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Autore: LadyBelleMagicRose    17/10/2014    1 recensioni
“Anche la prima volta che ci siamo conosciuti nevicava”
“Anche quando ci siamo persi” aggiunse l’altro osservando il cielo, “E ora che ci siamo ritrovati” ribatté il biondo.
“Allora dobbiamo proprio essere benedetti dalla neve”.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Era una Domenica d’inizio Dicembre.
Avevo passato la notte in bianco, guardando le pareti della mia camera da letto.
Prigioniero del silenzio che regnava in casa, per strada, ma soprattutto dentro di me.
Mi era appena caduta addosso una valanga: respiravo, a fatica ma respiravo, ero ancora vivo ma mi sentivo rotto, in mille pezzi.
Eppure lo conoscevo quel buio più nero della stessa notte; sapevo come stringe forte alla gola e non ti lascia finché non sei sopraffatto e chini il capo distrutto dal dolore. Lo conoscevo, si, e avrei dovuto saperlo fronteggiare, memore delle esperienze passate.
Non ci sono riuscito: mi aveva colto alla sprovvista, all’improvviso, quando tutto, proprio tutto, non mi faceva pensare ad un suo imminente ritorno.
Ero tranquillo, guardia bassa ; ma lui ne era al corrente e mi ha attaccato ancora infliggendomi una ferita letale, quasi mortale.
Una statua inerme, un parassita: affogavo nei miei pensieri, nel tentativo di trovare qualche spiegazione razionale che desse un senso ai perché che,
intanto, rimbombando ovunque mi avevano stordito.
Ero riuscito a dormire un’ora, forse due. Mi risvegliai che era giorno.
I primi raggi del sole penetravano indisturbati dalla finestra e si infrangevano sui muri e sui miei occhi che tornarono a chiudersi;
la testa come un pallone talmente gonfio che da un momento all’altro sarebbe scoppiato.
Dopo i primi attimi, ancora da incosciente, realizzai perché mi sentissi così.
Quasi in automatico stavo riprendendo a pensarci ma ebbi la lucidità di fermarmi sul colpo e il buon senso di non torturarmi ulteriormente.
Mi concessi una tregua, ben sapendo che la giornata era appena iniziata e, anche se avessi voluto che terminasse in fretta, sarebbe durata un po’;
stavo meglio e mi sentivo in dovere di sfruttare quel momento perché poi, i malinconici pensieri, sarebbero tornati puntuali a farmi visita.
Con mia enorme sorpresa la mattinata scivolò via velocemente e senza pesarmi molto;
senza che me ne rendessi conto si erano fatte le cinque del pomeriggio e mi venne un’improvvisa voglia di uscire di casa.
Non avevo prestabilito una meta: sarei arrivato fin dove i piedi mi avessero portato. Mi allacciai le scarpe, presi la giacca e le chiavi ed aprii il portone.
Quasi non ci credevo: ero fuori. Per come mi sentivo solo qualche ora prima ero sicuro che sarei stato segregato in casa dei giorni prima di riuscire a riprendermi un po’.
E invece qualcuno, da qualche parte, aveva deciso di accorciare decisamente i tempi. Le giornate si erano accorciate ma il clima si era addolcito.
L’aria gelida e pungente preannunciava l’imminente arrivo di una bella tempesta.
Respirai profondamente a più riprese l’aria che si faceva sempre più pungente e cominciai lentamente a camminare.
Attraversai la strada e salii sul marciapiede che costeggiava la strada.
Le voci allegre dei bambini che giocavano a palla e si rincorrevano sorridenti m’inondarono di spensieratezza.
Fu un vero toccasana e fui ancor più contento di non essere rimasto murato in casa.
Proseguii per un po’ a passi lenti, con le mani nelle tasche dei pantaloni e poi mi sedetti su una panchina in ferro e cominciai ad osservare i bambini che giocavano tranquilli nel parco. Era come se, d’un tratto, mi fossi svuotato, mi sentivo leggero.
D’improvviso, però, udii il rumore del motore di una moto. Non era un rumore anonimo, come quello di altre vetture, ma in qualche modo familiare e distinguibilissimo.
Un vecchio modello non più in commercio da molto tempo, dalla cilindrata pesante, ma abilmente taroccata per limitarne il consumo e l’emissione di gas nocivi.
