Anime & Manga > Sailor Moon
Segui la storia  |       
Autore: Kat Logan    16/10/2014    5 recensioni
Paradiso e Inferno; è ciò che si ritroveranno ad affrontare i protagonisti di Stockholm Syndrome in questa nuova avventura.
Hanno amato, realizzato i propri sogni, hanno accarezzato il paradiso nella pacifica Osaka ed ora devono ristabilire l'equilibrio; troppa gioia tutta in una volta è da pagare.
Per uno Yakuza la cosa più importante è l'onore, così, Akira e Haruka seguiranno le proprie tradizioni.
---
"Ovunque andrò, sarai con me. E avrei voluto dirlo in modo diverso, in un’occasione differente…magari al lume di candela, su un tetto, sotto alla luna, al nostro terzo matrimonio. Ma sai, un momento giusto non c’è mai. Quello giusto è quando lo senti, ovunque tu sia..quindi…lo dico adesso, forte come non l’ho mai sentito prima d’ora. Ti amo e questo non cambierà, non è cambiato nemmeno nel momento in cui non mi sono più riconosciuta".
[Sequel di Stockholm Syndrome].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Kissing The Dragon
Capitolo 2
Paradise Lost – Part I
 
 
 
Tokyo scalciava tra le lenzuola; si dimenava urlava a pieni polmoni emettendo un eco stridulo e fastidioso di qualche sirena lasciata vibrare per i suoi vicoli ancora bui.
Persino all’alba non si appisolava. Tokyo non si lasciava mai sfuggire nulla, né dolori, né piaceri.
Michiru era distesa tra le lenzuola rosse lucido di un love motel, con le dita ancora aggrovigliate nei capelli acqua marina e una mano poggiata sulla schiena di Haruka a sprofondare col ventre in un materasso a d’acqua di forma circolare.
La bionda tratteneva con una mano il collo di una bottiglia di vino tra le falangi che con un nonnulla avrebbe rischiato di frantumarsi al suolo.
 
“ Sono invidiosa, qui possono guardarti tutti…”
“ Allora portami in un posto dove possiamo essere solo io e te ”.
 
Se le mura del love hotel avessero avuto una voce avrebbero raccontato dei tacchi di Michiru che avevano puntellato la moquette sino alla piccola reception.
Avrebbero ricordato lo sguardo ammiccante di Haruka, trasformatosi in impassibilità, nel momento in cui i suoi occhi avevano lasciato per un momento il loro spettacolo preferito per posarsi sul custode di quella decina di camere spettatrici di amori nascosti dalla luce del sole, sveltine tra sconosciuti e incontri di amanti ormai divorziati.
 
Si erano già bevute diversi drink in tre eccentrici locali di Shibuya, eppure nella borsa di Michiru si nascondeva una bottiglia pronta da stappare.
“ Cosa festeggiamo? ” aveva chiesto la bionda, lasciando scivolare la mano dalle spalle della fidanzata troppo in basso per farlo in pubblico.
“ Il nostro incontro…” le aveva soffiato alticcia Michiru, ma senza usare un tono sguaiato.
Riusciva a mantenere una certa eleganza nonostante la sue mente non si potesse definire lucida.
Haruka, priva del garbo dell’altra, la spinse per i fianchi fino a farla scontrare contro il muro del corridoio.
Alla Sirena di Osaka tremarono le gambe, sentì la camminata farsi traballante e ridacchiò sommessamente; le sue onde acquamarina si sparpagliarono sugli intrecci geometrici di un arazzo appeso alla parete.
La bionda venne percorsa da un brivido caldo e senza permesso violò le labbra dell’altra.
Vodka Lemon, Martini e Awamore, un liquore tipico di Okinawa, si fecero trovare tra il suo alito profumato.
 
