulsione del momento, dopo essersi reso contro del fatto che l'altro non lo stesse allontanando, lo spinse a fare qualche "passo" avanti: lo tirò a sé, lo fece stendere sul materasso mentre continuava a baciarlo; le loro lingue ora erano in contatto. Giravano e si rigiravano vorticosamente nelle loro bocche, solleticandosi a vicenda, sfiorandosi, cercandosi. Jace lo afferrò per la vita, le mani a contatto con la sua pelle fredda, e si stese su di lui. Petto, addome, bacino, gambe: erano in contatto in ogni punto, separati solo da due sottili strati di tessuto. Le mani sinuose di Jace si avventurarono lungo le costole di Simon, mentre lui gli mordicchiava il labbro inferiore e ringraziava in cuor suo i propri canini per non essere scesi, affilati, proprio in quel momento. Non voleva ferirlo, non voleva fargli male: lo stava solo stuzzicando. Si fermò per un attimo e si allontanò quanto bastava per catturare il suo sguardo. È come guardare nel vuoto, pensò Jace. Come guardare nel vuoto, come trovarsi nel vuoto. Involontariamente la sua paura lo portò a stringere le mani, ancora serpeggianti sotto la maglietta leggera di Simon, attorno alle sue spalle. Non voleva cadere in quell'abisso ancora una volta, e stare stretto a lui in quel momento gli sembrava l'unico appiglio, l'unica possibilità di sopravvivere. Simon sorrise innocentemente e lo baciò ancora una volta, poi gli sfilò la maglia e la lanciò sul mucchio dei suoi vestiti, vicini allo zaino. Lo fece avvicinare e di nuovo si trovavano ad una distanza minima; le loro ciglia si sfioravano.
— È tutto ok? — gli chiese con un tono dolce e disponibile che Jace non aveva mai sentito prima, da parte sua. Gli sfuggì una lacrima. Era diventato così debole da piangere? Sentiva la propria voce echeggiare in quello stesso vuoto: l'amore è debolezza. No. Non era vero. Dopo tutto quel tempo, lo aveva imparato: l'amore è forza; l'amore è sicurezza; l'amore è sopravvivenza. Amare, per lui, era l'unico modo per restare aggrappato al ciglio di quell'abisso.
— Adesso sì — rispose Jace, e si chinò quanto bastava per sfiorare per l'ennesima volta quelle morbide labbra.
— Sono felice, Jace. Di farti star bene — precisò Simon. — Ed è per questo che sono qui.

Un furgone sfrecciò rumorosamente lungo la quiete notturna di Avenue B, sotto gli occhi immobili di Jace, che come se stesse dormendo si ridestò dai propri pensieri e colse, nel proprio riflesso sul vetro, la luce al neon del ristorante cinese che a sua volta si rifletteva nei suoi occhi lucidi assieme alle prime luci dell'alba. Stava lacrimando. Jace.
Con uno scatto automatico si voltò verso il materasso, sul quale giaceva l'esile figura di Simon, prono, il viso schiacciato di lato sul cuscino dalla federa verde a righe bianche. Stava dormendo, ma non indossava gli stessi indumenti di prima. Sembravano più quelli che aveva dato a Jace, per poi toglierglieli e...
Era solo uno sogno? si chiese sconvolto. Come aveva potuto anche solo visualizzare qualcosa del genere nella propria mente? Non avrebbe mai fatto certe cose, o per lo meno era quasi certo che non le avrebbe mai fatte con Simon. Quasi. Una parte di lui sentiva il forte desiderio di stendersi lì, con lui, e stringerglisi accanto, ma come glielo avrebbe spiegato se gli avesse chiesto di farlo solo in sogno? E se lo avesse detto a Clary?
Si sentiva terribilmente imbarazzato, nonostante materialmente non avesse fatto nulla di male. Lo zaino era stato aperto, pareva un po' più vuoto rispetto a prima ma comunque non era stato spostato poi così tanto. Non c'era altro. Gli indumenti di Jace si trovavano dove dovevano trovarsi: su di lui.
Però...
I vampiri possono avere erezioni? si domandò inconsciamente ancora una volta. Loro, chissà, ma per quanto riguardava se stesso Jace avrebbe saputo dare una risposta con annessa dimostrazione in quello stesso momento. Era anormale. O forse no..? Una cosa era certa: nessuno doveva sapere cosa fosse – o non fosse – successo quella sera, anche se solo nella sua testa.
Simon tossì. Un colpo secco e già lontano anni luce dopo appena cinque secondi. Restava immobile in quella posizione e non muoveva un solo muscolo. D'altra parte era un vampiro: non aveva bisogno di respirare. Però in qualche modo riusciva a ronfare. Gli si avvicinò e si inginocchiò accanto al materasso. Era un vampiro, era un ragazzo, era Simon, ma senza saperlo aveva risolto il problema di Jace, che finalmente non aveva più paura di quell'abisso, sapendo come affrontarlo: con l'amore. Si concesse di dargli un bacio per ringraziarlo, ma preferì lasciare alla fantasia ciò che era della fantasia e si limitò a sfiorargli la guancia con le labbra.
Simon sembrò sussultare e disse qualcosa di incomprensibile nel sonno. Sembrava aver detto "Imogen", il che gli riportò il raccapricciante ricordo dell'Inquisitrice, o "Ithuriel", ma Simon non sapeva nemmeno chi fosse. Al terzo tentativo, Jace riuscì a cogliere tra quei versi il nome di Isabelle e inarcò le sopracciglia quando, nel sonno, Simon gli strinse le braccia attorno al collo e lo baciò sulla bocca, sognando chissà cosa. Gli occhi dorati di Jace si aprivano su un nuovo vuoto incolmabile: l'umiliazione di aver baciato Simon, affiancata ad un'unica consolazione: era il solo a saperlo.
O così pensava, prima di rialzarsi vacillante e trovare Kyle sulla porta. — Io vado a fare un primo giro in bici, bello, ma prego: voi continuate pure!