Capii immediatamente di chi si trattava, non avevo dubbi. Gli anni di servizio nel Hydra mi avevano insegnato ad affinare i sensi e prestare attenzione al più minimo dettaglio. Sapevo perfettamente di non poter elaborare niente per evitare di incontrarlo, anche se una parte di me lo avrebbe desiderato. Non potevo certo alzarmi e andarmene, la fuga non aveva senso. Rimasi, allora, lì; abbassai leggermente lo sguardo a terra ma conservando lo stesso la possibilità di poterlo vedere quando mi sarebbe sfilato davanti; magari mi avrebbe salutato come sempre, iniziando un lungo monologo sul fatto che non era buono che mi isolassi e che comunque, anche se non riuscivo a ricordare, lui era pur sempre il mio migliore amico da praticamente tutta la vita, e che di qualunque cosa avessi avuto bisogno lui ci sarebbe stato per me. Si, perché lui mi conosceva meglio di chiunque altro, un tempo. Appunto un tempo, ora nemmeno io mi conoscevo, non potevo pretendere che lo facesse lui.
Ed era questo che mi infastidiva, era per questo che lo respingevo ed evitavo. Come poteva una persona che neanche conoscevo entrare come un uragano nella mia vita e sconvolgerne ogni dettaglio, senza il mimo interesse per i miei di sentimenti, come poteva pretendere che a quei sentimenti tornassi a dare un nome ed un significato quando per così tanto tempo erano stati messi da parte, proibiti.
Era ormai a qualche metro soltanto da me. Sentii il rumore dei suoi passi farsi sempre più vicino. Quando mi fu finalmente accanto, si sedette.
Non fece altro, non tentò di iniziare una conversazione, almeno non subito, ne di chiedere per quale motivo non avessi risposto alle sue chiamate per intere settimane.
"Sembra stia per piovere" disse distrattamente puntando lo sguardo in un punto non ben definito
"E’ aria di tempesta … "
"Come?"
"Non sta per piovere, ma per nevicare … c’è aria di tempesta"
Steve fece un cenno con la testa, lasciando che il silenzio calasse nuovamente.
“A che ora sei andato a dormi stanotte?”
Silenzio.
“Non lo so... forse le tre o quattro di mattina … è rilevante?”
“No!” Steve si strinse nelle spalle “E’ solo che il dottore ha detto che dovresti riposare … voglio dire, non ti fa bene dormire così poco”
“ E che importanza ha, la mia salute è l’ultima cosa di cui mi importa al momento”
“A me importa”
La voce di Steve era dura.
“Non dovresti preoccuparti così tanto per me” nessuno dovrebbe …
“Perché? Perché non dovrei preoccuparmi per te? Sei il mio migliore —“
“E’ proprio questo il punto Steven, io non sono il tuo migliore amico, forse un tempo lo sono stato, ma ora non più! Tu non sei nessuno per me!”
Steve rimase immobile per un attimo, soppesando quelle parole.
“Forse è vero, ma non puoi dimenticarti improvvisamente di tutto, mettere da parte tutto quello che abbiamo passato, liquidarmi così.”
“Ma è così è quello che è successo”
“Ma almeno provaci, prova a ricordare!”
Bucky si alzò dalla panchina e iniziò a camminare.
“E ora dove stai andando?”
“Non lo so, dove mi va! Sono un uomo libero ora… ho, no, giusto, ora sono una proprietà dello SHIELD, dimenticavo”
“Bucky!!”
“Smettila di seguirmi.” sibilò l’uomo con un tono freddo, ma rotto, come i cocci di un vetro;
fragili ed affilati, che -se presi dalla parte sbagliata- rischiano di squarciare e tagliare.
“Bucky!!”
“Ho detto: smettila di seguirmi.”
 Ripeté esasperato il moro, quasi più affranto.
“Non posso, James, non lo posso fare” ribatté con più fermezza Steve, deglutendo un fiotto di bile, tutti i muscoli tesi, non tanto per lo sforzo di stare dietro al altro,
per il freddo o per l’adrenalina, quanto per l’importanza del momento. Ora o mai più, si ripeté, come una nenia.

“Ti ho perso una volta ma ora non commetterò lo stesso errore.” aggiunse,
avvicinandoglisi sempre di più e afferrandolo per il braccio. Quel braccio.