Con il sole a fare capolino senza permesso in quella stanza s’ insinuò anche la suoneria di un cellulare.
Michiru emise un sospiro pesante senza aprire le palpebre, mentre Haruka si alzò di scatto accanto a lei, urtando lo stipite del comodino e rompendo la bottiglia in pezzi.
Uno yakuza poteva venir ucciso nel sonno se non avesse avuto i riflessi pronti.
“Cazzo!”
“Buongiorno finezza” disse con voce calda Michiru girandosi su un fianco.
La bionda sbuffò. Soffocò una decina d’imprecazioni e senza capire dove si trovasse allungò una mano tra le coperte alla ricerca del cellulare.
“ Viene da più lontano…” borbottò Michiru pregando perché quella suoneria la smettesse di martellarle in testa.
“ Non lo trovo!”
“Cerca meglio!”
“Aiutarmi, no?!”
Michiru sgranò i due pozzi blu e li puntò dritti in quelli dell’altra.
Haruka alzò un sopracciglio con fare irriverente, anche se in cuor suo sapeva sarebbe arrivata una frecciatina da parte della fidanzata.
“ Mi hai rapita, il minimo che puoi fare è spegnere quel dannato cellulare”.
“ Storia vecchia, ti ho anche salvata”.
“ Storia errata. Io ho salvato te”.
“ No, tu hai cantato come un uccellino alla polizia”.
“ Vogliamo davvero discutere di questo?”.
Gli occhi della bionda si alzarono al cielo. Respirò a fondo e scivolò tra le coperte fino ad allungarsi ai piedi del letto. Con la mano toccò il pavimento alla ricerca dei pantaloni contenenti il cellulare, ma le sue dita si arpionarono a del pizzo marcato Victoria Secret.
“ Ho trovato solo queste…” sorrise luciferina, sventolando sotto al naso della proprietaria le mutandine appena ritrovate.
Michiru controbatté con una cuscinata che colpì in pieno volto Haruka, riprese possesso della propria biancheria con fare disinvolto e le buttò il cellulare addosso cominciando a rivestirsi.
Moshi moshi? ”.
Haruka aveva risposto distratta, senza degnare di uno sguardo il display del cellulare perché troppo persa a fissare la pelle lattea di Michiru e le sue curve bagnate da quei raggi di sole che l’accarezzavano senza il suo permesso.
Pareva una Dea; una Venere scolpita dalle onde di Osaka.
La fissò intenta a celare sotto il pizzo nero i suoi seni perfetti, inclinare la testa di lato così che le onde acqua marina potessero scendere a cascata sulla punta elegante della sua spalla.
Pensò ai baci umidi che aveva lasciato sulla sua pelle la notte prima, ai respiri rotti di cui quella stanza era stata sommersa, al fatto che portava ancora il suo profumo su ogni centimetro caldo del suo corpo.
 
Fu solo quando la voce all’altro capo si annunciò che perdette il suo angolo di paradiso.
 
 
***
 
 
Akira era alle prese con la spesa.
Lui e Minako sembravano essere intenzionati a svaligiare il mini market.
Tra le sue manie da grande chef e la golosità di Minako, pareva avessero il compito di sfamare un intero esercito.
Minako però, raggiunta la cassa, venne colta da un languorino. Fu più forte di lei, non riuscì resistere alla macchinetta automatica, appena fuori l’uscita del negozio, che vendeva kit kat alla fragola - e ai più svariati gusti – lasciandolo solo alle prese con la carta di credito e un conto salato da saldare.
“ Pensaci tu qui!” esclamò saltellante diritta per la sua strada.
“ Ma…”
“ Io devo andare in ospedale tra un’ ora, devo imparare a fare una sutura continua come si deve anche se sono solo un’infermiera!”.  Gli schioccò un occhiolino con fare bambinesco più che malizioso, conscia che nella sua frase c’era il doppio significato che Akira avrebbe sicuramente colto. Se doveva concentrarsi aveva bisogno di zuccheri, gli zuccheri in questione si trovavano a pochi metri da lei perciò era necessario armarsi di monetine ed agire.
Estrasse dalla piccola borsa a tracolla il portamonete in stoffa rosa a pois e spinse energicamente sul pulsante indicante la barretta di cioccolata desiderata prima d’inserire gli yen nell’apposita fessura.
Quasi impaziente, dondolò sui talloni delle ballerine seguendo con lo sguardo il lavoro del distributore fino a che non poté chinarsi a recuperare la sua merendina.
 
“ Io ti conosco! ” qualcuno alle sue spalle richiamò la sua attenzione.
Minako fissò il riflesso della macchinetta, ma non fu abbastanza per riconoscere la figura dietro di lei.
Arricciò le labbra leggermente incuriosita e con una piroetta si ritrovò faccia a faccia con chi diceva di sapere chi fosse.
Fu nel momento in cui i suoi specchi chiari si appiccicarono sui polsi disegnati del ragazzo e sulla falange delle mano destra mancante che la curiosità lasciò spazio alla voglia di mettersi ad urlare.
Bloccò la voce dietro le labbra serrate, incapace di trovare il modo giusto in cui reagire.
Quello davanti a lei era uno Yakuza e dentro al negozio c’era Akira, in fuga da una vita a cui non voleva più appartenere; per di più disarmato.
Nessuno usciva vivo o indenne dalla mafia Giapponese, le scelte personali non erano contemplate.
“ Credo…mi abbia confuso con qualcun'altra…” rispose gentile, facendo per rientrare e raggiungere il fidanzato.
“ Ho una buona memoria fotografica ”. Non era stato scortese, ma il temperamento di certi individui sapeva benissimo poteva mutare da un momento all’altro.
“ Io non la conosco, mi spiace”. Gli voltò le spalle, un passo in avanti per far sì che le porte automatiche si aprissero ma fu qualcun altro dall’ interno a spalancare l’uscio al posto suo.
Minako cercò gli occhi grigi di Akira al di là del vetro pregando che nel suo sguardo vi trovasse le parole “non uscire ”, ma così non fu.
“ Ma certo, Akira Aoki. Mi ricordavo di te, sei la sua ragazza”.
A Minako si gelò il sangue nelle vene.
“ Mina, mi hai mollato con tutta la rob -”. Akira fu in procinto di lasciare andare la spesa per terra, ma rimase arpionato ai sacchetti pieni con le parole disperse chissà dove.
Sakaume – gumi, il clan di Osaka che conta centodieci membri tra le sue file. Come era potuto esser stato così stupido da non averci pensato prima?
Forse aveva confidato troppo nella buona sorte. Si era considerato una specie di eletto, uno di quelli che nella sua vita non avrebbe mai incontrato nemmeno per caso un altro Yakuza in giro per strada. Forse nella sua testa gli aveva esiliati tutti a Tokyo quelli come lui. I criminali ai quali apparteneva per nascita, l’organizzazione così potente da aver invaso non solo il paese del sol levante ma che si era diffusa come un virus letale anche in America e Dio sapeva solo in quali altri parti della terra.
“ Sono Ken Azuma ” disse lo sconosciuto porgendo il proprio biglietto da visita ad Akira.
“ Sono il fratello di Daisuke ”.
 