{1} Cassandra Clare, Shadowhunters – Città degli angeli caduti, capitolo 7: Il Praetor Lupus, pagg. 166 e 167 dell'edizione media Oscar Mondadori
{2} Ricordiamo che Simon è sì un vampiro, ma avendo bevuto il sangue angelico di Jace è diventato immune alle bruciature provocate dal sole e può quindi girare a piede libero anche di giorno senza conseguenze.

Angolo dello scrittore
Ok, mi hanno picchiato mentalmente in molti per questa slash ma è così che va la vita: c'è chi scrive cose apparentemente prive di senso (approssimativamente solo i cittadini di un paesino che conta un unico cittadino: io) e chi legge quelle cose insensate e si mette a picchiare la gente con arti mutilati raccolti da un campo di cadaveri.
Ma questa storia è diversa. Questa storia un senso ce l'ha, nel suo nonsenso, e mi sento in dovere (perché obbligato a farlo da chi ha letto per darmi un parere) di spiegarlo. Quindi spiego? Spiego.
Avete presente quando Simon lascia Jace imbambolato davanti alla finestra? Ecco: lui è rimasto lì per tutto il tempo, come da copione (la storia originale), e Simon non è mai andato a fare una doccia; nulla della maggior parte di ciò che avete letto è mai accaduto se non nella testolina di Jace.
"NO, ASPETTA, COSA?" mi starete urlando contro attraverso lo schermo. Oppure no, per il semplice fatto che nessuno, in possesso delle proprie facoltà mentali, si metterebbe a farlo.
Eppure sì, è vero: non è mai successo. Inoltre, si potrebbe pensare che i caratteri dei due personaggi ad un certo punto si "invertano", e forse è così, perché nello stato d'ansia di Jace e nella mia mente malata, la sua parte vulnerabile prende il sopravvento e si impone alla sua coscienza, rendendolo per lo più un incerto piagnucolone represso.
Tutto il racconto si incentra sulla paura di Jace, qualunque essa sia. Per me quella paura era proprio incertezza, di sé, di ciò che provava, di ciò che pensava, del mondo intero. Jace fa da guardia a Simon, ma nella sua coscienza è Simon ad aiutare lui, involontariamente, con la propria ospitalità e gentilezza; gentilezza che la mente spossata di Jace ingigantisce, arrivando infine, dopo un percorso strano e semi-pornografico, a fargli capire cosa è davvero importante, ovvero il suo amore per Clary. L'amore è sopravvivenza.
In poche parole quella che potrebbe sembrare una fanfiction scritta per fangirlare (nonostante io non sia una ragazza) su una OTP, è in realtà un piccolo squarcio di evoluzione psicologica del personaggio in questione.
Aggiungo che c'è qualcosa di mio, ovviamente, in tutto questo. Anch'io come Jace ho avuto bisogno di esorcizzare paura e ansia in qualche modo; il mio metodo, non avendo qualcuno da baciare, è stato scrivere.

Grazie per la pazienza, davvero. E spero che la storia sia piaciuta quanto a me è piaciuto scriverla. Alla prossima! :)

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: CheshireMad