“Lasciami ” ringhiò il moro.
“Dovrai uccidermi, se è davvero fermarmi ciò che vuoi.” continuò deciso Steve.
A quelle parole Bucky provò come un fastidio, un senso di disgusto. E un flesh attraversò la sua mente.
Un ragazzo gracilino disteso e ferito, in un angolo, con gli occhi lucidi pronti ad esplodere in un pianto incontenibile,
ma che comunque non lasciavano sfuggire nemmeno una piccola goccia di quel liquidi salato, come se ne andasse della sua vita.
 
“Steve..” sentire il suo nome, sussurrato come se fosse quasi una preghiera, gli strinse il cuore, facendogli salire un groppo in gola. 
Perché non mi lasci entrare?
Lo tirò a se, stringendolo forte, ignorando i tentativi, svogliati, di divincolarsi del altro.
Non poteva abbandonarlo. Non lo avrebbe abbandonato, così come Bucky non aveva mai abbandonato lui. 
“Mi dispiace, Bucky, mi dispiace così tanto, non ho passato giorno senza rimpiangere di averti lasciato e so che forse sarà difficile credermi, ma voglio rimediare.
Per favore, ti prego, non voglio perderti di nuovo” la voce si spezzò e gli occhi iniziarono a bruciargli. James, di rimando, rimase completamente in silenzio.
Steve si sentiva così piccolo, così debole in quel momento, si sentiva di nuovo il gracile e impotente ragazzino di Brooklyn che non riusciva a difendersi dai bulli,
che non osante tutto non era riuscito a salvare i suoi amici, ed era rimasto solo …
“Perché. Perhcè continui a cercare di salvarmi?” chiese improvvisamente Bucky, senza distogliere lo sguardo dalla pozzanghera che si allargava vicino alle punte delle loro scarpe, lucida e ferma come uno specchio.
“Te l’ho già detto. Sei il mio migliore amico, sei il mio compagno d’armi, sei mio fratello.
Sei quello che mi ha sempre difeso e l’unico che ha mia davvero creduto in me anche quando avevo perso ogni speranza, o quando nessuno credeva in me”
Gli occhi di Bucky si illuminarono a quelle parole e un brivido percorse il suo corpo.


 “Non sei più solo! Ci sono io con te …. non ti lascerò mai più!”
Due soldati, due uomini. Persi in un mondo troppo diverso da quello in cui erano cresciuti, da quello in cui erano abituati.
Persi dentro se stessi e alla ricerca di risposte a domande che non sanno nemmeno di avere"-E’ strano … "
"Cosa?"
-"Sei sempre stato bravo a prenderti cura delle persone. O almeno con me. “
Bucky lasciò andare un lungo sospiro.
“Certo che sei testardo tu … “
“Sono solo determinato”
Silenzio.
“Vorrei solo capire chi sono, non chi ero, ma chi sono ora”concluse. Steve lo allontanò e lo guarda speranzoso
“Ed io non posso aiutarti? Non possiamo affrontarlo assieme?” come abbiamo sempre fatto.
Bucky rimase immobile, pensieroso.
“Eravamo amici un tempo, giusto?”
“SI, migliori amici”
“In questo caso … perché no …”
Il sorriso di Steve si spense per un attimo, prima di tornare più prepotente che mai sul suo volto.
“Piacere, Steve Rogers”
“Bucky Barnes”
I due si strinsero la mano, come se si fossero appena conosciuti.
E in qualche modo era così, si erano appena conosciuti.
Non i due ragazzini pieni di sogni e speranze di Brooklyn,
non Captain America e il Soldato D’inverno …
Solo Steve e Bucky.
 
Piccoli e delicati fiocchi di neve iniziarono a cadere lenti sulla città, come guidati da una musica invisibile che li guidava.
Sul viso di Steve si dipinse un sorriso “Anche la prima volta che ci siamo conosciuti nevicava”
“Anche quando ci siamo persi” aggiunse l’altro osservando il cielo, “E ora che ci siamo ritrovati” ribatté il biondo.
“Allora dobbiamo proprio essere benedetti dalla neve” disse il moro sorridendo lievemente e voltando lo sguardo verso il biondo, che ricambiò il sorriso.
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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