 
 
 
 


Tokyo; sei mesi prima.
 
Lo sparo era riecheggiato per tutta la via. Per una buona dose di secondi pareva aver zittito l’incessante scrosciare di pioggia che sino a quel momento aveva coperto ogni rumore nei paraggi.
Gli occhi di Haruka fissavano una scia di sangue diluita all’ acqua piovana, scorrere lungo l’asfalto per poi finire nelle fessure di un tombino.
Tornerà tutto a galla se continua a piovere, pensò con un rimbalzo del cuore nel petto e le iridi che ritrovarono il coraggio di posarsi più in alto del terreno.
L’ Oyabun era davanti a lei. Rantolante, con le unghie conficcate nelle braccia di Akira e metallo freddo piantato ancora nel petto.
Gli occhi plumbei del ragazzo erano dispersi sotto ciuffi fradici troppo lunghi perché potesse carpire un suo sguardo, ma era certa che anche in lui si fosse annidata una buona dose di terrore.
“La parte brutta è finita, Haru…”.
La sua voce la consolò. Fu in quelle parole che lei trovò la mano alla quale aggrapparsi e la forza di alzarsi sulle gambe.
“Dammi la pistola Akira”.
Doveva finirla lei.
 
“ Non la esaudisco la tua ultima preghiera…” sibilò all’orecchio dell’ Oyabun.
“ Distruggerò tutto il tuo squallido impero, padre ”.
 
La parola fine in quella Tokyo singhiozzante quella notte fu scritta con la polvere da sparo.
Il dolore della carne lacerata era forse ben più presente nelle fibre nervose di Haruka che nel cervello spappolato di un uomo la cui vita era appena cessata per mano sua.
“ Haru…”
Akira interruppe ancora una volta la cantilena della pioggia e la catena di pensieri dietro la quale lei si stava trincerando.
“ Andiamo a casa ”.
Tornerà tutto a galla. Quell’idea era diventato un tarlo nella sua testa di giovane donna e l’avrebbe distrutta di lì a poco se non avesse agito nell’ immediato.
“ Prima dobbiamo seppellire tutta questa storia ”. Aveva voglia di piangere Haruka, ma nella sua voce c’era ancora quella nota secca che riservava alle frasi nei momenti in cui non si poteva fare a meno di agire in una determinata maniera.
“ Benzina?”
“ Troppa umidità, troppo tempo per prenderla, troppo per decidere dove piazzarli…”
“ Daisuke”.
“ Si, anche lui”.
“ Cemento, Haruka. Sono morti…devono stare sotto terra ”.
Bastò un cenno di assenso da parte dell’amica per mettere in moto tutto. Per dare all’inizio una fine.
E perché Tokyo facesse sì che “la fine” fosse solo l’altro capo del filo intricato del destino; un nuovo principio.
 
Tokyo i segreti non li sapeva tenere, amava tenerli nascosti quel poco che bastava per alimentare la curiosità di chi cercava risposte.
 
 
 

note dell'autrice:
I'm still alive.
Chiedo scusa in primis per l'attesa, purtroppo tra lavoro, università e febbre non ho davvero avuto un attimo di respiro e sarà così fino a dicembre perciò vi chiedo davvero tanta pazienza. Chiedo venia anche per il capitolo davvero corto...me ne rendo conto, sono tornata ai tempi delle prime ff quando scrivevo pochissimo. (Vi ho abituati troppo bene con le 15 pagine di un tempo! ahaahha!). Purtroppo il tempo è poco al momento e per non tenervi senza nulla sono costretta a fare in questo modo, mi auguro possiate apprezzare comunque la storia nonostante ci siano poche cose da leggere. 
Come avrete notato il capitolo è "diviso in più parti". Era mia intenzione dividerlo in due...se riesco a fare il prossimo più lungo sarà così, altrimenti sarà "spezzato" in tre.
Ultimissima cosa...l'ultima parte è un flashback. Solitamente uso il corsivo, ma essendoci dei pensieri di mezzo ho optato per la dicitura. Spero comunque che si capisca...Ho ripreso delle battute dall'ultimo capitolo di Stockholm Syndrome.
Per ora è tutto. Grazie a chi è ancora qui a leggere e a commentare ogni volta. Grazie anche per le mail private che mi scrivete, risponderò sempre anche se in ritardo. Siete mitici!
 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Kat Logan